Cardiomiopatia dilatativa (DCM) e alimentazione: facciamo il punto

di Rossella Di Palma (DVM) Scuola Specializzazione in Sanità Animale, Allevamento e Produzioni Zootecniche

e Maria Mayer (DVM, Ph.D)

Dopo aver esaminato COSA sono esattamente gli alimenti grain free nell’articolo a 4 mani scritto dalla collega Maria Mayer e me, torniamo sull’argomento per analizzare (purtroppo) una possibile correlazione fra la somministrazione di questo tipo di alimenti e la cardiomiopatita dilatativa (DCM dall’inglese Dilated CardioMiopathy).

BREVE RIASSUNTO: come abbiamo visto nell’articolo precedente, vengono generalmente denominati grain free gli alimenti commerciali per cani e gatti che non contengono cereali. Molto spesso vengono confusi con alimenti privi di carboidrati, ma come abbiamo visto non è affatto così. Questo tipo di alimenti infatti contiene carboidrati complessi (amido per intenderci) inseriti nella forma di patate (quando va bene) o legumi (ceci, lenticchie, piselli etc.).

COSA è la DCM?

La DCM, che colpisce sia il cane che il gatto, è un disordine del muscolo cardiaco, che si traduce in una riduzione della forza con cui il cuore riesce a pompare il sangue nelle arterie e in una dilatazione delle camere cardiache. Mentre nelle prime fasi la patologia può essere completamente asintomatica, progredendo si possono manifestare soffi cardiaci, aritmie, episodi di collasso, il soggetto può essere debole o stancarsi facilmente in seguito ad esercizio fisico. Nelle fasi avanzate, con l’instaurarsi di una insufficienza cardiaca, possono manifestarsi anche difficoltà respiratorie.

Per quello che ci riguarda in
questo articolo, è importante sapere che, mentre per il gatto è riconosciuta da tempo una DCM collegata a mancanza di
taurina
(un simil-aminoacido essenziale in questa specie), nel cane fino ad
ora è considerato un problema primariamente genetico, legato ad alcune razze in
particolare. Da quello che sapevamo fino ad ora la taurina NON è essenziale nel
cane e per questo la sua assenza non provoca questo tipo di patologia. Come
vedremo seguendo i passi di questo “diario”, forse dovremo rimettere in dubbio
alcune certezze.

CARDIOMIOPATIA DILATATIVA di (SOSPETTA) ORIGINE NUTRIZIONALE NEL
CANE?

Giugno 2017: Anche in Italia arriva l’eco di casi di DCM (Cardiomiopatia Dilatativa) di origine nutrizionale.

Un’allevatrice di setter inglesi
residente in California riceve una diagnosi, per due suoi soggetti, di
cardiomiopatia dilatativa di origine nutrizionale da parte della University of California at Davis. In
quella Università sono già in corso studi su questa patologia e la diagnosi
arriva grazie a un’ecocardio e a un dosaggio della taurina nel sangue.  I due soggetti malati non sono imparentati
tra loro, il che sembrerebbe escludere una presunta origine genetica della
patologia in questo caso. L’allevatrice decide di far misurare i livelli
ematici di taurina in tutti i suoi cani e, sorpresa, tali livelli sono normali
nei soggetti che mangiano mangimi tradizionali, ma sono bassi in quelli alimentati
con mangimi grain free.

La cardiomiopatia dilatativa ha
una base genetica in alcune razze,
come ad esempio il Dobermann.  In altre
razze, come ad esempio il Cocker Spaniel e il Golden Retriever, era già stata
segnalata una DCM da carenza di taurina. Gli esemplari di questa razza
sarebbero, a quanto pare, meno efficienti nel sintetizzarla a partire da altri amminoacidi,
in particolare metionina e cisteina. Come abbiamo accennato sopra, va ricordato
che, fino ad oggi, la taurina non è stata considerata un amminoacido essenziale
nel cane in generale poiché, a differenza di quanto accade nel gatto, questa
specie sarebbe in grado di sintetizzarla.

NUOVI CASI NEGLI STATES 2017-2019

I casi di cani affetti da
cardiomiopatia dilatativa, complice una maggior attenzione da parte dei
veterinari alla ricerca della patologia, si moltiplicano. Si registrano casi di
DCM di sospetta origine nutrizionale in moltissime razze, nella maggior parte delle
quali non è mai stata dimostrata una cardiomiopatia su base genetica, né
un’inefficienza nella sintesi di taurina.

È la dieta ad accomunare tutti i casi: i cani affetti mangiano quelli che vengono chiamati BEG Foods. L’acronimo BEG sta per Boutique and Grain Free Exotic Food: si tratta di mangimi grain free, prodotti da aziende minori e che spesso contengono ingredienti percepiti come “esotici”, quali carni provenienti da fonti non tradizionali (cervo, canguro, bisonte, coniglio…), patate, legumi e inclusioni botaniche di vario tipo.

Le ricerche nel frattempo proseguono e i cardiologi sono in grado di differenziare ecograficamente la cardiomiopatia dilatativa “classica”, da quella di sospetta origine nutrizionale. Viene altresì ridimensionato il valore diagnostico dei livelli ematici di taurina, che sarebbe alterato solo nel 42% dei soggetti: anche soggetti i cui livelli ematici di taurina risultano nella norma, potrebbero essere affetti da DCM di origine nutrizionale. Alcune ricerche (vedi link della Tufts University) sostengono che in realtà potrebbero essere meno l’10% dei cani ad avere livelli di taurina bassi nel sangue, lasciando quindi il dubbio sul reale valore diagnostico di questo dosaggio.

Attualmente, secondo quanto i colleghi statunitensi hanno potuto elaborare dalle esperienze cliniche con questa “nuova” patologia, l’iter diagnostico-terapeutico è basato su un dosaggio ematico della taurina e sull’ecocardiografia. Nel caso in cui venga confermata una DCM di sospetta origine nutrizionale, come primo step terapeutico, accanto ad eventuali terapie farmacologiche, viene imposto il cambio della dieta, con o senza supplementazione di taurina. Diversi soggetti diagnosticati in fase precoce, migliorano con il semplice cambiamento della dieta, fatto possibile, ma non comune, in caso di DCM di origine genetica. La University of California at Davis continua ad essere il principale centro di riferimento per la patologia, attraverso il gruppo di ricerca del Dr. Stern.

Durante questi mesi, veterinari e
proprietari organizzano due gruppi Facebook attraverso i quali confrontarsi e
raccogliere le segnalazioni dei cani affetti. Nascono così un gruppo aperto a
tutti (sotto e qui il link) e uno riservato ai medici veterinari.  Taurine-Deficient (Nutritional)
Dilated Cardiomyopathy
(gruppo
aperto a tutti) e Taurine Deficiency Veterinary Professionals (gruppo riservato ai medici veterinari). Diversi nutrizionisti di
fama, tra cui la Dr.ssa Freeman della Tufts University, iniziano a produrre
materiale divulgativo rivolto ai proprietari attraverso il quale si cerca di
individuare un nesso tra dieta e DCM.
https://avmajournals.avma.org/doi/full/10.2460/javma.253.11.1390 I mangimi che risultano attualmente quelli maggiormente
coinvolti, hanno in comune il contenere elevate percentuali di legumi e di
patate: questi ingredienti compaiono tra i primi 10 della lista ingredienti e
sono contenuti in quantità cospicue.

Nel frattempo, un numero crescente di segnalazioni di cani affetti viene inoltrato alla FDA (Food and Drug Administration), che inizia a pubblicare quelli che potremmo chiamare degli “avvisi” sulla sua pagina web. Nel giugno 2018 la FDA apre un’indagine.

COSA DICE L’FDA – Giugno 2019

La FDA prova a fare il punto in
questo articolo https://www.fda.gov/animal-veterinary/news-events/fda-investigation-potential-link-between-certain-diets-and-canine-dilated-cardiomyopathy?fbclid=IwAR1iVgJunkB40xf0BJYj53IZ4bgpNSfRSs5JD5CgaYJbA1jDDN6IgbAEf9c#diet. Tra il 1 gennaio 2014 e il 30 aprile 2019, la FDA ha ricevuto 524 segnalazioni di soggetti affetti da DCM
(515 cani e 9 gatti). Non è infrequente imbattersi in più animali della
stessa famiglia affetti ed è lecito pensare che questi animali mangino lo
stesso cibo. Non sembrano esserci particolari predisposizioni di razza, il che
porta ad escludere un’origine esclusivamente genetica della DCM. Sono segnalati
casi in razze di tutte le taglie e in soggetti di tutte le età. Sembra esserci
una lieve prevalenza nei soggetti maschi, di taglia medio grande e di mezza
età. Queste prevalenze (maschi, taglia medio grande, mezza età) ricalcano
quelle della DCM di origine genetica, il che porta l’FDA a ritenere possibile
anche una combinazione di fattori
genetici e dietetici
.

Parallelamente la rapida crescita
del numero dei casi, fa pensare sia ad una maggiore
attenzione nella ricerca di questa patologia
, sia ad una sottostima: potrebbero esserci molti
cani in fasi iniziali della patologia, asintomatici, oppure cani in cui sintomi
della DCM potrebbero sfuggire agli occhi del proprietario. Non a caso, alcuni
dei casi diagnosticati hanno intrapreso l’iter diagnostico quando erano
asintomatici. Ci sono casi diagnosticati durante screening pre-chirurgici e
altri sottoposti a ecocardio e dosaggio taurina senza che mostrassero sintomi
apparenti, ma solo per via della dieta seguita e dell’eco mediatico di allarme
creato nell’opinione pubblica americana dall’alto numero di casi.

Dobbiamo dire che diagnosticare
una DCM nutrizionale richiede fra l’altro uno sforzo economico (ecocardio + esami di laboratorio) non alla
portata di tutti i proprietari, il che potrebbe ulteriormente ridurre il numero
dei casi diagnosticati. Vi è infine la questione dei casi correttamente
diagnosticati, ma non riportati alla FDA, tanto che l’agenzia stessa ammette
che possa esserci una sottostima dei casi.

452 casi su 515 erano alimentati con mangime secco ed è stato stilato un primo elenco preliminare delle marche maggiormente coinvolte. Tra i mangimi venduti anche in Italia abbiamo Acana, Taste of the Wild, Merrick, Nutro e Orijen. Nel 93% dei casi si trattava di prodotti grain free contenenti legumi e patate (incluse le patate dolci). Nel 90% dei casi questi prodotti contenevano piselli e/o lenticchie. Per quanto riguarda le fonti proteiche di origine animale, in questi prodotti erano presenti vari tipi di carni, dalle più tradizionali quali il pollo alle più insolite quali la capra.

È importante sottolineare che non possiamo sapere quanti dei casi
riportati alla FDA siano di origine nutrizionale e quanti dovuti alla razza o
alla genetica
. Come abbiamo detto, alcune sottili differenze ci sono da un
punto di vista diagnostico, alcune razze sappiamo che NON sono predisposte e
quindi saranno più probabilmente di origine nutrizionale, ma anche in questo
siamo ben lontani dall’avere certezze.

Sempre secondo l’FDA, test di
laboratorio (https://www.fda.gov/animal-veterinary/science-research/vet-lirn-update-investigation-dilated-cardiomyopathy) non hanno rivelato anomalie nella quantità degli amminoacidi
precursori (cisteina, metionina) o della taurina stessa nei mangimi. Ulteriori
analisi sono in corso per cercare di comprendere se e come processi metabolici
legati all’assorbimento e all’escrezione della taurina abbiamo un ruolo nello
sviluppo della DCM. 

Il Vet-LIRN (Veterinary Laboratory Investigation and Reponse Network) sta portando avanti ricerche su mangimi, sangue, feci e campioni tissutali di cani affetti.

FACCIAMO IL PUNTO DELLA SITUAZIONE

Cosa sappiamo, ad oggi sulle
possibili cause del problema? Possiamo affermare di avere dei sospetti, ma non
vi è ancora nulla di certo. Il problema nasce dall’essere grain free?  O nasce dai
legumi? O meglio da elevate quantità di legumi?

Riguardo alle marche, che pure abbiamo deciso di riportare nell’articolo, va
chiarito che NON è detto che le ditte
maggiormente coinvolte siano quelle peggiori.
Non serve quindi additare una
particolare colpa al singolo produttore: potrebbe essere che il nome di una
particolare ditta sia riportato più frequentemente semplicemente perché
maggiormente venduta, perché ditta maggiormente nota.

D’altra parte è anche vero che quanto sta avvenendo dovrebbe farci riflettere su diversi aspetti legati all’alimento commerciale grain free. In primis, su come una formulazione basata su una “moda” possa essere assolutamente deleteria. Per fare il consumatore “fesso e contento” (perché questo è possiamo dirlo), togliendo i cereali reputati dannosi e per aumentare al tempo stesso il tenore proteico, sono stati inseriti alimenti che non dovrebbero essere presenti in diete per carnivori, come i legumi. Secondo aspetto, a nostro parere molto importante, è come il valore di un determinato tipo di alimentazione non debba essere valutato sulla base dei singoli ingredienti. Gli esseri viventi sono sistemi complessi, dove nella maggior parte dei casi non esiste una correlazione lineare fra ingrediente e effetto. In questo caso ad esempio, nonostante sulla carta le diete possano anche essere ben formulate, quello che non era stato considerato era (probabilmente) l’interazione fra i diversi ingredienti, in termini di assorbimento intestinale ad esempio.  Da quel che sappiamo, le ditte che compaiono sulla lista della FDA non hanno effettuato dei test di somministrazione controllati volti ad appurare la digeribilità delle loro diete. Ci sono formule nelle quali la quantità di legumi supera il 40% del totale degli ingredienti e l’impatto di così tanti legumi su un organismo carnivoro (come cane e gatto) non è mai stato appurato.

COSA FARE?

Come agire quindi a fronte di
quanto sta succedendo? Anche se nel nostro paese ancora l’eco di quanto sta
accadendo negli USA è un rumore lontano, dovremo cominciare a chiederci, come
professionisti e come proprietari di cani e gatti, come comportarci fino a che
la questione non sia stata chiarita scientificamente.

Certamente un consiglio che rimane
valido è quello di far controllare secondo
un calendario stabilito con il proprio Vet curante tutti i cani di razze con
predisposizione alla DCM
di origine genetica: fin qui non ci piove, rientra
nei controlli periodici per quella determinata razza, che sono quindi importanti,
a prescindere da ciò che mangiano. In
questo caso, non stiamo ricercando quindi la patologia di sospetta origine
nutrizionale, ma semplicemente monitorando la possibile evoluzione di una
patologia a cui il nostro cane è predisposto.

Ma gli altri? Chi ha un cane di qualsiasi razza (predisposta o non predisposta
geneticamente a DCM) e che ha
somministrato per molto alimenti grain
free
al proprio cane o gatto dovrebbe effettuare questi controlli?
Nonostante
appunto in Italia non siamo a conoscenza (neanche come “passaparola” fra
colleghi) di numeri simili a quelli degli Stati Uniti, potrebbe essere che
diversi cani e gatti siano ancora in fase asintomatica della patologia, o che i
casi non vengano riportati o considerati dai colleghi come di possibile origine
nutrizionale.

Insomma, in attesa di chiarire la situazione e dato che specialmente se diagnosticata precocemente parrebbe che un cambio nutrizionale possa far regredire la patologia, sicuramente passaggi consigliabili potrebbero essere:

Per i proprietari di cani e gatti che abbiano mangiato o stiano mangiando da molto alimenti grain free:

  1. valutare di ripassare ad una marca con cerali  o nel caso nel caso si decida di passare a dieta fresca integrare la taurina per un periodo da concordare con il veterinario esperto in nutrizione che vi segue.  
  2. effettuare un dosaggio ematico della taurina e eventualmente integrarla
  3. effettuare un’ecocardiografia

  • per i colleghi medici veterinari:
    • riportare
      eventuali casi di DCM anche in fase iniziale in razze che non abbiano
      predisposizione a questa patologia
    • valutare SE
      prescrivere grain free a cani e gatti
      in attesa di chiarire la situazione da un punto di visita scientifico

Nel frattempo è un valido per tutti: non facciamoci prendere dal panico e dalla manie di persecuzione, ma piuttosto cerchiamo di essere prudenti e di mettere in atto tutte le precauzioni possibili in attesa che la scienza ci chiarisca quanto sta succedendo!

Per approfondimenti:




Grain free è meglio?

di Rossella Di Palma (DMV) Scuola Specializzazione in Sanità Animale, Allevamento e Produzioni Zootecniche

e Maria Mayer (DMV, Ph.D.)


Scegliere un alimento commerciale Grain free è davvero la scelta migliore per il nostro cane e gattoarticolo a 4 mani, mio e della collega Dr.Maria Mayer (qui trovate il suo blog, dove l’articolo è stato originariamente pubblicato qualche mese fa).

L’arrivo dei primi Grain Free

Circa 10 anni fa, sono comparsi in Italia i primi mangimi grain free. All’epoca questi mangimi avevano stupito tutti non tanto per l’assenza di cereali, quanto per l’elevata percentuale proteica.  Percentuali di proteine che superavano il 40% non si erano mai viste sul mercato: i mangimi per cuccioli, cagne in lattazione e cani sportivi sfioravano a malapena il 30%.

Le perplessità dei consumatori, insieme a quelle dei veterinari, erano rivolte alle percentuali di proteine. Faranno male tutte queste proteine? Saranno salubri per un cucciolo in crescita? Danneggeranno i reni (falsa credenza)? In pochi si fermavano a ragionare sul concetto di valore biologico delle proteine, e ancora in meno facevano caso all’assenza dei cereali. Del resto, le crocchette grain free erano nate come risposta commerciale a quello che era ritenuto un eccesso di cereali nella formulazione di diete per carnivori, quali di fatto sono cani e gatti. Mentre alcune aziende mangimistiche aggiornavano le loro formule classiche diminuendo la quota di cereali a favore delle carni, dall’America arrivava la prorompente novità: mangimi a base di carne e con zero contenuti di cereali.

È probabile che le formule grain free siano nate, come risposta dell’industria mangimistica ad una richiesta di maggiore “naturalità”, la stessa filosofia che porta molte persone ad avvicinarsi ad una dieta BARF  che vede il cane (quasi) come un lupo e che si auspica che il cane, al pari del suo antenato, segua una dieta a base di carne.

In effetti, sin dall’inizio le formule grain free sono state propagandate come “più naturali”, e più vicine a un’ipotetica dieta ancestrale. Lo stesso packaging fa spesso riferimento al lupo e si basa su illustrazioni che rimandano a foreste e vita selvaggia.

Stesso dicasi per il gatto, carnivoro stretto, le cui confezioni richiamano libertà e ampi spazi nella natura.  Affascinati da miti e illustrazioni, tuttavia, molti proprietari hanno finito con il confondere una crocchetta “priva di cereali” con una  “priva di carboidrati”. I carboidrati nelle crocchette grain free c’erano eccome: non arrivavano da frumento, orzo, mais e riso, ma arrivavano da patate, patate dolci e tapioca. 

Qui crolla il primo mito: se per il cane non è naturale nutrirsi del tanto demonizzato mais… avete mai visto un lupo nutrirsi di patate, o tapioca? Se leggete le etichette dei primi grain free commercializzati noterete, appunto, che il posto lasciato dai cereali è stato preso da questi tuberi, che non sono necessariamente migliori dei cereali, né tanto meno più vicini ad una ipotetica dieta ancestrale.

Cosa e perché ha trasformato i cereali in nemici da combattere? Sicuramente anche per gli esseri umani, soprattutto in alcuni paesi, si è spesso confusa la paura per fenomeni di ipersensibilità scatenati dal glutine (proteina presente in molti cereali), con diete paleo varie, tendendo a fare “di tutta l’erba un fascio” e riportando le medesime considerazioni anche sul nostro migliore amico.

I fenomeni di leaky gut (intestino gocciolante), gluten sensitivity e altri fenomeni infiammatori intestinali siano evidentemente un problema grave degli ultimi decenni, sia per l’essere umano che per gli animali domestici.  Anche se ancora non sono chiari tutti i meccanismi incriminati, è assolutamente plausibile che il glutine, così come altre proteine, sia un colpevole o forse solo capro espiatorio della situazione, spettatore del crimine e non attore del danno intestinale, di cui i primi accusati sono con tutta probabilità agenti tossici (metalli pesanti, residui di fitofarmaci, agenti tecnologici come conservanti e coloranti, interferenti endocrini) presenti in OGNI alimento industriale, che sia con o senza cerali, secco o umido, che causerebbero disbiosi, o alterazioni dirette all’integrità della mucosa intestinale.  

Il marketing delle aziende che producono Grain Free

Facendo ricorso a eccellenti strategie di marketing, le case produttrici sono riuscite a convincere i consumatori non solo che grain free è meglio, ma anche che le ditte mangimistiche che offrono questi prodotti hanno più a cuore la salute degli animali. Vero o falso? A voi deciderlo, ma tenete a mente che qualsiasi azienda ha come scopo principale massimizzare il profitto. Neanche le aziende che producono grain free, puntando molta parte del marketing sulla qualità delle materie prime e la “naturalità” della formula, si salvano: una delle aziende leader in questo campo è attualmente protagonista di una class action legata alla presenza di alti livelli di contaminanti (mercurio, cadmio) nei loro prodotti. Nessuna azienda dovrebbe mai essere considerata “dalla nostra parte”: le strategie di marketing sono specchietti per allodole. Alcune ditte possono avere una maggiore spinta etica di altre, senza dubbio, ma rimangono pur sempre produttori di alimenti industriali, che in quanto tali sono più soggetti a contaminanti rispetto ad alimenti freschi e che a cercano di vendere al consumatore “il sogno”, oltre al prodotto.

L’arrivo della seconda generazione di Grain Free

Le leggi del mercato, tuttavia, fanno sì che la domanda condizioni l’offerta: se il cliente vuole crocchette grain free ed è disposto a pagare di più per questi alimenti, poiché li ritiene migliori… perché non accontentarlo? Così, accortesi dei buoni risultati di vendita ottenuti dai primi mangimi grain free, sempre più aziende si sono messe a produrre prodotti di quel tipo.

Contemporaneamente ci si è accorti che, inserendo nelle formule elevati quantitativi di carne si abbassavano i ricavi. La fascia di consumatori che comprava (e compra) grain free è infatti formata da individui mediamente attenti, che – come mai era successo fino a quel momento nell’industria del petfood – avevano l’abitudine di girare il sacco e leggere l’etichetta dell’alimento, soffermandosi spesso su due aspetti (i più conosciuti): 1.il primo ingrediente della lista è quello maggiormente rappresentato nella formulazione della crocchetta 2. la percentuale proteica deve essere alta.

Le ditte hanno cominciato quindi a soddisfare il primo di questi due punti ingannando l’occhio del consumatore con alcuni trucchi (fra i quali ad esempio inserire “carne fresca” al posto di “farine di carne”, in modo che la % di acqua presente nell’alimento fresco lo facesse indebitamente slittare al primo posto nella lista ingredienti). Ma per il secondo punto? Dove prendere proteine a basso costo? È semplice: dai legumi.

Tonno e legumi....

Ed è così che nasce quella che potremmo chiamare la seconda generazione dei mangimi grain free: sacchetti che restano uguali, ma formule che cambiano. Meno carni, ma più legumi (piselli, lenticchie, ceci, soia, eccetera). Uno studio canadese sull’utilizzo dei legumi (Agriculture and Agri-Food Canada, 2017) rileva un’impennata nell’utilizzo di questi ingredienti nei mangimi per animali a partire dal 2012.

I legumi sono usati con grande entusiasmo: sono al tempo stesso fonte di proteine (necessarie per aggirare l’occhio del consumatore esperto) e di amidi (necessari per il processo di estrusione, vale a dire per la preparazione dell’alimento secco), per questo moltissimi mangimi grain free ne contengono percentuali imbarazzanti. Imbarazzanti perché questi prodotti si presentano al consumatore come a misura di cane, o meglio, come a misura di carnivoro. È davvero arduo capire cosa renda piselli, ceci e lenticchie più adatti al cane o a un gatto di quanto non lo siano i cereali.  

Resta inoltre il nodo del valore biologico. Una proteina di origine animale, proveniente dalla carne, dal pesce o dalle uova, è molto più semplice da processare rispetto ad una proteina di origine vegetale. È lecito domandarsi, visto che di carnivori “adattati” si parla se percentuali proteiche elevate, ma derivanti in buona parte da proteine di origine vegetale (basso valore biologico), siano salubri. Inoltre, seppur fonti di amidi, i legumi sono principalmente formati da amilosio, una forma di amido meno facilmente digeribile (anche per noi esseri umani), rispetto all’amilopectina di cui sono invece ricchi i cerali (qui spiego meglio la differenza fra amilosio e amilopectina).

Per questo spesso i cani e i gatti alimentati con mangimi grain free hanno feci poco formate, presentano meteorismo e diarrea. Ultimo, ma non ultimo, i legumi, come molti alimenti di origine vegetale, ma in proporzioni più elevate rispetto alla maggior parte di essi, sono composti anche di fattori antinutrizionali, vale a dire che impediscono il corretto assorbimento e/o utilizzo da parte del cane e del gatto dei nutrienti presenti nella dieta.

Dal lupo… al cane: cosa cambia nella digestione degli amidi?

Per quel che riguarda il cane inoltre, nella  nascita di questa specie dal lupo, non possiamo inoltre dimenticare la fondamentale tappa intermedia del “cane da villaggio” (Coppinger & Coppinger, 2001; Hare e Woods, 2013), creatura assai più simile alla maggior parte dei cani moderni di quanto non lo siano i lupi canadesi. Durante i millenni di domesticazione, questi cani sono stati sostanzialmente spazzini che si nutrivano dei rifiuti del villaggio. Sappiamo da recenti evidenze scientifiche (Beuchat, 2018) che l’organismo del cane si è adattato a digerire gli amidi dei cereali.

Possiamo dire lo stesso dei legumi? Formati da amidi più complessi da digerire rispetto ai cereali, oltre che ricchi di fibre e fattori antinutrizionali che possono interferire negativamente con la salute del nostro cane o gatto, sono davvero la scelta migliore per loro? 

Vi lasciamo con questa riflessione e.. qualche esempio di etichette grain free!

Dr. Rossella Di Palma, DVM – http://dogsandcountry.it/

Dr.Maria Mayer, DVM, PhD – https://www.mariamayer.it/


ETICHETTE GATTI:

Ingredienti:
Pollo fresco disossato, pollo disidratato, fegato di pollo fresco, aringa intera fresca, tacchino disossato fresco, tacchino disidratato, fegato di tacchino fresco, uova intere fresche, lucioperca senza lisca fresco, salmone intero fresco, cuore di pollo fresco, cartilagine di pollo, aringa disidratata, salmone disidratato, olio di fegato di pollo, grasso di pollo, lenticchie rosse, piselli, lenticchie verdi, erba medica, ignami, fibra di pisello, ceci, zucca, zucca popone, foglie di spinaci, carote, mele Red Delicious, pere Bartlett, mirtilli di palude, mirtilli giganti, alga kelp, radice di liquirizia, radice di angelica, fieno greco, fiori di calendula, finocchio, foglia di menta piperita, camomilla, dente di leone, santoreggia, rosmarino.

ETICHTTE CANI:

carne disidratata di agnello 27%, pisello, patata, polpa di barbabietola, olio di lino, olio di salmone, sostanze minerali, alghe disidratate (Ascophyllum nodosum) 0.5%, lievito disidratato (Bio MOS) 0.15%, glucosamina 0.06%, FOS, semi di piantaggine (Plantago psyllium) 0.05%, condroitin solfato (da cartilagine di squalo) 0.04%, Rosa canina 0.03%, Yucca schidigera.

Carne di pollo essiccata (25%), avena macinata grossa (23%), carne di pollo fresca (5%) interiora di pollo fresche (fegato, cuore, reni) (5%), lenticchie rosse, lenticchie verdi intere, lenticchie verdi, carne fresca di tacchino (4%), uova fresche intere (4%), grasso di pollo (4%), fagioli Garbanzo interi, piselli gialli interi, avena intera, olio di aringa (3%), alfalfa maturata al sole, fibre di lenticchie, alga Seetang marrone, zucca fresca, pastinaca fresca, cavolo fresco, spinaci freschi, carote fresche, mele “Red Delicious” fresche, pere “Bartlett” fresche, fegato di pollo liofilizzato (0,1%), sale, Cranberry freschi, mirtilli freschi, radici di cicoria, curcuma, cardo mariano, radici di bardana grandi, lavanda, radici di ibisco, rosa canina.

Pollo disidratato, avena, pollo fresco disossato, patate intere, piselli, fibra di pisello, erba medica, fegato di pollo, uova intere, halibut fresco senza lisca, grasso di pollo, olio di aringa, mele intere, pere intere, patate dolci, zucca, zucca popone, pastinaca, carote, spinaci, mirtilli di palude, mirtilli giganti, alga kelp, radice di cicoria, bacche di ginepro, radice di angelica, fiori di calendula, finocchio, foglia di menta piperita, lavanda.

Salmone disidratato (25%), carne di tacchino disidratata (20%), piselli gialli (20%), grasso di pollo (conservato con tocoferoli, 10%), anatra disidratata (5%), salmone senza spine (5%), fegato di pollo (3%), mele (3%), amido di tapioca (3%), olio di salmone (2%), carote (1%), semi di lino (1%), ceci (1%), gusci di crostacei idrolizzati (fonte di glucosamina 0,05%), estratto di cartilagine (fonte di condroitina, 0,03%), lievito di birra (fonte di mannanoligosaccaridi, 0,015%), radice di cicoria (fonte di fruttoligosaccaridi, 0,01%), yucca schidigera (0,01%), alghe (0,01%), psillio (0,01%), timo (0,01%), rosmarino (0,01%), origano (0,01%), mirtilli palustri (0,0008%), mirtilli (0,0008%), lamponi (0,0008%).

Coniglio disidratato (31%), piselli (30%), maiale disidratato (15%), grasso di pollo (conservato con tocoferoli), anatra disidratata (5%), polpa di barbabietola essiccata (2%), olio di pesce (2%), fegato di pollo, lievito di birra, carote (0,5%), semi di lino (0,5%), pomodori (0,5%), gusci di crostacei idrolizzati (fonte di glucosamina, 250 mg/kg), estratto di cartilagine (fonte di condroitina, 250 mg/kg), mannano oligosaccaridi (150 mg/kg), estratti vegetali (rosmarino, timo, curcuma, agrumi, 150 mg/kg), frutto oligosaccaridi (100 mg/kg).


Bibliografia:

Agriculture and Agri-Food Canada (2017). New Products containing pulse ingredients in North America, Market access secretariat report. Global analysis report. Commodity innovation series, June. http://www.agr.gc.ca/resources/prod/Internet-Internet/MISB-DGSIM/ATS-SEA/PDF/6904-eng.pdf?fbclid=IwAR3FgE56_YbSeMtToAKeNbxgod05OL0Qd6SjrzEdnB_e4p3lJHMPpnENfmU

Beuchat C. (2018). A key genetic innovation in dogs: diet, The Institute of Canine Biology, https://www.instituteofcaninebiology.org/blog/a-key-genetic-innovation-in-dogs-diet (Accesso 06/04/2019)

Coppinger R. e Coppinger L. (2001). Dogs. A startling new understanding of canine origin, behaviour & evolution, Scribner, New York, USA.

Hare B. e Woods V. (2013). The genius of dogs: how dogs are smarter than you think, Plume, USA.