Il proprietario, il veterinario e la nutrizione

di Rossella Di Palma (DVM) – Scuola Specializzazione Sanità Animale, Allevamento e Produzioni Zootecniche

www.violetvet.it

Qualche giorno fa si è concluso un breve corso
sull’alimentazione del cane e del gatto che ho proposto e curato insieme ad
un’associazione locale. Senza voler peccare di immodestia, nel suo piccolo,
credo che il corso sia stato un successo. Ha poi confermato qualcosa che già
sapevo, ovvero che ai proprietari, o per lo meno a certi proprietari, interessa
come fare stare meglio i loro animali e, pertanto, gli interessa come
alimentarli. Ho avuto un pubblico eterogeneo: “semplici” proprietari, allevatori,
educatori, conduttori di cani sportivi, una bellissima platea con cui
interfacciarsi, discutere e da cui essere stimolati a continuare a studiare.

Secondo qualche collega, i veterinari non dovrebbero fare
questi corsi ai proprietari, ma io dico, perché no? Non sono forse loro coloro
che, concretamente hanno l’onore e l’onere di riempire le ciotole ai loro
animali? Un veterinario fa qualcosa di concreto addosso al cane nei tempi in
cui ce l’ha in visita, in degenza e sul tavolo chirurgico, dopodiché la palla
passa ai proprietari. Non dimentichiamoci che un animale domestico può avere,
per il proprietario, un valore affettivo immenso e, da veterinario, credo sia
mio dovere rispettarlo, nonché di guidare il proprietario affinché incanali
nella maniera migliore tutto l’affetto, tutto il tempo, tutte le energie e
tutti i soldi (sì, anche quelli!) che desidera investire sul suo animale.

L’obiettivo del mio corso era Introdurre, Informare e
Incentivare scelte consapevoli
, uno slogan talmente bello che me lo hanno
subito copiato! Il corso non puntava a vendere questo, o quel mangime, né a
obbligare, a mo’ di fanatismo religioso, i proprietari a passare alla
casalinga, alla BARF, o chissà cos’altro. Ho semplicemente cercato di dare, in
poche ore, qualche elemento in più per poter fare scelte informate. Volevo che
ciascuno di loro tornasse a casa sapendo qualcosa in più di quanto già non
sapeva.  Secondo qualcuno, i medici
veterinari che fanno questi corsi incentivano i proprietari a mettere in
cantiere diete casalinghe scriteriate, anche questo è falso, per lo meno nel
mio caso. Io mi sono limitata a spiegare ai proprietari che cosa sia una dieta
casalinga e quanto sia importante il ruolo del nutrizionista medico veterinario
nella formulazione, nonché nel monitoraggio della stessa.

Sì perché, per qualche strano motivo, le parole “medico veterinario” e “nutrizionista” sembra che non possano viaggiare insieme.  I medici veterinari spesso hanno una posizione tutta loro nei confronti della nutrizione: qualche giorno fa una rivista del settore riportava in prima pagina l’editoriale di un collega che sosteneva a spada tratta l’utilizzo dell’alimentazione commerciale nei pet. Secondo questo collega, crocchette e scatolette sono l’unica, nonché la più sicura, maniera di alimentare i nostri animali. In realtà, senza voler imbastire alcun attacco all’industria, anche l’industria ha le sue ombre, nessuno è perfetto e qualche scheletro ogni tanto scappa dall’armadio. 
Ma, a parte questo, ritengo assurdo pensare che A) un cibo “processato” possa essere in qualche modo migliore di un alimento fresco e B) che cani e gatti possano sopravvivere degnamente solo se alimentati con cibi industriali. Ma come??? Sono animali che esistono in natura da migliaia di anni, il boom del pet food (sarebbe bello scrivere una storia!) risale a quanto? Una quarantina scarsa di anni fa! Quando ero bambina i veterinari prescrivevano ancora diete casalinghe, non parliamo dell’era dei fossili!

Ricordiamoci che gatto e cane, soprattutto il cane, si sono
evoluti accanto a noi, e che il cane ha adattato la sua fisiologia per poter
fruire efficacemente dei nostri scarti alimentari: oggi ci troviamo di fronte
quello che viene definito un carnivoro adattato, a differenza del gatto, che è rimasto
un carnivoro puro. Attenzione, non sto dicendo che bisogna alimentare cani e
gatti con gli avanzi della tavola, piuttosto intendo sollevare un
interrogativo: nessuno ha mai pensato che l’alimentazione industriale, per
altro comodissima per noi umani, sia l’ennesima richiesta di “adattamento
alimentare” rivolta ai nostri animali? Stiamo chiedendo ai nostri animali di
evolversi o, piuttosto, di involversi?

Trova le differenze!

Interrogativi etici a parte, che non devono certo
interessare tutti gli addetti al mestiere, credo che sia invece dovere di ogni
medico veterinario riconoscere alla nutrizione un ruolo centrale nel
mantenimento dello stato di salute di un animale. E invece, cosa succede?
Succede che l’alimentazione viene trascurata, viene banalizzata, e viene
delegato all’industria il compito di risolvere ogni magagna di origine
alimentare. Qualcuno dice che l’insegnamento della nutrizione dei piccoli
animali è fatto poco e male nelle università, nel mio caso non è stato così. La
parte sui piccoli animali da preparare per l’esame di nutrizione era
adeguatamente corposa e dettagliata, il problema è che gliene importava nulla a
nessuno. Lo studente di medicina veterinaria è intasato di esami e, poveraccio,
taglia dove può… Così mentre io sostanzialmente giravo attorno al Fossum (testo
sacro di chirurgia) cercando scappatoie, i compagni dribblavano le slides di
nutrizione sostenendo che “tanto poi avrebbero consigliato il mangime”.

Benissimo, scelte personali, ma di cui poi, una volta
laureati, bisogna essere consapevoli.  Invece, la nutrizione non smette di essere
Cenerentola, nemmeno dopo l’università. Oggi è normalissimo inviare un animale
da uno specialista per una seconda opinione: l’ortopedico, il cardiologo,
l’oculista, il dermatologo sono gettonatissimi, il nutrizionista invece è un
fantasma. Esiste ma non lo vede nessuno, altri non è che uno sfigato che passa
le giornate a contare le calorie dei gatti. Ecco io sono uno di quei contatori
di calorie dei gatti che ha iniziato ad interessarsi di nutrizione ancora prima
di laurearsi, per l’esattezza ancora prima di essermi iscritta alla facoltà di
Medicina Veterinaria. Mi ero comprata, per diletto e ad alto costo, il volumone
Small Animal Clinical Nutrition, via internet, pagandolo con un vaglia
internazionale, preso da una studentessa americana che lo rivendeva perché non
sapeva che farsene. Vi è assicuro che è grosso come un testo di chirurgia, non
fa meno paura e probabilmente pesa anche di più.

Non sono nemmeno l’unica ad avere queste passioni malsane, ci sono altri medici veterinari (-senza dimenticare chi fa ricerca e chi insegna nutrizione) che di nutrizione ne sanno tanto e altri ancora che cercano di saperne, siamo una minoranza sì, ma esistiamo e vorremmo che i colleghi che hanno scelto di non studiare la nutrizione si ricordino di noi. Possiamo tornare utili a tutti e possiamo interagire con loro molto meglio di quanto non può fare una brochure aziendale, che per altro di solito ci siamo già studiati.

Ci sono proprietari responsabili che vogliono mettere
l’alimentazione al centro della gestione del loro animale. Hanno domande e
cercano risposte a quelle domande, ma non sanno dove trovarle, né quali
risposte possano essere attendibili, e quali no. Premesso che in nutrizione
tante domande una risposta scientificamente provata non ce l’hanno ancora, per
un proprietario è quasi impossibile reperire informazioni obiettive, che non
facciano pendere la bilancia verso quello, o quel prodotto, o verso questa, o
quella moda alimentare. Esistono anche quelle, non possiamo fare finta di
ignorarle e lasciare che i proprietari si formino attraverso canali
inappropriati e accumulino in sapere alimentare distorto.

Non sono per la censura, non sono per il dover per forza
seguire una voce unica, né per il dover essere per forza una voce fuori dal
coro, credo nella pluralità e nel confronto ma, obiettivamente, un proprietario
che non ha una laurea in medicina veterinaria, non può che beneficiare dal
consiglio di un medico veterinario che ha studiato a fondo la nutrizione. Per
questo credo sia importantissimo supportare i proprietari, e fare in modo che
ci siano sempre più proprietari correttamente informati. Di solito, in prima
battuta, tanti bravi proprietari il parere al veterinario lo chiedono eccome,
ma il problema insorge quando il veterinario di rifermento, che poveraccio deve
già barcamenarsi tra le mille patologie mediche e chirurgiche che gli capitano
tra le mani ogni giorno, non può dare risposte che siano autorevoli, o per lo
meno soddisfacenti.

Facciamo un esempio molto semplice, quello del proprietario che vuole passare all’alimentazione casalinga, ha preso questa decisione, e non si smuove da lì. Se il veterinario di fiducia non lo assiste, né lo indirizza al veterinario che si occupa di nutrizione il proprietario può A) fare da sé documentandosi a modo suo su internet, Facebook e affini formulando da sé una dieta pasticcio; o B) rivolgersi a una figura che può soddisfare questa richiesta. Purtroppo, questo “qualcuno” non è quasi mai un medico veterinario: internet è tutto un proliferare di figure ibride che fanno consulenze alimentari di dubbio valore sconfinando sovente nell’abuso di professione… Senza parlare dei disastri.

Se siamo arrivati a questo, se vale più il consiglio dell’amico idraulico “perché ha cani da trent’anni”; o del tal psesudo-professionista sgrammaticato la cui unica nota di merito è saper parlare alle pance della gente, è perché la domanda (proprietario attento all’alimentazione del proprio cane) non viene indirizzata verso l’offerta, quella giusta (veterinario appassionato di nutrizione). Eppure noi ci siamo e siamo pronti a dare un servizio di qualità a quei proprietari ne sentono il bisogno.




L’alimentazione del cane da caccia: il ruolo delle proteine

di Rossella Di Palma (DMV)

Una delle “manie” dei proprietari, specie se di cani sportivi, è scegliere un mangime in base alla percentuale di proteine in esso contenute. In realtà, scegliere un mangime basandosi su questo parametro è un mezzo pasticcio: le proteine non sono tutte uguali! Quando si parla di proteine è infatti fondamentale tenere a mente il concetto di “valore biologico“. Il valore biologico, come potrete meglio capire cliccando il link, indica la qualità della proteina in questione o, se preferite, la facilità di utilizzo da parte dell’organismo. Se pensiamo ai cani, che sono dei carnivori adattati anche a mangiare cereali e prodotti di origine vegetale, le proteine di più facile utilizzo sono le proteine di origine animale. Il valore biologico di una proteina dipende dalla sua composizione in amminoacidi (i costituenti delle proteine). Una proteina è utilizzata meglio tanto più la sua composizione amminoacidica si avvicina a quella della proteina da sintetizzare da parte dell’organismo animale. Le proteine animali hanno una composizione di amminoacidi molto più vicina a quella del corpo animale di quanto non abbiano le proteine vegetali.

L’uovo è l’alimento le cui proteine hanno il maggior valore biologico, seguito da carni e pesci che hanno ciascuno valori biologici variabili, legati alla specie di provenienza. Proteine di origine vegetale, invece, come quelle contenute nei legumi e nei cereali, hanno un valore biologico più basso. Questo significa che l’organismo farà più fatica a processarle e ne trarrà minor vantaggio. A questo punto credo sia chiaro che accanto ad una valutazione quantitativa delle proteine (% contenuta nel mangime), vada associata una valutazione qualitativa delle stesse (ingredienti da cui arrivano queste proteine e i loro valore biologico). Fare questa operazione comparativa non è sempre semplice, né immediato: se da una parte le aziende mangimistiche sono molto brave presentare le loro etichette al meglio, dall’altra parte c’è anche la tendenza, da parte di molti cacciatori, di scegliere i mangimi in base al prezzo. I mangimi di fascia bassa, dato il costo delle materie prime di origine animale, raramente contengono grosse quantità di proteine ad alto valore biologico, d’altra parte i mangimi con grosse quote di prodotti di origine animale non sono generalmente economici.

Occorre diventare consumatori critici! Altrimenti si corre il rischio di mettere nella ciotola del nostro cane ATLETA, prodotti che non soltanto si rivelano di scarsa utilità, ma possono addirittura ostacolare il raggiungimento di buone prestazioni. In generale, nel cane, le proteine introdotte con la dieta servono a soddisfare le esigenze strutturali e biochimiche, e solo in minor misura quelle energetiche. Se parliamo di cani atleti, l’attività fisica accresce il fabbisogno di proteine, ma non è stato stabilito in maniera precisa di quanto lo modifichi. La necessità di una maggior quota proteica diventa particolarmente pronunciata quando l’intensità o la durata dell’esercizio fisico vengono aumentate rapidamente e oltrepassano lo stato di allenamento dell’animale. Questo si verifica per esempio all’inizio di un programma di allenamento, quando il programma di allenamento viene modificato, o durante alcune competizioni.

In un cane da lavoro, mediamente gli aminoacidi forniscono tra il 5% e il 15% dell’energia utilizzata durante il lavoro. La quota di proteine utilizzata per fornire energia può aumentare nei cani sottoalimentati e negli atleti di resistenza, che possono facilmente esaurire le riserve endogene di carboidrati; in questo caso, l’organismo utilizza la gluconeogenesi, a partire dagli aminoacidi, per mantenere stabili i livelli di glucosio ematico. Poiché l’organismo non possiede depositi di proteine, gli aminoacidi necessari vengono mobilizzati dai muscoli e questo, alla lunga, provoca un calo della prestazione atletica. La quota di proteine presente nei cibi per cani atleti (fermo restando anche il concetto di valore biologico) deve essere sufficiente a coprire le necessità anaboliche dell’organismo, ma non deve prevaricare le percentuali di grassi e carboidrati inducendo l’organismo a utilizzare gli aminoacidi a fini energetici.

Continua… Vai al precedente…

Bibliografia:

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L’alimentazione del cane da caccia: il ruolo dei carboidrati

Di Rossella Di Palma (DMV)

Dopo aver esaminato il ruolo dei grassi nella dieta del cane da caccia, parliamo del’utilità dei carboidrati, come cereali – con e senza glutine- e patate. Come alcuni di voi sicuramente già sanno, i cani, se hanno disponibilità di precursori della gluconeogenesi a sufficienza, non necessitano di carboidrati, ma il loro organismo sa utilizzarli molto bene se vengono inseriti nell’alimentazione. Apro qui una piccola, ma necessaria, parentesi: un mangime grain free non è un mangime “senza carboidrati”, è semplicemente un mangime senza cereali. Se siete interessati al mio punto di vista sui mangimi grain free vi rimando a questo articolo.

Pur non essendo utili a aumentare la densità calorica di un cibo (i carboidrati contengono solo 3.5 Kcal per grammo, a fronte delle 8.5 Kcal per grammo dei grassi), essi possono essere molto utili agli atleti di velocità come ad esempio i cani da prove. Gli atleti di velocità hanno bisogno di energia prontamente disponibile durante la corsa e la ricavano dal glicogeno stoccato all’interno della muscolatura.

La quota di glicogeno utilizzata per la produzione di energia dipende dalla quantità di glicogeno presente nel muscolo, il che lascia intuire che aumentando il glicogeno disponibile, attraverso la dieta e l’allenamento, si possono migliorare le prestazioni degli atleti di velocità.

Per gli atleti che compiono sforzi intermedi, pensiamo al classico cane da caccia che lavora per qualche ora, non si raccomanda una precisa quota di carboidrati: la loro percentuale, nella dieta, deve essere regolata in base alla durata e all’intensità del lavoro svolto. Cani che lavorano a lungo a intensità da bassa a moderata devono ricavare la maggior parte dell’energia dai grassi, e solo una quota minore dai carboidrati (il 15% sul totale delle calorie giornaliere può essere sufficiente).

Gli atleti di resistenza, pensiamo ai cani da slitta attivi su lunghe distanze – ma anche a quei cani da caccia che cacciano da buio a buio, devono ingerirne una percentuale inferiore ma, stando a Kronfeld (1973), i soggetti alimentati con cibi in cui i carboidrati sono assenti hanno maggior predisposizione a sviluppare la diarrea da stress. Una quota adeguata di carboidrati, o di fibre solubili, in alternativa ai carboidrati, deve pertanto essere sempre presente nella dieta.

I carboidrati presenti nelle diete per cani atleti devono essere altamente digeribili in modo da non far aumentare in maniera eccessiva la massa fecale. Un aumento della massa fecale può predisporre a diarrea da stress e aumentare la quota di acqua eliminata attraverso le feci, oltre a comportare un incremento ponderale del cane durante l’attività sportiva.

Continua…

Bibliografia:

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L’alimentazione del cane da caccia: il ruolo dei grassi

di Rossella Di Palma (DMV)

Nell’articolo precedente abbiamo parlato di come, quando si tratta di cani sportivi, occorra fare una differenza tra atleti di velocità e atleti di resistenza. A voler essere precisi, sarebbe più corretto inserire anche l’attività di tipo “intermedio” (uscite di caccia che durano un’oretta o due).

Come è facile intuire, è il cane che
lavora per tante ore, o addirittura per tutta la giornata, quello per il quale
un’alimentazione rappresenta un fattore fondamentale nel rendimento atletico.  In medicina veterinaria, la tipologia di cani
che è stata più studiata per quanto riguarda il legame tra nutrizione e attività
di resistenza, è quella dei cani da slitta. Il metabolismo e le condizioni di
lavoro dei cani da slitta differiscono da quelle dei cani da caccia, ciò
nonostante buona parte di quanto è stato scoperto su di loro può tornare utile
anche ai nostri cani.  I cani da prova,
invece, chiamati a svolgere prestazioni brevi, ma intense, ricadono nella categoria
degli sprinter che, in letteratura scientifica è rappresentata principalmente
dai greyhound da cinodromo e dai cani da agility.

È importante sottolineare la
differenza tra i diversi tipi di atleti perché, al di là del soddisfacimento
del fabbisogno calorico, la dieta del cane sportivo deve presentare percentuali
di carboidrati, grassi e proteine in linea con l’attività svolta. Uno sprinter
ricava la maggior parte dell’energia richiesta nelle sue prestazioni dai
carboidrati, mentre gli atleti di resistenza, come i cani da caccia, la
ottengono dai grassi. Il contributo energetico delle proteine durante uno
sforzo fisico è quasi sempre di scarsa rilevanza.

Il ruolo dei grassi
nell’alimentazione degli atleti di resistenza è molto importante:

  1. essi aumentano la palatabilità dei cibi e
  2. grazie all’elevata densità calorica (8.5 Kcal/grammo) e consentono una riduzione del quantitativo di materia secca da ingerire per soddisfare il fabbisogno calorico giornaliero.

Può infatti essere complesso, per un
cane atleta, ingerire giornalmente un quantitativo di cibo sufficiente a
coprire il dispendio energetico richiesto dall’attività sportiva che pratica:
alcuni atleti di resistenza possono necessitare tra le 6.000 e le 10.000 kilocalorie giornaliere, ma il quantitativo
massimo di materia secca che un cane può ingerire è pari al 3.5% del suo peso corporeo.

Un eventuale deficit calorico erode
dapprima i tessuti adiposi (che hanno il ruolo di riserva energetica e
funzionano come isolamento termico), poi le proteine del muscolo e, infine, le
proteine plasmatiche, ovvero quelle che si trovano nel sangue. L’obiettivo di
una buona dieta è evitare che il cane vada in deficit calorico, questo, come
appena spiegato, porterebbe alla riduzione della massa muscolare, essenziale in
un cane atleta: tutti noi abbiamo presente quei cani da caccia che, a metà
stagione, diventano secchi, fiacchi e striminziti con una BCS (Body Condition Score)
pari a 1/5.  Si tratta di un destino evitabile, ma solo modulando
per tempo la percentuale di grassi presente nella dieta.

Oltre a mantenere il BCS ideale, un’alimentazione ricca di
grassi parrebbe essere in grado di:

1) influenzare positivamente la
resistenza;

2) abbassare livelli di insulina a
riposo e

3) aumentare la potenza aerobica
totale (Vo2 Max).

I cani, tra l’altro, tollerano
piuttosto bene elevate percentuali di grasso nella dieta, a patto che siano
aumentate gradualmente e che si provveda a mantenere una quota adeguata di
proteine e carboidrati: steatorrea (diarrea grassa) e inappetenza possono
segnalare il superamento della quota di grassi tollerabile dal cane. Almeno il 2% della materia secca della razione
deve essere costituito da acidi grassi essenziali, non è stato invece stabilito
in che percentuali i grassi debbano essere saturi piuttosto che insaturi.
Alcuni cinofili ritengono che i grassi saturi (da prodotti di origine animale come
per esempio il burro, o il lardo) siano in qualche modo più energetici rispetto
agli insaturi (gli oli, in generale), ma non esiste alcuna evidenza scientifica
che possa confermarlo Una percentuale maggiore del 60% di grassi saturi (sui grassi totali), al contrario, sembra
compromettere le capacità olfattive. Non è ancora del tutto chiaro se, e come
mai, questo succeda, ma sono in corso studi finalizzati a capire l’impatto dell’alimentazione
sulla capacità olfattiva.  Questo
potrebbe essere legato agli effetti degli acidi grassi sul cervello, dal
momento che la composizione delle membrane del sistema nervoso può variare in
relazione alle fonti di cibo.

Tipologia di atleta % grassi su sostanza secca % grassi su kcal ingerite
di velocità 8/10% 20/24%
intermedio 15/30% 30/55%
di resistenza 25/40% fino a 50% 45/60% fino a 75%

I cani tollerano bene elevati livelli
di grassi saturi mentre, per quanto riguarda gli insaturi, nel cane atleta
occorre tener conto del rischio di perossidazione delle membrane lipidiche,
rischio che può essere ridotto attraverso opportune integrazioni di vitamina E
e selenio.

Gli sprinter (atleti di velocità),generalmente identificati con i levrieri o con i cani da agility, ma che
potrebbero essere anchei cani da
prove, al contrario dei cani da caccia ricavano l’energia principalmente dai
carboidrati, pertanto la giusta percentuale di grassi nella loro dieta oscilla
tra l’8% e il 10% della materia secca (o tra il 20% e il 24% delle
kilocalorie ingerite)

I cani che cacciano per periodi brevi, ma superiori alla durata di un turno di prova, necessitano di percentuali di grasso variabili a seconda dell’attività svolta: in caso di attività moderata, la percentuale ideale oscilla tra il 15% e il 30% della materia secca (30%-55% delle calorie ingerite); in caso di attività intensa, la percentuale sale al 25%40% della materia secca (45%-60% delle kilocalorie ingerite); in caso di sforzi molto prolungati, si sale fino al 50% della materia secca (75% delle kilocalorie).

Continua qui con una disanima sui carboidrati

Bibliografia:

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