La paura dello sparo: ulteriori considerazioni

L’articolo sulla paura dello sparo, come prevedibile, ha suscitato forti reazioni. Diciamo che l’avevo previsto ma… avrei sperato in un filo in più di apertura mentale e, invece,  molti lettori hanno ritenute insensate le conclusioni a cui è giunta l’etologia moderna. Inconsciamente, questa è una scelta di comodo perché è molto più semplice incolpare i geni (la fattrice, lo stallone, l’allevatore…) che prendersi le proprie responsabilità.  Riconoscere il ruolo dei fattori ambientali nella genesi della paura del fucile, infatti, implica assumersi delle colpe, se il cane è un fifone, o darsi da fare se stiamo crescendo un nuovo cucciolo.

Le obiezioni? “Io non ho mai fatto nulla per presentare al cane i rumori, l’ho portato fuori all’apertura, si è alzato un volo di starne, gli ho fatto una scarica di fucilate sulla testa e non è successo nulla! Sono tutte ….. la socializzazione e tutto il resto!” Nell’articolo originario, se l’avessero letto bene, queste persone avrebbero trovato la parte in cui dico che si può essere molto fortunati e ritrovarsi con un cane che non accusa il colpo di fucile, nonostante non si sia fatto nulla di particolare per prepararlo a tanta confusione.  Come mai? Può essere pura fortuna o, può anche essere, il che è molto più plausibile,  che il cane sia stato esposto a stimoli rumorosi senza che ciò sia stato pianificato. Magari avete spaccato la legna in sua presenza, azionato la motosega, il trattore, il toserba, magari è nato in estate e c’erano spesso temporali,eccetera. Cani che vivono in prossimità dell’uomo spesso vengono esposti ai rumori senza che lo si debba fare “apposta”.

Qui si inserisce la seconda critica all’articolo un tempo i cani non venivano esposti ai rumori, né socializzati eppure erano normali”… Questo è un falso mito.  Un tempo, parliamo di quasi un secoletto fa, i cani da caccia erano quasi tutti di proprietà di “signori” che li facevano accudire da personale apposito: è assai improbabile che questi soggetti avessero scarse interazioni con l’uomo. Parallelamente, e più tardivamente, anche persone di medio e basso reddito hanno iniziato ad andare a caccia con il cane, ma si trattava quasi sempre di contadini con il classico segugetto da pagliaio che, comunque, partecipava alla vita della fattoria vivendo a stretto contatto con l’uomo e quindi come rumore.

I  cacciatori appartenenti alla classe media e bassa hanno iniziato, almeno in Italia, ad avere cani di razza a partire dal secondo dopo guerra, direi più spiccatamente dagli anni ’60 e, a quell’epoca, non esisteva nemmeno ancora l’idea dell’allevamento a fini commerciali. I primi grossi allevamenti, alcuni tuttora attivi, stavano gettando le fondamenta ma, in generale, le cucciolate erano ancora cose per ricchi (provvisti di staff specializzato),  o faccende di famiglia, con tanto di pargoli saltellanti attorno ai cani. Cuccioli e uomini, insomma, vivevano a stretto contatto.

Le cose sono cambiate, dopo, con i cani che iniziavano ad essere intesi come fonte di reddito, il che ha portato ad allevarli in maniera più “intensiva”  e la qualità delle cure è scesa:  a volte ci si trova con più cucciolate da accudire contemporaneamente, a volte le strutture in cui crescono sono lontane dai rumori, eccetera eccetera. Anche il cacciatore è cambiato:  c’è chi vive in appartamento e non può tenere il cane in città e lo lascia crescere in qualche recinto isolato in periferia. C’è chi ha la villetta, ma siccome il cucciolo rovina il giardino lo si mette in un box in fondo all’orto. Poi si rientra tardi alla sera, stanchi da lavoro e non si trascorre del tempo con lui, anche se si tratta del figlio di campioni di altissima genealogia, pagato fior di soldi,  e non di un cane da pagliaio qualunque.

Se il cucciolo fosse un meticcetto di paese, forse, le cose sarebbero più semplici per lui: gli appartenenti ad alcune razze canine moderne  sono l’equivalente di un purosangue con la relativa ipersensibilità, se selezioniamo cani reattivi, loro saranno reattivi anche quando ciò diventa scomodo!  I cani, i tempi e i contesti sono cambiati, perché gli uomini si ostinano a non cambiare? Non dovrebbe forse esserci una maggior sensibilità nei confronti del cane? Non dovrebbe, il cane, essere un amico prima di essere un ausiliare? Non dovremmo noi, suoi proprietari, fare qualche piccolissimo sacrificio per crescerlo al riparo da paure, anziché insistere con l’allevatore per avere “un cambio di prodotto”, se il cucciolo sviluppa la paura del fucile? Credo sia nostro dovere morale, viste le moderne conoscenze etologiche, offrire al cucciolo tutte le risorse per aiutarlo a crescere bene e limitare il rischio che si manifestino problemi come la paura del fucile.

Allego, per i curiosi, un articolo de “I Nostri Cani” del 1968 in cui si riportano i consigli del noto  addestratore Gino Puttini. Si parla di paura dello sparo e di come recuperare (e sottolineo recuperare, non scartare!) i cani. Il pezzo ha quasi 50 anni q quindi ci sta che si pensasse ancora alla genetica, sebbene siano ben menzionate anche le cause ambientali, lo ripropongo più che altro come curiosità storica. Si tratta di una foto “stropicciata” perché la rivista è molto debole e non sopravvivrebbe. PS. Non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




Buonsenso e sensibilità

Visto che i lettori sembrano seguirmi in buon numero… proseguo! Il paragrafo di oggi riguarda qualcosa che condivido  e su cui da anni penso (e rimando) di scrivere un lungo articolo ben strutturato. Nel frattempo, accontentatevi di un mio commento a Hutchinson. Dunque… Spesso sentiamo affermare “io ho cani da tot anni…” oppure “io allevo da tot anni”,  “io caccio da tot anni…” eccetera. Premesso che ciascuno di noi è libero di affermare ciò che crede, spesso queste frasi vengono pronunciate come garanzia di grandi capacità nei rispettivi campi d’azione. Guardandosi attorno, però, ci si accorge di persone che fanno una tale cosa da decine di anni ma non hanno ancora compreso come farla bene, in taluni casi non ne hanno nemmeno compreso le basi! Se io faccio una cosa da 40 anni ma sono 40 anni che la faccio male, sono bravo a farla?  Essere impegnati in un’attività da decenni è sicuramente un metodo per accumulare buone occasioni di apprendimento ma… solo se usiamo il cervello. Esempi? Potrei portarne a centinaia, dall’allevatore che dopo 30 anni di cucciolate non ha ancora capito che i cuccioli vanno socializzati, fino al cacciatore che risolve tutto con il collare elettrico, lascia il cane in box 9 mesi all’anno o cambia cane ad ogni stagione perché i suoi cani “non funzionano mai o hanno tutti paura dello sparo”… però costui ha la licenza di caccia dagli anni ’60! Sono due esempi tra tanti per far capire che, fare una cosa da tanto tempo non è necessariamente sinonimo di saperla fare bene!  Dipende terribilmente da quanta intelligenza e da quanta sensibilità sono state Hutchinson 3messe in gioco.

Hutchinson lo dice, ok l’esperienza ma nell’addestramento conta tantissimo capire il temperamento del cane che si ha davanti. Anche io credo questo sia fondamentale: senza il giusto approccio non otteniamo niente. Il giusto approccio deriva, a mio avviso, da una sensibilità innata nel comprendere i cani. Questo è per me una specie di  “istinto” o, se preferite, di “sesto senso”. L’esperienza, la frequentazione di persone abili nell’addestramento canino, le letture, il confrontarsi con altri addestratori e proprietari con umiltà ci permettono senza altro di affinarla e potenziarla ma… è questa sensibilità a stare alla base di tutto.

“A differenza della maggioranza delle altre arti, l’addestramento dei cani non richiede tanta esperienza bensì quella conoscenza dei cani che ti permette di discriminare tra i differenti temperamenti e inclinazioni (direi quasi caratteri) che variano tantissimo, questa dote è molto vantaggiosa.  Alcuni cani richiedono un incoraggiamento costante, altri non devono mai essere puniti, mentre con altri  è necessario usare occasionalmente la frusta al fine di ottenere il necessario controllo.” W.N. Hutchinson Dog Breaking -1865