Webinar Cani & Cibo

Scusate il ritardo nell’annunciarvelo, ma ho il blocco dello
scrittore.  Lo scorso mese di gennaio ho
tenuto un corso di tre serate sull’alimentazione del cane… Bene, da parecchio
penso quale possa essere il mio contributo sul fronte del coronavirus. Qualche
giorno fa ho avuto un’intuizione e ho pensato di riproporre sotto forma di
webinar la prima lezione del mio corso. Di cosa parlerò? In pratica dedicherò
un’oretta a parlare di come il cane è diventato cane (a partire dal lupo) e di
come questo ha determinato un cambiamento delle sue necessità nutrizionali. Al
termine di questa parte verranno date alcune nozioni di base sull’anatomia e
sulla fisiologia del cane. Queste nozioni verranno messe in relazione con l’alimentazione.

Il webinar si terrà sulla pagina facebook Rossella Di Palma Medicina
Veterinaria Integrata, sabato 28 marzo alle ore 15.00 https://www.facebook.com/violetvet/

La partecipazione al webinar è gratuita, ma è gradita un’offerta al Policlinico San Matteo di Pavia, vi verrà spiegato come.




Grain free è meglio?

di Rossella Di Palma (DMV) Scuola Specializzazione in Sanità Animale, Allevamento e Produzioni Zootecniche

e Maria Mayer (DMV, Ph.D.)


Scegliere un alimento commerciale Grain free è davvero la scelta migliore per il nostro cane e gattoarticolo a 4 mani, mio e della collega Dr.Maria Mayer (qui trovate il suo blog, dove l’articolo è stato originariamente pubblicato qualche mese fa).

L’arrivo dei primi Grain Free

Circa 10 anni fa, sono comparsi in Italia i primi mangimi grain free. All’epoca questi mangimi avevano stupito tutti non tanto per l’assenza di cereali, quanto per l’elevata percentuale proteica.  Percentuali di proteine che superavano il 40% non si erano mai viste sul mercato: i mangimi per cuccioli, cagne in lattazione e cani sportivi sfioravano a malapena il 30%.

Le perplessità dei consumatori, insieme a quelle dei veterinari, erano rivolte alle percentuali di proteine. Faranno male tutte queste proteine? Saranno salubri per un cucciolo in crescita? Danneggeranno i reni (falsa credenza)? In pochi si fermavano a ragionare sul concetto di valore biologico delle proteine, e ancora in meno facevano caso all’assenza dei cereali. Del resto, le crocchette grain free erano nate come risposta commerciale a quello che era ritenuto un eccesso di cereali nella formulazione di diete per carnivori, quali di fatto sono cani e gatti. Mentre alcune aziende mangimistiche aggiornavano le loro formule classiche diminuendo la quota di cereali a favore delle carni, dall’America arrivava la prorompente novità: mangimi a base di carne e con zero contenuti di cereali.

È probabile che le formule grain free siano nate, come risposta dell’industria mangimistica ad una richiesta di maggiore “naturalità”, la stessa filosofia che porta molte persone ad avvicinarsi ad una dieta BARF  che vede il cane (quasi) come un lupo e che si auspica che il cane, al pari del suo antenato, segua una dieta a base di carne.

In effetti, sin dall’inizio le formule grain free sono state propagandate come “più naturali”, e più vicine a un’ipotetica dieta ancestrale. Lo stesso packaging fa spesso riferimento al lupo e si basa su illustrazioni che rimandano a foreste e vita selvaggia.

Stesso dicasi per il gatto, carnivoro stretto, le cui confezioni richiamano libertà e ampi spazi nella natura.  Affascinati da miti e illustrazioni, tuttavia, molti proprietari hanno finito con il confondere una crocchetta “priva di cereali” con una  “priva di carboidrati”. I carboidrati nelle crocchette grain free c’erano eccome: non arrivavano da frumento, orzo, mais e riso, ma arrivavano da patate, patate dolci e tapioca. 

Qui crolla il primo mito: se per il cane non è naturale nutrirsi del tanto demonizzato mais… avete mai visto un lupo nutrirsi di patate, o tapioca? Se leggete le etichette dei primi grain free commercializzati noterete, appunto, che il posto lasciato dai cereali è stato preso da questi tuberi, che non sono necessariamente migliori dei cereali, né tanto meno più vicini ad una ipotetica dieta ancestrale.

Cosa e perché ha trasformato i cereali in nemici da combattere? Sicuramente anche per gli esseri umani, soprattutto in alcuni paesi, si è spesso confusa la paura per fenomeni di ipersensibilità scatenati dal glutine (proteina presente in molti cereali), con diete paleo varie, tendendo a fare “di tutta l’erba un fascio” e riportando le medesime considerazioni anche sul nostro migliore amico.

I fenomeni di leaky gut (intestino gocciolante), gluten sensitivity e altri fenomeni infiammatori intestinali siano evidentemente un problema grave degli ultimi decenni, sia per l’essere umano che per gli animali domestici.  Anche se ancora non sono chiari tutti i meccanismi incriminati, è assolutamente plausibile che il glutine, così come altre proteine, sia un colpevole o forse solo capro espiatorio della situazione, spettatore del crimine e non attore del danno intestinale, di cui i primi accusati sono con tutta probabilità agenti tossici (metalli pesanti, residui di fitofarmaci, agenti tecnologici come conservanti e coloranti, interferenti endocrini) presenti in OGNI alimento industriale, che sia con o senza cerali, secco o umido, che causerebbero disbiosi, o alterazioni dirette all’integrità della mucosa intestinale.  

Il marketing delle aziende che producono Grain Free

Facendo ricorso a eccellenti strategie di marketing, le case produttrici sono riuscite a convincere i consumatori non solo che grain free è meglio, ma anche che le ditte mangimistiche che offrono questi prodotti hanno più a cuore la salute degli animali. Vero o falso? A voi deciderlo, ma tenete a mente che qualsiasi azienda ha come scopo principale massimizzare il profitto. Neanche le aziende che producono grain free, puntando molta parte del marketing sulla qualità delle materie prime e la “naturalità” della formula, si salvano: una delle aziende leader in questo campo è attualmente protagonista di una class action legata alla presenza di alti livelli di contaminanti (mercurio, cadmio) nei loro prodotti. Nessuna azienda dovrebbe mai essere considerata “dalla nostra parte”: le strategie di marketing sono specchietti per allodole. Alcune ditte possono avere una maggiore spinta etica di altre, senza dubbio, ma rimangono pur sempre produttori di alimenti industriali, che in quanto tali sono più soggetti a contaminanti rispetto ad alimenti freschi e che a cercano di vendere al consumatore “il sogno”, oltre al prodotto.

L’arrivo della seconda generazione di Grain Free

Le leggi del mercato, tuttavia, fanno sì che la domanda condizioni l’offerta: se il cliente vuole crocchette grain free ed è disposto a pagare di più per questi alimenti, poiché li ritiene migliori… perché non accontentarlo? Così, accortesi dei buoni risultati di vendita ottenuti dai primi mangimi grain free, sempre più aziende si sono messe a produrre prodotti di quel tipo.

Contemporaneamente ci si è accorti che, inserendo nelle formule elevati quantitativi di carne si abbassavano i ricavi. La fascia di consumatori che comprava (e compra) grain free è infatti formata da individui mediamente attenti, che – come mai era successo fino a quel momento nell’industria del petfood – avevano l’abitudine di girare il sacco e leggere l’etichetta dell’alimento, soffermandosi spesso su due aspetti (i più conosciuti): 1.il primo ingrediente della lista è quello maggiormente rappresentato nella formulazione della crocchetta 2. la percentuale proteica deve essere alta.

Le ditte hanno cominciato quindi a soddisfare il primo di questi due punti ingannando l’occhio del consumatore con alcuni trucchi (fra i quali ad esempio inserire “carne fresca” al posto di “farine di carne”, in modo che la % di acqua presente nell’alimento fresco lo facesse indebitamente slittare al primo posto nella lista ingredienti). Ma per il secondo punto? Dove prendere proteine a basso costo? È semplice: dai legumi.

Tonno e legumi....

Ed è così che nasce quella che potremmo chiamare la seconda generazione dei mangimi grain free: sacchetti che restano uguali, ma formule che cambiano. Meno carni, ma più legumi (piselli, lenticchie, ceci, soia, eccetera). Uno studio canadese sull’utilizzo dei legumi (Agriculture and Agri-Food Canada, 2017) rileva un’impennata nell’utilizzo di questi ingredienti nei mangimi per animali a partire dal 2012.

I legumi sono usati con grande entusiasmo: sono al tempo stesso fonte di proteine (necessarie per aggirare l’occhio del consumatore esperto) e di amidi (necessari per il processo di estrusione, vale a dire per la preparazione dell’alimento secco), per questo moltissimi mangimi grain free ne contengono percentuali imbarazzanti. Imbarazzanti perché questi prodotti si presentano al consumatore come a misura di cane, o meglio, come a misura di carnivoro. È davvero arduo capire cosa renda piselli, ceci e lenticchie più adatti al cane o a un gatto di quanto non lo siano i cereali.  

Resta inoltre il nodo del valore biologico. Una proteina di origine animale, proveniente dalla carne, dal pesce o dalle uova, è molto più semplice da processare rispetto ad una proteina di origine vegetale. È lecito domandarsi, visto che di carnivori “adattati” si parla se percentuali proteiche elevate, ma derivanti in buona parte da proteine di origine vegetale (basso valore biologico), siano salubri. Inoltre, seppur fonti di amidi, i legumi sono principalmente formati da amilosio, una forma di amido meno facilmente digeribile (anche per noi esseri umani), rispetto all’amilopectina di cui sono invece ricchi i cerali (qui spiego meglio la differenza fra amilosio e amilopectina).

Per questo spesso i cani e i gatti alimentati con mangimi grain free hanno feci poco formate, presentano meteorismo e diarrea. Ultimo, ma non ultimo, i legumi, come molti alimenti di origine vegetale, ma in proporzioni più elevate rispetto alla maggior parte di essi, sono composti anche di fattori antinutrizionali, vale a dire che impediscono il corretto assorbimento e/o utilizzo da parte del cane e del gatto dei nutrienti presenti nella dieta.

Dal lupo… al cane: cosa cambia nella digestione degli amidi?

Per quel che riguarda il cane inoltre, nella  nascita di questa specie dal lupo, non possiamo inoltre dimenticare la fondamentale tappa intermedia del “cane da villaggio” (Coppinger & Coppinger, 2001; Hare e Woods, 2013), creatura assai più simile alla maggior parte dei cani moderni di quanto non lo siano i lupi canadesi. Durante i millenni di domesticazione, questi cani sono stati sostanzialmente spazzini che si nutrivano dei rifiuti del villaggio. Sappiamo da recenti evidenze scientifiche (Beuchat, 2018) che l’organismo del cane si è adattato a digerire gli amidi dei cereali.

Possiamo dire lo stesso dei legumi? Formati da amidi più complessi da digerire rispetto ai cereali, oltre che ricchi di fibre e fattori antinutrizionali che possono interferire negativamente con la salute del nostro cane o gatto, sono davvero la scelta migliore per loro? 

Vi lasciamo con questa riflessione e.. qualche esempio di etichette grain free!

Dr. Rossella Di Palma, DVM – http://dogsandcountry.it/

Dr.Maria Mayer, DVM, PhD – https://www.mariamayer.it/


ETICHETTE GATTI:

Ingredienti:
Pollo fresco disossato, pollo disidratato, fegato di pollo fresco, aringa intera fresca, tacchino disossato fresco, tacchino disidratato, fegato di tacchino fresco, uova intere fresche, lucioperca senza lisca fresco, salmone intero fresco, cuore di pollo fresco, cartilagine di pollo, aringa disidratata, salmone disidratato, olio di fegato di pollo, grasso di pollo, lenticchie rosse, piselli, lenticchie verdi, erba medica, ignami, fibra di pisello, ceci, zucca, zucca popone, foglie di spinaci, carote, mele Red Delicious, pere Bartlett, mirtilli di palude, mirtilli giganti, alga kelp, radice di liquirizia, radice di angelica, fieno greco, fiori di calendula, finocchio, foglia di menta piperita, camomilla, dente di leone, santoreggia, rosmarino.

ETICHTTE CANI:

carne disidratata di agnello 27%, pisello, patata, polpa di barbabietola, olio di lino, olio di salmone, sostanze minerali, alghe disidratate (Ascophyllum nodosum) 0.5%, lievito disidratato (Bio MOS) 0.15%, glucosamina 0.06%, FOS, semi di piantaggine (Plantago psyllium) 0.05%, condroitin solfato (da cartilagine di squalo) 0.04%, Rosa canina 0.03%, Yucca schidigera.

Carne di pollo essiccata (25%), avena macinata grossa (23%), carne di pollo fresca (5%) interiora di pollo fresche (fegato, cuore, reni) (5%), lenticchie rosse, lenticchie verdi intere, lenticchie verdi, carne fresca di tacchino (4%), uova fresche intere (4%), grasso di pollo (4%), fagioli Garbanzo interi, piselli gialli interi, avena intera, olio di aringa (3%), alfalfa maturata al sole, fibre di lenticchie, alga Seetang marrone, zucca fresca, pastinaca fresca, cavolo fresco, spinaci freschi, carote fresche, mele “Red Delicious” fresche, pere “Bartlett” fresche, fegato di pollo liofilizzato (0,1%), sale, Cranberry freschi, mirtilli freschi, radici di cicoria, curcuma, cardo mariano, radici di bardana grandi, lavanda, radici di ibisco, rosa canina.

Pollo disidratato, avena, pollo fresco disossato, patate intere, piselli, fibra di pisello, erba medica, fegato di pollo, uova intere, halibut fresco senza lisca, grasso di pollo, olio di aringa, mele intere, pere intere, patate dolci, zucca, zucca popone, pastinaca, carote, spinaci, mirtilli di palude, mirtilli giganti, alga kelp, radice di cicoria, bacche di ginepro, radice di angelica, fiori di calendula, finocchio, foglia di menta piperita, lavanda.

Salmone disidratato (25%), carne di tacchino disidratata (20%), piselli gialli (20%), grasso di pollo (conservato con tocoferoli, 10%), anatra disidratata (5%), salmone senza spine (5%), fegato di pollo (3%), mele (3%), amido di tapioca (3%), olio di salmone (2%), carote (1%), semi di lino (1%), ceci (1%), gusci di crostacei idrolizzati (fonte di glucosamina 0,05%), estratto di cartilagine (fonte di condroitina, 0,03%), lievito di birra (fonte di mannanoligosaccaridi, 0,015%), radice di cicoria (fonte di fruttoligosaccaridi, 0,01%), yucca schidigera (0,01%), alghe (0,01%), psillio (0,01%), timo (0,01%), rosmarino (0,01%), origano (0,01%), mirtilli palustri (0,0008%), mirtilli (0,0008%), lamponi (0,0008%).

Coniglio disidratato (31%), piselli (30%), maiale disidratato (15%), grasso di pollo (conservato con tocoferoli), anatra disidratata (5%), polpa di barbabietola essiccata (2%), olio di pesce (2%), fegato di pollo, lievito di birra, carote (0,5%), semi di lino (0,5%), pomodori (0,5%), gusci di crostacei idrolizzati (fonte di glucosamina, 250 mg/kg), estratto di cartilagine (fonte di condroitina, 250 mg/kg), mannano oligosaccaridi (150 mg/kg), estratti vegetali (rosmarino, timo, curcuma, agrumi, 150 mg/kg), frutto oligosaccaridi (100 mg/kg).


Bibliografia:

Agriculture and Agri-Food Canada (2017). New Products containing pulse ingredients in North America, Market access secretariat report. Global analysis report. Commodity innovation series, June. http://www.agr.gc.ca/resources/prod/Internet-Internet/MISB-DGSIM/ATS-SEA/PDF/6904-eng.pdf?fbclid=IwAR3FgE56_YbSeMtToAKeNbxgod05OL0Qd6SjrzEdnB_e4p3lJHMPpnENfmU

Beuchat C. (2018). A key genetic innovation in dogs: diet, The Institute of Canine Biology, https://www.instituteofcaninebiology.org/blog/a-key-genetic-innovation-in-dogs-diet (Accesso 06/04/2019)

Coppinger R. e Coppinger L. (2001). Dogs. A startling new understanding of canine origin, behaviour & evolution, Scribner, New York, USA.

Hare B. e Woods V. (2013). The genius of dogs: how dogs are smarter than you think, Plume, USA.




L’alimentazione del cane da caccia: il ruolo delle proteine

di Rossella Di Palma (DMV)

Una delle “manie” dei proprietari, specie se di cani sportivi, è scegliere un mangime in base alla percentuale di proteine in esso contenute. In realtà, scegliere un mangime basandosi su questo parametro è un mezzo pasticcio: le proteine non sono tutte uguali! Quando si parla di proteine è infatti fondamentale tenere a mente il concetto di “valore biologico“. Il valore biologico, come potrete meglio capire cliccando il link, indica la qualità della proteina in questione o, se preferite, la facilità di utilizzo da parte dell’organismo. Se pensiamo ai cani, che sono dei carnivori adattati anche a mangiare cereali e prodotti di origine vegetale, le proteine di più facile utilizzo sono le proteine di origine animale. Il valore biologico di una proteina dipende dalla sua composizione in amminoacidi (i costituenti delle proteine). Una proteina è utilizzata meglio tanto più la sua composizione amminoacidica si avvicina a quella della proteina da sintetizzare da parte dell’organismo animale. Le proteine animali hanno una composizione di amminoacidi molto più vicina a quella del corpo animale di quanto non abbiano le proteine vegetali.

L’uovo è l’alimento le cui proteine hanno il maggior valore biologico, seguito da carni e pesci che hanno ciascuno valori biologici variabili, legati alla specie di provenienza. Proteine di origine vegetale, invece, come quelle contenute nei legumi e nei cereali, hanno un valore biologico più basso. Questo significa che l’organismo farà più fatica a processarle e ne trarrà minor vantaggio. A questo punto credo sia chiaro che accanto ad una valutazione quantitativa delle proteine (% contenuta nel mangime), vada associata una valutazione qualitativa delle stesse (ingredienti da cui arrivano queste proteine e i loro valore biologico). Fare questa operazione comparativa non è sempre semplice, né immediato: se da una parte le aziende mangimistiche sono molto brave presentare le loro etichette al meglio, dall’altra parte c’è anche la tendenza, da parte di molti cacciatori, di scegliere i mangimi in base al prezzo. I mangimi di fascia bassa, dato il costo delle materie prime di origine animale, raramente contengono grosse quantità di proteine ad alto valore biologico, d’altra parte i mangimi con grosse quote di prodotti di origine animale non sono generalmente economici.

Occorre diventare consumatori critici! Altrimenti si corre il rischio di mettere nella ciotola del nostro cane ATLETA, prodotti che non soltanto si rivelano di scarsa utilità, ma possono addirittura ostacolare il raggiungimento di buone prestazioni. In generale, nel cane, le proteine introdotte con la dieta servono a soddisfare le esigenze strutturali e biochimiche, e solo in minor misura quelle energetiche. Se parliamo di cani atleti, l’attività fisica accresce il fabbisogno di proteine, ma non è stato stabilito in maniera precisa di quanto lo modifichi. La necessità di una maggior quota proteica diventa particolarmente pronunciata quando l’intensità o la durata dell’esercizio fisico vengono aumentate rapidamente e oltrepassano lo stato di allenamento dell’animale. Questo si verifica per esempio all’inizio di un programma di allenamento, quando il programma di allenamento viene modificato, o durante alcune competizioni.

In un cane da lavoro, mediamente gli aminoacidi forniscono tra il 5% e il 15% dell’energia utilizzata durante il lavoro. La quota di proteine utilizzata per fornire energia può aumentare nei cani sottoalimentati e negli atleti di resistenza, che possono facilmente esaurire le riserve endogene di carboidrati; in questo caso, l’organismo utilizza la gluconeogenesi, a partire dagli aminoacidi, per mantenere stabili i livelli di glucosio ematico. Poiché l’organismo non possiede depositi di proteine, gli aminoacidi necessari vengono mobilizzati dai muscoli e questo, alla lunga, provoca un calo della prestazione atletica. La quota di proteine presente nei cibi per cani atleti (fermo restando anche il concetto di valore biologico) deve essere sufficiente a coprire le necessità anaboliche dell’organismo, ma non deve prevaricare le percentuali di grassi e carboidrati inducendo l’organismo a utilizzare gli aminoacidi a fini energetici.

Continua… Vai al precedente…

Bibliografia:

Toll P.W., Reynolds A.J. (2000). The canine athlete. In: Hand M.S., Thatcher C.D., Remillard R. Roudebush P. (Eds.) Small animals clinical nutrition. 4th Ed., Mark Morris Institute, 261-289, Topeka, USA.

Toll P.W., Gilette R.L., Hand M. S. (2010). Feeding working and sporting dogs. In: Hand M.S., Thatcher C.D., Remillard R. Roudebush P. (Eds.) Small animals clinical nutrition. 5th Ed., Mark Morris Institute, 321-358, Topeka, USA.

Young D.R., Price R., Elder N.E., Adachi R.R. (1962). Energy and electrolyte metabolism and adrenal reponses during work in dogs. J. Appl. Physiol., 17: 669-674.

Zackin M.J. (1990). Protein requirements for athletes. Sports Med., 12: 1-3.




L’alimentazione del cane da caccia: il ruolo dei grassi

di Rossella Di Palma (DMV)

Nell’articolo precedente abbiamo parlato di come, quando si tratta di cani sportivi, occorra fare una differenza tra atleti di velocità e atleti di resistenza. A voler essere precisi, sarebbe più corretto inserire anche l’attività di tipo “intermedio” (uscite di caccia che durano un’oretta o due).

Come è facile intuire, è il cane che
lavora per tante ore, o addirittura per tutta la giornata, quello per il quale
un’alimentazione rappresenta un fattore fondamentale nel rendimento atletico.  In medicina veterinaria, la tipologia di cani
che è stata più studiata per quanto riguarda il legame tra nutrizione e attività
di resistenza, è quella dei cani da slitta. Il metabolismo e le condizioni di
lavoro dei cani da slitta differiscono da quelle dei cani da caccia, ciò
nonostante buona parte di quanto è stato scoperto su di loro può tornare utile
anche ai nostri cani.  I cani da prova,
invece, chiamati a svolgere prestazioni brevi, ma intense, ricadono nella categoria
degli sprinter che, in letteratura scientifica è rappresentata principalmente
dai greyhound da cinodromo e dai cani da agility.

È importante sottolineare la
differenza tra i diversi tipi di atleti perché, al di là del soddisfacimento
del fabbisogno calorico, la dieta del cane sportivo deve presentare percentuali
di carboidrati, grassi e proteine in linea con l’attività svolta. Uno sprinter
ricava la maggior parte dell’energia richiesta nelle sue prestazioni dai
carboidrati, mentre gli atleti di resistenza, come i cani da caccia, la
ottengono dai grassi. Il contributo energetico delle proteine durante uno
sforzo fisico è quasi sempre di scarsa rilevanza.

Il ruolo dei grassi
nell’alimentazione degli atleti di resistenza è molto importante:

  1. essi aumentano la palatabilità dei cibi e
  2. grazie all’elevata densità calorica (8.5 Kcal/grammo) e consentono una riduzione del quantitativo di materia secca da ingerire per soddisfare il fabbisogno calorico giornaliero.

Può infatti essere complesso, per un
cane atleta, ingerire giornalmente un quantitativo di cibo sufficiente a
coprire il dispendio energetico richiesto dall’attività sportiva che pratica:
alcuni atleti di resistenza possono necessitare tra le 6.000 e le 10.000 kilocalorie giornaliere, ma il quantitativo
massimo di materia secca che un cane può ingerire è pari al 3.5% del suo peso corporeo.

Un eventuale deficit calorico erode
dapprima i tessuti adiposi (che hanno il ruolo di riserva energetica e
funzionano come isolamento termico), poi le proteine del muscolo e, infine, le
proteine plasmatiche, ovvero quelle che si trovano nel sangue. L’obiettivo di
una buona dieta è evitare che il cane vada in deficit calorico, questo, come
appena spiegato, porterebbe alla riduzione della massa muscolare, essenziale in
un cane atleta: tutti noi abbiamo presente quei cani da caccia che, a metà
stagione, diventano secchi, fiacchi e striminziti con una BCS (Body Condition Score)
pari a 1/5.  Si tratta di un destino evitabile, ma solo modulando
per tempo la percentuale di grassi presente nella dieta.

Oltre a mantenere il BCS ideale, un’alimentazione ricca di
grassi parrebbe essere in grado di:

1) influenzare positivamente la
resistenza;

2) abbassare livelli di insulina a
riposo e

3) aumentare la potenza aerobica
totale (Vo2 Max).

I cani, tra l’altro, tollerano
piuttosto bene elevate percentuali di grasso nella dieta, a patto che siano
aumentate gradualmente e che si provveda a mantenere una quota adeguata di
proteine e carboidrati: steatorrea (diarrea grassa) e inappetenza possono
segnalare il superamento della quota di grassi tollerabile dal cane. Almeno il 2% della materia secca della razione
deve essere costituito da acidi grassi essenziali, non è stato invece stabilito
in che percentuali i grassi debbano essere saturi piuttosto che insaturi.
Alcuni cinofili ritengono che i grassi saturi (da prodotti di origine animale come
per esempio il burro, o il lardo) siano in qualche modo più energetici rispetto
agli insaturi (gli oli, in generale), ma non esiste alcuna evidenza scientifica
che possa confermarlo Una percentuale maggiore del 60% di grassi saturi (sui grassi totali), al contrario, sembra
compromettere le capacità olfattive. Non è ancora del tutto chiaro se, e come
mai, questo succeda, ma sono in corso studi finalizzati a capire l’impatto dell’alimentazione
sulla capacità olfattiva.  Questo
potrebbe essere legato agli effetti degli acidi grassi sul cervello, dal
momento che la composizione delle membrane del sistema nervoso può variare in
relazione alle fonti di cibo.

Tipologia di atleta % grassi su sostanza secca % grassi su kcal ingerite
di velocità 8/10% 20/24%
intermedio 15/30% 30/55%
di resistenza 25/40% fino a 50% 45/60% fino a 75%

I cani tollerano bene elevati livelli
di grassi saturi mentre, per quanto riguarda gli insaturi, nel cane atleta
occorre tener conto del rischio di perossidazione delle membrane lipidiche,
rischio che può essere ridotto attraverso opportune integrazioni di vitamina E
e selenio.

Gli sprinter (atleti di velocità),generalmente identificati con i levrieri o con i cani da agility, ma che
potrebbero essere anchei cani da
prove, al contrario dei cani da caccia ricavano l’energia principalmente dai
carboidrati, pertanto la giusta percentuale di grassi nella loro dieta oscilla
tra l’8% e il 10% della materia secca (o tra il 20% e il 24% delle
kilocalorie ingerite)

I cani che cacciano per periodi brevi, ma superiori alla durata di un turno di prova, necessitano di percentuali di grasso variabili a seconda dell’attività svolta: in caso di attività moderata, la percentuale ideale oscilla tra il 15% e il 30% della materia secca (30%-55% delle calorie ingerite); in caso di attività intensa, la percentuale sale al 25%40% della materia secca (45%-60% delle kilocalorie ingerite); in caso di sforzi molto prolungati, si sale fino al 50% della materia secca (75% delle kilocalorie).

Continua qui con una disanima sui carboidrati

Bibliografia:

Altom
E.K., Davenport G.M., Myers L.J., Cummins K.A. (2003).
Effect of dietary fat source and exercise on
odorant-detecting ability of canine athletes. Res. Vet. Sci., 75: 149-155.

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diets containing medium, low or zero carbohydrate. Am. J. Clin. Nutr., 30:
419-430.

 Kronfeld D.S., Downey R.L. (1981). Nutritional strategies for stamina in dogs and
horses. In: Proceedings, Nutrition Society of Australia, 21-29.

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H.L., Finke M.D., Kallfelz F.A. (1994).
Lipid metabolite responses to diet training and training in sled dogs. J. Nutr.,
124: 2754-2759.

Reynolds
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Sled dog endurance: a
result of high fat diet on selective breeding. Faseb. J., 9: A996.

Toll
P.W., Reynolds A.J. (2000).
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M.S., Thatcher C.D., Remillard R. Roudebush P. (Eds.) Small animals clinical
nutrition. 4th Ed., Mark Morris Institute, 261-289, Topeka, USA.

Toll P.W., Gilette R.L., Hand M. S. (2010). Feeding working and
sporting dogs. In: Hand M.S., Thatcher C.D., Remillard R. Roudebush P. (Eds.)
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Topeka, USA.

Van
Vleet J.F. (1980).
Current knowledge of selenium-vitamin
E deficiency in domestic animals. J. Am. Vet. Med. Ass., 176: 321-325.




L’alimentazione del cane da caccia: partiamo dalle basi

di Rossella Di Palma (DMV)

Con
l’avvicinarsi della stagione di caccia iniziano le richieste di informazioni.
Cosa devo dare da mangiare al mio cane? Va bene questo integratore? Cosa potrò
aggiungere alle crocchette quando, a metà stagione il cane inizierà a
dimagrire?

Il cacciatore, intriso di buona fede
si intende, si aspetta che gli venga proposto un rimedio efficace, semplice ed
economico, meglio se sotto forma di pillola magica.  Come alcuni di voi già sanno, l’alimentazione
del cane mi è sempre stata a cuore, il che mi obbliga a rispondere in maniera
dettagliata.

Una buona dieta sta alla base della salute e del benessere del cane. I proprietari possono scegliere da un mangime di qualità (non ne discuteremo qui), oppure optare per una dieta casalinga e/o una dieta BARF bilanciate. Riuscire a capire se un mangime è buono e se, oltre ad essere buono è anche adatto, non è semplicissimo. Come detto poco sopra non ne discuteremo qui, mi limiterò però a ribadire che diciture come “alta energia”, “grain free”, “alta percentuale di proteine” significano poco e niente.  A chi fosse interessato all’alimentazione casalinga, o alla BARF, ricordo invece che queste scelte nutrizionali non sono semplicissime da strutturare, specie se parliamo di cani atleti.  Sconsiglio pertanto il fai da te e consiglio invece di investire qualche soldino in una consulenza veterinaria: parlatene con un medico veterinario che si occupa di nutrizione.

Innanzitutto, che differenza c’è tra
un cane da compagnia e un cane da caccia? Il cane da caccia, così come altri
cani da lavori, svolge – per lo meno durante la stagione venatoria, svolge
molto più movimento fisico.

L’esercizio fisico alza il metabolismo: i fabbisogni energetici del cane da caccia diventano così più elevati. La dieta del cane da caccia deve quindi venir strutturata in funzione dell’attività svolta. Ingenuamente si tende a pensare che il rendimento venatorio sia frutto esclusivo della genetica del cane. Qualcuno, più lungimirante, attribuisce un ruolo anche all’addestramento e all’esperienza, ma ancora troppi pochi cacciatori hanno compreso l’importanza dell’alimentazione e del condizionamento fisico.  L’alimentazione non può correggere carenze genetiche ma può migliorare le prestazioni del cane, nonché le sue capacità olfattive. Lo sapevate, per esempio che sono in corso studi scientifici sulla relazione tra dieta e capacità olfattiva?

È importante che la dieta sia
strutturata in base al lavoro che l’animale è chiamato a svolgere valutandone
intensità, durata e frequenza. Il cane da caccia svolge normalmente un tipo di
esercizio “intermedio” la cui durata va da pochi minuti, nei turni nelle prove
di lavoro, ad alcune ore. Cani che cacciano per tutta la giornata svolgono
quella che potremmo chiamare “attività di resistenza”: riuscire a sopperire
adeguatamente ai fabbisogni nutrizionali di questa categoria di cani può essere
difficile.

Atleti di resistenza  vs atleti di velocità

La fonte di energia principale (carboidrati, grassi o proteine) deve essere decisa in base al tipo di attività praticata e in base alla frequenza con cui tale attività viene svolta. I nutrizionisti chiamano RER (resting energy requirement), ovvero fabbisogno energetico a riposo, le calorie che un animale “a riposo” necessita quotidianamente. Nei cani da lavoro, il RER deve essere moltiplicato in base a un coefficiente che varia a seconda del tipo di attività svolta. Un atleta che compie sforzi intermedi, per esempio, ha un fabbisogno energetico giornaliero che impone di moltiplicare il RER per un numero compreso tra 2 e 5. I cani che svolgono attività di resistenza, come i cani da slitta e alcuni cani da caccia, hanno un fabbisogno energetico pari a 5 volte (o addirittura maggiore di 5 volte) il RER. In base a questi fattori, è chiaro che il cane da caccia necessita di cibi a alta energia e facilmente digeribili: la percentuale di cibo digeribile deve essere pari all’80% della materia secca.

Il metodo più semplice per stabilire se il fabbisogno energetico è soddisfatto consiste nel monitorare il body condition score (BCS), ovvero la condizione fisica del cane. A questo link potete trovare un .pdf a cura della WSAVA (Word Small Animal Veterinary Association) in cui sono presentati i BCS lungo una scala che va da 1 a 5. Il body condition score ritenuto ottimale è 3/5, ma alcuni conduttori preferiscono, se il cane pratica esclusivamente attività di breve durata (nel nostro caso le prove di lavoro per cani da ferma), che l’animale sia magro. Tra i cani da prove, non è infrequente vedere esemplari con un BCS pari 1/5 o 2/5. Si arriva a questa scelta perché, nelle prove (che richiedono uno sforzo di breve durata), la velocità è importante e possono pertanto essere preferiti cani sottopeso, partendo dal presupposto che la leggerezza sia sinonimo di velocità. Se, invece, il nostro cane da caccia è destinato a svolgere un’attività di tipo “intermedio”, o un’attività di “resistenza”, è consigliabile portarlo all’apertura della stagione venatoria con una BCS pari a 3/5, cercando di non scendere mai, durante i mesi di caccia sotto a una BCS pari a 2/5.

In previsione dell’apertura è buona cosa riportare il cane, se è ingrassato, ad una BCS pari a 3/5 e ricordarsi, calcolando il picco di attività venatoria – nonché i cambiamenti climatici – che per raggiungere la condizione fisica perfetta occorrono 6 settimane di allenamento e 6 settimane di “nuova alimentazione” (se va modificata), poiché il metabolismo necessita di tempo per adeguarsi. (Continua qui)

Bibliografia:

Toll P.W., Reynolds A.J. (2000). The canine athlete. In: Hand M.S., Thatcher C.D., Remillard R. Roudebush P. (Eds.) Small animals clinical nutrition. 4th Ed., Mark Morris Institute, 261-289, Topeka, USA.

Toll P.W., Gilette R.L., Hand M. S. (2010). Feeding working and sporting dogs. In: Hand M.S., Thatcher C.D., Remillard R. Roudebush P. (Eds.) Small animals clinical nutrition. 5th Ed., Mark Morris Institute, 321-358, Topeka, USA.