L’alimentazione del cane da caccia: il ruolo dei carboidrati

Di Rossella Di Palma (DMV)

Dopo aver esaminato il ruolo dei grassi nella dieta del cane da caccia, parliamo del’utilità dei carboidrati, come cereali – con e senza glutine- e patate. Come alcuni di voi sicuramente già sanno, i cani, se hanno disponibilità di precursori della gluconeogenesi a sufficienza, non necessitano di carboidrati, ma il loro organismo sa utilizzarli molto bene se vengono inseriti nell’alimentazione. Apro qui una piccola, ma necessaria, parentesi: un mangime grain free non è un mangime “senza carboidrati”, è semplicemente un mangime senza cereali. Se siete interessati al mio punto di vista sui mangimi grain free vi rimando a questo articolo.

Pur non essendo utili a aumentare la densità calorica di un cibo (i carboidrati contengono solo 3.5 Kcal per grammo, a fronte delle 8.5 Kcal per grammo dei grassi), essi possono essere molto utili agli atleti di velocità come ad esempio i cani da prove. Gli atleti di velocità hanno bisogno di energia prontamente disponibile durante la corsa e la ricavano dal glicogeno stoccato all’interno della muscolatura.

La quota di glicogeno utilizzata per la produzione di energia dipende dalla quantità di glicogeno presente nel muscolo, il che lascia intuire che aumentando il glicogeno disponibile, attraverso la dieta e l’allenamento, si possono migliorare le prestazioni degli atleti di velocità.

Per gli atleti che compiono sforzi intermedi, pensiamo al classico cane da caccia che lavora per qualche ora, non si raccomanda una precisa quota di carboidrati: la loro percentuale, nella dieta, deve essere regolata in base alla durata e all’intensità del lavoro svolto. Cani che lavorano a lungo a intensità da bassa a moderata devono ricavare la maggior parte dell’energia dai grassi, e solo una quota minore dai carboidrati (il 15% sul totale delle calorie giornaliere può essere sufficiente).

Gli atleti di resistenza, pensiamo ai cani da slitta attivi su lunghe distanze – ma anche a quei cani da caccia che cacciano da buio a buio, devono ingerirne una percentuale inferiore ma, stando a Kronfeld (1973), i soggetti alimentati con cibi in cui i carboidrati sono assenti hanno maggior predisposizione a sviluppare la diarrea da stress. Una quota adeguata di carboidrati, o di fibre solubili, in alternativa ai carboidrati, deve pertanto essere sempre presente nella dieta.

I carboidrati presenti nelle diete per cani atleti devono essere altamente digeribili in modo da non far aumentare in maniera eccessiva la massa fecale. Un aumento della massa fecale può predisporre a diarrea da stress e aumentare la quota di acqua eliminata attraverso le feci, oltre a comportare un incremento ponderale del cane durante l’attività sportiva.

Continua…

Bibliografia:

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Topeka, USA.




Le razze da ferma inglesi in Inghilterra

Un’altra domanda che mi viene spesso rivolta è “come sono i
cani in Inghilterra?”. Cercherò di rispondere razza per razza, illustrando
quelle che sono le mie impressioni, impressioni che inevitabilmente risentono
del confronto con i cani italiani.

Iniziamo dal pointer, la razza da ferma inglese più diffusa.
Non so dirvi quanti pointer inglesi vengano registrati ogni anno in
Inghilterra, ma posso dirvi che la razza ha un buon seguito di appassionati. La
maggior parte dei pointer fa il cane da compagnia, o da esposizione ma, detto
questo, il pointer inglese è anche la razza più rappresentata alle prove di
lavoro. Verrebbe da chiedersi il perché, visto che il clima fresco, umido e
ventoso fa decisamente il tifo per i setter. Eppure, il pointer piace, e tanto,
perché è ritenuto facile da addestrare e da condurre. A un neofita che desidera
avvicinarsi ai cani da ferma inglesi tutti consiglieranno un pointer. Scommetto
che questa cosa vi suonerà un po’ strana dal momento che noi italiani ci siamo
fatti un po’ un’idea (e anche una selezione) del pointer un po’ matto. Grande
cane per carità…. Altrettanti grandi mezzi ma… un po’ difficili da maneggiare.
I pointer inglesi-inglesi, in questo senso sono assai diversi dai nostri.
Qualche appassionato ha importato e introdotto del sangue italiano, che di
fatto ha dato un po’ di “matteria”, ma la maggior parte dei pointer ha sangue
inglese-scozzese o, al massimo, irlandese. Si tratta di cani in genere molto
veloci e decisi, ma meno stilisti dei nostri. Li definirei più pragmatici,
nonché più facili (tranne qualche eccezione conosciuta personalmente) da
addestrare e da condurre. Sono cani affidabili e sicuri, che ho visto fare
molto bene sia su starne che su grouse.  Si tratta di cani sostanzialmente equilibrati
che danno pochi problemi al conduttore, ma che potrebbero non piacere al
pointerista italiano, perché mancano della classica testa “all’Italiana”, anche
la morfologia (pur essendoci una certa variabilità) potrebbe non piacere.
Quanto alla spettacolarità e allo stile, la selezione inglese non ricerca
espressamente queste caratteristiche, ma non mancano i giudici che sanno
apprezzarle e, qualche cane che potrebbe essere gradito anche ai nostri giudici
di fatto esiste.

Il setter irlandese rosso è probabilmente la seconda razza
più rappresentata nei trials, specie quelli corsi su grouse. Ci sono cani di buona taglia e morfologia e altri
oggettivamente “bruttini”, ma che si trasformano appena sganciati. Una volta in
movimento sono cani di grande effetto e di grande avidità. Efficacissimi,
guidano con sicurezza nella forte emanazione della grouse. A volte però sono un po’ troppo spavaldi e sfrullano. Molti
dei setter irlandesi che partecipano alle prove su grouse arrivano con i loro conduttori dall’Irlanda, dove poi
rientrano al termine del circuito delle prove. Piacerebbero agli italiani? Per
cerca, azione e avidità sicuramente, anche se noi tendiamo ad amare la cautela
e la ferma solida dell’inglese, caratteristiche non propriamente “dei rossi”,
che tuttavia se di sangue anglo-irlandese da lavoro sono signori cani da
caccia.

Il setter irlandese rosso e bianco. Purtroppo, ne ho visti
lavorare soltanto due, di cui una da show. Da quello che mi è stato detto,
tuttavia, in Irlanda ci sono ottimi cani che partecipano a prove e vanno a
caccia. Sono meno veloci degli irlandesi rossi e probabilmente meno “scenici”,
ma chi gli ha avuti per le mani ne dice un gran bene.

Il setter gordon. I setter gordon nutrono di un buon seguito
di appassionati, o forse sarebbe meglio dire di appassionate dal momento che
molte donne che inizialmente allevavano solo con le esposizioni come obiettivo,
attualmente portano i loro cani anche alle prove di lavoro. Nella mia
esperienza ho visto più gordon nelle prove su grouse, che non in quelle su starne e nella Novice Stake, che non nella Open.
Le gordoniste sembrano inoltre preferire il circuito di prove scozzesi a quelle
inglesi. Come sono questi cani? Da alcune di queste genealogie nate per le
expo’ sono usciti anche dei campioni assoluti, ma credo che le loro abilità
vadano contestualizzate. Sono cani che ho visto fare bene sul moor, magari in condizioni climatiche
difficili, dove il ragionamento e la cautela sono più utili rispetto alla
velocità e alle grandi aperture. Sono anche cani che vengono presentati sempre
ben preparati e che sono condotti con facilità da chi li presenta, il che mi
lascia pensare a una buona predisposizione all’ubbidienza e all’addestramento.
Possono piacere al cacciatore italiano? Dipende da che tipo di cane desidera avere
accanto e, a mio avviso anche dall’ambiente e dal clima in cui intende cacciare.
Cani di “struttura” e con molto pelo, per giunta scuro, potrebbero essere messi
in difficoltà da giornate calde (che purtroppo oramai si prolungano fino ad
autunno inoltrato), terreni aridi, rotti e selvaggia scarsa.

Accanto a questi cani ci sono i gordon “da lavoro” in senso
stretto, caratterizzati da morfologie un po’ eteorogenee (alcuni sono assai
tipici, altri meno), ma da un’azione più briosa. Alcuni di questi cani hanno
sangue scandinavo. Come andrebbero da noi? Non so dirlo con certezza in quanto
il setter gordon, nella realtà italiana è sempre stato, e probabilmente
continuerà ad essere, un cane da amatori, un cane di forza, più che di
eleganza, la cui azione è sempre un po’ a cavallo tra quella dei continentali e
quella degli inglesi… più spinti.

Veniamo infine al setter inglese, che lasci per ultimo non perché
è la mia razza preferita, ma perché non è una delle razze più popolari nei field trials. In un mondo che gira all’incontrario
sono forti i numeri dei pointer e deboli quelli degli inglesi. I setter inglesi
che si vedono nei trials sono
essenzialmente di tre ceppi: ceppo inglese (a volte con qualche goccia di
sangue irlandese); ceppo continentale (con sangue prevalentemente italiano,
misto francese), ceppo inglese incrociato con il ceppo continentale e ceppo
irlandese (sangue irlandese e scandinavo – generalmente condotti da esseri
umani irlandesi). L’importazione di sangue continentale è stata essenziale a
causa della ridotta variabilità genetica del ceppo inglese. Oggi si vedono così
in campo tre tipi di setter che si differenziano per taglia (più strutturati e
alti sugli arti i cani inglesi), movimento e stile di lavoro. I cani inglesi e
irlandesi sono più fluidi nella guidata, più esitanti i cani di ceppo
continentale ma, se si leggono testi di cinofilia venatoria britannici, il problema
della ritrosia a guidare (ricordo che loro pretendono che il cane guidi a
comando, immediatamente e senza aiuti) è da sempre presente nella razza e
indotto dall’indole più cauta e “felina” di questi cani. Sempre il temperamento
e la loro sensibilità non li fanno ritenere, dagli inglesi, la razza più facile
da addestrare.

Ai trials si
vedono sia ferme erette che ferme schiacciate, a seconda delle genealogie che
stanno dietro al cane, lo stesso dicasi per i galoppi. Buona la velocità e l’ampiezza
dell’azione, per quanto riguarda lo stile, dipende da cosa si cerca: i cani con
sangue continentale possono essere molto simili ai nostri per prestazione, i
cani irlandesi invece possono essere diversi, ma dare vita ad azioni
altrettanto spettacolari. Il setter inglese e il pointer, per lo meno nella mia
esperienza personale, sono le razze che meglio interpretano le prove a pernici
(starne).




L’alimentazione del cane da caccia: il ruolo dei grassi

di Rossella Di Palma (DMV)

Nell’articolo precedente abbiamo parlato di come, quando si tratta di cani sportivi, occorra fare una differenza tra atleti di velocità e atleti di resistenza. A voler essere precisi, sarebbe più corretto inserire anche l’attività di tipo “intermedio” (uscite di caccia che durano un’oretta o due).

Come è facile intuire, è il cane che
lavora per tante ore, o addirittura per tutta la giornata, quello per il quale
un’alimentazione rappresenta un fattore fondamentale nel rendimento atletico.  In medicina veterinaria, la tipologia di cani
che è stata più studiata per quanto riguarda il legame tra nutrizione e attività
di resistenza, è quella dei cani da slitta. Il metabolismo e le condizioni di
lavoro dei cani da slitta differiscono da quelle dei cani da caccia, ciò
nonostante buona parte di quanto è stato scoperto su di loro può tornare utile
anche ai nostri cani.  I cani da prova,
invece, chiamati a svolgere prestazioni brevi, ma intense, ricadono nella categoria
degli sprinter che, in letteratura scientifica è rappresentata principalmente
dai greyhound da cinodromo e dai cani da agility.

È importante sottolineare la
differenza tra i diversi tipi di atleti perché, al di là del soddisfacimento
del fabbisogno calorico, la dieta del cane sportivo deve presentare percentuali
di carboidrati, grassi e proteine in linea con l’attività svolta. Uno sprinter
ricava la maggior parte dell’energia richiesta nelle sue prestazioni dai
carboidrati, mentre gli atleti di resistenza, come i cani da caccia, la
ottengono dai grassi. Il contributo energetico delle proteine durante uno
sforzo fisico è quasi sempre di scarsa rilevanza.

Il ruolo dei grassi
nell’alimentazione degli atleti di resistenza è molto importante:

  1. essi aumentano la palatabilità dei cibi e
  2. grazie all’elevata densità calorica (8.5 Kcal/grammo) e consentono una riduzione del quantitativo di materia secca da ingerire per soddisfare il fabbisogno calorico giornaliero.

Può infatti essere complesso, per un
cane atleta, ingerire giornalmente un quantitativo di cibo sufficiente a
coprire il dispendio energetico richiesto dall’attività sportiva che pratica:
alcuni atleti di resistenza possono necessitare tra le 6.000 e le 10.000 kilocalorie giornaliere, ma il quantitativo
massimo di materia secca che un cane può ingerire è pari al 3.5% del suo peso corporeo.

Un eventuale deficit calorico erode
dapprima i tessuti adiposi (che hanno il ruolo di riserva energetica e
funzionano come isolamento termico), poi le proteine del muscolo e, infine, le
proteine plasmatiche, ovvero quelle che si trovano nel sangue. L’obiettivo di
una buona dieta è evitare che il cane vada in deficit calorico, questo, come
appena spiegato, porterebbe alla riduzione della massa muscolare, essenziale in
un cane atleta: tutti noi abbiamo presente quei cani da caccia che, a metà
stagione, diventano secchi, fiacchi e striminziti con una BCS (Body Condition Score)
pari a 1/5.  Si tratta di un destino evitabile, ma solo modulando
per tempo la percentuale di grassi presente nella dieta.

Oltre a mantenere il BCS ideale, un’alimentazione ricca di
grassi parrebbe essere in grado di:

1) influenzare positivamente la
resistenza;

2) abbassare livelli di insulina a
riposo e

3) aumentare la potenza aerobica
totale (Vo2 Max).

I cani, tra l’altro, tollerano
piuttosto bene elevate percentuali di grasso nella dieta, a patto che siano
aumentate gradualmente e che si provveda a mantenere una quota adeguata di
proteine e carboidrati: steatorrea (diarrea grassa) e inappetenza possono
segnalare il superamento della quota di grassi tollerabile dal cane. Almeno il 2% della materia secca della razione
deve essere costituito da acidi grassi essenziali, non è stato invece stabilito
in che percentuali i grassi debbano essere saturi piuttosto che insaturi.
Alcuni cinofili ritengono che i grassi saturi (da prodotti di origine animale come
per esempio il burro, o il lardo) siano in qualche modo più energetici rispetto
agli insaturi (gli oli, in generale), ma non esiste alcuna evidenza scientifica
che possa confermarlo Una percentuale maggiore del 60% di grassi saturi (sui grassi totali), al contrario, sembra
compromettere le capacità olfattive. Non è ancora del tutto chiaro se, e come
mai, questo succeda, ma sono in corso studi finalizzati a capire l’impatto dell’alimentazione
sulla capacità olfattiva.  Questo
potrebbe essere legato agli effetti degli acidi grassi sul cervello, dal
momento che la composizione delle membrane del sistema nervoso può variare in
relazione alle fonti di cibo.

Tipologia di atleta % grassi su sostanza secca % grassi su kcal ingerite
di velocità 8/10% 20/24%
intermedio 15/30% 30/55%
di resistenza 25/40% fino a 50% 45/60% fino a 75%

I cani tollerano bene elevati livelli
di grassi saturi mentre, per quanto riguarda gli insaturi, nel cane atleta
occorre tener conto del rischio di perossidazione delle membrane lipidiche,
rischio che può essere ridotto attraverso opportune integrazioni di vitamina E
e selenio.

Gli sprinter (atleti di velocità),generalmente identificati con i levrieri o con i cani da agility, ma che
potrebbero essere anchei cani da
prove, al contrario dei cani da caccia ricavano l’energia principalmente dai
carboidrati, pertanto la giusta percentuale di grassi nella loro dieta oscilla
tra l’8% e il 10% della materia secca (o tra il 20% e il 24% delle
kilocalorie ingerite)

I cani che cacciano per periodi brevi, ma superiori alla durata di un turno di prova, necessitano di percentuali di grasso variabili a seconda dell’attività svolta: in caso di attività moderata, la percentuale ideale oscilla tra il 15% e il 30% della materia secca (30%-55% delle calorie ingerite); in caso di attività intensa, la percentuale sale al 25%40% della materia secca (45%-60% delle kilocalorie ingerite); in caso di sforzi molto prolungati, si sale fino al 50% della materia secca (75% delle kilocalorie).

Continua qui con una disanima sui carboidrati

Bibliografia:

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I trials inglesi: questione di atmosfera

In tanti mi chiedono perché vado con i cani in Inghilterra, come si fa a partecipare e, soprattutto come si fa ad allenare. Quest’ultima domanda, vista la fame di selvaggina che si ha in Italia, è più che lecita, ma le cose sono un po’ più complicate di quello che sembrano.

Nel 2015, grazie ad una serie di “coincidenze” ho avuto per la prima volta in vita mia la possibilità di assistere ad una prova di lavoro su grouse in Inghilterra e di partecipare, da spettatrice, ad una sessione di addestramento.  Molto di quanto ho visto mi ha affascinato al punto di farmi decidere di cercare di diventare parte di un mondo che, per lo meno geograficamente, non mi apparteneva.  Ero nata nel posto sbagliato, ma mi sentivo culturalmente vicina a loro. Intendiamoci, le prove di lavoro inglesi (e scozzesi) non sono perfette: ad oggi non ho ancora trovato un sistema d valutazione che possa testare in maniera zootecnicamente perfetta le caratteristiche del cane da caccia ideale, eppure…. Eppure, il circuito di prove britanniche possiede elementi che continuano a suscitare il mio interesse.

Vado in Inghilterra perché è più facile”, questa è la voce che mi è giunta alle orecchie. Beh, mi dispiace deludere i vocianti, ma nelle prove inglesi di facile non c’è un bel niente. Non mi credete? Ok, ve lo dimostrerò. Il minuto, per esempio, non esiste, se al giudice non piace come sganciate il cane, o se il cane allo sgancio fa qualcosa che al giudice non piace (per esempio emette un guaito di felicità, o guaisce perché gli avete pestato un piede) voi siete eliminati. Tenendo conto che i giudici sono due (uno controlla a destra e uno controlla a sinistra), occorre fare in modo di piacere ad entrambi. I turni oltre a non avere il minuto, non hanno una durata minima, o massima.

Il cane deve partire nella direzione assegnata: se deve andare a destra e va dritto, o gira immediatamente a sinistra, può essere penalizzato, o eliminato, a discrezione. La stessa cosa può succedere se si allontana troppo, se non “gira” quando richiesto dal giudice, se non va a terra quando richiesto, o se non guida con scioltezza quando dovrebbe farlo.

In guidata il cane non si può toccare, pena l’eliminazione.
Non è il conduttore a sparare dopo l’involo del selvatico, bensì un
guardiacaccia, su comando del giudice: non è quindi pensabile il trucchetto
dello “sparo-nascosto-in-un-cespuglio” molto amato da alcuni dresseur nostrani.
Non serve avere il grilletto facile, perché di fatto non si ha un grilletto.

Il cane deve rimanere fermo (IMMOBILE) al frullo e allo sparo, non può muoversi di un millimetro ma, a conclusione dell’azione, deve proseguire la guidata nel clear the ground (pulizia del terreno per individuare altri eventuali animali, in genere parte di una covata).

Non è possibile guinzagliare il cane immediatamente dopo
l’involo: il cane può essere legato solo quando lo decide il giudice. Se il
cane ha fatto tutto correttamente è possibile che veniate chiamati al secondo
turno: i cani, per andare in classifica, devono essere verificati due volte.

Può capitare, tuttavia, di non essere richiamati anche se, in apparenza tutto é andato bene. Questo può accadere per esempio perché molti cani sono stati shot over e quindi ne vengono richiamati solo alcuni (i migliori) dal momento che la classifica va solamente dal primo al quarto cane…  Il numero dei cani al secondo turno può essere altresì ridotto in contingenza di condizioni particolari che riguardano il terreno, la selvaggina, o il clima.

Generalmente, tutti i cani sganciati sul terreno presentano un livello di ubbidienza medio-alto. Il cane che allunga troppo, che si prende delle licenze, o che non si fa legare, non è un esemplare gradito.

Grouse…

Per diventare campione un cane deve vincere due Field Trials in classe Open, ma per avere diritto a correre in Open deve aver prima vinto una classe Novice (o aver fatto due secondi posti in una Novice) o una classe Puppy. A volte è possibile competere in Open anche senza essersi qualificati, ma solo se ci sono posti a sufficienza. Sì perché ai trials esiste una sola batteria e i posti sono limitati: i club organizzatori stilano una graduatoria, e chi è in fondo alla graduatoria finisce in lista d’attesa.

Credo questo possa fare comprendere che scegliere di partecipare alle prove inglesi non sia una scelta “di comodo”: oltre a doversi fare quasi 2000 chilometri (solo andata) per raggiungere i campi di gara, è persino difficile avere la possibilità di gareggiare!

Il numero chiuso, però, in fondo ha senso ed è espressione
dell’intento non consumistico di queste prove. A nessuno importa avere più cani
e a nessuno importa attirare i “professionisti” che, di fatto, praticamente non
esistono. C’è un solo conduttore, per giunta irlandese, che arriva con un
discreto numero di cani condotti “conto terzi”, così come c’è un solo
allevatore (di setter inglesi) che ricava parte del suo reddito dalla vendita
di cuccioli. Il setter inglese, tuttavia, è una razza poco commerciale: chi
sceglie i cani da ferma inglesi generalmente predilige i pointer ma, vi sembrerà
incredibile, nessuno si guadagna da vivere allevando pointer da lavoro.

C’è qualche conduttore semi-professionista che conduce uno, o al massimo, due cani per altre persone e un gruppetto di appassionati/allevatori amatoriali che iscrivono il loro branchetto. Chi possiede più cani, tuttavia è svantaggiato: da regolamento si cerca di garantire la partecipazione di un cane per ogni proprietario…. Quindi se ne avete quattro, è probabile che alcuni di loro vengano messi in lista d’attesa.

Il fatto che i conduttori non addestrino cani per vivere, non significa che non sappiano preparare i cani: al contrario, si colgono finezze di conduzione e di preparazione a cui non ho mai assistito qui in Italia. L’addestramento è una passione e si lavora con la massima cura dovendo rendere conto per lo più a se stessi, oltre che ai giudici.  I bravi conduttori mettono soggezione non perché sono “famosi”, ne perché hanno “vinto tanto”, ma semplicemente perché sono BRAVI. Starei ora fare domande e a chiedere di raccontarmi come fanno ad insegnare al cane questo e quello.

Famosi o meno, ci si chiama per nome, non per cognome, e ci si conosce tutti. Ci sono Richard, Maddy, Carole, Maria, Terry (un paio), Sara, Mary, Anne, Nicky (un altro paio), Dennis, Steve… eccetera. È normale prima dello sgancio scambiarsi una stretta di mano, o un augurio di buona fortuna: il compagno di coppia, del resto, si chiama compagno di coppia, non rivale di coppia. Tutti sanno che correre con un compagno di coppia ben preparato è un vantaggio: difficilmente causerà disturbo all’altro cane.

Tra i nomi che ho appena elencato sopra ne compaiono anche tanti femminili. Le donne che addestrano e conducono cani, nel Regno Unito, non sono bestie rare, tutt’altro. E non si limitano a fare capolino ai trials con il cane preparato da qualcun altro, la maggior parte di loro il cane se lo prepara da sé, e non è certo lì per seguire la passione del marito, o del compagno. Al contrario, spesso sono proprio i mariti che vengono a vedere e a dare una mano.

La parte umana dei trials ha il suo perché, insieme a tutte le tradizioni e alle formalità che l’accompagnano. I britannici non sono i più espansivi dei popoli, ma dopo un po’ ci si sente parte di quel mondo, un mondo fatto da formalismi, ma anche da semplicità che vanno dal pranzo al sacco, consumato tutti insieme all’aperto in quasi qualsiasi condizione climatica, alla cucciolata fatta esclusivamente per portare avanti la propria linea. Le razze da ferma inglesi, infatti, non sono granché commerciali e commerciabili e questo tiene ben lontana la minaccia che la cinofilia venatoria diventi un business. Un maschio vincente farà qualche monta (forse), ma non diventerà mai uno stallone di grido, capace di rendere ricco il suo proprietario.

L’aspetto amatoriale caratterizza anche la gestione dei terreni e dei selvatici. Gli italiani sono abituati ad andare all’estero per allenare e per addestrare e credono che basti pagare per poter sganciare il cane. Costoro non hanno mai incontrato un gamekeeper britannico al quale, molto francamente, non importa nulla delle esigenze del vostro cane. I guardiacaccia stanno lì per tutelare la selvaggina, punto, e il cane è spesso visto come un elemento di disturbo. Si può allenare (o essere invitati a censire) a discrezione del guardiacaccia, non è un diritto che si acquisisce pagando, occorre in qualche modo meritarselo. Negli anni sono riuscita a allenare il cane e a partecipare a qualche censimento, ma queste attività non sono programmabili. Tutto dipende dal clima, dall’età dei selvatici, dall’andamento delle covate, dalla disponibilità di chi vi deve accompagnare, eccetera eccetera. Allenare è un privilegio, non un diritto.

Gamekeepers…

È difficile avere accesso ai terreni, ed è per questo motivo che il mio cane, per esempio, ha fatto molto meglio su starne e su fagiani, che non su grouse. Non posso allenare il cane su grouse in Italia, perché non esistono e, in Inghilterra, non sempre ho la possibilità di muoverla abbastanza.  La grouse di per sé è un selvatico come un altro, che ben si presta al lavoro del cane da ferma, ma che ha due problemi. Uno è legato all’emanazione e l’altro alla densità numerica. L’emanazione è molto forte e può far bloccare cani abituati su selvatici meno “odorosi” e più leggeri e, come detto poco sopra, se il cane non guida in maniera fluida rapidamente, viene eliminato. Il secondo problema, ovvero la densità di animali, amplifica il primo problema: è normale veder alzare voli d 15-20 grouse, che se ne stavano da qualche parte tutti insieme. D’altra parte, un cane molto focoso e non ben addestrato, può perdere la testa di fronte a tanta selvaggina e andarsene a spasso per ore, o addirittura per giorni. I moors inglesi sono utilizzati per la caccia alla grouse in battuta, non per la caccia con il cane da ferma, questo spiega la tanta densità ma, come potete capire, confonde il cane.

Nelle prove a autunnali a pernici (starne), invece, ferma restando una densità di selvatici superiore a quella dell’Italia, essa è inferiore a quella delle prove estive e l’incontro non è garantito, ma si tratta di densità più consone ai nostri cani. I moors della Scozia, su cui sono stata soltanto nel 2016, li ricordo come una via di mezzo, mentre mi restano ancora da scoprire le prove primaverili. Certo è che la magia di un moor estivo ricoperto di erica in fiore e abbagliato da un cielo violetto è difficile da superare.

Vuoi saperne di più sui Field Trials ne Regno Unito? (Articles available in Englih as well) Clicca qui.




L’alimentazione del cane da caccia: partiamo dalle basi

di Rossella Di Palma (DMV)

Con
l’avvicinarsi della stagione di caccia iniziano le richieste di informazioni.
Cosa devo dare da mangiare al mio cane? Va bene questo integratore? Cosa potrò
aggiungere alle crocchette quando, a metà stagione il cane inizierà a
dimagrire?

Il cacciatore, intriso di buona fede
si intende, si aspetta che gli venga proposto un rimedio efficace, semplice ed
economico, meglio se sotto forma di pillola magica.  Come alcuni di voi già sanno, l’alimentazione
del cane mi è sempre stata a cuore, il che mi obbliga a rispondere in maniera
dettagliata.

Una buona dieta sta alla base della salute e del benessere del cane. I proprietari possono scegliere da un mangime di qualità (non ne discuteremo qui), oppure optare per una dieta casalinga e/o una dieta BARF bilanciate. Riuscire a capire se un mangime è buono e se, oltre ad essere buono è anche adatto, non è semplicissimo. Come detto poco sopra non ne discuteremo qui, mi limiterò però a ribadire che diciture come “alta energia”, “grain free”, “alta percentuale di proteine” significano poco e niente.  A chi fosse interessato all’alimentazione casalinga, o alla BARF, ricordo invece che queste scelte nutrizionali non sono semplicissime da strutturare, specie se parliamo di cani atleti.  Sconsiglio pertanto il fai da te e consiglio invece di investire qualche soldino in una consulenza veterinaria: parlatene con un medico veterinario che si occupa di nutrizione.

Innanzitutto, che differenza c’è tra
un cane da compagnia e un cane da caccia? Il cane da caccia, così come altri
cani da lavori, svolge – per lo meno durante la stagione venatoria, svolge
molto più movimento fisico.

L’esercizio fisico alza il metabolismo: i fabbisogni energetici del cane da caccia diventano così più elevati. La dieta del cane da caccia deve quindi venir strutturata in funzione dell’attività svolta. Ingenuamente si tende a pensare che il rendimento venatorio sia frutto esclusivo della genetica del cane. Qualcuno, più lungimirante, attribuisce un ruolo anche all’addestramento e all’esperienza, ma ancora troppi pochi cacciatori hanno compreso l’importanza dell’alimentazione e del condizionamento fisico.  L’alimentazione non può correggere carenze genetiche ma può migliorare le prestazioni del cane, nonché le sue capacità olfattive. Lo sapevate, per esempio che sono in corso studi scientifici sulla relazione tra dieta e capacità olfattiva?

È importante che la dieta sia
strutturata in base al lavoro che l’animale è chiamato a svolgere valutandone
intensità, durata e frequenza. Il cane da caccia svolge normalmente un tipo di
esercizio “intermedio” la cui durata va da pochi minuti, nei turni nelle prove
di lavoro, ad alcune ore. Cani che cacciano per tutta la giornata svolgono
quella che potremmo chiamare “attività di resistenza”: riuscire a sopperire
adeguatamente ai fabbisogni nutrizionali di questa categoria di cani può essere
difficile.

Atleti di resistenza  vs atleti di velocità

La fonte di energia principale (carboidrati, grassi o proteine) deve essere decisa in base al tipo di attività praticata e in base alla frequenza con cui tale attività viene svolta. I nutrizionisti chiamano RER (resting energy requirement), ovvero fabbisogno energetico a riposo, le calorie che un animale “a riposo” necessita quotidianamente. Nei cani da lavoro, il RER deve essere moltiplicato in base a un coefficiente che varia a seconda del tipo di attività svolta. Un atleta che compie sforzi intermedi, per esempio, ha un fabbisogno energetico giornaliero che impone di moltiplicare il RER per un numero compreso tra 2 e 5. I cani che svolgono attività di resistenza, come i cani da slitta e alcuni cani da caccia, hanno un fabbisogno energetico pari a 5 volte (o addirittura maggiore di 5 volte) il RER. In base a questi fattori, è chiaro che il cane da caccia necessita di cibi a alta energia e facilmente digeribili: la percentuale di cibo digeribile deve essere pari all’80% della materia secca.

Il metodo più semplice per stabilire se il fabbisogno energetico è soddisfatto consiste nel monitorare il body condition score (BCS), ovvero la condizione fisica del cane. A questo link potete trovare un .pdf a cura della WSAVA (Word Small Animal Veterinary Association) in cui sono presentati i BCS lungo una scala che va da 1 a 5. Il body condition score ritenuto ottimale è 3/5, ma alcuni conduttori preferiscono, se il cane pratica esclusivamente attività di breve durata (nel nostro caso le prove di lavoro per cani da ferma), che l’animale sia magro. Tra i cani da prove, non è infrequente vedere esemplari con un BCS pari 1/5 o 2/5. Si arriva a questa scelta perché, nelle prove (che richiedono uno sforzo di breve durata), la velocità è importante e possono pertanto essere preferiti cani sottopeso, partendo dal presupposto che la leggerezza sia sinonimo di velocità. Se, invece, il nostro cane da caccia è destinato a svolgere un’attività di tipo “intermedio”, o un’attività di “resistenza”, è consigliabile portarlo all’apertura della stagione venatoria con una BCS pari a 3/5, cercando di non scendere mai, durante i mesi di caccia sotto a una BCS pari a 2/5.

In previsione dell’apertura è buona cosa riportare il cane, se è ingrassato, ad una BCS pari a 3/5 e ricordarsi, calcolando il picco di attività venatoria – nonché i cambiamenti climatici – che per raggiungere la condizione fisica perfetta occorrono 6 settimane di allenamento e 6 settimane di “nuova alimentazione” (se va modificata), poiché il metabolismo necessita di tempo per adeguarsi. (Continua qui)

Bibliografia:

Toll P.W., Reynolds A.J. (2000). The canine athlete. In: Hand M.S., Thatcher C.D., Remillard R. Roudebush P. (Eds.) Small animals clinical nutrition. 4th Ed., Mark Morris Institute, 261-289, Topeka, USA.

Toll P.W., Gilette R.L., Hand M. S. (2010). Feeding working and sporting dogs. In: Hand M.S., Thatcher C.D., Remillard R. Roudebush P. (Eds.) Small animals clinical nutrition. 5th Ed., Mark Morris Institute, 321-358, Topeka, USA.




Nutellotti – I dolci di Flavia

Ingredienti:

180g nutella

1 uovo

150g farina

Nutella q.b. per farcire

Lavorazione:

Impastare insieme tutti gli ingredienti a formare un panetto tipo pasta. frolla.

Far riposare 1 ora in frigorifero il panetto.

Estrarre il panetto, con un cucchiaino create delle palline da disporre ben distanziate su una leccarda rivestita di carta forno.

Col manico di un cucchiaio di legno creare un incavo che dopo la cottura e il raffreddamento riempirete  con la nutella.

Cottura: 175 gradi per 7 minuti.

Puoi iniziare a leggere le ricette di Flavia da qui o trovarle raccolte qui.




Un setterista un po’ speciale

Brandon Bolger ha 10 anni e vive nella Contea di Carlow, in Irlanda. Purtroppo è affetto da una neoplasia piuttosto rara chiamata sarcoma di Ewing. Brandon viene sottoposto a chemioterapia ad alto dosaggio ogni 2 settimane. Ha già fatto 10 sedute ma gliene mancano ancora quattro. Brandon ha avuto l’idea di comprare un trattore di dipingerlo di giallo per suscitare interesse attorno alla questione dei bambini affetti da tumore. Tra i suoi desideri vi è quello di viaggiare in giro per l’Irlanda e raccogliere fondi per i bambini ricoverati nel reparto St. Johns all’ospedale Crumlin (Dublino) e usare quei soldi per comprare loro dei regali.  Per il suo coraggio nell’affrontare la malattia, a Brandon è stato conferito il premio Children of Courage dalla fondazione irlandese Share a Dream.

Brandon è un grande appassionato di caccia e di cani e un consigliere dell’English Setter Club of Ireland gli ha regalato una setterina già addestrata per la caccia di nome Luna.Brandon Bolger

Chi volesse sostenere Brandon può fare una donazione a questo link https://www.gofundme.com/brandons-yellow-tractor?fbclid=IwAR3ZH5yzPCxyviXN6L2LyFTfbOpgUBY4wCp_FBV1jt2iqTnGIeiYJP5RFiA

O inviargli biglietti, cartoline o fotografie di caccia e di cani al seguente indirizzo:

Brandon Bolger C/O Craig Bolger

18 Saint Fiaccs Terrace,

Graiguecullen,

Co. Carlow,

Ireland




About me

About me

I have a degree in Veterinary Medicine, to graduate I wrote an experimental dissertation on gundogs welfare.  As you might guess, I am interested in behavioural medicine and in everything that falls within “preventive medicine” such as nutrition, complementary medicine (I studied veterinary acupuncture)  and anything related to working and sport dogs.

I got my first Engish Setter in 1999 and my hunting licence in 2003 when I also started to follow dogs during hunting days and fieldt trials.

I have a regular column in a few Italian hunting/shooting magazines and I also collaborated with some foreign ones. In 2004 I was asked by an Italian publisher to write a book on Setters.

I trained my dog personally and I handle her a trials by myself.

Click here to learn how the pups will be reared and to get contact information.

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Chi sono

Chi sono

Mi sono laureata in Medicina Veterinaria e discutendo una tesi sperimentale sul benessere del cane da caccia. Come è intuibile, mi interesso di medicina comportamentale e di tutto ciò che può essere definito “medicina preventiva”, ovvero nutrizione, medicina complementare e alternativa (ho studiato agopuntura presso la Società Italiana di Agopuntura Veterinaria). Mi interessano anche le patologie di comune riscontro nel cane sportivo.

Il mio primo setter inglese è arrivato nel 1999: grazie a lui ho preso la licenza di caccia nel 2004 e ho iniziato a seguire cani da ferma in caccia e in prova. Collaboro regolarmente con riviste venatorie (Sentieri di Caccia, Beccacce che Passione e Cinghiale che Passione), ma ho all’attivo anche collaborazioni con La Gazzetta della Cinofilia e con riviste venatorie estere come Fieldsports e South African Wingshooter.  Nel 2004 mi è stato chiesto dall’Editoriale Olimpia di scrivere un libro sui setter (Il libro dei setter).

Addestro e conduco personalmente il mio cane, a caccia in prova e in esposizione).

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I Cuccioli…. Briony x Gregor

I cuccioli

La scelta di questi due riproduttori è stata effettuata alla luce della venaticità, della tipicità morfologica, dell’equilibrio caratteriale e delle verifiche sanitarie. Lo scopo di questa cucciolata è prima di tutto ottenere soggetti che siano buoni cacciatori, morfologicamente tipici, sani ed equilibrati (una cucciola resterà con me). Ho sempre pensato che il setter inglese debba essere una grande cacciatore, ma che debba anche possedere una buona tipicità morfologica. Alla luce di ciò la cucciolata è stata pianificata con estrema cura. I cuccioli verrano cresciuti in casa (e non in canile) affinché possano avere uno sviluppo cognitivo ottimale (e imparino a sporcare fuori). Verranno inoltre alimentati con prodotti di fascia alta, al termine di un accurato studio delle componenti nutrizionali.

Il futuro proprietario ideale è quindi una persona che riesce a comprendere e ad apprezzare questa impostazione,  e che sceglie uno di questi cuccioli come compagno di vita, e non soltanto come strumento di caccia.

Per contatti: englishsetterCHIOCCIOLAgmailPUNTOcom

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