I trials inglesi: questione di atmosfera

In tanti mi chiedono perché vado con i cani in Inghilterra, come si fa a partecipare e, soprattutto come si fa ad allenare. Quest’ultima domanda, vista la fame di selvaggina che si ha in Italia, è più che lecita, ma le cose sono un po’ più complicate di quello che sembrano.

Nel 2015, grazie ad una serie di “coincidenze” ho avuto per la prima volta in vita mia la possibilità di assistere ad una prova di lavoro su grouse in Inghilterra e di partecipare, da spettatrice, ad una sessione di addestramento.  Molto di quanto ho visto mi ha affascinato al punto di farmi decidere di cercare di diventare parte di un mondo che, per lo meno geograficamente, non mi apparteneva.  Ero nata nel posto sbagliato, ma mi sentivo culturalmente vicina a loro. Intendiamoci, le prove di lavoro inglesi (e scozzesi) non sono perfette: ad oggi non ho ancora trovato un sistema d valutazione che possa testare in maniera zootecnicamente perfetta le caratteristiche del cane da caccia ideale, eppure…. Eppure, il circuito di prove britanniche possiede elementi che continuano a suscitare il mio interesse.

Vado in Inghilterra perché è più facile”, questa è la voce che mi è giunta alle orecchie. Beh, mi dispiace deludere i vocianti, ma nelle prove inglesi di facile non c’è un bel niente. Non mi credete? Ok, ve lo dimostrerò. Il minuto, per esempio, non esiste, se al giudice non piace come sganciate il cane, o se il cane allo sgancio fa qualcosa che al giudice non piace (per esempio emette un guaito di felicità, o guaisce perché gli avete pestato un piede) voi siete eliminati. Tenendo conto che i giudici sono due (uno controlla a destra e uno controlla a sinistra), occorre fare in modo di piacere ad entrambi. I turni oltre a non avere il minuto, non hanno una durata minima, o massima.

Il cane deve partire nella direzione assegnata: se deve andare a destra e va dritto, o gira immediatamente a sinistra, può essere penalizzato, o eliminato, a discrezione. La stessa cosa può succedere se si allontana troppo, se non “gira” quando richiesto dal giudice, se non va a terra quando richiesto, o se non guida con scioltezza quando dovrebbe farlo.

In guidata il cane non si può toccare, pena l’eliminazione.
Non è il conduttore a sparare dopo l’involo del selvatico, bensì un
guardiacaccia, su comando del giudice: non è quindi pensabile il trucchetto
dello “sparo-nascosto-in-un-cespuglio” molto amato da alcuni dresseur nostrani.
Non serve avere il grilletto facile, perché di fatto non si ha un grilletto.

Il cane deve rimanere fermo (IMMOBILE) al frullo e allo sparo, non può muoversi di un millimetro ma, a conclusione dell’azione, deve proseguire la guidata nel clear the ground (pulizia del terreno per individuare altri eventuali animali, in genere parte di una covata).

Non è possibile guinzagliare il cane immediatamente dopo
l’involo: il cane può essere legato solo quando lo decide il giudice. Se il
cane ha fatto tutto correttamente è possibile che veniate chiamati al secondo
turno: i cani, per andare in classifica, devono essere verificati due volte.

Può capitare, tuttavia, di non essere richiamati anche se, in apparenza tutto é andato bene. Questo può accadere per esempio perché molti cani sono stati shot over e quindi ne vengono richiamati solo alcuni (i migliori) dal momento che la classifica va solamente dal primo al quarto cane…  Il numero dei cani al secondo turno può essere altresì ridotto in contingenza di condizioni particolari che riguardano il terreno, la selvaggina, o il clima.

Generalmente, tutti i cani sganciati sul terreno presentano un livello di ubbidienza medio-alto. Il cane che allunga troppo, che si prende delle licenze, o che non si fa legare, non è un esemplare gradito.

Grouse…

Per diventare campione un cane deve vincere due Field Trials in classe Open, ma per avere diritto a correre in Open deve aver prima vinto una classe Novice (o aver fatto due secondi posti in una Novice) o una classe Puppy. A volte è possibile competere in Open anche senza essersi qualificati, ma solo se ci sono posti a sufficienza. Sì perché ai trials esiste una sola batteria e i posti sono limitati: i club organizzatori stilano una graduatoria, e chi è in fondo alla graduatoria finisce in lista d’attesa.

Credo questo possa fare comprendere che scegliere di partecipare alle prove inglesi non sia una scelta “di comodo”: oltre a doversi fare quasi 2000 chilometri (solo andata) per raggiungere i campi di gara, è persino difficile avere la possibilità di gareggiare!

Il numero chiuso, però, in fondo ha senso ed è espressione
dell’intento non consumistico di queste prove. A nessuno importa avere più cani
e a nessuno importa attirare i “professionisti” che, di fatto, praticamente non
esistono. C’è un solo conduttore, per giunta irlandese, che arriva con un
discreto numero di cani condotti “conto terzi”, così come c’è un solo
allevatore (di setter inglesi) che ricava parte del suo reddito dalla vendita
di cuccioli. Il setter inglese, tuttavia, è una razza poco commerciale: chi
sceglie i cani da ferma inglesi generalmente predilige i pointer ma, vi sembrerà
incredibile, nessuno si guadagna da vivere allevando pointer da lavoro.

C’è qualche conduttore semi-professionista che conduce uno, o al massimo, due cani per altre persone e un gruppetto di appassionati/allevatori amatoriali che iscrivono il loro branchetto. Chi possiede più cani, tuttavia è svantaggiato: da regolamento si cerca di garantire la partecipazione di un cane per ogni proprietario…. Quindi se ne avete quattro, è probabile che alcuni di loro vengano messi in lista d’attesa.

Il fatto che i conduttori non addestrino cani per vivere, non significa che non sappiano preparare i cani: al contrario, si colgono finezze di conduzione e di preparazione a cui non ho mai assistito qui in Italia. L’addestramento è una passione e si lavora con la massima cura dovendo rendere conto per lo più a se stessi, oltre che ai giudici.  I bravi conduttori mettono soggezione non perché sono “famosi”, ne perché hanno “vinto tanto”, ma semplicemente perché sono BRAVI. Starei ora fare domande e a chiedere di raccontarmi come fanno ad insegnare al cane questo e quello.

Famosi o meno, ci si chiama per nome, non per cognome, e ci si conosce tutti. Ci sono Richard, Maddy, Carole, Maria, Terry (un paio), Sara, Mary, Anne, Nicky (un altro paio), Dennis, Steve… eccetera. È normale prima dello sgancio scambiarsi una stretta di mano, o un augurio di buona fortuna: il compagno di coppia, del resto, si chiama compagno di coppia, non rivale di coppia. Tutti sanno che correre con un compagno di coppia ben preparato è un vantaggio: difficilmente causerà disturbo all’altro cane.

Tra i nomi che ho appena elencato sopra ne compaiono anche tanti femminili. Le donne che addestrano e conducono cani, nel Regno Unito, non sono bestie rare, tutt’altro. E non si limitano a fare capolino ai trials con il cane preparato da qualcun altro, la maggior parte di loro il cane se lo prepara da sé, e non è certo lì per seguire la passione del marito, o del compagno. Al contrario, spesso sono proprio i mariti che vengono a vedere e a dare una mano.

La parte umana dei trials ha il suo perché, insieme a tutte le tradizioni e alle formalità che l’accompagnano. I britannici non sono i più espansivi dei popoli, ma dopo un po’ ci si sente parte di quel mondo, un mondo fatto da formalismi, ma anche da semplicità che vanno dal pranzo al sacco, consumato tutti insieme all’aperto in quasi qualsiasi condizione climatica, alla cucciolata fatta esclusivamente per portare avanti la propria linea. Le razze da ferma inglesi, infatti, non sono granché commerciali e commerciabili e questo tiene ben lontana la minaccia che la cinofilia venatoria diventi un business. Un maschio vincente farà qualche monta (forse), ma non diventerà mai uno stallone di grido, capace di rendere ricco il suo proprietario.

L’aspetto amatoriale caratterizza anche la gestione dei terreni e dei selvatici. Gli italiani sono abituati ad andare all’estero per allenare e per addestrare e credono che basti pagare per poter sganciare il cane. Costoro non hanno mai incontrato un gamekeeper britannico al quale, molto francamente, non importa nulla delle esigenze del vostro cane. I guardiacaccia stanno lì per tutelare la selvaggina, punto, e il cane è spesso visto come un elemento di disturbo. Si può allenare (o essere invitati a censire) a discrezione del guardiacaccia, non è un diritto che si acquisisce pagando, occorre in qualche modo meritarselo. Negli anni sono riuscita a allenare il cane e a partecipare a qualche censimento, ma queste attività non sono programmabili. Tutto dipende dal clima, dall’età dei selvatici, dall’andamento delle covate, dalla disponibilità di chi vi deve accompagnare, eccetera eccetera. Allenare è un privilegio, non un diritto.

Gamekeepers…

È difficile avere accesso ai terreni, ed è per questo motivo che il mio cane, per esempio, ha fatto molto meglio su starne e su fagiani, che non su grouse. Non posso allenare il cane su grouse in Italia, perché non esistono e, in Inghilterra, non sempre ho la possibilità di muoverla abbastanza.  La grouse di per sé è un selvatico come un altro, che ben si presta al lavoro del cane da ferma, ma che ha due problemi. Uno è legato all’emanazione e l’altro alla densità numerica. L’emanazione è molto forte e può far bloccare cani abituati su selvatici meno “odorosi” e più leggeri e, come detto poco sopra, se il cane non guida in maniera fluida rapidamente, viene eliminato. Il secondo problema, ovvero la densità di animali, amplifica il primo problema: è normale veder alzare voli d 15-20 grouse, che se ne stavano da qualche parte tutti insieme. D’altra parte, un cane molto focoso e non ben addestrato, può perdere la testa di fronte a tanta selvaggina e andarsene a spasso per ore, o addirittura per giorni. I moors inglesi sono utilizzati per la caccia alla grouse in battuta, non per la caccia con il cane da ferma, questo spiega la tanta densità ma, come potete capire, confonde il cane.

Nelle prove a autunnali a pernici (starne), invece, ferma restando una densità di selvatici superiore a quella dell’Italia, essa è inferiore a quella delle prove estive e l’incontro non è garantito, ma si tratta di densità più consone ai nostri cani. I moors della Scozia, su cui sono stata soltanto nel 2016, li ricordo come una via di mezzo, mentre mi restano ancora da scoprire le prove primaverili. Certo è che la magia di un moor estivo ricoperto di erica in fiore e abbagliato da un cielo violetto è difficile da superare.

Vuoi saperne di più sui Field Trials ne Regno Unito? (Articles available in Englih as well) Clicca qui.




L’estero, l’addestramento, la caccia e le prove

L’Italia ha vinto la Coppa Europa per Cani da Ferma Inglesi in Grande Cerca, il Campionato Europeo Setter Inglesi Grande Cerca e il Campionato Europeo Pointer Grande Cerca, altri risultati devono ancora arrivare.  Tutti contenti ma anche tante polemiche. In questi giorni ho letto di tutto sui vari social e vorrei riflettere su un paio di punti, mi preme soprattutto il secondo. Il primo punto riguarda il fatto che alcuni cani cambiano nazionalità per entrare nella competizione. Giusto? Sbagliato? Condannabile? E’ un’area grigia. Il numero di cani italiani potenzialmente in grado di ben figurare in manifestazioni di grosso calibro è immenso, forse decine di soggetti, forse centinaia, chi può dirlo. Il numero di esemplari di “livello” non ha probabilmente pari in alcuna altra nazione al mondo. Però, ci sono pesci grandi e pesci piccoli, ovvero proprietari che hanno potuto (anche in virtù dei mezzi economici) dare ai propri cani maggiore visibilità e che, anche grazie a ciò, entrano in squadra. Il proprietario sardina, che nuota tra i tonni, che non può permettersi l’addestratore di grido, né un infinito numero di trasferte in tutta Europa, sa che probabilmente il suo cane non entrerà nella rappresentativa azzurra. Così vanno le cose, peccato, magari è persino un buon cane, ma occorre essere realisti. Poi, un giorno, alla nostra sardina, viene proposto di “prestare” il cane alla rappresentativa della Transilvania e la sardina accetta. Dobbiamo dargli addosso? Cosa fareste voi al suo posto? Cosa farei io? Boh, rispondo, il mio patriottismo si è ridotto ad un lumicino da un bel pezzo, se me lo chiedesse un paese a cui mi sento legata, forse direi di sì, certo se me lo chiedesse una nazionale di cui non parlo la lingua e di cui non so nulla, probabilmente direi di no, questo non mi mette comunque in condizione di giudicare le scelte altrui.

Il secondo, e ancor più importante punto, riguarda sempre l’estero, ma con un altro taglio. Quando ho pubblicato l’articolo sui problemi che esistono se si vuole addestrare un cane in Italia, e sulla scarsità di selvatici alle prove, alcuni mi hanno scritto toccare il tasto dell’estero. L’ Italia, al momento, se parliamo di piccola selvaggina, grazie alla squallidissima gestione faunistica, è dipendente dall’estero. Certo, il cane lo puoi addestrare anche in Italia ma fai 100 volte la fatica e rischi di pagare in multe l’equivalente di una trasferta!

Sbagliano gli italiani ad andare a preparare il cane altrove? No, prendono atto della realtà dei fatti e, se possono permetterselo, cercano il meglio per i propri cani, ciò è assolutamente condivisibile. Oggi va tanto la Serbia, ma l’abitudine di andare ad addestrare fuori , è iniziata da prima, lo stesso può dirsi della caccia (trovi cacciatori italiani in ogni angolo del globo) e delle prove. Io non ho nulla contro l’estero (o non avrei preso una laurea in lingue e letterature straniere), mi lascia tuttavia perplessa la dipendenza dell’Italia dall’estero. Molte prove cinofile italiane di alto livello, oggi sono corse in Serbia. Quando si chiede, o si prova a capire il perché, vengono date tante spiegazioni, le risposte più convincenti che ho avuto riguardano i terreni, la selvaggina, i regolamenti/ la realtà dei luoghi. Ma andiamo con ordine, rispondendo ad un post su Facebook relativo alla Coppa Europa, Gianni Lugari, ha ricordato la Coppa Europa corsa nel 1999 in Tollara ma…. Allora… I terreni… Esisterebbero anche in Italia! Probabilmente sì, se parliamo di spazi, probabilmente no se parliamo di selvatici, altro punto molto importante. Non sono mai stata in Serbia, ma tutti coloro che ci sono stati, per caccia, addestramento o prove (e parliamo di un numero elevatissimo di italiani) raccontano di tante e tante starne a disposizione dei cani. Dicono “non puoi crederci”, invece ci credo conoscendo la realtà delle grouse britanniche: avere selvaggina è possibile se sai fare una corretta gestione. È costoso, non è semplice e richiede l’impegno di tante categorie di persone, dall’agricoltore al cacciatore, tutti devono fare qualche sacrificio per un bene “superiore”. Difficile, tuttavia, non è sinonimo di impossibile.

Tanti giustificano l’Italia, asserendo che l’agricoltura serba è indietro di 50 anni e che questo favorisce le starne. Possibile, ma se noi siamo davvero avanti di 50 anni, è impossibile che non abbiamo i mezzi e le competenze per ricreare un equilibrio favorevole alla starna. Scusate ma mi rifiuto di crederlo, vi ricordate il Rinascimento? La nostra nazione ha dato i natali a Leonardo da Vinci e ad altri geni e oggi, i loro discendenti non sanno mettere insieme quattro pennuti! I costi? Facciamo due conti: in Serbia si parla anche di 500 cani che corrono al giorno, moltiplicate 500 per i 30 euro delle iscrizioni (cifra a me riferita), al tutto sottraete le “spese” ma aggiungete i permessi di addestramento che, sempre a quanto mi dicono, sono pari a 100 euro al giorno (cifra elevata se hai un solo cane, ma irrisoria se hai un furgone pieno di soggetti da preparare). Ecco io e la contabilità siamo due entità separate ma, ad occhio, direi che si va su cifre “interessanti” e che i serbi sono stati bravissimi, e lo dico con estrema sincerità, a capire quale ricchezza possano rappresentare le starne. Dalle fotografie che ho visto, le prove si corrono in zone rurali dove la fonte di reddito principale credo sia l’agricoltura. Le starne portano tanti altri soldini sotto forma di iscrizioni alle prove, di permessi per addestrare, di spese che normalmente affronta un turista: vitto, alloggio, la cenetta fuori e qualche altro extra. Immagino la faccia dell’indigeno serbo perplesso, ma felice, dal tanto interesse verso dei pennuti. I serbi sono stati e sono bravissimi ad aver compreso quale ricchezza avessero tra le mani. Noi italiani? Oltre a ringraziarli per le opportunità che ci danno, non potremmo, magari, che so, prendere spunto? I risvolti economici non sono abbastanza interessanti? Per certe cifre, popoli più determinati farebbero risorgere i dinosauri, altro che starne.

Beh, ma obietta qualcuno, da loro è più facile, non c’è la nostra burocrazia, non ci sono tutte le nostre “regole”, non ci sono gli animalisti.  Va cambiata la 157/92 affinché la situazione possa cambiare, tuonano in tanti, e so altrettanto che, in Italia, quando si cerca di essere proattivi e di fare qualcosa fioccano gli ostacoli e gli impedimenti, burocratici e non. Ma è questo motivo sufficiente per rassegnarsi ad una situazione faunistica, e anche venatoria che non ci soddisfa?




Lasciate spazio per il dessert

Mi piacciono i dessert (non troppo dolci) e quando vado a pranzo o a cena fuori lascio sempre un po’ di spazio per loro, in questo caso Briony, che è arrivata per ultima, è stato il dessert.

Questa stagione di caccia è piuttosto tranquilla, fatta eccezione per oggi, ho vissuto una sola vera e propria giornata di caccia, il giorno dell’apertura. Poi niente altro tranne un paio di uscite dietro casa con il fucile in spalla, non sono ancora andata nemmeno a caccia al cinghiale. Ci tengo ad andare a caccia ma quest’anno qualcosa si mette sempre in mezzo, continuo ad addestrare il cane vado a qualche prova,lavoro, preparo esami universitari e il tempo per uscire a caccia scompare. Inoltre nessuno vuole venire a caccia con me, devo essere una bruttissima persona!  A parte gli scherzi, il problema è che ho il cane fermo al frullo e discretamente ubbidiente, il cane da caccia italiano, normalmente, è piuttosto selvaggio. Non sarebbe giusto pretendere che lei rimanga ubbidiente di fronte a cani che possono commettere tutti gli errori che vogliono.

Morsicando il dessert
Morsicando il dessert

Ieri sera stavo commentando un post Facebook del mio amico Andrea Vaccari (se vi piace il bracco italiano, lui cura un bel blog su questa razza). Andrea è un buon cacciatore e anche un buon addestratore, si stava lamentando perché quasi tutti i cacciatori italiani che possiedono un cane da ferma ritengono necessario avere un beeper o un GPS. Sono d’accordo con Andrea, non comprendo il senso di questa cosa e questo modo di andare a caccia è spesso carente di sportività. Le persone lanciano i cani fuori dal bagagliaio, li lasciano correre come dei cavalli pazzi e poi chiedono alla tecnologia di ritrovarli. Alcuni sono molto fieri di avere cani che cacciano (chiaramente per se stessi) ad un chilometro dal conduttore. Io lo trovo abbastanza stupido e a volte persino fastidioso, dato che i beeper sono rumorosi e li puoi sentire a grande distanza. Inoltre, con questo modo di cacciare, non vengono verificate qualità importanti come l’addestrabilità, il collegamento e la voglia di collaborare. Non sto attaccando beeper e GPS perché non mi piacciono. La tecnologia può essere estremamente utile, ma non dobbiamo trasformarla in una scusa per evitare di addestrare il cane.

Quando dici qualcosa contro a beeper e GPS la gente alza le barricate e comincia a dire che hanno comprato questi collari per “sicurezza”. È verissimo, un GPS è utile se un cane si perde, o se gli succede qualcosa ma… stiamo parlando di cani da ferma, non di segugi. Un cane da ferma dovrebbe cacciare a distanza utile per il fucile, il che significa che deve rimanere visibile, occorre insegnargli a lavorare ad una distanza ragionevole. Se il cane viene condotto in questa maniera è possibile vederlo e vedere tutto quello che succede, un GPS diventa superfluo. Ricordatevi che un GPS, da solo, non può salvare il cane se il cane è molto lontano. La scorsa primavera un cucciolone è affogato in un canale e il proprietario ha vissuto la tragedia in diretta sul palmare, era a circa un chilometro e mezzo. A volte penso che il GPS dia ai proprietari un falso senso di sicurezza, ci si illude che garantisca l’incolumità: certo vi può dire esattamente dove si trova il cane, ma si potrebbe essere troppo lontani e non fare in tempo ad intervenire. Questa falsa illusione, a mio avviso, indirettamente ci porta a dare sempre maggior libertà ai cani nella speranza, spesso vana, di incernierare un animale in più quando i selvatici scarseggiano. Mi è stato anche detto che il GPS è indispensabile se hai un cane fa ferma tedesco, perché i cani tedeschi hanno un debole per gli ungulati. La gente non ci crede che sia possibile mettere a terra un Deutsch Drahthaar davanti ad un capriolo. Se cacci la beccaccia, però, il beeper à anche meglio, affermano, perché puoi localizzare il cane senza controllare costantemente il collare e… I cani marroni non si vedono nel bosco! Perché non pensare a una mantellina arancione allora? Costa meno e non fa chiasso!20161112_124125

 

Quando ho iniziato ad interessarmi di cani da ferma, ho iniziato ad addestrare con dei Deutsch Drahthaar in preparazione per prove tedesche e l’ubbidienza era fondamentale. Li ammiravo (ho un debole per questi cagnoni irsuti) e ammiravo i loro conduttori, non credevo però possibile che un setter inglese potesse fare altrettanto. Nel 2015, invece, sono stata in Inghilterra e ho visto setter inglesi comportarsi come i cani tedeschi che conoscevo, che illuminazione! Posso candidamente ammettere che per me, esistono un’era BE (Before England) e un un’era AE (After England) dal momento che le mie opinioni sull’addestramento e sulla conduzione dei cani sono cambiate radicalmente. Sono giunta alla conclusione che, quando si tratta di cani da ferma, ci siano due filosofie di addestramento:

  • Il Metodo Italiano: ovvero lascia fare al cane quello che vuole e… corrigli dietro;
  • Il Metodo Tedesco (ma anche britannico, scandinavo….): ovvero il cane deve fare quello che dico io, senza se e senza ma.20161112_124337

Di conseguenza mi sento “un po’” fuori posto e nessuno dei miei amici ha un cane che può uscire a caccia con Briony. L’ultima volta che siamo andati a caccia con altri cani è stato circa un anno fa. Mi avevano invitato in una bella riserva e l’ho portata: grande errore! I cani correvano in ogni direzione, non ubbidienti, non fermi al frullo inseguiti da un gruppetto di proprietari di cattivo umore. I cacciatori non riuscivano ad avvicinarsi ai selvatici a sufficienza per averli a tiro e gli animali volavano fuori dalla riserva, con i cani al seguito! Un incubo, Briony non se la stava cavando male, ma essendo l’unico cane rimasto nei paraggi era diventata una specie di parafulmine Esausta, l’ho ‘ho riportata in macchina e ho iniziato a raccogliere prugnolo. Dopo essersi calmati, i cacciatori sono venuti a chiedermi scusa, sono tornata in campo ma ho lasciato il cane in macchina, era la cosa più saggia da fare. Quest’anno, sono stata invitata ancora nello stesso posto da alcune delle stesse persone. Si tratta di buoni amici e non volevo in alcuno modo metterli a disagio: siamo andati a caccia insieme per anni ed è anche grazie a loro inviti se Briony da giovane ha potuto fare esperienza. Devo loro molto, ma non volevo trovarmi di nuovo in una situazione scomoda. Ho accettato l’invito, spiegando che non avrei portato Briony. Mi hanno proposto di lasciarmi una zona in cui cacciare da sola, ma ho rifiutato. Avrei cacciato con loro e con I loro cani. Briony avrebbe fatto una corsa da sola, a fine giornata.

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Quando sono arrivata alla casa di caccia, alle 9 del mattino, sene erano già andati. Il guardiacaccia mi ha indicato dove trovarli, una muta di SEI setter correva su e giù per la collina, ho localizzato subito tutti. Due cacciatori erano sul mio lato della collina e due sull’altro lato. Due cacciatori seguivano due cani e gli altri due seguivano i rimanenti tre. Il sesto cane era sparito. Mi sono accodata ai primi due cacciatore che ho visto passare dalle mie parti, i loro cani indossavano un GPS causa tendenza al vagabondaggio. Gli uomini sono scomparsi così come erano apparsi, i due cani bianchi avevano deciso che era il momento di andare altrove. Il guardiacaccia, sconsolato, è rimasto un po’ con me: il cane bianco mancante stava scorrazzando in un’altra zona della riserva in cui stava cacciando un cliente “importante”. Gli accompagnatori erano tutti impegnati a dare la caccia al cane bianco selvaggio che, secondo me, si stava divertendo un sacco!. Gli altri amici sono poi arrivati insieme ai loro tre setter, li ho seguiti per circa tre ore. I cani si sono dimostrati validi ma lavoravano come un branco, con Vento come capo: tutti gli altri, umani inclusi, lo seguivano. I cani sapevano trovare la selvaggina, fermarla, consentire e riportare ma… era un gioco senza regole. I cani non erano fermi al frullo e non esploravano il terreno con ordine ma, soprattutto, non si preoccupavano del proprietario. Certo, lo aspettavano in ferma perché volevano abboccare il selvatico e sapevano che prima andava sparato ma, una volta che l’animale era caduto e l’avevano abboccato, si dimenticavano subito degli umani.

Tenendo d'occhio
Tenendo d’occhio

Alla fine della mattinata, il gruppo aveva incarnierato 18 capi, tra fagiani e starne, ma si era andati su e già per la collina, dentro e fuori da boschi e roveti, camminando sugli stessi terreni per almeno due volte. Alcuni voletti di starne continuavano a svolazzare avanti e indietro, stuzzicandoci. Quando gli amici hanno deciso di tornare alle auto, io sono tornata alla mia e ho liberato Briony, questo è quanto è accaduto. Appena lasciata la macchina è andata in ferma, mi ha aspettato, ha guidato a comando ed è partita in lontananza una starna, che lei non ha visto. L’ho fermata e poi l’ho invitata a riprendere l’azione. Un’altra starna è volata verso i cespugli. Briony è rimasta immobile e abbiamo potuto ripetere la stessa azione su un terzo selvatico. L’ho lasciata giocare ancora un po’ con le starne (che a questo punto erano tra i cespugli) fino a quando i cespugli sono diventati troppo fitti per consentirmi di tenerla d’occhio. In meno di 20 minuti avrei potuto incernierare tre o quattro selvatici, senza correre avanti e indietro come una cometa, senza GPS e senza beeper. Mi sono poi spostata su un terreno più aperto dove l’ho lasciata correre e ho praticato un po’ di ubbidienza. Altre starne, non disturbate dal cane corretto, erano tranquille nel bosco sotto di noi ma lei aveva già fatto ciò che doveva fare confermandomi che la mia scelta era stata corretta e i sacrifici ben ripagati! Ero davvero contenta!

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A pranzo, quando ho raccontato tutto spigando percéè avevo condotto il cane in quel modo, gli amici erano contenti e colpiti. Qualcuno mi ha chiesto come l’avessi addestrata, ho risposto che era sì stato un lavorone. ma che chiunque avrebbe potuto farlo. Si sono detti più o meno concordi ma hanno poi aggiunto di non avere il tempo per intraprendere un addestramento intensivo. Si è poi passato a parlare di pesca e di lepri fino a quando Briony è ricomparsa nel parcheggio. Era al guinzaglio e non ha fatto nulla di speciale, a parte mostrarsi ben educata e rimanere in SIT ma altri cacciatori sono venuti tutti a vedere il “cane addestrato”. Secondo alcuni di loro sono davvero “fortunata” ad avere questo cane. Certo sono stata fortunata a trovarla quando era un cucciolo paffuto ma, quello che è venuto dopo non è stata solo fortuna. Certo, la fortuna mi ha permesso di avere la mia illuminante esperienza inglese; mi ha permesso di fare domande ed avere risposte, di avere ottimi maestri ma ho avuto anche la mente sufficientemente aperta da accettare di abbandonare un vecchio sistema di convinzioni e di iniziare a lavorare sodo secondo un nuovo schema.

Ps. Se ci sono riuscita io potete farcela anche voi! Pace, Amore e felice addestramento. Sono in modalità hippie stasera!pace-di-flower-power-e-scarabocchi-meravigliosi-di-amore-28515977