I trials inglesi: questione di atmosfera
In tanti mi chiedono perché vado con i cani in Inghilterra, come si fa a partecipare e, soprattutto come si fa ad allenare. Quest’ultima domanda, vista la fame di selvaggina che si ha in Italia, è più che lecita, ma le cose sono un po’ più complicate di quello che sembrano.
Nel 2015, grazie ad una serie di “coincidenze” ho avuto per la prima volta in vita mia la possibilità di assistere ad una prova di lavoro su grouse in Inghilterra e di partecipare, da spettatrice, ad una sessione di addestramento. Molto di quanto ho visto mi ha affascinato al punto di farmi decidere di cercare di diventare parte di un mondo che, per lo meno geograficamente, non mi apparteneva. Ero nata nel posto sbagliato, ma mi sentivo culturalmente vicina a loro. Intendiamoci, le prove di lavoro inglesi (e scozzesi) non sono perfette: ad oggi non ho ancora trovato un sistema d valutazione che possa testare in maniera zootecnicamente perfetta le caratteristiche del cane da caccia ideale, eppure…. Eppure, il circuito di prove britanniche possiede elementi che continuano a suscitare il mio interesse.
“Vado in Inghilterra perché è più facile”, questa è la voce che mi è giunta alle orecchie. Beh, mi dispiace deludere i vocianti, ma nelle prove inglesi di facile non c’è un bel niente. Non mi credete? Ok, ve lo dimostrerò. Il minuto, per esempio, non esiste, se al giudice non piace come sganciate il cane, o se il cane allo sgancio fa qualcosa che al giudice non piace (per esempio emette un guaito di felicità, o guaisce perché gli avete pestato un piede) voi siete eliminati. Tenendo conto che i giudici sono due (uno controlla a destra e uno controlla a sinistra), occorre fare in modo di piacere ad entrambi. I turni oltre a non avere il minuto, non hanno una durata minima, o massima.
Il cane deve partire nella direzione assegnata: se deve andare a destra e va dritto, o gira immediatamente a sinistra, può essere penalizzato, o eliminato, a discrezione. La stessa cosa può succedere se si allontana troppo, se non “gira” quando richiesto dal giudice, se non va a terra quando richiesto, o se non guida con scioltezza quando dovrebbe farlo.
In guidata il cane non si può toccare, pena l’eliminazione.
Non è il conduttore a sparare dopo l’involo del selvatico, bensì un
guardiacaccia, su comando del giudice: non è quindi pensabile il trucchetto
dello “sparo-nascosto-in-un-cespuglio” molto amato da alcuni dresseur nostrani.
Non serve avere il grilletto facile, perché di fatto non si ha un grilletto.
Il cane deve rimanere fermo (IMMOBILE) al frullo e allo sparo, non può muoversi di un millimetro ma, a conclusione dell’azione, deve proseguire la guidata nel clear the ground (pulizia del terreno per individuare altri eventuali animali, in genere parte di una covata).
Non è possibile guinzagliare il cane immediatamente dopo
l’involo: il cane può essere legato solo quando lo decide il giudice. Se il
cane ha fatto tutto correttamente è possibile che veniate chiamati al secondo
turno: i cani, per andare in classifica, devono essere verificati due volte.
Può capitare, tuttavia, di non essere richiamati anche se, in apparenza tutto é andato bene. Questo può accadere per esempio perché molti cani sono stati shot over e quindi ne vengono richiamati solo alcuni (i migliori) dal momento che la classifica va solamente dal primo al quarto cane… Il numero dei cani al secondo turno può essere altresì ridotto in contingenza di condizioni particolari che riguardano il terreno, la selvaggina, o il clima.
Generalmente, tutti i cani sganciati sul terreno presentano un livello di ubbidienza medio-alto. Il cane che allunga troppo, che si prende delle licenze, o che non si fa legare, non è un esemplare gradito.
Per diventare campione un cane deve vincere due Field Trials in classe Open, ma per avere diritto a correre in Open deve aver prima vinto una classe Novice (o aver fatto due secondi posti in una Novice) o una classe Puppy. A volte è possibile competere in Open anche senza essersi qualificati, ma solo se ci sono posti a sufficienza. Sì perché ai trials esiste una sola batteria e i posti sono limitati: i club organizzatori stilano una graduatoria, e chi è in fondo alla graduatoria finisce in lista d’attesa.
Credo questo possa fare comprendere che scegliere di partecipare alle prove inglesi non sia una scelta “di comodo”: oltre a doversi fare quasi 2000 chilometri (solo andata) per raggiungere i campi di gara, è persino difficile avere la possibilità di gareggiare!
Il numero chiuso, però, in fondo ha senso ed è espressione
dell’intento non consumistico di queste prove. A nessuno importa avere più cani
e a nessuno importa attirare i “professionisti” che, di fatto, praticamente non
esistono. C’è un solo conduttore, per giunta irlandese, che arriva con un
discreto numero di cani condotti “conto terzi”, così come c’è un solo
allevatore (di setter inglesi) che ricava parte del suo reddito dalla vendita
di cuccioli. Il setter inglese, tuttavia, è una razza poco commerciale: chi
sceglie i cani da ferma inglesi generalmente predilige i pointer ma, vi sembrerà
incredibile, nessuno si guadagna da vivere allevando pointer da lavoro.
C’è qualche conduttore semi-professionista che conduce uno, o al massimo, due cani per altre persone e un gruppetto di appassionati/allevatori amatoriali che iscrivono il loro branchetto. Chi possiede più cani, tuttavia è svantaggiato: da regolamento si cerca di garantire la partecipazione di un cane per ogni proprietario…. Quindi se ne avete quattro, è probabile che alcuni di loro vengano messi in lista d’attesa.
Il fatto che i conduttori non addestrino cani per vivere, non significa che non sappiano preparare i cani: al contrario, si colgono finezze di conduzione e di preparazione a cui non ho mai assistito qui in Italia. L’addestramento è una passione e si lavora con la massima cura dovendo rendere conto per lo più a se stessi, oltre che ai giudici. I bravi conduttori mettono soggezione non perché sono “famosi”, ne perché hanno “vinto tanto”, ma semplicemente perché sono BRAVI. Starei ora fare domande e a chiedere di raccontarmi come fanno ad insegnare al cane questo e quello.
Famosi o meno, ci si chiama per nome, non per cognome, e ci si conosce tutti. Ci sono Richard, Maddy, Carole, Maria, Terry (un paio), Sara, Mary, Anne, Nicky (un altro paio), Dennis, Steve… eccetera. È normale prima dello sgancio scambiarsi una stretta di mano, o un augurio di buona fortuna: il compagno di coppia, del resto, si chiama compagno di coppia, non rivale di coppia. Tutti sanno che correre con un compagno di coppia ben preparato è un vantaggio: difficilmente causerà disturbo all’altro cane.
Tra i nomi che ho appena elencato sopra ne compaiono anche tanti femminili. Le donne che addestrano e conducono cani, nel Regno Unito, non sono bestie rare, tutt’altro. E non si limitano a fare capolino ai trials con il cane preparato da qualcun altro, la maggior parte di loro il cane se lo prepara da sé, e non è certo lì per seguire la passione del marito, o del compagno. Al contrario, spesso sono proprio i mariti che vengono a vedere e a dare una mano.
La parte umana dei trials ha il suo perché, insieme a tutte le tradizioni e alle formalità che l’accompagnano. I britannici non sono i più espansivi dei popoli, ma dopo un po’ ci si sente parte di quel mondo, un mondo fatto da formalismi, ma anche da semplicità che vanno dal pranzo al sacco, consumato tutti insieme all’aperto in quasi qualsiasi condizione climatica, alla cucciolata fatta esclusivamente per portare avanti la propria linea. Le razze da ferma inglesi, infatti, non sono granché commerciali e commerciabili e questo tiene ben lontana la minaccia che la cinofilia venatoria diventi un business. Un maschio vincente farà qualche monta (forse), ma non diventerà mai uno stallone di grido, capace di rendere ricco il suo proprietario.
L’aspetto amatoriale caratterizza anche la gestione dei terreni e dei selvatici. Gli italiani sono abituati ad andare all’estero per allenare e per addestrare e credono che basti pagare per poter sganciare il cane. Costoro non hanno mai incontrato un gamekeeper britannico al quale, molto francamente, non importa nulla delle esigenze del vostro cane. I guardiacaccia stanno lì per tutelare la selvaggina, punto, e il cane è spesso visto come un elemento di disturbo. Si può allenare (o essere invitati a censire) a discrezione del guardiacaccia, non è un diritto che si acquisisce pagando, occorre in qualche modo meritarselo. Negli anni sono riuscita a allenare il cane e a partecipare a qualche censimento, ma queste attività non sono programmabili. Tutto dipende dal clima, dall’età dei selvatici, dall’andamento delle covate, dalla disponibilità di chi vi deve accompagnare, eccetera eccetera. Allenare è un privilegio, non un diritto.
È difficile avere accesso ai terreni, ed è per questo motivo che il mio cane, per esempio, ha fatto molto meglio su starne e su fagiani, che non su grouse. Non posso allenare il cane su grouse in Italia, perché non esistono e, in Inghilterra, non sempre ho la possibilità di muoverla abbastanza. La grouse di per sé è un selvatico come un altro, che ben si presta al lavoro del cane da ferma, ma che ha due problemi. Uno è legato all’emanazione e l’altro alla densità numerica. L’emanazione è molto forte e può far bloccare cani abituati su selvatici meno “odorosi” e più leggeri e, come detto poco sopra, se il cane non guida in maniera fluida rapidamente, viene eliminato. Il secondo problema, ovvero la densità di animali, amplifica il primo problema: è normale veder alzare voli d 15-20 grouse, che se ne stavano da qualche parte tutti insieme. D’altra parte, un cane molto focoso e non ben addestrato, può perdere la testa di fronte a tanta selvaggina e andarsene a spasso per ore, o addirittura per giorni. I moors inglesi sono utilizzati per la caccia alla grouse in battuta, non per la caccia con il cane da ferma, questo spiega la tanta densità ma, come potete capire, confonde il cane.
Nelle prove a autunnali a pernici (starne), invece, ferma restando una densità di selvatici superiore a quella dell’Italia, essa è inferiore a quella delle prove estive e l’incontro non è garantito, ma si tratta di densità più consone ai nostri cani. I moors della Scozia, su cui sono stata soltanto nel 2016, li ricordo come una via di mezzo, mentre mi restano ancora da scoprire le prove primaverili. Certo è che la magia di un moor estivo ricoperto di erica in fiore e abbagliato da un cielo violetto è difficile da superare.
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