Quattro passi dentro casa: il non prato a nord-est

Il non prato a nord-est assomiglia molto a un campo da beach volley. C’è tanta, tanta sabbia e solo qualche spavaldo ciuffetto d’erba. Ripensandoci, ci sono anche due o tre margherite. Eppure, è stato un prato, e prima, ancora è stato sia un prato che un orto. L’orto è ben fissato nella memoria: mi mancano le verdure genuine, ma non le zolle da coltivare. Ho sempre schivato l’orticoltura, nonostante fosse la grandissima passione di mio nonno: lui aveva un grande orto rigoglioso che era la meta preferita dei suoi conigli in fuga.  Da bambina ho passato alcune estati coi nonni: in caso di fuga, l’allerta veniva estesa alla famiglia e ai vicini, a cui veniva richiesto di impegnarsi nella cattura, ma io tifavo per i conigli. L’orto di casa l’ho vissuto il meno possibile ma, quando è stato necessario, pena la moria delle piante, ho cercato di provvedere alla sua irrigazione, con esiti quasi sempre disastrosi. La canna dell’acqua finiva quasi sempre con lo sbattermi addosso, così che la terra si trasformava in fango e, per bagnare 20 metri quadri di terreno, mi inzaccheravo fino ai capelli. E poi… Premesso che ho paura di api, vespe e calabroni, vogliamo parlare di zanzare? Avete presente quante zanzare ci siano nella zona di Pavia? Non credo, ma se siete convinti di saperlo, immaginate il numero che avete ipotizzato e moltiplicatelo per quattro. La cifra ottenuta è presente h 24, come il Carrefour, che è sempre aperto, le zanzare moderne non si fanno problemi di orario.  In compenso, amano moltissimo l’acqua se vi mettete a bagnare l’orto arrivano a sciami.  La mia carriera di bagnatrice di orti, infatti, è finita prima di cominciare: i pomodori vanno bagnati dal basso, quell’altra cosa dall’alto, questo va bagnato pochi minuti, quell’altro di più… Che se c’è una cosa che non ho mai sopportato è la terra sotto alle unghie. Ho lucidato cavalli, infilato mani all’interno di bovini, raccolto quintali di deiezioni canine, ma la terra sotto alle unghie mi dà fastidio. Forse dovrei ringraziare le bollette dell’acqua che hanno iniziato a salire e l’orto a restringersi. Ho cercato di salvare un’aiuoletta di fragole, ma i cuccioli hanno sconvolto i miei piani. Le creature hanno anche ucciso il ciclamino, che ero riuscita a fare sopravvivere per quasi 5 anni. Cani, uh? Bell’affare!

Nel non prato, nella parte che fu orto, è anche seppellita una cucciolina appena nata, quella tutta bianca con le orecchie nere che pensavo di tenere per me. Ci sono anche le “tombe” dei pesci rossi. La mia carriera con gli animali è iniziata proprio dai pesci, meno dispendiosi e invadenti dei cani, e dei cavalli, a cui sono passata successivamente. Mi ricordo un funerale fatto per il pesce rosso, che era stato avvolto in uno straccio in cotone (come si fa con i pesci appena pescati) e messo in una scatola di biglietti da visita. Piovigginava, e avevo invitato alla cerimonia un paio di vicine di casa, che credo sarebbero state più volentieri a casa. 

Il non prato è anche l’area dove si stendono i panni. Dovete sapere che io non ho un’asciugatrice e, di conseguenza, ho sviluppato un’adorazione per questi elettrodomestici. In verità ammiro tutti gli elettrodomestici che se la cavano da soli, però… c’è anche una coscienza ecologica e risparmiosa. La Greta che è in me mi impedirebbe di asciugare i panni in asciugatrice durante una giornata di sole, ma se piove?  Per soddisfare la mia passione per le asciuagatrici, da un po’ di anni a questa parte, ogni volta che vado in Inghilterra, mi premuro di trovare una casa con l’asciugatrice. E mi diverto un sacco ad attaccare, contemporaneamente, asciugatrice, lavatrice, forno e asciugacapelli, roba che in Italia ti si fulmina il contatore!

Tornando al non prato, abbiamo, come dicevo, una parte che fu orto, e una parte che fu esclusivamente prato e “area cani”. Questa zona del giardino, infatti, era stata recintata per poterci lasciare il mio primo cane, Tommaso, un meticcio blue belton, mezzo setter e mezzo schnauzer. Tommaso aveva il vizio di scappare “per andare a gatti” (ricordava dove abitavano tutti i gatti del quartiere), così avevamo pensato di creare un’area a prova di fuga in cui lasciarlo quando non eravamo in casa. Mio zio gli aveva anche fatto una cuccia triangolare e post-moderna, dipinta di grigio, cuccia nella quale non credo sia mai entrato.  Non ricordo sia nemmeno stato da solo nella parte del giardino che gli era stata assegnata: stava molto più volentieri in casa.

Eppure, lì c’era un prato e una grossa quercia alla quale, per diversi anni, quando le zanzare giravano solo di notte, veniva attaccata un’amaca. Adesso ci sono delle siepi, dei mughetti, dei fiori LIDL che avevo acquistato come sementi e lanciato in giro a casaccio (perfettamente nel mio stile). C’è anche una recinzione che la “Lillina” cerca ostinatamente di scavalcare, infatti scrivo dal giardino mentre controllo quel che fa. Chi ha ucciso il non prato? Tante cose e nessuna: un po’ lo hanno rovinato i cuccioli, un po’ i muratori, un po’ il gran caldo. Il risultato è una distesa di sabbia che, a sua volta porta sabbia in tutta la casa.  Il mio approccio nei confronti della vegetazione è sempre stato quello di lasciarla crescere come cresce, senza intervenire, però, forse, adesso, il non prato ha bisogno di un supporto, questa volta non solo morale.

È in circostanze simili che riscontro tutti i miei limiti: non capisco niente di prati ma, soprattutto, non capisco perché il prato pubblico, che nessuno cura, sta benissimo e il mio fa schifo? Come va resistere l’erba sugli argini, che resta perfetta anche dopo le inondazioni? Sta il segreto nel limo della Mesopotamia? Sono il Po’ e il Ticino i fratelli minori del Tigri e dell’Eufrate? Siccome l’ultima cosa che voglio è diventare schiava del prato, ho iniziato a raccogliere informazioni sui prati a bassa manutenzione: mi serve un prato che sia resistente quanto una gettata di cemento. Della semenza “prato rustico” usata per re-forestare la parte frontale del giardino, non ho piena fiducia, mi sembra rustica quanto un Milanese fuggito a Cervinia per il lock down.  La scelta è pertanto caduta sulla semenza “Maciste”, un misto di festuca e non so cosa che lancerò in maniera assolutamente casuale e scriteriata tra la sabbia. Il venditore mi ha assicurato che va d’accordo con i cani, che non beve, che vive d’aria e che sopporta sia il caldo che il freddo. Se così sarà, il non prato tornerà ad essere prato.

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Tutti a Prato, nel prato!

La mattina del 26 aprile, ad un orario indecente, sfrecciavo lungo la A21 diretta verso la Toscana. Si trattava di un viaggio semi-programmato: non so perché ma, a naso, avevo deciso mesi prima di andare all’Esposizione Canina Internazionale di Prato. Non Empoli, non Poggibonsi, non Firenze… Prato. Non chiedetemi perché, certe decisioni sono vengono così, da sole.  Una parte di me però non era proprio convinta di andare a Prato, perché Prato era “lontano” così ho cercato di evitare il viaggio iscrivendomi anche all’Esposizione Internazionale di Ferrara ritenendola più vicina (opinioni). Però, a Ferrara le cose non sono andate come si sperava: nessuno sputa su un 1°Ecc ma non è un CAC, e l’inseguimento doveva ricominciare, andando un po’ più a sud.

La Toscana è anche la terra in cui vivono amici che non mi sarebbe dispiaciuto rivedere ma, tra me e l’esposizione di Prato, rimanevano tante incognite. Innanzi tutto era all’aperto e io, da anima rurale, amo le esposizioni all’aperto ma le previsioni meteo non erano per nulla rassicuranti. A caccia o alle prove di lavoro si va senza problemi anche sotto la pioggia ma, in esposizione? Dopo aver lavato e stirato un cane bianco a pelo lungo?  Ero sopravvissuta a due raduni drahthaar innaffiati dalla pioggia ma, vorrete mica paragonare quelle bestiacce irsute alla mia nuvoletta bianca? L’unica mossa intelligente è procurarsi una tenda da campeggio in grado di montarsi e smontarsi da sola.  Faccio così una prima visita alla Decathlon: avverto il commesso che ero solo in avanscoperta e che non avrei nulla fino al giorno antecedente l’expo. Mi mostra una tenda Quechua 2 Seconds apparentemente facile da gestire e mi assicura che è comodissima anche per dormirci dentro.  Segue la mia risposta, categorica”Guardi, l’ultima cosa che voglio fare è dormire in una tenda!” Pochi giorni dopo sono tornata ad acquistarla, sempre convinta a non dormirci dentro però!tenda

All’arrivo trovo il sole e  trovo un parcheggio ragionevolmente comodo, scarico e mi incammino verso il ring. Una volta lì, evito di montare la tenda: non sono interessata a scoprire le mie abilità nello smontarla! Spazi, alberi ed erba rendono subito Prato inconfrontabile con Ferrara. Al di là dei risultati sul libretto, Ferrara è rimasta indigesta sia a me che al cane: troppi cani in poco spazio, ring adatti (forse) a un bassotto, rumore,  confusione: qui è tutto più aperto e più rilassato. Mentre attendo l’inizio dei giudizi, l’altoparlante presenta la giuria e i componenti del gruppo cinofilo.  Ad un certo punto annuncia “Francesco Bini”, presidente, ma come Francesco Bini presidente, io lo conosco! Dovete sapere che a Prato ero convinta di non conoscere nessuno, ricordavo solo Giuseppe Mattei, proprietario del mitico Atz del Viottolo, uno dei drahthaar che ha vinto di più in esposizione. E, invece, ecco materializzarsi un sacco di gente, più o meno nota, a partire dall’inconfondibile Federico Vannucci  con il quale decolla subito una conversazione sullo springer “completo”, altrimenti detto Bello & Bravo. Il povero Vannucci, proprio come la sottoscritta, ammattisce per salvaguardare il pelo di cani da lavoro che lavorano!

Pochi minuti dopo, arriva anche Monica con le kopove (Ape & Vespa) che ho visto nascere e crescere e che ero ansiosa di ritrovare. Sono sempre le stesse: Ape con l’aria dimessa e Vespa, grintosa nella difesa dello zaino (cioè della borsa della spesa!). Le kopo  Infine arriva anche Happy, la kleiner munsterlander di Francesca, mai raduno di razze rare fu così riuscito! L’attesa si conclude con una presentazione dignitosa del cane e, ancora più importante, con un buon risultato conquistato in un ambiente sereno in compagnia di amici.  I cani iscritti in totale erano 783, non tantissimi per un’internazionale, ma adeguatamente gestiti a livello organizzativo (con un gruppo cinofilo solerte nel rimediare errori riscontrati dopo la conclusione dell’ expo). Gradevole anche la scelta degli stand: spiccava su tutti BAU BARU’ una bancarella in cui si trovavano in vendita letti, cuscini e oggetti vari per cani realizzati artigianalmente e con tessuti di pregio. Erano talmente belli che non ho osato chiedere i prezzi, limitandomi a controllare su internet la storia di questa attività. Il titolare è un tappezziere che ha abbandonato poltrone & sofà per dedicarsi agli articoli per cani, articoli che oggi realizza con grande gusto.IMG_7989low

La gestione di cibi e bevande era affidata alla pro-loco di Migliana che aveva sistemato due ampi tendoni con annessa cucina non lontano dal mio ring. Diverse le fiammate in stile “soffio del drago” ma sempre controllate dai grigliatori. Ampio il menù che comprendeva anche piatti caldi appartenenti alla cucina tradizionale toscana. Sottolineo, infine, prezzi equi e massima cortesia da parte del personale. Unica nota logistica che ha suonato stonata… i gabinetti, grande anzi enorme, limite di tutte le expo’ all’aperto. Erano stati posizionati dall’organizzazione dei wc chimici che però, al pomeriggio… beh vi lascio immaginare.

Per il resto tutto perfetto, avrei solo voluto avere più tempo a disposizione per dare un’occhiata anche alla zona “cinese” di Prato che, se non ho compreso male, era limitrofa all’expo’. La prossima volta, magari!