Per oggi, in programma avevo messo la mensola, o il muro,
non avevo ancora deciso, ma tutti i miei programmi sono saltati. C’è stato un
imprevisto: un’inezia in tempi normali, un guaio quando hai un’epidemia in corso.
Mi fa quasi paura dirlo: sono dovuta andare al supermercato.
Antefatto, il 21 febbraio, giorno di individuazione di
Mattia, il presunto paziente 0, ero a Lodi. Codogno e Lodi sono vicine: ricordo
bene il barista, forse di Codogno, inalberarsi perché quel “coglione” se ne era
andato in giro per tanti giorni, come se fosse sano. Lo ascoltavo pensando, con
mezzo cervello, che il povero Mattia non aveva idea di essere malato, l’avevano
persino spedito via dall’ospedale. Con l’altra metà di cervello, guardavo i
cartelli che avvisavano delle chiusure di mensa e bar in occasione della
Pasqua, e del 25 aprile. Guarda un po’,
oggi è Pasqua, chissà che fine avranno fatto quei cartelli: mesi spesi ad
avvertire… nessuno.
Noi veterinari le epidemie le conosciamo, nessun vet ha sottovalutato il coronavirus, però, una timida confidenza da parte della categoria ve la devo fare: “Pensavamo che venissero adottate misure di contenimento più incisive. Pensavamo che venissero adottati piani di monitoraggio più accurati, facendo ricorso ai test di laboratorio. Pensavamo che tutti noi saremmo stati classificati come sani, malati, portatori e magari anche immunotolleranti. Pensavamo che la gente avrebbe avuto un filo in più di senso civico, o che sarebbero arrivate delle multe salate.” Invece, colpa di tutti, o di nessuno, la tempesta, si è trasformata in un uragano. A proposito, a che lettera siamo rimasti con la nomenclatura degli uragani? Nel dubbio, ripartirei dalla A e, trattandosi di corone, Adelaide dovrebbe suonare abbastanza regale.
Ve la ricordate Cassandra? Non è un’attricetta da cinepanettone,
è quella della mitologia greca: ecco, mentre io iniziavo a premurarmi di non
contrarre il virus, limitando uscite e contatti umani, tutti mi davano
dell’estremista germo-fobica. Ammetto che si metteste ad urlare “Orsetta!!!”
per strada, mi potrei anche girare, e non solo perché da lontano suona simile a
Rossella. Però, non stavo giocando
all’asociale, ero semplicemente consapevole.
Il mio ultimo ingresso in un supermercato, cioè il penultimo, se consideriamo anche ieri, risale a quei giorni lì: scaffali mezzi vuoti e gente che non aveva ancora capito che doveva stare “su dà dosso”, nonostante i miei sguardi molto espliciti. Entrare di nuovo in un supermercato? No, grazie, andate avanti voi! Però, mentre incredibilmente la scuola italiana, cioè tutta la scuola italiana tranne unimi.it, è riuscita a traslarsi online, i supermercati sono tornati ai tempi del telegrafo. Esselunga Online non funziona; Bennet Drive si pianta; LIDL non consegna nel comune in cui è collocato, ma consegna altrove; Iper e Carrefour sono distanti. Resterebbe la Protezione civile, con un po’ di farina nei capelli, uno scialletto e gli occhiali morsicati dal cane potrei anche gabbarli, ma… I negozietti di quartiere? Sto in una frazione senza negozi, urbanizzazione residenziale molto anni ’80. Però negli anni ’80 eravamo un filo più smart e qui c’era un supermercato a due piani. Chissà perché pensando agli anni ’80, mi viene in mente il maglioncione fucsia in angora con un gigantesco fiocco sul davanti, chissà che fine ha fatto. O la tuta nera di Topolino con le scritte rosa evidenziatore.
However, ho tirato circa 40 giorni senza entrare in
un supermercato, come ho fatto? Beh, in famiglia c’è fin troppa gente che smania
dal desiderio di andare al supermercato, risolvendomi il problema, ma anche se
non avessi forma di vita intorno, tolti i cani, sarei comunque rimasta
serenamente lontana dagli scaffali. Stando
ai social, tutti gli italiani si sono messi ad abbuffarsi e a cucinare: io
reclamo la mia coerenza, e non mi vergogno a dire che di mangiare, mi importa
meno di prima. “Stai mentendo! Panifichi!” Non esattamente: panifico
conto terzi per tenere gli anziani di famiglia lontano dal panettiere, gioco al
piccolo chimico con le cotture, e al piccolo allevatore con i lieviti. Tutto
qui.
Sostanzialmente il supermercato non mi serve, ho il freezer
pieno e il porto d’armi. Nel mio congelatore ci sono starne, fagiani, cinghiali,
pizze, qualche piatto pronto e persino… Un quarto di pastiera annata 2019, che
non ho ancora scongelato, di questo passo la mangerò a Ferragosto. C’è anche la
torta della Laurea in Medicina Veterinaria: se i Windsor conservano per decenni
le loro torte di nozze, lo posso fare anche io. Quanto ai supermercati, ne ho
diversi vicino a casa e, in momenti asettici, li ho sempre frequentati in orari
infelici, a testimonianza del mio disamore per le folle. Non uso carrelli, solo
borse e cestini: vado, compro ed esco, niente indugi. Come tutti, ho delle preferenze:
mi piacciono gli assortimenti di Esselunga, Iper e Carrefour, ma sono scomodi. Vicino a casa ho Bennet, Italmark e LIDL. Il
mio preferito è il tedeschino giallo e blu: è piccino, economico, e intrigante:
propone sacco di stranezze che gli altri non sanno inventarsi. Italmark ha la
freddezza di un Iceberg e io mi sento il Titanic, il Bennet è troppo festa di paese
e io sono la solita snob.
Come se adesso avessi il diritto di scegliere: Conte ci ha
detto che dobbiamo stare a casa, e sfamarci con quello che abbiamo dietro casa.
Fare la spesa potrebbe pertanto voler dire: andare nell’orto, bracconare un
cinghiale, rubare le uova a un agricolo o, se proprio sei sfigato e vivi in mezzo
al cemento… andare al super. E qui insorge il problema delle code: i signori
della grande distribuzione hanno subito approfittato di quella legge che
impedisce di tagliare le code… ai cani. Come se non mi fosse stato chiaro il
concetto, in mattinata mi erano arrivate immagini dell’Esselunga di San Donato Milanese
alle 7.00 AM: una coda che… lasciamo perdere. Ma seriamente, quanto mangia la
gente? Considerando che sento da sempre un certo bisogno di spazio attorno a
me, mentre facevo opera di auto-convincimento per uscire di casa, ho mantenuto
un punto fermo: fankulo la coda, se c’è lei, vengo via io.
Così, tra una meditazione e un’indagine di mercato, per
capire chi andasse al supermercato, sono arrivate le 7.00 PM. Quelli in coda
dalle 7.00 AM, avranno finito di rimpinzare i carrelli? Dopo un serrato testa a
testa con Italmark, aveva vinto il Bennet in virtù della parafarmacia. La carne
delle bestiole era esaurita, ma la bestiola junior, aveva sabotato il
mio piano di bracconaggio azzoppandomi. Strattone triplo carpiato, e quello che
dovrebbe essere il tensore della fascia lata si era messo ad urlare, sin dalla
notte precedente. Impossibile sdraiarsi, o sedersi, impossibile provare a Keep
Calm & Carry On senza una botta di chimica. E qui comincia l’avventura.
Introduzione: l’orario era da terno al lotto. Ci sarà
ancora gente? Non ci sarà più gente? E… se insieme alla gente fossero spariti
anche i viveri? Ragioniamo: gli anziani privi di personal shopper shoppano
alla mattina; le siure alle 7.00 PM cucinano, e quelli col cane stanno
in giro col cane.
Capitolo I: L’Abbigliamento. Più difficile è la
missione, più è importante non dare nell’occhio. Se il virus non ti vede, va da
un’altra parte. Niente lenti a contatto, l’occhiale lilla protegge di più.
Niente correttore e fondotinta, occhiaie e pallore ti fanno sembrare già
malato, non è il caso di infierire. Solo di una cosa non posso fare a meno, la
spazzolata alle sopracciglia, che ancora un po’ mi cascano negli occhi. L’abbigliamento lo descriviamo dal basso:
scarpe da trail Decathlon, perché dovendo scegliere tra Fight or
Flight, di questi tempi meglio sgommare. Jeans a gamba dritta blu scuro H&M.
Li avevo presi all’Iper Montebello quando è nata Briony. Ci entro ancora, sono
di un bellissimo blu notte, e chissene frega se c’è uno strappo sul ginocchio.
Magliettina sintetica Zara, a righe con base fucsia con una punta di ametista:
fingiamo un atteggiamento positivo, con tanto di anti-sfiga. Capelli rivendibili
nel reparto ortaggi. Nessuna borsa (si contamina),
solo una bella shopper in tela verde bottiglia: tanto lavabile, quanto
arrogante, essendo sponsorizzata da Armi Magazine. Al suo interno un paio di
guanti e il portafoglio. Il tocco di classe lo avrebbero dato i soprascarpe
monouso turchese, ma poi? Se mi tolgo prima i guanti blu Mediterraneo, per
toccare il portafoglio viola quaresima, poi con cosa tolgo i soprascarpe
turchese? Con un secondo paio di guanti blu Mediterraneo? E se, per, malasorte,
la coppia di guanti blu Mediterraneo contaminata, incontra la coppia di guanti blu
Mediterraneo, allevata in purezza? Pirandelliano, via i soprascarpe.
Capitolo II: La Macchina. Non l’accendevo da più di una settimana. L’ultima volta l’ho fatta girare stella attorno a casa, con diagonali non più lunghe di 200 metri. Mi è parsa felice di vedermi, ma credo sperasse la portassi in campagna. L’ho capito dalla cimice che passeggiava sul volante: camminava avanti e indietro, mentre io non riuscivo nemmeno a posare il gluteo sul sedile. Ho ignorato la cimice e sono partita, abbattendo il muro dei 200 metri, con il quale se ne sono andate un sacco di false certezze. Se la gente deve stare in casa, e uscire solo per reali NECESSITA’, se io sono stata più di 40 giorni, da cui il vocabolo “quarantena”, senza vedere un semaforo, com’è che c’è la solita coda al semaforo? Dove vanno costoro? Non ne ho idea, per fortuna non andavano dove andavo io: il parcheggio del Bennet era stato sfoltito dalle auto. Sembrava un melo appena potato, frastornato e illuminato dai raggi dell’ora dorata. Qualche persona sostava in prossimità dell’ingresso, alcuni a cavalcioni di una moto, altri in piedi: le finte spese per uscire di casa a parlare col cellulare. Lo sportello esterno del McDonald era chiuso.
Capitolo III: Il Supermercato. Spente le luci in galleria: anche qui aveva vinto l’ora dorata. Non ho mai capito perché tutti ammattiscano per fari e faretti. Luci spente e commessi assenti. Serrande e saracinesche abbassate, e se la serranda non c’era mai stata, via con i nastri di delimitazione, non superate la riga. Procedevo dritta con guanti, mascherina e borsone, l’elisir da trangugiare prima della battaglia. Un vigilante, ecco il primo intoppo: “Deve prendere il carrello!”, “Devo proprio?”, “Sì”. È una regola stupida, ecco l’ho detto, non a lui, a voi. Cinque anni di medicina veterinaria, cinque anni a studiare la biosicurezza, un mese in un laboratorio più-o-meno sterile in cui si fabbricano embrioni bovini… Tanta sapienza frantumata da un Vito Catozzo in giacca nera. Perché devo toccare un caspita di carrello contaminato che hanno toccato altre centinaia di persone? In quel momento ho sentito l’odore del sigaro di Sir Winston: “Keep Calm & Carry On”. Quel fumo non mi ha nemmeno scaldato, con una temperatura corporea di 35.7, potevo tranquillamente entrare. Tranquillamente per modo di dire, mentre claudicante mi accingevo a concludere la prima falcata, l’altoparlante strillava, cioè, raccomandava, di fare in fretta. Davanti a me un’orgia di uova di Pasqua, colombe e coniglietti, ma la gente sta sempre a mangiare? Inizio a provare più empatia verso coloro che affogano i dispiaceri nell’alcol. Proseguivo lenta e silente con paraocchi e museruola. Flector: spuntato. Insalata: pigliane una insacchettata e andiamo. Sushi: costa caro e lo hanno toccato in troppi, lascia perdere. Farina DIMENTICATA. Latte e ricotta per le creature: spuntati. Trita per le creature: sarebbe stato meglio andare all’ingrosso-che-costava-meno, spuntata. Olio di canapa per le creature: spuntato. Per smettere di sentirmi un rider di Glovo, ho acquistato per me il primo sacchetto di patatine avvistato; un caprino fresco DOC DOP DOCG IGP ECOBIO e chissà che altro, e un filetto di tonno fresco che non credo ricomprerò mai più. La voce dell’altoparlante ci stava addosso come un leone che incalza le antilopi, ma i pochi presenti, me compresa, andavano piano. L’impressione che galleggiassimo tra le luci dei neon nuotando da uno scaffale all’altro. Più che stare tutti nello stesso mare, la sensazione era quella di stare nello stesso acquario: pesci, molluschi, crostacei eccetera, tutti a battagliare contro la stessa acqua (aria) inquinata. Diversi, tra i crostacei adolescenti maschi, si perdevano ogni volta che si sganciavano da uno scaffale, curioso vederli chiedere l’AIUTO-DA-CASA a mamma crostaceo. Io mi sono lasciata, in qualche modo, trasportare dalla corrente, il mio personale ruscello trasportatore mi faceva prendere questo è quello. Ho scritto “prendere”, non “scegliere”. Ero quella che compara, che guarda le etichette, che controlla le date di scadenza: chissà quando potrò tornare ad essere così.
Capitolo IV: La Cassa. C’è una cassiera bionda. È una
bionda per finta e ha i capelli crespi, vaporosi. Di questi tempi, restare bionde
per finta è un miracolo tradito solo dal giallo canarino, dagli occhi scuri e
dalla pelle olivastra. La mamma di Barbie Malibù è arrabbiata perché lei “era
stata a casa, perché era stata male” (!!!), la sua collega invece sta a casa
per finta”. Nel dubbio estendo le distanze, lei ha un grembiule rosso e tanta
voglia di chiacchierare.
“Lei sta andando a lavorare?” Ok, insomma è complicato,
vai tu a spiegare in due parole, la vita di un “libero professionista” iscritto
a due ordini professionali. Un saltimbanco, così ho semplificato. “Beh
lavoro da una vita da casa (VERO) e diciamo che ho praticamente
annullato quello facevo fuori casa.”
Così ha replicato “Quindi lei è abituata a stare in casa,
a lavorare da casa?”
“Si certo, non è nulla di nuovo per me”.
“Perché vede, io per fare il mio lavoro devo venire qui.
Ma la gente, tanta gente, sa quelli che andavano in ufficio, magari avanti e
indietro a Milano, adesso lavorano da casa. Quindi… è possibile! Perché non ci
hanno pensato prima? Anche per l’inquinamento”.
Capitolo V: La Galleria. Lo hanno capito anche le bionde, PUNTO. Ho salutato, ringraziato, tolto i guanti, preso la borsa per il manico con un pezzo di Scottex tarocco e ho percorso a ritroso la galleria. Bottega Verde, Erbolario, negozi di intimo, gioiellerie, abbigliamento, Kiko, Sephora, Carpisa, Vodafone, le solite catene da centro commerciale qualunque. Poi un’agenzia di viaggi con decine di offerte in bella mostra; Paolino, quello che credo faccia il pollo arrosto; la gelateria con il gelato che sa di polverina; il McDonald, con i macarons fluorescenti, che il primo lunedì del mese ti regala una tazzina di caffè, e tutta la piazza del cibo.
Io, il silenzio e la luce dell’ora dorata.
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