A Porte Chiuse

Quattro passi dentro casa: Le lampade di questa stanza

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In una stanza tutto sommato minuscola, ci sono ben tre lampade. Una ci vuole, che ci rischiari dalle tenebre, ma le altre due? Andiamo a conoscerle, dalla più piccola alla più grande. La più piccina, non che ultima in ordine di arrivo è una lampada del sale formato bonsai. Calcolando la metratura della stanza, se volessi davvero usarla per ionizzare l’aria, cosa che si mormora queste lampade facciano, avrei dovuto prenderla grande almeno il doppio, invece ho scelto lei. A guidarmi, non solo lo spirito del risparmio, ma anche la situazione. Io vado a impressioni, circostanze, eccetera e tale lampada era stata annunciata come in vendita da LIDL. LIDL ha l’astuta capacità, con il suo volantino, di creare aspettative. Da librivora, adoro il volantino di LIDL, e pensare che, gli omini della pubblicità, spesso saltano la mia cassetta della posta. In tempi normali ovviavo al problema sottraendo, nottetempo suddetto volantino, dalle cassette altrui, magari proprio da quelle su cui campeggia rabbiosa la scritta “NO PUBBLICITA’”. A me la pubblicità dei supermercati piace, ma adesso rifuggo da qualsiasi superficie che possa essere contaminata, forse gli omini della pubblicità lo sanno e non mi lasciano più nulla. Se vi hanno rubato il volantino di LIDL, da febbraio in poi, non sono stata io! Oltre a stuzzicarci, quelli di LIDL, sono bravi a fare leva sulla scarsità: se un bene è scarso, viene percepito come un bene di valore. Nella mia infinita storia accademica, ho studiato anche economia politica, altrettanto devono aver fatto gli omini del marketing. Le massaie invece no, ci cascano ogni volta e le mattine del lunedì e del giovedì, corrono da LIDL ad accaparrarsi gli oggetti del desiderio, prima che l’ambita cianfrusaglia vada esaurita.

No, sul serio, mi rifiuto: la corsa tra gli scaffali roba da Flinestones. Magari una certa cosa la vorrei tanto, ma riesco a non darlo a vedere. Mi approccio ai cestoni delle offerte con finto distacco, allungo l’occhio e, se la cosa non c’è più, proseguo incurante verso i fiocchi di latte: ai cani piacciono, è una bella scusa. Questa lampada, così come le ali da pipistrello da fare indossare al cane (che invece avrebbe preferito i fiocchi di latte) è stata comprata nel tardo pomeriggio. Era l’ultima ed era evidentemente una predestinata. L’accendo spesso e, lo scorso autunno, o forse era primavera- insomma era quel periodo di monsoni, la lampada si è messa a piangere allagando il ripiano della libreria. Nessun miracolo di San Gennaro, voleva solo dirmi che c’era troppa umidità, come se non me ne fossi accorta da sola. Che poi, che avrà da lamentarsi, abita vicino alla porta della stanza, sul tetto della mini-libreria a sud, nel punto meno umido della casa. È stata fortuna, non ha neppure dovuto scegliere dove stare, la presa della corrente ha deciso per lei.

La seconda lampada vive sulla scrivania, ma non ha mai avuto un posto fisso, va e viene a seconda di quanti pc (ne ho due), quanti libri e quante altre cose, stanno sulla scrivania.  Quando il tavolo è troppo occupato viene sloggiata per terra, sul parquet, a farle compagnia qualche pelo di setter. Il non avere un posto fisso, le permette di guardare la stanza, e il mondo fuori dalla stanza, da diverse prospettive. Può persino succhiare la corrente da ben due prese elettriche diverse. Non so quasi nulla di questa lampada, mi è stata regalata dopo che qualcun altro l’aveva recuperata sulla via della discarica. La spina andava riparata, ma una volta fatto (non da me) funziona benissimo. Credo abbiano scelto di mandarla qui perché è la classica lampada da scrivania, anzi da scrivania di una biblioteca. Probabilmente ne avete viste di simili nelle biblioteche, o nei film. È una di quelle lampade con un cappello verde bottiglia, piuttosto largo e orientabile. Il gambo è stretto e dorato e poggia su una base larga, sempre dorata. Queste lampade vintage, sono chiamate anche lampade Churchill (My Dear Sir Winston <3 ), o ministeriali. La leggenda vuole che negli anni ’30, in Europa, fossero di moda sulle scrivanie dei VIPS, a me fa tanto Ivy League, o Seven Sisters, per tirare l’acqua al mio mulino.  La mia Winstonina ha qualche graffio sul gambo e dei graffi più marcati sulla base, comunque se li sia fatti, fanno parte della sua storia. L’accendo poco, in genere d’inverno, o quando la giornata è uggiosa. Illumina quanto basta, ma non troppo.

La terza lampada è la lampada regina, ovvero quella che regna quando il sole non c’è più, ma a tu hai bisogno di vederci chiaro, lo chiamano smart working e non finisce con il tramonto. Non ci sono lampadari in questa stanza, solo questa lampada “alogena” che parte dal pavimento e va verso l’alto. È rosso papavero e ha quasi 40 anni, ma non li dimostra, viene dal vecchio arredamento “di design” di questa stanza. Il problema è che si è portata dietro una certa filosofia spendacciona tipica degli anni ’80: mangia quanto uno Shire! Con Shire intendo quegli enormi cavalli da tiro dalle zampe pelose, l’idea di prenderne uno “da compagnia” mi è subito passata dopo aver scoperto quanto mangiano. Ad oggi, non sono ancora riuscita a convertire la Signorina Shire al LED, non trovo lampadine della sua taglia: lei succhia, illumina e scalda, come si addice ad una vera lampada alogena della Milano da bere.  In inverno, funziona come secondo termosifone, in estate… le preferisco il buio.

È talmente calda da aver cercato di fondere un pezzo della libreria e di aver quasi dato fuoco alla casa. Antefatto, questa stanza è esposta a nord per una parete, e a est per l’altra. In inverno è GELIDA anche con il riscaldamento acceso: le case te le costruiscono belline e trac, la fregatura che non sai. I vecchi serramenti, quelli comprati insieme all’abitazione, erano stati fabbricati dalla Casa dello Spiffero, e io ho avuto una delle mie idee. Seguendo quanto consigliato dall’adorabile rivista British Country Life, mi ero procurata dei pesanti tendoni patchwork. Ottimo risultato estetico e funzionale, ma alla rossa lampada non piacevano, le toglievano centralità. Così, colpa sua, o colpa mia, che non ho curato le distanze, un giorno d’inverno, mentre scrivevo al pc, ho sentito un rumore sopra la mia testa. Ho fatto finta di niente per un po’, che avevo altro da fare, e poi, riguardando in alto, ho visto fumo e fiamme provenire dalla tenda. Senza farmi prendere dal panico, sono uscita dalla stanza, ho spento la lampada (l’interruttore è fuori) e poi mi sono messa a cercare un recipiente con cui poter lanciare efficacemente dell’acqua verso l’alto.

Non trovando niente al piano, sono scesa in cucina e ho preso un’insalatiera in porcellana inglese, di quelle bianche e blu con i paesaggi disegnati, ovvero le uniche stoviglie degne di esistere. E fu così che Rossella domò l’incendio a insalatierate d’acqua. Poi venne l’assicuratore che risarcì i danni, inclusa l’anziana scrivania di design che con l’acqua si gonfiò.

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