Inizi

Ho più volte ricevuto e-mail in cui mi si chiedeva il titolo di un buon testo per l’addestramento del cane da ferma in italiano. Purtroppo non ho saputo rispondere, limitandomi ad indicare qualche testo di addestramento straniero – di addestramento generico – tradotto nella nostra lingua. Di attuale non c’è nulla, siamo praticamente fermi agli scritti di Griziotti e Delfino però, mi viene da pensare, che gli editori evitino di pubblicare temendo scarsi consensi di pubblico. Questi stessi post, prodotti a titolo gratuito, hanno un gradimento altalenante: qualcuno suscita grande entusiasmo, altri vengono totalmente ignorati. Quindi… BOH!

Il paragrafo  di oggi si riallaccia al precedente:

“Astley ci può dare delle dritte utili sul più semplice (se comparato ai cavalli n.d.a) addestramento dei cani.  Come possiamo notare, egli si è armato di gentilezza e pazienza per assicurarsi che il cavallo comprenda il certificato di certe parole e di certi segnali prima di affiancargli un compagno.” 

Del compagno abbiamo parlato qui, quindi poniamo l’accento sul resto. Pazienza e gentilezza, siamo nel 1700 e già è chiaro come pazienza e gentilezza siano fondamentali. Pazienza significa cercare di capire le reazioni del cane, rispettarne i tempi di apprendimento, le esigenze e le capacità cognitive. Pazienza significa ripetere e ripetere gli stessi esercizi per raffinarli, lavorare il cane con costanza, eccetera. Gentilezza significa essere gentili e, di nuovo, rapportarsi al cane mettendosi al suo livello. La gentilezza, aggiungo io, deve e può accompagnarsi con la fermezza. Andiamo avanti: “comprendere il significato di certe parole e di certi segnali”. Un errore frequentissimo è pretendere che il cane esegua un ordine senza che gli sia data la possibilità di comprendere il segnale ad esso collegato. Gli esempi sono infiniti: c’è chi si arrabbia per un riporto non eseguito nonostante i ripetuti “porta” o chi fischia e non vede il cane rientrare al richiamo, peccato che non si sia premurato prima di spiegare al cane il significato del “porta” o del “fischio”.

“Allo stesso modo tu devi, attraverso quelle che possono essere chiamate “lezioni preparatorie”, fare sì che il tuo giovane cane comprenda perfettamente il significato di certe parole e di certi segnali prima di farlo cacciare in compagnia di un altro cane o, meglio ancora, prima di farlo cacciare del tutto.”

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Questo è Hutchinson che parla, siamo nell’800 e dice cose che non sembrano essere ancora state recepite del tutto. I due esempi che ho riportato sopra sono multipli (visti in tante occasioni) e sono solo una minima parte degli esempi che potrei portare, cani indisciplinati  (per lo meno secondo i parametri di Hutchinson) sono la regola, non l’eccezione. E non credo sia colpa dei cani!

” E, seguendo il metodo di Astley, devi impartire queste lezioni quando sei solo con il cane e quando la sua attenzione non rischia di essere minata da altri stimoli. Dalle, inoltre, quando è a digiuno, in modo che le sue facoltà mentali siano più acute e che sia più motivato ad ottenere un premio sotto forma di biscotto o di altro cibo.” Hutchinson – Dog Breaking 1865

Parte dei suggerimenti sono già stati esaminati qui, non resta che aggiungere due parole sul cibo. Un cane a stomaco pienissimo, impegnato a digerire un ciotolone di cibo, non è al massimo della brillantezza, su questo concordo con l’autore. Concordo anche sul fatto che alcuni cani siamo molto motivati dal ricevere un premio in cibo e che si possa sfruttare questa loro “debolezza”. Detto ciò… trovo l’ossessione del cane a digiuno un po’ vecchia scuola.

 




Per gradi

“Il metodo di Astley (un addestratore di cavalli vissuto nella seconda metà del ‘700 n.d.a.) consisteva nell’offrire ad ogni cavallo la sua lezione preparatoria da solo e in assenza di rumori o di stimoli che potessero distrarlo dall’addestratore. Se il cavallo veniva interrotto durante la lezione, o se la sua attenzione veniva meno, l’animale veniva dispensato per la giornata. Una volta perfetto in certi esercizi da solo, veniva associato ad altri cavalli la cui educazione era più avanzata. E era anche abitudine di quel grande addestratore ricompensare i suoi cavalli con fette di carota o di mela quando facevano bene”  Hutchinson – Dog Breaking 1865Hutchinson 9

Hutchinson ha pubblicato il suo testo alla fine del 1800 e alcune dei suoi suggerimenti sono modernissimi. Astley l’ha preceduto, siamo alla fine del 1700 e l’autore è già consapevole di alcuni elementi chiave dell’addestramento. Astley si occupa di cavalli, non di cani, ma quanto ci trasmette è valido per ogni specie animale. Si parte con la citazione di una lezione “preparatoria” da svolgersi in tranquillità e in assenza di stimoli: sono condizioni essenziali per favorire la concentrazione dell’animale. Se vogliamo insegnargli qualcosa dobbiamo avere tutta la sua attenzione e dobbiamo essere sufficientemente interessanti. Quando si lavora con il cane, sopratutto quando si insegna qualcosa di nuovo (comportamento, comando eccetera) vogliamo che lui sia concentrato e che reagisca nella maniera opportuna. Se impartiamo un comando, vogliamo che il cane lo esegua: per avere maggiori garanzie  che questo accada dobbiamo partire da una situazione vantaggiosa. Uno dei  principi cardine dell’addestramento è il “mai chiedere a un cane di fare qualcosa se sappiamo già che molto probabilmente potrebbe non obbedire”. Per farvi capire meglio cosa intendo userò un esempio: mettiamo caso che stiate insegnando al cane il comando “Terra!” e che siate ancora alle basi, ovvero il cane lo esegue in cortile ma non in campo. In questo caso  è inutile e controproducente sbraitare “Terra”” in aperta campagna mentre al cane schizza una lepre davanti al naso. Non solo non esaudirà il vostro desiderio, ma sarà portato anche a credere di potervi disubbidire, come  ha appunto fatto.

Se l’animale è distratto, o se l’addestramento è stato interrotto (e questo ha portato a distrazioni), la sessione di addestramento va terminata. Astley non lo dice  esplicitamente ma è facile capire che le sessioni di addestramento debbano essere brevi e non rigidamente scandite dai tempi dell’orologio (un’ora, mezz’ora….). Si lavora fino a che c’è concentrazione da parte dell’allievo. Spesso la canonica ora compatta di addestramento proposta da alcuni professionisti è eccessiva perché la mente del cane si satura molto prima.

La raccomandazione di far lavorare l’allievo in singolo si riallaccia al desiderio di evitare distrazioni e, aggiungo io, cattivi esempi: di fatto si parla di affiancare l’allievo ad altri cavalli, in una fase successiva, sottolineando come debba trattarsi di cavalli più esperti. I cani spesso si guardano e si copiano tra loro: un esemplare ben addestrato può essere un buon maestro, un cagnaccio indisciplinato, al contrario, è spesso un cattivo esempio. Forse non ci crederete ma è capitato di vedere “cambiare” il mio cane a seconda dei cani con cui cacciasse e, ancora, so di cani “deviati” a causa di “cattive compagnie” unite allo scarso polso del proprietario.

Le righe di chiusura riguardano i premi: premiate il cane quando fa bene. Potete scegliere tra cibo, lodi, gioco o contatto fisico.

Ps. Quella nella foto sono io a 13 anni. Per anni mi sono dedicata più ai cavalli che ai cani e potrei dirvi che le stesse tecniche suggerite da Astley venivano impiegate anche con gli allievi “umani”. Si iniziava a cavalcare in recinto da soli, con un cavallo bravo e senza distrazioni e poi, pian piano, con tanta gradualità si veniva affiancati a cavalieri più esperti.




Il percorso

“Inoltre, credo che sia chiaro che il cane rischia di lasciare indietro dei selvatici se non esamina ogni parte del terreno e che, d’altra parte, spreca tempo ed energia se passa due volte sullo stesso terreno o su terreno che le sue capacità olfattive hanno già raggiunto. Naturalmente mi riferisco ad un cane che sta lavorando senza un compagno di coppia con cui condividere le sue fatiche”.  Hutchinson, Dog Breaking 1865

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Briony lavora naturalmente così ma oggi abbiamo fatto un po’ di addestramento per definire meglio i lacets e gli invii a destra e a sinistra seguendo le mie indicazioni. Ha eseguito tutto abbastanza bene ma… nel frattempo devo riferirvi che da più parti (online-offline) in tanti mi hanno detto che “esagero” a voler addestrare il cane a puntino e di limitarmi a portarla a caccia! Anzi qualcuno ha insinuato persino che io la stia addestrando perché è difettosa a caccia. Pazienza io proseguo verso la luce, vista una volta non la dimentichi più!




Il cane da caccia

Questo è l’articolo a cui i precedenti due sono preparatori. Se non li avete letti, lo capirete lo stesso ma lo comprenderete meglio andando a dare un’occhiata a quanto scritto nei giorni scorsi. Questo è l’articolo che non vedevo l’ora di scrivere: mi sono dovuta frenare intrattenendovi con cose più noiose ma… necessarie, proprio come l’addestramento di base.  Spesso elaboro gli articoli camminando, e camminando ho riflettuto sul titolo: volevo chiamarlo il “cane perfetto”, il “cane ideale”,  il “cane utile”, ho deciso di chiamarlo semplicemente il cane da caccia, nessun avverbio e nessun aggettivo, perché quello che leggerete altro non è che un ritratto iperrealista di come deve,o dovrebbe essere, un cane da caccia.

“Queste osservazioni (degli articoli 1 e 2 n.d.a) portano inevitabilmente a pensare che nessun cane può essere considerato perfettamente addestrato a meno che non vada in ferma non appena percepisca la presenza di selvaggina e resti lì in mobile fino a che non gli ordinate di avvicinarsi; che non si metta a terra nel momento stesso in cui sparate, senza che proferiate alcun comando verbale e che, successivamente, si impegni a cercare il capo abbattuto nella direzione da voi indicata. Tutto ciò senza che voi dobbiate mai dire nulla fuorché “Trova” a bassa voce mentre si avvicina al selvatico morto, come spiegherò in seguito”. Hutchinson – Dog Breaking 1865

E’ probabile che riterrete quanto preteso da Hutchinson un’esagerazione, ma questa – errata – percezione è il solo il frutto di una prassi (è inopportuno parlare di cultura!) venatoria che ritiene l’addestramento superfluo, se non addirittura nocivo. Per non offendere nessuno, intanto, parlo per me. Ho lavorato sul Briony, fin da piccina, per darle un minimo di educazione di base. Oggi è un cane piacevole, sa stare in casa, sa stare in mezzo alla gente (bar, negozi, ristoranti, alberghi eccetera) e sa viaggiare in automobile. Insomma, sa comportarsi, ha imparato persino come ci si muove nei ring delle esposizioni, ed è anche grazie al suo lasciarsi condurre piacevolmente se abbiamo conseguito il Campionato Italiano di Bellezza. Però, da piccina, non era un cucciolo molto sicuro di sé e proprio per questo ho rimandato ad età adulta addestramenti più impegnativi.

Come cane da caccia non manca affatto di qualità naturali, cerca (sfruttando naturalmente bene il terreno), ferma, consente, recupera (bene) e riporticchia, oltre ad essere ben collegata. Fino a qualche mese fa mi consideravo soddisfattissima del risultato ottenuto. Del resto mi capita di vedere e di cacciare con cani di tutti i tipi, mediamente ben più ineducati e inaffidabili della mia. Gli unici cani che ho visto sempre lavorare a puntino appartengono a un gruppo di drahthaaristi integralisti che, con grande affetto e stima, ho sempre reputato un po’ “nazisti”.  Data la loro impostazione mentale e vista la razza, mi sembravano risultati normalmente raggiungibili con i loro cani, non con un setter inglese. Altri sporadici cani “illuminati” erano sempre continentali, cito per esempio Junus von der Himmelsleier kurzhaar di Elena Villa.

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Così, felice  come la vispa Teresa mi aggiravo beata con  la mia setterina imprecisa. Io e il cane siamo stati sereni fino a quando a me non è venuta la malsana idea di andare a vedere come lavorassero i suoi “parenti” in Britannia. Ecco, per stare in tema anglosassone, lì ho avuto quella che James Joyce chiama “epifania” ovvero la rivelazione improvvisa di una verità nascosta. Cioè, il mio inconscio probabilmente sapeva cosa andava fatto con il cane ma la mia mente razionale cercava di tenermelo nascosto. Vedere quei setter e quei pointer perfettamente “in mano”, fermi al frullo, pronti a consentire al minimo cenno, pronti a rientrare dopo mezzo fischio – e senza per questo perdere iniziativa, mi ha completamente rapito.

Ho visto la luce ma, subito dopo, la lampadina si è spenta e io e il mio cane siamo tornati al buio. Non ho dimenticato quella luce però e ho deciso che dovevo fare qualcosa: era mio dovere provare ad arrivare a quel livello. Non dico riuscirci ma almeno provare. Questa mia decisione ha stupito un po’ tutti, cane incluso. Prima di tutto ha stupito gli italiani che ritenevano il mio cane già abbastanza a posto e che ritengono inutile, superfluo e persino dannoso il mio piano d’azione. Contemporaneamente ha stupito anche gli inglesi che non capiscono come abbia fatto a tenermi un cane così selvatico fino ad ora. Secondo loro è inconcepibile andare a caccia con un cane che non sia come quello descritto da Hutchinson (nel 1865!!!) e non riescono a credere che i cani da caccia italiani siano anni luce da quel livello educativo. Non sto scherzando, non credono che io portassi abitualmente a caccia un cane non perfettamente fermo e al frullo e allo sparo e non credono che cani lanciati dal bagagliaio e lasciati liberi e selvaggi siano la normalità.

Briony è insomma l’equivalente di una signora che in ciabatte e vestaglia si  reca a un’importante evento mondano: starebbe meglio con i tacchi e con un abito da sera, paragone non venatorio ma efficace. Però atto di ciò ci stiamo lavorando ovvero stiamo investendo tempo e impegno, nonché sacrificando giornate di caccia affinché torni sul terreno nella sua nuova versione migliorata e corretta. Nonostante le difficoltà sono felice di questa scelta e, vivendola sulla mia pelle, mi viene da ripensare all’articolo di qualche tempo fa e mi chiedo se ritenere normale la condotta dei cani indisciplinati altro non sia che una giustificazione alla pigrizia.




Selvatici esperti

Ho esitato un po’ se riportare o meno questo paragrafo per un motivo semplice: c’è poco o nulla da commentare. Dopo alcune riflessioni, però, l’ho ritenuto in qualche maniera propedeutico ai passaggi successivi. Non so quanti di voi stiano leggendo gli articoli di commento a Hutchinson volta per volta ma se avessi saltato questo pezzo, ai lettori ordinati sarebbe mancato qualcosa. Il contenuto dell’articolo è abbastanza ovvio: un conto avere a che fare con selvaggina “facile”, un conto trovarsi al cospetto di selvatici che sono già stati minacciati dall’uomo (e dal cane!). Hutchinson non parla di animali da “riserva” contrapponendoli a “selvatici veri”, contrapposizione spesso udita nei chiacchieratori da bar. La sua classificazione tra animali ingenui ed animali diventati scaltri avendo avuto a che fare con il cacciatore,  è più completa e più corretta: chiunque abbia frequentato una buona azienda faunistica, per esempio, sa che possono esserci selvatici validi anche in riserva. Anzi, questi selvatici che riescono a sopravvivere in una faunistica (non sto parlando di capi seminati la mattina stessa), spesso incalzati dai cani e dai fucili in più riprese… diventano leggeri come piume. Lo stesso può dirsi della selvaggina di ATC a fine stagione o  di quelle beccacce superstiti che sono le ultime a ripartire verso sud. Dopo tanti beeper, tanti campani, tanti rametti spezzati dagli scarponi… spiccano il volo non appena sentono battere le narici dei cani.

Quello da tenere a mente è il rifermento al cane, cauto e ben addestrato. A breve ne risentirete parlare!hutchinson 5

“La trota, in acque non battute, può essere catturata anche con l’attrezzatura più grossolana e con le mosche peggiori ma occorrono più esperienza e il filo migliore per uccidere un pesce perseguitato.  Con la caccia è lo stesso.  All’inizio della stagione, quando gli uccelli se ne stanno immobili come sassi e il cane può arrivare a pochi metri da loro,  si può uccidere la selvaggina con  qualsiasi cane. Le cose cambiano però quando gli animali si inselvatichiscono:  a quel punto, per fare carniere è indispensabile un cane perfettamente addestrato. In quel caso qualsiasi approccio incauto da parte del cane o qualsiasi rumore fanno alzare la selvaggina […] “ W.N. Hutchinson – Dog Breaking – 1865




L’addestratore – I requisiti

In questo paragrafo, Hutchinson spiega quali sono i requisiti essenziali in un buon addestratore. Cita per primo l’autocontrollo: serve a non punire il cane quando ciò non è necessario. Ciò è talmente elementare da passare inosservato. Ho visto conduttori punire il cane semplicemente per scaricare il proprio nervosismo. Questo non veniva quasi mai fatto in  maniera intenzionale ma veniva comunque fatto e non ha senso. Il cane, che non ha fatto nulla di male, incassa la punizione ma non la comprende. Un altro esempio riguarda l’utilizzo del collare elettrico su cani lunghi, poco collegati e poco ubbidienti. Il cane non rientra, è lontano, spesso nascosto dalla vegetazione, non si sta cosa stia facendo e trac, danno una scollarata? Perchè? Solo due esempi, tra centinaia disponibili. Pur avendo accennato alle punizioni Hutchinson ricorda subito che i risultati migliori si ottengono lavorando con allegria e quindi, come diremmo oggi, avvalendosi del rinforzo positivo.

La seconda dote necessaria all’addestratore è la coerenza, nulla di nuovo anche se è pregevole il sottolineare di non dimenticarsi di “correggere” il cane quando si è euforici o impegnati ad assicurarci un selvatico. Questo è un tipo di errore che io commetto: tutta entusiasta del risultato positivo di qualcosa, ho un intervallo temporale personale il cui non vedo i successivi errori! Ovviamente vale anche il discorso opposto, una situazione negativa non deve portarci a correggere il cane oltre il dovuto.

La riflessione (o capacità di riflettere) chiude la lista delle doti essenziali: ci serve per capire come rapportarsi al cane.

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“I requisiti principali necessari ad un addestratore sono:  primo, l’autocontrollo, in modo che non si cada mai nel tranello di dare una punizione non necessaria dal momento che, e questo vale sia per i cani che per i cavalli, non vi è addestramento migliore di quello condotto in allegria; secondo, la coerenza affinché in preda all’euforia, o se impegnati ad assicurarci un selvatico, non ci si dimentichi di biasimare un errore (non ho detto di non punire) che sarebbe stato notato in un momento più tranquillo e, d’altra parte, che non si corregga il cane più duramente del dovuto perché si è sbagliata una fucilata o si è perso il selvatico; e, infine, la capacità di riflettere,  in  modo a poter capire quale significato un animale non raziocinante può probabilmente attribuire ad ogni parola, segnale o sguardo.”  W.N. Hutchinson Dog Breaking -1865




C’era una volta… l’addestramento

Pochi giorni fa ho ricevuto in dono da un’amica il libro “Dog Breaking. The Most Espeditious, Certain and Easy Method” scritto da William Nelson Hutchinson nel 1865. L’edizione donatami è la sesta (1876) e, provando molta gratitudine per questo regalo inaspettato ho promesso di leggerlo. La mia intenzione originale era “salvare” i punti salienti e e riferirli a chi mi aveva regalato il libro e a ad altri amici. Successivamente ho pensato che potevo condividere le mie scoperte anche con i lettori di Dogs & Country dal momento che, come vi accorgerete, il testo è sorprendentemente moderno per l’epoca.

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La traduzione è la seguente: L’addestramento dei cani, non è ben lontano da essere un mistero. Si tratta di un’arte facile da apprendere una volta che la si inizia e la si prosegue basandosi su principi razionali”. Era il 1865, qualcuno non l’ha ancora capito nel 2015!

ps.  Se non volete aspettare i miei riassunti, il libro è in vendita in edizione moderna o scaricabile online qui Dog Breaking