Mai fermarsi alla prima impressione: storie di consegne

Mattina pienissima, questa, in cui abbiamo incastrato anche un’intervista. Su Dogs & Country di solito parliamo di cinofilia, caccia, campagna, insomma le solite cose. Oggi siamo metaforicamente andati in città, ma è per una buona causa.  Siamo andati a vedere cosa succede a Milano, per mettere in luce una delle tante esperienze positive che la gente sta vivendo ai tempi del Coronavirus. Non fraintendetemi, non sto dicendo che il COVID 19 sia una manna dal cielo, piuttosto dico che dai bruchi nascono le farfalle e che dal letame nascono i fiori.

Carlo e Nuvola (©️ Paolo Carlini)

Per darvene testimonianza, ho preso il telefono e fatto una chiacchierata con Carlo Enrico Chiesa. Io dalla mia scrivania del Siccomario, lui dal sedile del suo Apecar (con una gomma bucata), nel centro di Milano. Carlo in verità è originario di Belgioioso (Pavia) che, rispetto al Siccomario, sta più vicino di Milano. Noi ci conosciamo, sebbene indirettamente, da un bel po’. Ho infatti affidato alla sua famiglia ben tre setter inglesi: Islo, Nuvola e infine Branwyn (oggi Attilio), uno dei miei cuccioli. Carlo è un imprenditore, di quelli piuttosto creativi: negli anni ha fatto spaziare le sue attività dalle lampade alla finanza, passando per il turismo e i biscotti per cani. Se mai avete visto un Apecar vendere biscotti in giro per i parchi Milano, quello era il suo Dog Sweet Dog, attività che è stata portata avanti con una socia fino a qualche mese fa.  L’Ape di Carlo, tuttavia, oggi era a spasso per Milano per ben altri motivi… e io sono molto curiosa.

Ciao Carlo, che ci fai sull’Ape stamattina, mi aspettavo di sentirti da casa, o forse dovrei dire dalla moto? Sono risposte esatte tutte e due. Come ha scritto correttamente, potrei curare parte delle mie attività imprenditoriali da casa, lo chiamano smart working, ma non sono mai stato una persona solo da smart working, mi piace il contatto con la gente. Pensa un po’ che non mi piace nemmeno comprare online, io le cose le devo vedere, toccare e scegliere di persona, specie il cibo. Mi piace cucinare, ma da quando ho il tuo cane è diventato impossibile!

Attilio (Branwyn)

Perché? Attilio ha sempre fame e ruba tutto mentre cucino! È l’Arsenio Lupin della gastronomia.

Ops! E resta persino magro… Comunque, che stai facendo in giro con l’Ape? Ecco, come ti dicevo, mi piace essere attivo, fare cose, e ho iniziato a soffrire a causa della clausura imposta dal coronavirus. Comprendo le ragioni sanitarie, ma la mia forma mentale mi porta a chiedermi quali saranno le conseguenze economiche della quarantena. Questo fermo alle attività mi preoccupa. Penso ad esempio mio figlio, che curava la parte turistica della società. Chissà se, e quando, potrà riprendere a lavorare. Così, tra una preoccupazione e l’altra, mi è venuta un’idea, e ho scelto di mettermi alla prova.

Quale idea? Beh, ho fatto due più due e preso in esame le professioni che sono ancora attive. Poi ho pensato alla mia età, ai miei hobby, a quello che so fare, a quello che mi piace fare e a cosa mi sarebbe piaciuto imparare. Alla fine di tutto questo ragionamento, ho deciso di iscrivermi a Glovo, un servizio di consegne a domicilio, come rider, e pensare che non ero mai nemmeno stato loro cliente!

L’Apecar

Come funziona la cosa, in pratica? È molto semplice, vai sul sito, compili un modulo e dai la tua disponibilità. Se gli vai bene, dopo un paio di giorni vieni ricontattato e inizi a lavorare. Noi siamo abituati a vedere i rider in bicicletta, ma si può consegnare anche in macchina, o con la moto. A me piace andare in giro in moto e, generalmente, consegno in moto, unisco l’utile al dilettevole, in un certo senso. Oggi però ho preso l’Ape… e ho bucato la gomma. La ripariamo e si riparte.

Quindi, chiunque può diventare un rider di Glovo?A grandi linee direi di sì, io avevo già una partita iva, e so che altri rider lavorano con partita iva, ma non so se sia necessaria. Come dicevo, il mezzo di trasporto non è una barriera. Ovviamente la macchina è più comoda della bicicletta, ma chi va in bici si fa un fisico invidiabile! Come potete immaginare, io sono tra i più “anziani”, parlo proprio di età, ma in Glovo lavorano persone di tutti i tipi. Di solito si associa il lavoro di rider agli extracomunitari, pakistani e africani, per lo più, ma è una generalizzazione. È vero, la maggior parte dei colleghi sono extracomunitari, ma non sono l’unico italiano che sfreccia per Milano con uno zaino in spalla. È un lavoro duro, infatti io faccio solo alcune ore al giorno, ma se sei sveglio, veloce e ti impegni riesci a racimolare uno stipendio dignitoso. Infatti, molti rider sono arrivati a questo lavoro dopo altre esperienze, ma sono rimasti, soddisfatti dai guadagni. Le donne, invece, sono pochissime, credo sia legato sia all’impegno fisico richiesto, sia al fatto che una donna possa ritenere, giustamente, pericoloso, andare in giorno da sola a fare consegne, specie di notte e specie in certe zone.

Sempre l’Ape

Qual è il rapporto con i colleghi? Sulla carta potremmo apparire molto diversi: io sono milanese quasi DOC e Glovo non è la mia principale fonte di reddito; loro vengono da ogni parte del mondo e mantengono loro stessi e le famiglie portando in giro pacchi, eppure, quando lavoriamo sono tutti uguali. Sono subito stato accolto a braccia aperte, tutti mi hanno aiutato e supportato, nessuno mi ha mai accusato di essere lì a “rubare il lavoro”. Certo, anche io faccio la mia parte, e aiuto gli altri se hanno bisogno.

Per esempio? Le spese grosse si “smezzano”, per esempio la gente ci ordina anche le bottiglie dell’acqua, sono pesanti e uno da solo non ce la fa, così io, in moto, aiuto quelli che hanno la bicicletta, e via dicendo. Poi cerco anche di trasmettere un po’ di sicurezza e un po’ di esperienza di vita. Tanti rider sono persone umili, che si sottomettono anche troppo alla maleducazione di certi clienti.

I clienti sono maleducati? No, anche qui, dipende: l’umanità è varia. Ci sono persone cordiali e capaci di mostrare gratitudine, e altri per i quali sei uno schiavo, niente di nuovo sotto il sole.  Faccio un esempio: non siamo tenuti a consegnare al piano, la consegna è fino al portone, però a volte ti chiedono di… e allora sali con la spesa. La cosa sembra semplice, ma non lo è, devi parcheggiare il mezzo, perdi tempo, eccetera eccetera, eppure qualcuno non ti dice nemmeno grazie. Se mi trattano male, io non ho problemi a manifestare il mio dissenso, una volta ho quasi esortato un cliente a dare la mancia a un mio collega!

Danno le mance? Ovviamente è discrezione del cliente, ma se il rider ti ha fatto quel favore extra, perché no? Curiosamente, ho riscontrato più generosità nelle periferie, che non nei quartieri della “Milano bene”, ma non ne sono stupito più di tanto.

In che zone consegnate? Noi copriamo tutta Milano. Lavoriamo con una app che ci geolocalizza e ci invia gli ordini in base alla nostra pozizione. Ho scoperto zone di Milano in cui non ero mai stato. Il GPS è indispensabile, e lo sarebbe anche una numerazione chiara degli edifici, spesso i numeri civici mancano, o sono confusi.

Il pannello di controllo

Hai paura? Lo ritieni un lavoro pericoloso? Non ho paura del Coronavirus, quanto alle altre cose… A Milano c’è poco traffico adesso, ma bisogna stare attenti e non andare troppo veloce perché, proprio siccome c’è poco traffico, la gente fa un po’ quello che vuole. Per il resto, non c’è in giro praticamente nessuno, neanche nelle zone malfamate, per cui non credo di correre grossi rischi. Glovo ci segue attraverso una app e sa sempre dove siamo, è una app che funziona molto bene e che gestisce in maniera efficace tutti gli aspetti della logistica.

Momenti imbarazzanti? Quando devi consegnare una pizza, si sta raffreddando, non trovi il nome sul campanello e inizi a suonarli tutti, magari alle 11 di sera.

La gente si arrabbia? Qualcuno sì, qualcuno no. Io però ho abbastanza faccia di tolla per replicare spiegando che potrebbe capitare anche a una loro futura pizza di smarrirsi. Per fare questo lavoro ci vuole una certa sicurezza di carattere, ti scrolla di dosso le scortesie.

Compagna d’avventure

Chi è il cliente tipo? E cosa ordina? Il cliente tipo è eterogeneo, una cosa che ti stupirà è che molti utilizzatori di Glovo sono giovani che hanno scelto di non uscire perché hanno paura. Non vogliono nemmeno vederci. Pagano prima e si fanno lasciare la consegna fuori. Ordini, portiamo di tutto: spese, fiori, gelati, pizze, sigarette, regali, ho consegnato le cose più svariate agli orari più strani, tipo un gelato di Grom a mezzanotte. Varia molto in base alla zona e agli orari. C’è chi si fa portare la colazione, per esempio, o il pasto preparato da un parente, facciamo anche consegne da privato a privato. Alla domenica vanno per la maggiore le sigarette e comunque i Milanesi ordinano un sacco di acqua!

È un’esperienza che consigli? Continuerai dopo la quarantena? Sono contento di aver scelto di fare questa esperienza. Ho conosciuto persone meravigliose, tanti “invisibili” che hanno molto da insegnarci. Mi piace andare per negozi e rendermi utile e, come dicevo, se fai molte ore poi anche realizzare dei discreti guadagni. A pochi giorni dal mio inizio, si è registrato anche mio figlio, trentenne e attualmente senza grandi prospettive di lavoro, viene dal mondo nel turismo. Per lui Glovo è un lavoro a tempo pieno, 8-9 ore al giorno (se ne possono fare fino a 12 al giorno). È pesante, ma gli piace, in più, se fai molte consegne, sali di rango e hai maggiori possibilità di scelta tra gli orari di lavoro, lui è già abbastanza in alto in classifica.

Credo che questo lavoro possa insegnargli (e insegnarmi qualcosa).  Sono convinto che i servizi di consegne a domicilio siano destinati a svilupparsi. Continuare anche dopo la quarantena? Sì, mi piacerebbe continuare a svolgere questa professione, anche per poche ore. Mi piace sentirmi utile e sentirmi amico di persone che altrimenti non avrei incrociato solo da lontano. Mi sento in qualche modo privilegiato per averli conosciuti: hanno anche qualcosa da insegnare, a tutti noi.




Quattro passi dentro casa: L’Acquarello Blu

Oggi corso di agopuntura veterinaria online, nove ore
attaccata al pc, di una cosa posso vantarmi: in quarantena non mi sono mai
annoiata. Mi hanno fregato un altro imbrunire, però piove, quindi la luce non è
la stessa. C’è buio, sembra di essere rimbalzati in autunno. Occorre vederci
chiaro, ma troppa luce non mi piace: accendo una lampada. È domenica ma ho
perso il senso del tempo.

Scrivo per cercare di ritrovarlo, ho anche paura che mi
scappino le idee. Ne ho avuta una, ieri sera, le migliori idee nascono col
buio, non voglio che svanisca. Più che un’idea è stata un’intuizione, un “epiphany”,
come le chiama Joyce. L’intuizione è balenata veloce e si è subito collegata ad
uno dei miei quadri. Mio perché lo possiedo, non perché l’ho disegnato. Non
sono proprio capace di disegnare, è qualcosa che mi manca tanto, ma oramai mi
sono rassegnata. Però le opere d’arte mi piacciono, anche se mi piacciono a
sensazioni, più che a logica.

Questo quadro è arrivato così, per tanti casi. Su Ebay mi
avevano colpito degli acquerelli con dei cavalli, li faceva un’artista di nome
Michele Weise (una donna, a dispetto del nome), che credo stesse in Arizona.
Ero riuscita a strappare tre dei suoi acquerelli-con-cavallo ad un prezzo
stracciato: credo troppo stracciato per starle simpatica, in mezzo all’ordine, non
so più come, era finto anche un quadro, più o meno, astratto. Ci ho messo il
“più o meno” perché io ci vedo un tramonto sul mare, ma altri potrebbero
vederci solo delle strisce di colore, per giunta con delle enormi sbavature. A
me piace così, con i suoi colori e con il suo sole. Pazienza per la cornice,
non era esattamente quello che volevo, facciamo finta di niente.

In questo acquarello ciascuno può vederci quello che vuole.
Può darsi anche altri credano che il gioco di colori rappresenti un tramonto
sull’acqua, ma sono certa che il paesaggio che vediamo non sia lo stesso per
tutti, probabilmente nemmeno i colori.  L’epifania di ieri sera era qualcosa del
genere. Una persona, o un’animale, non sono mai gli stessi: cambiano a seconda
del contesto, e cambiano a seconda di chi li osservi. Prendiamo Briony, il mio
cane: potremmo dire che è un cane da caccia, se la porto a caccia; che è un
cane da prove, se la porto alle prove; o che è un cane da compagnia, se la
metto sul divano.  È lo stesso cane, ma
diventa ogni volta qualcosa di diverso. Così come Rossella può essere vista in
tanti modi a seconda di quello che sta facendo. 
Siamo quello che siamo perché siamo o… siamo quello che siamo in base a
quello che facciamo?

Cosa ci definisce? Il contesto? Quello che facciamo? Noi
stessi? Gli altri? Un po’ tutte queste cose, messe insieme. Avete presente certe
insalate di riso, d’autore anonimo, in cui si butta dentro un po’ troppo di
tutto? Si rischia di essere percepiti così, o peggio ancora di diventare una di
quelle pizze con troppi ingredienti, tanto invadenti da non lasciare cuocere la
pasta.  Per mantenerci integri, e ben
cotti, serve un po’ di autostima, solo così ci autodefiniamo.

Lo stesso cane a cui io voglio un mondo di bene, potrebbe
essere, per altri, un disturbo: altro che fenomeno di qui e fenomeno di là, è
solo un cane che abbaia. È solo il cane che ti obbliga ad attraversare la
strada, perché il tuo lo vorrebbe azzannare, o il cane che rende difficile la
consegna delle casse dell’acqua.  Per
inciso, non ho mai definito il mio cane un fenomeno, ma mi piaceva l’idea di
usare questa parola per evidenziare la soggettività, a volte persino la miopia,
con cui si percepisce la realtà.

Individuale, soggettivo, relativo: il mondo è ciò che
percepiamo, anche le persone. La precarietà sembra acuirlo.  Di questi tempi non si può, per lo meno io
non riesco, fare a meno di sentirsi un po’ Mercoledì Addams: pensate ai morti
di Coronavirus, chi erano costoro? La stessa persona, quasi sicuramente, era
tante persone: cambiava a seconda del contesto e dell’osservatore. Quello che
era il signor Arancioni (ho preso un colore meno diffuso di Rossi, o Bianchi, altrimenti
mi accusano di portare sfiga) in ufficio, probabilmente non era la persona che
conoscevano in famiglia; né quella a cui erano abituati gli amici, o i compagni
di hobby. 

Una luce bianca quando passa da un prisma si scompone in
tanti colori.

L’acquarello blu, non è solo blu: c’è viola, rosa, giallo, arancio, azzurro, grigio, nero, una punta di bianco. L’acquarello blu è tante cose, insieme.

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