Quattro passi dentro casa: le cornici blu

Le cornici blu, come è giusto che sia, guardano dall’alto al
basso il telo cinese. Sono arrivate prima di lui, molto, molto prima. Ridendo e
scherzando, credo se ne stiano attaccate al muro da almeno una quindicina
d’anni. Sempre nella stessa posizione e sempre sopra la stessa pittura color
malva che mi ha reso inconfondibile tra i commessi del colorificio locale. Che
ci vada di persona, o che mandi l’imbianchino, il contenuto della latta non
deve essere rosa, ma non deve nemmeno essere viola. Guai a virare verso il
color lavanda, è troppo freddo, dobbiamo stare il quanto più vicini possibile
al color malva. Che poi è quasi sinonimo del color erica in fiore: dipende
dalla luce, tante cose dipendono dalla luce. 
A proposito di colori freddi, non credo si vedrà mai una parete gialla
in questa casa, il color malva si abbia perfettamente al blu delle cornici. È
un blu che è tanti blu insieme: distalmente, così diciamo in anatomia, troviamo
un blu abisso, muovendoci verso l’interno, invece, abbiamo un azzurro chiaro
caraibico, commercialmente noto anche come “Bahamas Blue”. Le sfumature sono
interrotte da venature bianco azzurro. Descritte così, le mie cornici potrebbero
sembrare la seconda cinesata nel raggio di pochi centimetri: niente di più
falso, nell’insieme, l’effetto complessivo è piacevole.

Non posso dirvi dove le ho comprate, non perché debba
rimanere un segreto, semplicemente non me lo ricordo: ricordo di averle
comprate io, di questo ne conservo la certezza, ma ho dei buchi nella memria
simili a quelli di un gruviera. Credo provengano da una specie di brico locale,
uno di quelli che da un anno all’altro cambiano nome e proprietà, con
l’assortimento che, tuttavia, rimane all’incirca lo stesso. Però, potrebbero
anche provenire dal brico supremo, quello che sta a una ventina di chilometri
da qui e che non nomino perché mi mette troppa soggezione: è troppo lontano per
pensare di andarci. Ho visto gente rimettere a nuovo la casa durante queste
giornate di quarantena. C’è una casetta bianca, qualunque, lungo il tratto in
cui passeggio con i cani. In meno di un mese la sua recinzione è diventata più
nera, le sue persiane più verdi, e i suoi muri più bianchi. Se non si può
uscire di casa, da dove saranno arrivate tutta quella pittura e tutti quei
pennelli?

Comunque, tornando alle cornici blu, costoro sono un numero
di cinque, non ricordo esattamente il perché. Tre alloggiano stampe di
fotografie dell’inizio del secolo scorso , due invece delle copie di fotografie
in bianco e nero scattate negli anni ’70. 
C’è però un incredibile trait d’union, tutte le immagini portano
dei setter inglesi. Prima di parlarvi delle immagini, devo parlarvi dei passpartout,
perché hanno una storia tutta loro. A comprare una cornice pronta ed infilarci
dentro una foto siamo capaci tutti, ci costa anche molto meno che far fare una
cornice su misura, il problema arriva quando gli abbinate ciò che dovrebbe contenere.
Le anime semplici si accontentano di far combaciare i bordi dell’immagine con
quelli della cornice: la gradevolezza del risultato lascia però molto a
desiderare.  Tutti abbiamo almeno
un’immagine imprigionata in questa maniera, ma… ecco vi lascio i puntini di
sospensione, così potete decidere come pensarla.

La soluzione preferita da
pignoli-perfezionisti-ossessivi-compulsivi? Il passepartout della giusta
tonalità e della giusta misura. Ora che ci penso, perché il beige del
passpartout centrale è più crema degli altri, che danno invece sul corda? Chi
lo sa, ho impattato con l’ennesimo buco del gruviera. Nell’anno di nascita
delle cornici blu non esistevano ancora i tutorial su Youtube, però avrei
potuto aggrapparmi ai ricordi delle lezioni di educazione tecnica delle scuole
medie. Ci ho pensato, ma non ci ho neanche provato: è inutile cercare di fare
il salto dalla teoria alla pratica, se sai già che quanto allungherai la gamba
cadrai prima di toccare l’altra sponda.

Ready for the Call

Se esistesse una classifica del senso pratico, il mio sarebbe sotto lo zero. Con la manualità va un po’ meglio, ma sostanzialmente io sono quella che ha le idee, mi aspetto che siano gli altri a realizzarle. Le mie idee, ovviamente, sono ottime, solo difficili da mettere in pratica. È per questo che i commessi dei brico, i fabbri, gli imbianchini, i falegnami, insomma gli artigiani in genere, preferiscono non avermi come committente.  Ricorrono a mille astuzie per non farsi trovare, ma nulla possono contro la mia determinazione. Mi evitano perché sanno di non poter essere scortesi: negli anni, infatti, ho elaborato un sistema di rottura di scatole raffinato ed efficace, nonché a prova di insulto. Perché se io rompo, usuro, consumo, trito….  ma in fondo sono educata e gentile, anche se vorrebbero tanto mandarmi a quel paese non ho fornito loro le munizioni per poterlo fare.  In fondo sono persino buona: consapevole della mia totale assenza di senso pratico, affermo spesso che il mio coinquilino ideale sarebbe un caporeparto del Leroy Merlin.

Comunque, quando venne l’ora dei passepartout, la vittima
designata fu un anziano corniciao locale.  Con poco entusiasmo, li realizzò, facendomeli
pagare a caro prezzo e poi narrò la vicenda al figlio che ereditò, insieme
all’attività, anche un atteggiamento sospetto nei miei confronti.

Ma arriviamo finalmente a raccontare cosa contengono le
cornici blu, partendo da quella più a sinistra. La prima cornice, vicino alla
finestra e a nord del televisore, contiene una delle due foto anni ’70. Una
setterina che sorveglia un cucciolo di circa tre settimane: l’età l’ho stimata
io.

Con la seconda cornice abbiamo invece la prima foto di William Reid, un fotografo scozzese che risulta essere stato attivo tra il 1910 e il 1931. La “foto” è in realtà una pagina stampata proveniente da una qualche pubblicazione d’epoca. No Holt’s, no Christie’s: l’ho comprata su Ebay. Ora, io capisco il nazionalismo scozzese, capisco la sentita ricerca di identità da parte di questo popolo ma, intitolare l’immagine “Ready for the Call”, azzardatamente sottotitolata “A pack of Scottish Deerhounds on the Hills of the Vicinity of Edinburgh” (un branco di deerhound scozzesi sulle colline nei pressi di Edinburgo), mi pare un po’ tirato. Avete presente che cos’è un deerhound? Se non lo sapete ve lo spiego io: i deerhound sono dei levrieri specializzati nella caccia al cervo. La traduzione letterale del loro nome è segugi da cervo. Sono alti, molto alti sugli arti, smilzi, grigiastri e hanno un mantello duro, arruffato che spara in ogni direzione. Siccome so che è scortese paragonarli allo scopettone del wc, dirò che assomigliano a quelle spazzole irsute e avvitate che si usano per lavare l’interno delle bottiglie. Tolto il paragone politicamente scorretto, a me piacciono persino ma… non hanno nulla a vedere con le bestiole che appaiono nella foto. Abbiamo invece otto, forse nove – c’è una testolina che spunta dietro – cani. Di questi, quattro sono setter inglesi, tre sono pointer inglesi e uno sembra essere un cocker, per non sbagliare chiamiamolo semplicemente spaniel. I cani sono più o meno accovacciati e fermi, a dimostrazione che la steadiness (capacità di restare immobili), non è stata scoperta di recente dagli addestratori scozzesi. Dietro sembra vedersi un lago, più in là la sagoma dei moor.

We are Seven

Un lago fa da sfondo anche nell’immagine contenuta nella
cornice centrale, “A Young Game Keeper and His Nine Assistants, Aberfoyle
Scoltand”
(un giovane guardiacaccia e i suoi nove aiutanti, Aberfoyle,
Scotland). Nove cani, anche qui, che scrutano l’orizzonte immobili in compagnia
di un guardiacaccia che indossa il tweed della riserva, come accade tutt’ora.
Bravo William! Good boy! Stavolta hai azzeccato il titolo.

In quarta posizione abbiamo “We are Seven” (siamo
sette), il cui sottotitolo è “A Scotch Lassie and her half dozen setter
puppies”
. Lassie vuol dire ragazza, non vuol dire Lassie come lo intendiamo
noi. La razza “Lassie” non esiste, il cane a cui è stato dato quel nome, era un
cane da pastore di razza collie. Se siete arrivati fino a qui, e vi siete
persi, ci riprovo: quel cane protagonista di tanti film, era un collie di nome
“Lassie”, ovvero un cane da pastore di nome “Ragazza”. Se questo vi sembra
contorto, a me fa molto francese il contare i cani in mezze dozzine, sapete
come si dice 96 in francese vero? I cuccioli sono sei, con loro c’è una
ragazza, caso, o coincidenza, mi sento tanto io quando zampettavo per il
giardino urlando “Cagnoliniiiiiiii!”, “Cuccioliii” alla mia mezza dozzina.

La quinta cornice è sul confine con la libreria, cioè con una delle librerie, torniamo negli anni ’70, con una setter pensierosa, la stessa che fu mamma nella cornice iniziale. E il cerchio si chiude.

Se ti è piaciuto trovi il pezzo precedente qui e il successivo qui.




Le razze da ferma inglesi in Inghilterra

Un’altra domanda che mi viene spesso rivolta è “come sono i
cani in Inghilterra?”. Cercherò di rispondere razza per razza, illustrando
quelle che sono le mie impressioni, impressioni che inevitabilmente risentono
del confronto con i cani italiani.

Iniziamo dal pointer, la razza da ferma inglese più diffusa.
Non so dirvi quanti pointer inglesi vengano registrati ogni anno in
Inghilterra, ma posso dirvi che la razza ha un buon seguito di appassionati. La
maggior parte dei pointer fa il cane da compagnia, o da esposizione ma, detto
questo, il pointer inglese è anche la razza più rappresentata alle prove di
lavoro. Verrebbe da chiedersi il perché, visto che il clima fresco, umido e
ventoso fa decisamente il tifo per i setter. Eppure, il pointer piace, e tanto,
perché è ritenuto facile da addestrare e da condurre. A un neofita che desidera
avvicinarsi ai cani da ferma inglesi tutti consiglieranno un pointer. Scommetto
che questa cosa vi suonerà un po’ strana dal momento che noi italiani ci siamo
fatti un po’ un’idea (e anche una selezione) del pointer un po’ matto. Grande
cane per carità…. Altrettanti grandi mezzi ma… un po’ difficili da maneggiare.
I pointer inglesi-inglesi, in questo senso sono assai diversi dai nostri.
Qualche appassionato ha importato e introdotto del sangue italiano, che di
fatto ha dato un po’ di “matteria”, ma la maggior parte dei pointer ha sangue
inglese-scozzese o, al massimo, irlandese. Si tratta di cani in genere molto
veloci e decisi, ma meno stilisti dei nostri. Li definirei più pragmatici,
nonché più facili (tranne qualche eccezione conosciuta personalmente) da
addestrare e da condurre. Sono cani affidabili e sicuri, che ho visto fare
molto bene sia su starne che su grouse.  Si tratta di cani sostanzialmente equilibrati
che danno pochi problemi al conduttore, ma che potrebbero non piacere al
pointerista italiano, perché mancano della classica testa “all’Italiana”, anche
la morfologia (pur essendoci una certa variabilità) potrebbe non piacere.
Quanto alla spettacolarità e allo stile, la selezione inglese non ricerca
espressamente queste caratteristiche, ma non mancano i giudici che sanno
apprezzarle e, qualche cane che potrebbe essere gradito anche ai nostri giudici
di fatto esiste.

Il setter irlandese rosso è probabilmente la seconda razza
più rappresentata nei trials, specie quelli corsi su grouse. Ci sono cani di buona taglia e morfologia e altri
oggettivamente “bruttini”, ma che si trasformano appena sganciati. Una volta in
movimento sono cani di grande effetto e di grande avidità. Efficacissimi,
guidano con sicurezza nella forte emanazione della grouse. A volte però sono un po’ troppo spavaldi e sfrullano. Molti
dei setter irlandesi che partecipano alle prove su grouse arrivano con i loro conduttori dall’Irlanda, dove poi
rientrano al termine del circuito delle prove. Piacerebbero agli italiani? Per
cerca, azione e avidità sicuramente, anche se noi tendiamo ad amare la cautela
e la ferma solida dell’inglese, caratteristiche non propriamente “dei rossi”,
che tuttavia se di sangue anglo-irlandese da lavoro sono signori cani da
caccia.

Il setter irlandese rosso e bianco. Purtroppo, ne ho visti
lavorare soltanto due, di cui una da show. Da quello che mi è stato detto,
tuttavia, in Irlanda ci sono ottimi cani che partecipano a prove e vanno a
caccia. Sono meno veloci degli irlandesi rossi e probabilmente meno “scenici”,
ma chi gli ha avuti per le mani ne dice un gran bene.

Il setter gordon. I setter gordon nutrono di un buon seguito
di appassionati, o forse sarebbe meglio dire di appassionate dal momento che
molte donne che inizialmente allevavano solo con le esposizioni come obiettivo,
attualmente portano i loro cani anche alle prove di lavoro. Nella mia
esperienza ho visto più gordon nelle prove su grouse, che non in quelle su starne e nella Novice Stake, che non nella Open.
Le gordoniste sembrano inoltre preferire il circuito di prove scozzesi a quelle
inglesi. Come sono questi cani? Da alcune di queste genealogie nate per le
expo’ sono usciti anche dei campioni assoluti, ma credo che le loro abilità
vadano contestualizzate. Sono cani che ho visto fare bene sul moor, magari in condizioni climatiche
difficili, dove il ragionamento e la cautela sono più utili rispetto alla
velocità e alle grandi aperture. Sono anche cani che vengono presentati sempre
ben preparati e che sono condotti con facilità da chi li presenta, il che mi
lascia pensare a una buona predisposizione all’ubbidienza e all’addestramento.
Possono piacere al cacciatore italiano? Dipende da che tipo di cane desidera avere
accanto e, a mio avviso anche dall’ambiente e dal clima in cui intende cacciare.
Cani di “struttura” e con molto pelo, per giunta scuro, potrebbero essere messi
in difficoltà da giornate calde (che purtroppo oramai si prolungano fino ad
autunno inoltrato), terreni aridi, rotti e selvaggia scarsa.

Accanto a questi cani ci sono i gordon “da lavoro” in senso
stretto, caratterizzati da morfologie un po’ eteorogenee (alcuni sono assai
tipici, altri meno), ma da un’azione più briosa. Alcuni di questi cani hanno
sangue scandinavo. Come andrebbero da noi? Non so dirlo con certezza in quanto
il setter gordon, nella realtà italiana è sempre stato, e probabilmente
continuerà ad essere, un cane da amatori, un cane di forza, più che di
eleganza, la cui azione è sempre un po’ a cavallo tra quella dei continentali e
quella degli inglesi… più spinti.

Veniamo infine al setter inglese, che lasci per ultimo non perché
è la mia razza preferita, ma perché non è una delle razze più popolari nei field trials. In un mondo che gira all’incontrario
sono forti i numeri dei pointer e deboli quelli degli inglesi. I setter inglesi
che si vedono nei trials sono
essenzialmente di tre ceppi: ceppo inglese (a volte con qualche goccia di
sangue irlandese); ceppo continentale (con sangue prevalentemente italiano,
misto francese), ceppo inglese incrociato con il ceppo continentale e ceppo
irlandese (sangue irlandese e scandinavo – generalmente condotti da esseri
umani irlandesi). L’importazione di sangue continentale è stata essenziale a
causa della ridotta variabilità genetica del ceppo inglese. Oggi si vedono così
in campo tre tipi di setter che si differenziano per taglia (più strutturati e
alti sugli arti i cani inglesi), movimento e stile di lavoro. I cani inglesi e
irlandesi sono più fluidi nella guidata, più esitanti i cani di ceppo
continentale ma, se si leggono testi di cinofilia venatoria britannici, il problema
della ritrosia a guidare (ricordo che loro pretendono che il cane guidi a
comando, immediatamente e senza aiuti) è da sempre presente nella razza e
indotto dall’indole più cauta e “felina” di questi cani. Sempre il temperamento
e la loro sensibilità non li fanno ritenere, dagli inglesi, la razza più facile
da addestrare.

Ai trials si
vedono sia ferme erette che ferme schiacciate, a seconda delle genealogie che
stanno dietro al cane, lo stesso dicasi per i galoppi. Buona la velocità e l’ampiezza
dell’azione, per quanto riguarda lo stile, dipende da cosa si cerca: i cani con
sangue continentale possono essere molto simili ai nostri per prestazione, i
cani irlandesi invece possono essere diversi, ma dare vita ad azioni
altrettanto spettacolari. Il setter inglese e il pointer, per lo meno nella mia
esperienza personale, sono le razze che meglio interpretano le prove a pernici
(starne).




I Tre Stili di Giacomo Griziotti

I Tre Stili di Giacomo Griziotti– Rassegna Cinofila n. 11- Novembre 1932

(Trascrizione a cura di Maurizio Peri)

***

Ricordo di avere, altrove, in altri tempi e seguendo, indegnamente, le orme di illustri maestri quali il Caillard ed il Matteucci, parlato della differenza essenziale tra lo stile di lavoro del setter e quello del pointer. Se, in genere, ed almeno in Italia, questa differenza è ammessa, riconosciuta ed apprezzata, ho notato invece, per quanto riguarda le caratteristiche di lavoro delle tre varietà di setters inglese, scozzese ed irlandese, una tendenza unificatrice, assimilatrice, quasi le tre razze avessero lo stesso modo di camminare, fermare, etc..

Ebbene no, signori miei, tra lo stile di lavoro delle tre varietà di setters vi è forse ancora tanta diversità quanta ne intercorre tra quello del setter e quello del pointer. Ho visto magnificare setters scozzesi ed irlandesi che fermavano a terra strisciando sul ventre come serpi. Bellecroix stesso descrive un setter irlandese “couchant”.

Comunemente si dice di un cane “è molto setter”. Sta bene. Ma se questa espressione può rendere l’idea di quella particolare molle elasticità di movimento che caratterizza tutte le varietà di setters, è però troppo generica e non fa rilevare le speciali caratteristiche di andatura e di ferma che sono proprie di ciascuna varietà, caratteristiche che sono il portato della diversa costruzione e del diverso temperamento di esse.

Nel 1931 correvano nelle nostre prove italiane due setters scozzesi uno dei quali fermava completamente a terra, King of Pavia, l’altro ben eretto in una posa statuaria ed imponente, Mogol dell’Apulia. Ebbene. Alcuni giudici magnificarono l’uno e buttarono giù l’altro e viceversa. E’ ammissibile questo? Io direi di no!

Ma l’esempio tipico di grande attualità è dato dal ben noto setter scozzese Prenz di S. Anna. So di toccare un tasto delicato ma vi sono costretto dall’evidenza e dalla popolarità dell’esempio e non da spirito polemico. Ora, Prenz di S. Anna è, indubbiamente, un cane eccellente, non comune, per andatura, olfatto, ferma, consenso e, soprattutto, equilibrio ma, per quanto riguarda lo stile, specialmente di ferma, è un perfetto setter sì ma inglese. A sostegno della mia asserzione invito i miei pazienti lettori che non avessero visto il cane al lavoro a confrontare le sue numerose fotografie apparse sui giornali e riviste cinegetiche con quello dei trialers setter inglesi di maggiore stile. Ci ha fatto, pertanto, meraviglia che il giudice belga Huge abbia potuto dichiarare che Prenz di S. Anna ha il miglior stile gordon che egli abbia mai visto.

Mi si potrà dire che vado troppo sottilizzando. Io ripeto che Prenz di S. Anna è un cane eccellente e che ha pienamente meritato gli allori che gli sono stati tributati, ma se mi si dice che Prenz di S. Anna ha un grande stile gordon, io dissento. Se si può, talvolta, transigere in omaggio al complesso dei meriti di un cane, su certe sfumature, quantunque, in gara classica, esse siano fondamentali, non bisogna però perdere di vista quelle che sono le principali caratteristiche di lavoro di una razza e giacchè ci siamo, diamo una rapida corsa a queste caratteristiche.

Il lavoro del setter inglese è ormai indiscusso, canonizzato ed è caratterizzato da grande contrazione, da pose a terra o pres de terre con tronco incassato tra le scapole, angoli chiusi, arti raccolti sotto di sé pronti a scattare, coda bassa. Una sola linea dal tartufo alla punta della coda. Richiamiamo i numerosi quadri e fotografie di Banchory Jim e la nostra figura n.1 che è ispirata appunto ad una di quelle fotografie.

Banchory Jim

Lo stile di ferma del setter scozzese o gordon non ha nulla a che vedere con quello del setter inglese. Quindi niente pose schiacciate, feline, ma ben erette, dominanti, muso al vento, coda diritta oppure leggermente rialzata, poca contrazione. La contrazione è sostituita nel gordon, come nel bracco, dall’imponenza statuaria, dalla maestosità. Vedi figura n.2.

 

Figura 2

Le ragioni di questa differenza, oltre che nel diverso temperamento, risiedono anche nella diversa velocità. Il setter inglese, più veloce, avverte più all’improvviso e si schiaccia oppure si precipita a terra con una breve strisciata. Il setter scozzese, più lento, avverte più incerto e più da lontano e arriva alla ferma dopo più lunga filata e dopo aver meglio riflettuto ed essersi maggiormente assicurato. E’ naturale quindi che abbia poca contrazione.

Il setter irlandese poi ha una posa di ferma affatto propria, caratteristica, inconfondibile. Posteriore basso schiacciato, quasi trascinato, coda bassissima, quasi cadente fra le gambe, anteriore invece ben eretto. Anche qui poca contrazione, almeno nel corpo. Ne vediamo invece nel collo e nella testa quest’ultima leggermente inclinata verso terra con una espressione graziosamente curiosa. Vedi figura n. 3.

Figura 3

Mi si dirà che non è possibile standardizzare in modo così assoluto. Lo ammetto, ma io ho voluto soltanto tracciare dei modelli e non è da pretendere che le copie riproducano pedissequamente gli originali. Certo è che, di regola, i setters scozzesi ed irlandesi non devono fermare a terra, mentre i setter inglesi non devono fermare eretti o almeno completamente eretti.

Perché?

Confesso che mia convinzione, quantunque concordi con quella di eminenti cinofili, è però basata piuttosto sulla pratica, su impressioni, su ragioni d’intuito e che potrebbero essere tacciate di soggettività e di empirismo, ma la ragione vera, concreta, ebbe ad indicarmela un giorno il collega Cav. Pastrone, vero studioso in materia e che ha approfondito la questione . Ed è questa.

Il setter inglese discende dall’epagneul, dal “chien couchant” originario della Navarra dove, diversamente di quanto accadeva in altri paesi si usava la rete a strascico (tirasse) che veniva tirata dall’indietro in avanti e passava necessariamente sopra il cane, coprendolo anche talvolta. Il cane doveva, quindi, ed era anche, appositamente, abituato a fermare a terra per non ostacolare il movimento della rete.

Questo fatto, unito anche ad una naturale tendenza, ha abituato, a poco a poco, l’epagneul a fermare a terra e questa qualità, tramandata di generazione in generazione, è passata poi nel setter inglese. Ora, per quanto quest’ultimo, come tutte le altre razze, abbia subito incroci (sia pure a scopo di miglioramento) deve, tuttavia, conservare tracce evidenti di quella tendenza atavica. Il cane non fermerà più a terra, posa non sempre elegante, ma fermerà almeno schiacciato, diversamente si dovrà concludere che nella razza non vi è stato soltanto razionale incrocio, bensì totale assorbimento.

Scrivo questo solo per illustrare le vignette dell’amico Coppaloni, giovane ma valente cinofilo, quantunque esse siano già di per se stesso eloquenti più delle parole. In esse si sono forse, ma ad arte, esagerate le caratteristiche per rendere più evidenti le differenze.

Non ho la pretese di dire cose nuove, solo non credo inutile ricordare questi essenziali canoni differenziatori delle varie razze di setters, canoni che, purtroppo, sembrano, molte volte, totalmente sepolti nell’oblio.

Pavia, 18 novembre 1932 XI                                                                      Giacomo Griziotti

Altri materiali storici sul setter gordon sono disponibili a questi links:

Gino Pollacci, Duca di Gordon

Brevi appunti sul setter nero fuocato di Rino Radice




I Pointers e i Setters in Inghilterra nell’anno 1928 – di G.Horowitz

I Pointers e i Setters in Inghilterra nell’anno 1928 di G.Horowitz

Tratto dal Bollettino del Kennel Club Italiano – Marzo 1929

Il fatto che i nostri Pointers e Setters continuino a conservare anche pel 1928 popolarità considerevole nel nostro paese è specialmente dovuto a qualche entusiasta del nostro mondo cinegetico e al numero maggiore dei nostri espositori. È sorprendente che la popolarità del Pointer e del Setter sia più grande all’estero che in Inghilterra, e all’estero il loro numero è più grande che da noi; ciò nondimeno questi medesimi paesi amano ricorrere a noi per comperare i nostri migliori rappresentanti delle due razze per “rinfrescare” gli esemplari che essi possiedono. Questo è dovuto, in parte, al fatto che il nostro clima è talmente variato che i nostri Pointers e Setters possiedono maggior vigoria di quelli nati ed allevati nei paesi caldi, in parte, per merito delle nostre grandi esposizioni, quali quelle del Kennel Club e di Cruft, nelle quali si possono ammirare i tipi più perfetti, e inoltre, per merito delle nostre società di « field-trials » che sono sostenute da entusiasti e che fanno in modo che Pointers e Setters siano provati su selvaggina libera.

Tutto questo sommato permette, agli stranieri disposti a pagare buoni prezzi, di conoscere e scegliere il cane che loro meglio si adatta per mantenere la razza nel loro paese.

É noto che gli Stati Uniti dell’America del Nord possiedono molto sangue eccellente Pointers e Setters, avendo assorbito molti dei migliori cani del fu signor A. T. Williams (canile celebre di “Gerwn”) e del fu colonnello Cotes (canile celebre dei “Pitchford”) oltre a filoni di sangue d’ altri canili inglesi.

In America l’energia fisica nei Pointers e Setters è fortemente considerata, e questo fattore è difficile mettere a prova nel breve tempo accordato nei “Field Trials” nel nostro paese. Pertanto è un requisito della massima importanza in queste razze — il 50 per cento del valore di un Pointer e Setter considerato come field — ed è talmente considerato importante oltremare che, alle prove americane, l’energia fisica costituisce una delle prove principali.

Il fatto che gli americani diano un valore così alto all’energia fisica è senza dubbio dovuto alla natura estesa e aperta del paese nel quale i loro cani sono al lavoro su selvaggina e su quaglie.

Un Pointer od un Setter troppo piccolo non può mantenere l’andatura e lo stile come un soggetto di più grande taglia, possedendo quest’ultimo un passo lungo, facile, elastico che gli permette battere della rude brughiera e del terreno che presto faticherebbero e fiaccherebbero un Pointer o un Setter di piccola taglia.

Se noi diamo un colpo d’occhio alle opere scritte verso l’anno 1760, noi rileviamo con facilità che i cani dell’epoca erano dei Pointers e dei Setters e piuttosto i primi dei secondi, poiché il loro pelo corto permetteva di meglio sopportare il lavoro evitando il fastidioso arruffarsi del pelo con lappole e semenze.

Curioso il fatto che in America, pur dando valore al pelo del Setter, lo si rasi ben corto nelle epoche di lavoro

Circa cento anni fa, quando le biade venivano mietute a mano e le stoppie lasciate assai lunghe , era necessario avere un cane che rispondesse ai requisiti descritti oltre ad una ferma solida, i primi per trovare le pernici, la seconda perché rimanesse fermo durante il tempo necessario a ricaricare il fucile a pietra ad un sol colpo. Era questo un processo piuttosto lungo se si pensa che la polvere doveva essere misurata e versata nella canna, la borra giustamente adattata, seguita dalla misura dei pallini, un’altra borra leggermente pressata, la bacchetta rimessa a posto, il foro al bacino della ricarica ripulito e riempito di polvere d’accensione là dove la pietra focaia batte.

In quei tempi solo una perfetta combinazione di buoni cani e di accurata preparazione poteva portare al successo. Fra parentesi, verso l’anno 1750, si usavano cani di una razza speciale per la caccia al fagiano nel bosco molto folto.

Attualmente i Pointers sono i più popolari sul Continente, nell’Africa del Sud e in America, dove le condizioni del terreno permettono il completo impiego buon cane e, soprattutto, dove si trovano quaglie.

In Africa del Sud si incontrano molti cani da caccia eccellenti e buon numero di “Pointers Espagnols” neri; che erano molto popolari circa trenta anni fa; di costruzione piuttosto ordinaria ma con andatura meravigliosa.

Il “Veldt” è essenzialmente il luogo dove il Pointer è necessario se si vogliono ottenere risultati dello sport con le differenti specie di «Francolini», “Khoorhan” e di “Galline faraone” che tutte offrono dell’ottimo sport se si cacciano montando buoni ponies da caccia e coll’ausilio di buoni Pointers.

In Inghilterra l’allevamento di Pointers e Setters sarebbe estinto se la loro esistenza dipendesse solamente dalla caccia; ma fortunatamente vengono impiegati ancora molto in parecchie parti della Scozia per la caccia alla “grouse”, benché, anche là. la stagione nella quale la “grouse” si presta alla caccia col cane è cosa così breve che diviene ben caro il tenere un canile a quel solo scopo.

Sulhamstead Sheilin d’Or

Coloro che sostengono le prove sul terreno sono gli amatori del Pointer e del Setteer ed è grave danno che le prove non possano essere tenute tutte durante la stagione di caccia, quando cioè è possibile come nel passato sparare alla selvaggina. Coll’agricoltura moderna ciò è impossibile, infatti: le stoppie del 1928 potevano appena dirsi coperte, causa le moderne mietitrici che rasano quasi completamente gli steli e l’intero sistema di coltura dei campi e dei pascoli è cambiato. Una delle nostre Società d Field Trials , la “Devon and Cornwall Society” trova modo di far correre le sue prove al principio della stagione di caccia, e l’anno scorso queste field trials furono certamente molto più interessanti di quelle corse al principio di primavera su pernici accoppiate e sul punto di nidificare. Senza dubbio ai nostri tempi è molto importante abbattere la selvaggina sotto ferma. Un Pointer od un Setter potrà sovente restare correttamente immobile sul selvatico bloccato, e sul selvatico alzatogli sotto ferma, ma gli stessi soggetti potrebbero essere tentati a rompere su un selvatico abbattuto. È vero che una fucilata vien sparata a salve per provare l’immobilità e l’eventuale paura della detonazione, ma troppo di sovente questo colpo di fucile parte da una certa distanza, ciò che è ben differente di due fucili che, può darsi, impieghino le quattro canne contro un branco levantesi abbattendo tre o quattro individui.

Ciò nonostante, i field trials, quale che sia il posto e l’epoca in cui vengono tenuti, ci mettono in grado, entro certi limiti, di scegliere i migliori cani pel primo, secondo e terzo posto in classifica, e frequentemente la prova esibita viene reclamizzata. Così nelle prove della primavera del 1928 il cucciolone di setter inglese “Stylish Switcher”, del signor Sharpe, guadagno il 12 aprile e otto giorni dopo conquistò la vittoria alle prove del Kennel Club; fu secondo nella seconda giornata nella gara per cani di ogni età, nel quale il primo posto toccò alla Setter irlandese femmina campione in prove “Sulahmstead Sheilin d’Or”.

Fu questo un ottimo successo per un cucciolone, che attualmente si trova in Italia, dovrà portare vantaggio alla razza dei Setters inglesi.

Il modo accurato con il quale furono tenuti i pedigree e col quale venne selezionato l’allevamento nel passato, ha molto contribuito a metterci in grado di sostenere la nostra posizione, ma i grandi canili di “Pitchford” (colonnello Cotes) che aveva origine dall’antica linea di Pointers di “Woodcote” e i canili di W. Arkwright lasciarono un grande vuoto nel nostro allevamento.

Il Setter irlandese, quale cane da lavoro, è molto popolare in Irlanda, per la caccia al beccaccino. Più di 1400 sono stati registrati nei libri del Kennel Club durante l’anno scorso (1927 n.d.r.) contro meno di 600 fra Pointers e Setters inglesi.

Io spero, in un mio prossimo articolo, dire qualcosa sui Retrievers e sugli Spaniels in Inghilterra nel 1929

G. HOROWITZ




Miracles happen at Sandrigham: Norfolk Trials

Almost three months later, I am finally here to write down what happened. On Sept 7th 2017, in fact, Briony won Novice Stake on Partridge at Sandrigham, organized by the Pointer Club of UK. Some might argue that, well, it’s “just” a Novice Stake, but for me it is a great achievement. Briony is not my first English Setter, I got the first one, “Socks” (Slai di Riccagioia),  in 1999, but he was a rescue and he came to me after having be discarded by a “pro” trainer and with a bag full of behavioural problems. In his own way, he was a smart dog, we managed to go hunting alone together (he did not want men with shotguns around him), but there was no way I could rehab completely and train him for trials. I had not enough  skills, nor  experience,  and he would not have dealt well with formal training sessions.  He,  however, opened me new doors as we started training for rough shooting and I got a firearms and hunting license. I met people, got new friends and spent many years rough shooting over English Setters and other pointing breeds up and down the hills of the Northern Apennines. I, somehow, had the chance to watch- and shoot over- hundreds of dogs  during those years, and it was  an incredible experience. I also began attending trials and to work for canine and shooting magazines which lead me to meet breeders, judges and handlers…

Socks (Slai di Riccagioia) my first ES

After his death, when I started looking for another setter,  I had very clear ideas about what I wanted in my next dog, but not so clear ideas about where to find her! It took months, but I finally located my litter and my puppy, on a farm on the Swiss Alps, not too far from Sankt Moritz (posh dog!). I knew what I needed to know about Briony’s dad, but mum was quite a surprise: she was beautiful, gentle and smart. She came with us heeling off lead to the small village’s café and then sat quietly under the table. I loved that, as well the whole bloodline registered in the pedigree and the parents’ health clearances. When I brought Briony home, people thought she was cute, but too expensive, and that I was going to “ruin” her, training her in my own way and socializing her too much. I just thought she was a terrible pup who did not like me at all. It took quite a while to become friends, probably she was just testing me to be sure she was in good hands!

Ansa del Simano, Briony’s mum

First day of 2017 hunting season

She was naughty, but smart, and she quickly developed in a good hunting companion. Sometimes she had a mind of her own and sometimes  she was not the easiest dog to handle, but she surely did not lack of determination and bird sense. She was, and she still is,  strong willed and sensitive at the same time. Thanks to friends, we had access to some private estates where she could meet much more birds that she could have met on more affordable – by me –  public grounds. Other people introduced her to woodcock and, I still remember the day, with my surprise, she pointed her first snipe. During these hunting seasons, she learnt to work with other dogs and we worked a lot on backing and on remaining steady on point. I must admit I had good teachers, and that skilled hunters helped us to locate birds, but steadiness to wing was not required. Hunters here want the dogs to be steady on point, but after the bird flies,  all they wish is to hit it, none cares anymore about the dog.

In the meantime, as she also grew prettier, I entered her at a dog show that took place nearby and, to my surprise, she was awarded a RCAC (RCC), so I decided to continue on this road. Briony, however, had other plans and after a stressful indoor show, she decided she wanted  to end her career  as a show dog. She had already a CAC in her pockets and I did not want her journey to end. I am not a show person, and I consider dog shows boring, but I wanted to prove that a good looking working dog, from working (mountain hunting and mountain trials) bloodlines, could make it. So, we went together to take handling lessons with Richard Hellman, a great handler and a great person. Briony seemed to enjoy the lessons and, in August 2015, she became a Show (full) Champion.  I also think that having learnt to face the ring she somehow increased her self esteem.

Briony first dog show… RCAC

Field trials were next on my list, but there was a HUGE problem: I did not want to send her away for training, nor to hire a professional trainer as people normally do here. I wanted to train and handle Briony by myself, easier said than done in Italy where field trials are dominated by male professional handlers. But, thanks to an unexpected series of coincidences, in the summer of 2015 I ended up watching the Champion Stake for Pointers and Setters in Northern England and… I had an awakening! I saw some “ordinary people” handling their dogs to a very high standard and I saw very obedient setters! I was used to see very obedient Drahthaars (GWPs), but the average Italian Setter is usually quite a wild critter! I could not believe setters could be that obedient and, as naïve as it might sound, I was impressed.

Dorback Estate, Scotland, training with gamekeeper Brian

Briony herself was pretty wild at the time and her nickname was “Tigress” but, again, unexpectedly, a good mentor came to us. You can read more about Briony’s taming for field trials and about “White Feather” clicking here but, in a few words,  I would describe her  training a demanding task,  it was equally rewarding though! It took a while to tame “Tigress”, but as soon as she decided to cooperate, she became impressively reliable and well behaved. This is how we ended up on the moor in the summer of 2016, and this is how my passion for British trials developed even further (you can read more here).  Our first experience with grouse was not that bad: she always behaved and she kept improving but paid her inexperience with grouse during the English Trials and she paid my inexperience with trials in during the Scottish – and the English- trials. She still needed some fine tunings but, overall, I could not complain. At the end of the circuit, I went home with no awards but determined to save money and to go back in 2017.

Haughton Hall, roading a hare :-)

But, when the time to go again on the moors was close to come, I had to withdraw all my entries as Briony anticipated her season. I wasn’t happy, I was quite disappointed, no… honestly… I was quite upset, but there was not much else I could do. Some friends, however, tried to cheer me up advertising September trials on partridge. It is easier to get a run, they said, the atmosphere is very relaxed, they added and… we are going to run  at Sandrigham Estate, on Queen Elizabeth II’s  grounds, they  concluded. I must admit the last thing they mentioned was very tempting: it was thanks to such a good advertisement that  I decided to bet on partridge trials in Norfolk. That was a brave bet, I shall admit, as I was perfectly aware they were going to be more difficult than grouse trials. While gathering information, I learn that: 1) during the first round, usually on stubble, dogs were going to be evaluated mainly for pace, style and ground treatment and that 2) “a few” hares were going to be present. Uh, I was forgetting the sugar beet! So well, while I was going to do my best to show up with a well behaved dog,  going there to win was not surely  written down in my agenda. I just wanted to be there, see people, get to know things better, learn more and feel part of a world I like.

Briony started the circuit well (we went to the 2nd round in 4 trials out of 9) and, even if, we could not find any birds on our paths, she was behaving well and respecting hare nicely (I do not have hare here, just rabbits and cats to train on). I was happy, we were learning more and enjoying the social side of September trials : I do not drink, but I was always at the pub! It was nice to see friends doing well and, especially after IGL Snettisham trials , when no awards were given, I was super happy to see Rhia (Tapper) and Sara (Chichester) receiving the Gun’s Choice rosette. Trials proved to be as difficult as I expected: while there were plenty of hare, feathered wildlife was scarce or, should I say, very  smart and very professional at hiding. On Thursday, 7th of September, (Pointer Club trial  at Sandrigham) I was number 13 AND the bye dog (quite a scary combination), but she did well in the first round, and well again in the second,  so I knew I was going to get “something”, but I did not know what.

When the secretary announced that I had won First Prize, I could not believe it and indeed, the Vaux Silver Tankard, fell from my hands a couple of times! It was like living in a Disney movie and this article should have explained you why. She is the first dog I have ever trained for trials, and I trained her all by myself. Yes, many wonderful people helped me through the journey (in Italy and in the UK, and I am grateful to them all),  but I have always been the one in charge. I am just a normal person with limited training opportunities coupled with a high degree of stubbornness and self discipline which surely helped. This is why everything that could sound normal to someone else, is so special to me,  and yes, winning an award at Sandrigham confirms that Briony is a posh dog!

Me, Alan Goodship (Queen Elizabeth’s dog trainer) and the fallen trophy

Ps. I promise I will also write on other dogs  – and not just on mine – as there will be more articles on September trials,  (all partridge trials  rusults can be downloaded here) in the meantime, if you have a chance, take a look at the research project I am working on for my Veterinary Medicine dissertation.

Still curious about British trials? Check the section A Month on the Moor or click here.




Lady Jean Fforde of Isle of Arran Kennels – An Appreciation by Jon Kean

Herewith a tribute to Lady Jean Fforde who has passed away on 13th October 2017,  3 weeks before her 97th birthday by Jon Kean

I first met Lady Jean in the 1970s – appropriately enough it was on the grouse moors in Perthshire. Janette and I were there just to spectate at the field trial and find out more about working Pointers and Setters. Lady Jean immediately put us at ease and explained what was happening at the trial. My one abiding memory from that day was the unusual footwear Lady Jean sported. It was a pair of sandshoes (baseball type) with the words “Skateboard City” emblazoned on the side. Her great friend Mrs Patience Badenoch Nicolson was there too. Their guidance inspired me to find out more about working Pointers.

From that day, friendship developed and I learned so much from Lady Jean and Patience about working Pointers. After a while, I asked Lady Jean if it would be possible to purchase an Isle of Arran Pointer. My wish was granted! In historical terms, the Pointer kennels were among the first, if not the first, to be registered by her grandfather at the Kennel Club when it was formed. In 1983, I brought back from Arran two male puppies from Lady Jean’s litter, sired by Moanruad Aron (the late John Nash’s Pointer) and Isle of Arran Neillia (litter sister of the 1981 Champion Stake winner FT CH Isle of Arran Larch, handled by Mrs Marcia Clark). I reared Isle of Arran Micha and the brother Isle of Arran Gideon was bought by Duncan Davis from the North of England. The rest, as they say, is history. Gideon duly became a field trial Champion and Micha (pet name Duke) won the Champion Stake at Bollihope Moor in County Durham in 1989. Duke was a fantastic Pointer for our shooting trips to Garrogie Estate, owned by Charles Connell in Invernesshire. Apart from his game finding ability, Duke’s great attribute was his stamina and endurance. He had the strength of 3 dogs.

Lady Jean Fforde and Jon Kean – Champion Stake 1989

Lady Jean and Patience were hugely influential people in the Pointer world. They were always willing to help and offer advice to anyone interested in working gundogs. One day, I was called aside for an informal chat. Lady Jean told me: “Patience and I both agree that you need to put something back into the sport. We think you should take on the role of Honorary Secretary of the Scottish Field Trials Association.” I was duly appointed in 1986 and have done the job of Secretary for the Pointers and Setters ever since.

Looking back, there were many famous Pointers with the Isle of Arran prefix. The list is endless – Isle of Arran African Queen, Scotney Isle of Arran Regent, Isle of Arran Juno, FT CH Scotney Isle of Arran Jack, Isle of Arran Minoru, FT CH Isle of Arran Dice, Isle of Arran Lilly. Lady Jean’s favourite was FT CH Isle of Arran June, a beautiful orange and white bitch. In Lady Jean’s memoir, she wrote: “ June became the dog of my life – I adored her! Considering she was the first dog of any kind I had trained myself, she was a miracle. I trained her by phoning Patience Nicolson week by week, and asking for instructions.”

Lady Jean was President of the Pointer Club of Scotland since it was founded many years ago. She had many, many interests outwith the world of field trials. She was a keen gardener, for example. Her parents brought back many rare plants from their trips throughout the world. On our visits to Strabane, her home at Brodick, Lady Jean gave us a guided tour of the gardens. On one visit, Lady Jean told us she would be sending her friend to collect us from the ferry at Brodick. The friend just happened to be Richard Todd, the Oscar-nominated actor best known for war dramas like The Hasty Heart, The Dam Busters and The Longest Day.

She was also involved with the RNLI and the Red Cross. She was an artist. Lady Jean wrote fascinating memoirs – Castles in the Air and Feet On the Ground – From Castles to Catastrophe. In those books, we discover she spent part of her life in India, Palestine, Sierra Leone, Northern Rhodesia and of course her beloved Isle of Arran. It was at the Government Code and Cypher School at Bletchley Park that Lady Jean joined the army of women who cracked the German code to save countless lives and shorten the war by at least two years.

Lady Jean’s mother was very keen on taking cine films of life on Arran, which included stalking and shooting over Pointers on the island from the 1930s onwards. A couple of years ago we spent a lovely afternoon in Strabane viewing some of the reels of film, and they are fascinating to watch.

Lady Jean sent me a gift of the book called Training Setters and Pointers for Field Trials, by Professor John Beazley, Alf Manners and Arnold White-Robinson. It is signed : “To Jon. Wishing You every luck in field trials with your puppy. Jean Fforde 1981.” I have used this book as a guide for seminars ever since.

In 1982, Lady Jean asked me to show her Champion Stake winner, Larch, at Crufts in London. This I duly did and was thrilled when the Judge Mrs Kitty Edmondson awarded a prize to Larch. Unbeknown to me,Lady Jean’s best friend , Princess Antoinette of Monaco, was a surprise visitor at the ringside at Crufts.

I will always have great memories of Lady Jean. Our last visit to Lady Jean was in July this year. She was in good spirits and very keen to hear news from the world of Pointers. RIP Lady Jean.

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The Pointer by Arthur Croxton-Smith

From the book The Power of the Dog (1910)

The Pointer

His nostril wide into the murky air,
Sagacious of his quarry from so far.

Milton—Paradise Lost

tiff by the tainted gale with open nose,
Outstretch’d and finely sensible, draws full,
Fearful, and cautious, on the latent prey;
As in the sun the circling covey bask
Their varied plumes, and, watchful every way,
Through the rough stubble turn the secret eye.

Thomson

The respective virtues of the Pointer and Setter have been discussed without stint for many years, the advocates of each retaining their opinions uninfluenced by the arguments on the other side. It may not be known that no less a person than Sir Walter Scott once had a mild hand in the game. In “St. Ronan’s Well,” if you turn to the account of the dinner party which led to much ill-humour, you will find these remarks: “The company were talking of shooting, the most animating topic of conversation among Scottish country gentlemen of the younger class, and Tyrrel had mentioned something of a favourite setter, an uncommonly handsome dog, from which he had been for some time separated, but which he expected would rejoin him in the course of next week. ‘A setter,’ retorted Sir Bingo with a sneer; ‘a pointer, I suppose you mean?” ‘No, sir,’ said Tyrrel; ‘I am perfectly aware of the difference betwixt a setter and a pointer, and I know the old-fashioned setter is become unfashionable among modern sportsmen. But I love my dog as a companion, as well as for his merits in the field; and a setter is more sagacious, more attached, and fitter for his place on the hearth-rug, than a pointer—not,’ he added, ‘from any deficiency of intellects on the pointer’s part, but he is generally so abused while in the management of brutal breakers and grooms that he loses all excepting his professional accomplishments, of finding and standing steady to game.'”

Sir Bingo could not understand why one should wish for anything more. He never before heard that a setter was fit to follow any man’s heels but a poacher’s. Tyrrel’s point was that “many people have been of opinion, that both dogs and men may follow sport indifferently well, though they do happen, at the same time, to be fit for mixing in friendly intercourse in society.” A sentiment which we cordially approve. Whether the shooting man should select a Pointer or Setter to aid him in the field or on the moor resolves itself very largely into a question of individual taste. Either, when well broken, is capable of carrying out his highly specialized duties with great skill, and no prettier sight can be imagined than a brace of these clever animals quartering the ground and coming to a statuesque point when the game is winded. Of course, in externals the two breeds present many striking differences. Some admire the beautiful coat and gentle expression of the Setter, while others there are who declare that:

Loveliness
Needs not the foreign aid of ornament,
But is, when unadorn’d, adorn’d the most.

“Flax” Owned by William Arkwright, Esq. Painted by Maud Earl (1910)

In other words, form appeals more to them than coat. They dwell upon the handsome outline of the Pointer, his symmetrical, powerfully knit body, his straight legs and muscular quarters. The modern dog is not without his critics, however, who contend that a foxhound cross has been used in modern times as well as many years ago, and that the hound qualities introduced are detrimental rather than otherwise. It is urged that the duties demanded of the Pointer are even more exacting than those of the foxhound, as regards stamina, and that if the old dogs could perform them creditably there was no occasion to resort to outside blood, which developed a headstrong disposition that renders breaking more difficult, and tends to unsteadiness. In justice to the other disputants, it should be explained that they deny the alien cross, and contend that, as the foxhound is a perfect piece of mechanism, Pointer breeders are justified in attempting to work up to such a worthy model. Although one does not ask for a potterer it is questionable if great pace in a gundog is either necessary or desirable, for the fast animal is liable to pass birds that a slower one would find. After all, the truest test of excellence is finding birds for the guns, a feat in which the flashy worker is not always proficient.

In the innumerable letters which have appeared upon the subject I have never seen reference to the remarks of General Hutchinson. Possibly they have been quoted and escaped my observation. This gentleman, who is very rightly regarded as a sound authority, laid stress upon a sporting dog having small, round, hard feet, which he held to be a more certain test of endurance than any other point. “Rest assured, that the worst loined dogs with good feet are capable of more fatigue in stubble or heather than the most muscular and best loined, with fleshy ‘understandings.’ The most enduring pointers I have ever seen hunted had more or less of the strain of the foxhound; but doubtless they were proportionately hard to break.”

A variety of Pointer not much seen now-a-days is the black, or Scottish, which, of course, is free from any imputations as to the purity of his lineage. He is said to be all that one could wish.

From the same book: click here to read about the English Springer.

 PS. Don’t forget to take a look at the Gundog Research Project!



Antonio Tonali: un uomo di un altro mondo

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Antonio Tonali, classe 1895, cinofilo, cacciatore, soprattutto uomo di grande cultura, intelligenza, umanità e dotato di una modestia poco comune.

“Quando ero in collegio, era un po’ come essere prigioniero: chiudevano il portone ed a me veniva una grande tristezza, mi scoppiava il cuore. Pensavo al mio amico Pinu che aveva, anche lui, in mente i cani. Quelli erano tempi duri! Un ragazzo di dieci anni doveva già lavorare come un uomo e, tra di loro, quelli appassionati risparmiavano la mancia che, alla Festa, veniva loro consegnata per comperare le castagne o qualche altra piccola cosa (allora, non c’erano i Caffè e cercavano di mettere da parte soldi per comperare un cane. Non Io dicevamo nemmeno al toro papà (i tempi erano troppo duri per questi “lussi”) ma io, loro coetaneo, venivo messo al corrente questi segreti e li ammiravo. Me ne guardavo bene però dal dire queste cose, altrimenti mi, avrebbero portato… al manicomio. Vivevamo di sogni: ci bastava avere un “bastardino”, magari col pelo un po’ lungo, e fantasticavamo che avesse la discendenza dal setter… così avevamo sempre la testa per aria. Però mi sarebbe spiaciuto se mi avessero bocciato, per mia mamma, lei ci teneva che io studiassi.  Ricordo che un professore aveva capito che qualcosa in me non andava ed, un giorno, mi fece parlare, alla fine mi disse “tu sei uno di un altro mondo”. Allora avevo nove anni ed ho capito che le cose stavano davvero così… credo che questa affermazione sia tuttora valida.”

Seduti davanti al camino acceso, con una canina pointer bianco arancio ed un setter che ci osservano incuriositi, ascoltiamo Antonio Tonali che vestito, come sempre, da cacciatore, con vivacità giovanile, ci racconta di cani, di beccaccini e di persone. Il richiamo a… quell’altro mondo, palpabile e ciò che ne determina la percezione sono la serenità e la semplicità che il nostro personaggio e l’ambiente che lo circonda ci trasmettono. La grande passione per i cani, elevata a “ragione di vita” in contrapposizione alla violenza della Prima Guerra Mondiale vissuta drammaticamente in prima persona. Una vita semplice, forse un po’ primitiva, ma solo in apparenza, in realtà essenziale ma arricchita dalla semplicità e dalla genuinità nel rapporto con gli animali e con gli uomini, cui è sottesa una grande cultura ed una grande carica di umanità. Affascinati dall’uomo, ci ricordiamo dell’importanza di Tonali come testimone dei primi passi della nostra cinofilia e gli domandiamo di descriverci i cani di allora (la fine del secolo scorso – Fine 1800 n.d.r.).

“Anche allora, in ogni paese, non c’erano più di alcuni cacciatori bravi e questi avevano cani bravissimi. I cacciatori avevano fucili a bacchetta con la canna che sembrava un tubo di stufa sparavano polvere nera e, dopo il colpo, dovevano spostarsi sul lato per vedere cosa era successo al di là della cortina di fumo. lo ero ragazzo e diventavo matto a vedere il lavoro dì quel cani: bracchi e pointers.”

— Lei parla di pointers, ma c’erano già in Italia? “Che sappia io i primi pointer venivano da Monza, erano cuccioli che qualche guardiacaccia della tenuta reale vendeva e costavano 50 lire. Pensate che, qui a Villanterio, il migliore terreno agricolo costava 40 lire alla pertica. Io ammiravo molto questi cacciatori che spendevano un patrimonio per avere uno di questi cani ed ammiravo soprattutto quelli che facevano grandi sacrifici per mettere da parte i soldi.”

– Come facevano ad esserci i pointers a Monza? “Era una riserva di caccia di Umberto I e lui, sicuramente, li avrà avuti in regalo dall’Inghilterra.”

– E Lei quando ha avuto il primo cane? “Finché mio papà è stato in grado di andare a caccia i cani li aveva lui, io sono subentrato gradualmente; un giorno lui ha detto che non dovevamo contarlo più, come cacciatore; aveva 80 anni e disse che, in campagna poteva ancora andarci, col bastone, ma, a caccia, aveva finito. Allora, sapete, i vecchi non avevano egoismo, quando arrivavano a 80 anni (non erano molti però ad arrivarci), molto ragionevolmente, dicevano: la vita finisce, dovete continuare voi. Così comperai una cagnina “già fatta”, da un fittavolo vicino a Pavia, mio papà l’aveva vista e mi diede le 40 lire d’argento con cui la pagai. Andai a prenderla in bicicletta e lasciai al fittavolo il mucchietto dei 40 “cavourini” d’argento… in fondo un po’ mi piangeva il cuore nel vedere quel mucchietto lasciato sul tavolo. Era una cagnina tutta marrone che poi ho fatto coprire e mi ha dato un cucciolo col quale ho iniziato con le “sgnepe”; di beccaccini se ne trovavano dappertutto e così uno, due, tre, io cercavo di sparare bene e li facevo riportare (per farle capire) così ha cominciato a fermare.”

– Con le prove a beccaccini, quando ha cominciato? “Io leggevo sul “Cacciatore Italiano” delle prove a beccaccini, leggevo le polemiche tra Colombo, Griziotti ed altri… mi piaceva perché capivo che erano appassionati che s’intendevano di cani e , di beccaccini, che erano grandi cinofili. Ho cominciato per caso: un giorno cacciavo col mio cane ed signore, dopo avermi osservato a lungo (non riuscivo a capire cosa volesse) mi disse di andare nei “Paludi” dove provavano i cani e dove facevano anche le prove a beccaccini. Sono andato ed ho visto dei cani proprio belli, dei pointers molto tipici, però anch’io, con la mia cagnina, non ho fatto brutta figura ed allora, ho preso un po’ di coraggio. Ho cominciato con una cagnina che il mio amico Preti, il veterinario, aveva comperato a Copiano e poi affidata a me. Io non volevo andare alla prova perché… come potevo competere con tutti quei grandi cinofili che avevano dei pointers che mi facevano restare incantato? Però hanno insistito e sono andato. Il mio amico Preti non è venuto (forse aveva paura che facessi fiasco) ma ci ha dato la sua macchina ed ha detto al meccanico del paese che venisse a guidarla lasciandoci auto ed autista, tutto il giorno, a disposizione. Con me c’erano un mio amico, che era segugista, ed il papà di Antonio Ridella (Antonio era ancora un bambino). Lei (la cagna n.d.r.) è andata proprio bene, io invece mi ero impantanato e non riuscivo ad andare a servire la cagnina. I beccaccini erano avanti 10 – 15 metri e son volati e la cagnina… niente ed io che non riuscivo a muovermi e non capivo più nulla… era la mia prima prova quindi si può capire; se il fischietto non fosse stato legato con lo spago, forse l’avrei mandato giù… Giudicava Colombo e mi diceva di chiamare la cagnina ma io, pur nella mia confusione non la chiamavo, e poi mi sono anche spazientito e gli ho detto che non la chiamavo perché, altrimenti, avrei disturbato l’altro cane che era in coppia con la mia. Non era giusto disturbare quell’altro cane dal momento che la mia aveva fermato ed era stata corretta al frullo delle “sgnepe”. E così ho vinto e così è iniziata la malattia delle prove al beccaccino”

– Com’era organizzata la cinofilia a Pavia? “C’erano delle grandi personalità, Coppaloni e il mio amico Giannino Radice, Griziotti, Bovina ed altri, io sono sempre rimasto un po’ fuori, cosa dovevano farsene di uno come me che potevo solo… far ridere i polli. Poi mi hanno un po’ convinto, dicevano che bisognava darsi da fare per il bene della cinofilia perché la maggior parte dei cacciatori sosteneva i cani bastardi e, invece, si doveva dimostrare il contrario. Mi ricordo di tanti altri oltre a quelli che ho già detto: Nasturzio, l’armatore di Genova che importò i setters e li portò poi a Rocca de Giorgi e poi, di lì, cominciò l’era delle prove ed allora c’erano: Necchi che aveva rilevato l’allevamento di bracchi di Colombo, Rettani, il dott. Bionda, Biondet e poi Rino Colli che era il segretario della “Scuderia Lomellina.”

– Lei era molto amico di Antonio Ridella? “Antonio era di qui e l’avevo conosciuto da bambino, era lui che mi portava anche in giro e che mi ha fatto conoscere tanti cinofili. Ma io… andare in città… andare via dalla mia campagna, finiva che andavo in confusione e allora mi dicevo: hai visto, dovevi stare a casa, cosa vai a fare insieme a tutta questa gente importante?”

-Qual è il cane che ricorda di più? “Tutti. Però i cani sono come i cristiani: ci sono quelli fortunati e quelli che nascono sfortunati. Posso ricordare Cirano. Ha avuto dei grandi risultati sì, però, non è stato capito, solo Griziotti aveva capito che grande cane era. Io dicevo tante volte a Cirano: sei arrivato tardi, dovevi arrivare quando c’era ancora Colombo. Ma i cani non si possono dimenticare… nessuno. Bisognerebbe fare il monumento a certi grandi cani, non farlo a Napoleone o a quegli altri balordi che ammazzano la gente: chiamare lo scultore e far fare il monumento ai cani.”

– Ha conosciuto Pollacci? “Altroché, aveva i setters gordon, bravissimi. Ricordo North, era un bellissimo stallone, il migliore che c’era, ho – avuto un figlio di North, ma l’ho regalato.”

— Come mai, non andava bene? “Andava benissimo, era ancora un cucciolone ma un ragazzo che conoscevo, Gianni Bianchi, un giorno è venuto da me per dirmi che la sua cagna (era una cagnina che era stata anche qui da me) era rimasta uccisa. Mentre lui mi raccontava io pensavo: ma guarda un po, adesso è senza cane mentre io ne ho 5 o 6 buoni… la sera sono andato alla stazione dei treni (c’era il tram che andava a Pavia e lui doveva tornare con quello) col cucciolone al guinzaglio e gli ho detto: prendilo è tuo, ha pochi mesi ma lavora bene.”

Vai all’articolo precedente di Ivan Torchio qui.




A few more words on gun shyness

The previous article on gun shyness triggered many reactions. This had pretty much been forecasted, but I hoped to find a larger number of open minded people. In the end, however, I must admit hearing that you, owner, can be deemed responsible for your own dog gun shyness is not pleasant. Modern ethology is not being kind here, and it is much easier to blame the genes, the bitch, the stud or the breeder. Acknowledging the role of environment, upbringing and training is tough, it can make us feel guilty.

What did the readers say? I was told stuff like “I never introduced the pup to noises, but when the first day of the shooting season came, I brought him with me and shot a whole covey of partridge on his head and nothing happened! The dog is fine! Socialization and all that stuff, bullshit.” If these people had carefully read the first article, they would have realized I wrote that sometimes people are very lucky, and a dog can survive such intense experience, without any prior training. Is luck often that blind? Not really, what most likely happens is that the dog has been exposed to noise and other stimuli, the owner is simply not aware of this. Maybe the pups grew up by the house, or on a farm, where he learnt to recognize the tractor, the lawn mower and other sounds, maybe they were born during a stormy summer and learnt not to fear thunders. Dogs living near humans are generally exposed to noise and this could prevent gun shyness.

It is now time to discuss the second objection “In the past dogs were not socialized, nor exposed to noise, yet, they were normal”. This is a false myth. Let’s thing about the past: about one century ago, almost all the hunting dogs used to belong to rich people. These people had professional staff taking care of the dogs, it is highly unlikely that these dogs were poorly socialized. What about ordinary people? At a certain moment in history, people with lower incomes started to become interested in hunting dogs. These people were mainly farmers and, usually, had some mixed breed dogs who could work like a hound, a spaniel or a terrier (their contemporary equivalent would be the lurcher). These dogs used to live on the farm, close to their owner, to other humans and to human made noises.

In Italy, lower and middle class hunters began being involved with purebred hunting dogs after WWII, more vigorously from the sixties. At the time, the idea of breeding dogs as a business had not yet been developed and most of the litters were homemade and raised by amateurs. It could be the rich man with his staff or the plain hunter, sharing the burden of raising a litter with his wife and children: dogs and humans, whatever the wealth, used to live close to each other.

Things changed later, as soon as people realized that breeding and selling dogs could become a profitable business. Dogs began to be seen as “livestock” and raised as you would raise a farm animal. Separate living quarters with kennels were built and sometimes multiple litters were raised simultaneously. Pups are nowadays sometimes raised at a distance from human made noises and sometimes experience less interactions with humans. Commercial kennels, however, are not the only ones to blame, hunters have changed as well. Some hunters now live in the city, they do not want to share their apartment with muddy dogs and send them to live “in the countryside” (locked in kennels) paying someone local human being to go feed and clean them. Some hunters have a detached house in the suburbs, but pups destroy gardens so they end up in a kennel far from the house. Hunters return home late from work, they are tired and they do not feel like interacting with their new pup, even if he has a great pedigree and was paid a lot of money.

If the pup would not be such a thoroughbred but just a farm mutt, things could maybe be easier for him. Some modern purebreds are not that different from thoroughbred horses and are equally nervous and sensitive. We selected these dogs taking speed and reactivity in great account, well… they can now be highly reactive even when we would prefer them not to be. Times and contexts have changed, why people refuse to acknowledge this? I think we should pay more attention to the dogs’ needs and remember that the dog is “man best friend”. We should put the pup first and do our best to make him grow into a happy and fearless adult. We should no longer bring a gun shy pup back to the breeder asking for a replacement or a refund, we should, in a few words, be responsible of our actions.

PS. Don’t forget to take a look at the Gundog Research Project!




La paura dello sparo: ulteriori considerazioni

L’articolo sulla paura dello sparo, come prevedibile, ha suscitato forti reazioni. Diciamo che l’avevo previsto ma… avrei sperato in un filo in più di apertura mentale e, invece,  molti lettori hanno ritenute insensate le conclusioni a cui è giunta l’etologia moderna. Inconsciamente, questa è una scelta di comodo perché è molto più semplice incolpare i geni (la fattrice, lo stallone, l’allevatore…) che prendersi le proprie responsabilità.  Riconoscere il ruolo dei fattori ambientali nella genesi della paura del fucile, infatti, implica assumersi delle colpe, se il cane è un fifone, o darsi da fare se stiamo crescendo un nuovo cucciolo.

Le obiezioni? “Io non ho mai fatto nulla per presentare al cane i rumori, l’ho portato fuori all’apertura, si è alzato un volo di starne, gli ho fatto una scarica di fucilate sulla testa e non è successo nulla! Sono tutte ….. la socializzazione e tutto il resto!” Nell’articolo originario, se l’avessero letto bene, queste persone avrebbero trovato la parte in cui dico che si può essere molto fortunati e ritrovarsi con un cane che non accusa il colpo di fucile, nonostante non si sia fatto nulla di particolare per prepararlo a tanta confusione.  Come mai? Può essere pura fortuna o, può anche essere, il che è molto più plausibile,  che il cane sia stato esposto a stimoli rumorosi senza che ciò sia stato pianificato. Magari avete spaccato la legna in sua presenza, azionato la motosega, il trattore, il toserba, magari è nato in estate e c’erano spesso temporali,eccetera. Cani che vivono in prossimità dell’uomo spesso vengono esposti ai rumori senza che lo si debba fare “apposta”.

Qui si inserisce la seconda critica all’articolo un tempo i cani non venivano esposti ai rumori, né socializzati eppure erano normali”… Questo è un falso mito.  Un tempo, parliamo di quasi un secoletto fa, i cani da caccia erano quasi tutti di proprietà di “signori” che li facevano accudire da personale apposito: è assai improbabile che questi soggetti avessero scarse interazioni con l’uomo. Parallelamente, e più tardivamente, anche persone di medio e basso reddito hanno iniziato ad andare a caccia con il cane, ma si trattava quasi sempre di contadini con il classico segugetto da pagliaio che, comunque, partecipava alla vita della fattoria vivendo a stretto contatto con l’uomo e quindi come rumore.

I  cacciatori appartenenti alla classe media e bassa hanno iniziato, almeno in Italia, ad avere cani di razza a partire dal secondo dopo guerra, direi più spiccatamente dagli anni ’60 e, a quell’epoca, non esisteva nemmeno ancora l’idea dell’allevamento a fini commerciali. I primi grossi allevamenti, alcuni tuttora attivi, stavano gettando le fondamenta ma, in generale, le cucciolate erano ancora cose per ricchi (provvisti di staff specializzato),  o faccende di famiglia, con tanto di pargoli saltellanti attorno ai cani. Cuccioli e uomini, insomma, vivevano a stretto contatto.

Le cose sono cambiate, dopo, con i cani che iniziavano ad essere intesi come fonte di reddito, il che ha portato ad allevarli in maniera più “intensiva”  e la qualità delle cure è scesa:  a volte ci si trova con più cucciolate da accudire contemporaneamente, a volte le strutture in cui crescono sono lontane dai rumori, eccetera eccetera. Anche il cacciatore è cambiato:  c’è chi vive in appartamento e non può tenere il cane in città e lo lascia crescere in qualche recinto isolato in periferia. C’è chi ha la villetta, ma siccome il cucciolo rovina il giardino lo si mette in un box in fondo all’orto. Poi si rientra tardi alla sera, stanchi da lavoro e non si trascorre del tempo con lui, anche se si tratta del figlio di campioni di altissima genealogia, pagato fior di soldi,  e non di un cane da pagliaio qualunque.

Se il cucciolo fosse un meticcetto di paese, forse, le cose sarebbero più semplici per lui: gli appartenenti ad alcune razze canine moderne  sono l’equivalente di un purosangue con la relativa ipersensibilità, se selezioniamo cani reattivi, loro saranno reattivi anche quando ciò diventa scomodo!  I cani, i tempi e i contesti sono cambiati, perché gli uomini si ostinano a non cambiare? Non dovrebbe forse esserci una maggior sensibilità nei confronti del cane? Non dovrebbe, il cane, essere un amico prima di essere un ausiliare? Non dovremmo noi, suoi proprietari, fare qualche piccolissimo sacrificio per crescerlo al riparo da paure, anziché insistere con l’allevatore per avere “un cambio di prodotto”, se il cucciolo sviluppa la paura del fucile? Credo sia nostro dovere morale, viste le moderne conoscenze etologiche, offrire al cucciolo tutte le risorse per aiutarlo a crescere bene e limitare il rischio che si manifestino problemi come la paura del fucile.

Allego, per i curiosi, un articolo de “I Nostri Cani” del 1968 in cui si riportano i consigli del noto  addestratore Gino Puttini. Si parla di paura dello sparo e di come recuperare (e sottolineo recuperare, non scartare!) i cani. Il pezzo ha quasi 50 anni q quindi ci sta che si pensasse ancora alla genetica, sebbene siano ben menzionate anche le cause ambientali, lo ripropongo più che altro come curiosità storica. Si tratta di una foto “stropicciata” perché la rivista è molto debole e non sopravvivrebbe. PS. Non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!