Quattro passi dentro casa: le cornici blu

Le cornici blu, come è giusto che sia, guardano dall’alto al
basso il telo cinese. Sono arrivate prima di lui, molto, molto prima. Ridendo e
scherzando, credo se ne stiano attaccate al muro da almeno una quindicina
d’anni. Sempre nella stessa posizione e sempre sopra la stessa pittura color
malva che mi ha reso inconfondibile tra i commessi del colorificio locale. Che
ci vada di persona, o che mandi l’imbianchino, il contenuto della latta non
deve essere rosa, ma non deve nemmeno essere viola. Guai a virare verso il
color lavanda, è troppo freddo, dobbiamo stare il quanto più vicini possibile
al color malva. Che poi è quasi sinonimo del color erica in fiore: dipende
dalla luce, tante cose dipendono dalla luce. 
A proposito di colori freddi, non credo si vedrà mai una parete gialla
in questa casa, il color malva si abbia perfettamente al blu delle cornici. È
un blu che è tanti blu insieme: distalmente, così diciamo in anatomia, troviamo
un blu abisso, muovendoci verso l’interno, invece, abbiamo un azzurro chiaro
caraibico, commercialmente noto anche come “Bahamas Blue”. Le sfumature sono
interrotte da venature bianco azzurro. Descritte così, le mie cornici potrebbero
sembrare la seconda cinesata nel raggio di pochi centimetri: niente di più
falso, nell’insieme, l’effetto complessivo è piacevole.

Non posso dirvi dove le ho comprate, non perché debba
rimanere un segreto, semplicemente non me lo ricordo: ricordo di averle
comprate io, di questo ne conservo la certezza, ma ho dei buchi nella memria
simili a quelli di un gruviera. Credo provengano da una specie di brico locale,
uno di quelli che da un anno all’altro cambiano nome e proprietà, con
l’assortimento che, tuttavia, rimane all’incirca lo stesso. Però, potrebbero
anche provenire dal brico supremo, quello che sta a una ventina di chilometri
da qui e che non nomino perché mi mette troppa soggezione: è troppo lontano per
pensare di andarci. Ho visto gente rimettere a nuovo la casa durante queste
giornate di quarantena. C’è una casetta bianca, qualunque, lungo il tratto in
cui passeggio con i cani. In meno di un mese la sua recinzione è diventata più
nera, le sue persiane più verdi, e i suoi muri più bianchi. Se non si può
uscire di casa, da dove saranno arrivate tutta quella pittura e tutti quei
pennelli?

Comunque, tornando alle cornici blu, costoro sono un numero
di cinque, non ricordo esattamente il perché. Tre alloggiano stampe di
fotografie dell’inizio del secolo scorso , due invece delle copie di fotografie
in bianco e nero scattate negli anni ’70. 
C’è però un incredibile trait d’union, tutte le immagini portano
dei setter inglesi. Prima di parlarvi delle immagini, devo parlarvi dei passpartout,
perché hanno una storia tutta loro. A comprare una cornice pronta ed infilarci
dentro una foto siamo capaci tutti, ci costa anche molto meno che far fare una
cornice su misura, il problema arriva quando gli abbinate ciò che dovrebbe contenere.
Le anime semplici si accontentano di far combaciare i bordi dell’immagine con
quelli della cornice: la gradevolezza del risultato lascia però molto a
desiderare.  Tutti abbiamo almeno
un’immagine imprigionata in questa maniera, ma… ecco vi lascio i puntini di
sospensione, così potete decidere come pensarla.

La soluzione preferita da
pignoli-perfezionisti-ossessivi-compulsivi? Il passepartout della giusta
tonalità e della giusta misura. Ora che ci penso, perché il beige del
passpartout centrale è più crema degli altri, che danno invece sul corda? Chi
lo sa, ho impattato con l’ennesimo buco del gruviera. Nell’anno di nascita
delle cornici blu non esistevano ancora i tutorial su Youtube, però avrei
potuto aggrapparmi ai ricordi delle lezioni di educazione tecnica delle scuole
medie. Ci ho pensato, ma non ci ho neanche provato: è inutile cercare di fare
il salto dalla teoria alla pratica, se sai già che quanto allungherai la gamba
cadrai prima di toccare l’altra sponda.

Ready for the Call

Se esistesse una classifica del senso pratico, il mio sarebbe sotto lo zero. Con la manualità va un po’ meglio, ma sostanzialmente io sono quella che ha le idee, mi aspetto che siano gli altri a realizzarle. Le mie idee, ovviamente, sono ottime, solo difficili da mettere in pratica. È per questo che i commessi dei brico, i fabbri, gli imbianchini, i falegnami, insomma gli artigiani in genere, preferiscono non avermi come committente.  Ricorrono a mille astuzie per non farsi trovare, ma nulla possono contro la mia determinazione. Mi evitano perché sanno di non poter essere scortesi: negli anni, infatti, ho elaborato un sistema di rottura di scatole raffinato ed efficace, nonché a prova di insulto. Perché se io rompo, usuro, consumo, trito….  ma in fondo sono educata e gentile, anche se vorrebbero tanto mandarmi a quel paese non ho fornito loro le munizioni per poterlo fare.  In fondo sono persino buona: consapevole della mia totale assenza di senso pratico, affermo spesso che il mio coinquilino ideale sarebbe un caporeparto del Leroy Merlin.

Comunque, quando venne l’ora dei passepartout, la vittima
designata fu un anziano corniciao locale.  Con poco entusiasmo, li realizzò, facendomeli
pagare a caro prezzo e poi narrò la vicenda al figlio che ereditò, insieme
all’attività, anche un atteggiamento sospetto nei miei confronti.

Ma arriviamo finalmente a raccontare cosa contengono le
cornici blu, partendo da quella più a sinistra. La prima cornice, vicino alla
finestra e a nord del televisore, contiene una delle due foto anni ’70. Una
setterina che sorveglia un cucciolo di circa tre settimane: l’età l’ho stimata
io.

Con la seconda cornice abbiamo invece la prima foto di William Reid, un fotografo scozzese che risulta essere stato attivo tra il 1910 e il 1931. La “foto” è in realtà una pagina stampata proveniente da una qualche pubblicazione d’epoca. No Holt’s, no Christie’s: l’ho comprata su Ebay. Ora, io capisco il nazionalismo scozzese, capisco la sentita ricerca di identità da parte di questo popolo ma, intitolare l’immagine “Ready for the Call”, azzardatamente sottotitolata “A pack of Scottish Deerhounds on the Hills of the Vicinity of Edinburgh” (un branco di deerhound scozzesi sulle colline nei pressi di Edinburgo), mi pare un po’ tirato. Avete presente che cos’è un deerhound? Se non lo sapete ve lo spiego io: i deerhound sono dei levrieri specializzati nella caccia al cervo. La traduzione letterale del loro nome è segugi da cervo. Sono alti, molto alti sugli arti, smilzi, grigiastri e hanno un mantello duro, arruffato che spara in ogni direzione. Siccome so che è scortese paragonarli allo scopettone del wc, dirò che assomigliano a quelle spazzole irsute e avvitate che si usano per lavare l’interno delle bottiglie. Tolto il paragone politicamente scorretto, a me piacciono persino ma… non hanno nulla a vedere con le bestiole che appaiono nella foto. Abbiamo invece otto, forse nove – c’è una testolina che spunta dietro – cani. Di questi, quattro sono setter inglesi, tre sono pointer inglesi e uno sembra essere un cocker, per non sbagliare chiamiamolo semplicemente spaniel. I cani sono più o meno accovacciati e fermi, a dimostrazione che la steadiness (capacità di restare immobili), non è stata scoperta di recente dagli addestratori scozzesi. Dietro sembra vedersi un lago, più in là la sagoma dei moor.

We are Seven

Un lago fa da sfondo anche nell’immagine contenuta nella
cornice centrale, “A Young Game Keeper and His Nine Assistants, Aberfoyle
Scoltand”
(un giovane guardiacaccia e i suoi nove aiutanti, Aberfoyle,
Scotland). Nove cani, anche qui, che scrutano l’orizzonte immobili in compagnia
di un guardiacaccia che indossa il tweed della riserva, come accade tutt’ora.
Bravo William! Good boy! Stavolta hai azzeccato il titolo.

In quarta posizione abbiamo “We are Seven” (siamo
sette), il cui sottotitolo è “A Scotch Lassie and her half dozen setter
puppies”
. Lassie vuol dire ragazza, non vuol dire Lassie come lo intendiamo
noi. La razza “Lassie” non esiste, il cane a cui è stato dato quel nome, era un
cane da pastore di razza collie. Se siete arrivati fino a qui, e vi siete
persi, ci riprovo: quel cane protagonista di tanti film, era un collie di nome
“Lassie”, ovvero un cane da pastore di nome “Ragazza”. Se questo vi sembra
contorto, a me fa molto francese il contare i cani in mezze dozzine, sapete
come si dice 96 in francese vero? I cuccioli sono sei, con loro c’è una
ragazza, caso, o coincidenza, mi sento tanto io quando zampettavo per il
giardino urlando “Cagnoliniiiiiiii!”, “Cuccioliii” alla mia mezza dozzina.

La quinta cornice è sul confine con la libreria, cioè con una delle librerie, torniamo negli anni ’70, con una setter pensierosa, la stessa che fu mamma nella cornice iniziale. E il cerchio si chiude.

Se ti è piaciuto trovi il pezzo precedente qui e il successivo qui.




Heartworm “vaccines” are not vaccines!

These words came out of my keyboard a couple of days ago. It was one of the same old discussions in which vets end up being blamed for everything that goes wrong. Along the years, I have learnt to ignore them, but sometimes I cannot ignore the sacrifices I had, and I have, to face in order to graduate in veterinary medicine. Summarizing, the story was about an Australian Shepherd, younger than a year old, who died after being given the annual heartworm preventive (moxidectin, commercial name Proheart 6). To be honest, it is still not clear whether the dog died because of this drug, or by accidentally eating some poisonous plants in the garden. But, according to people, he died because of an ignorant vet. A mass revolt with more than 200, very confused, comments, exploded.

People refuse to believe that avermerctins (ivermectin, moxidectin, milbemycin selamectin….) used for heatworm prevention, hence at extremely low dosages, are perfectly safe for dogs who are MDR1- Multi Drugs Resistance Gene (affected). The dosage is too low to intoxicate them: it would be a whole different story if they were given the dosage to kill demodectic or sarcopctic mites. If you do not believe me, instead of listening to “your cousin”, read the scientific paper “Toxicology of Avermectins and Milbemycins (Macrocylic Lactones) and the Role of P-Glycoprotein in Dogs and Cats”. Furthermore, they are all the same: it is plain nonsense to give moxidectin, because ivermectin is tossic to MDR1 dogs…. These molecules belong to the same class. [I am not listing here the products commercial names, as they tend to be changed in different countries, just check your tablets box for the active component].

(Translation: So… let’s me figure this out, you just said vets are ignorant goats and now you call vaccine a macrocyclic lactone? I am a bit partial, you know…)

Confusion number two surrounds the Guardian SR (Pro-Heart 6) which is given to dog as an injection, once a year. It is moxidectin and it is supposed to stay in the dog’s body for at least 6 months, or more, thus protecting the dog during the whole mosquito season. This is a DRUG, not a VACCINE. Vaccines are another thing: you do not vaccinate the dog against heartworm (filariasis or Dirofilaria immitis, immitis means cruel in Latin), there are no vaccines against heartworm. What vets often reccomend, is the same drug you can give to your dog in tablets each month. Many people, however, and many veterinarians, prefer the long lasting formula, because it is more “convenient”.

I personally do not like it, I do not really like the idea of giving to an animal anything that is going to remain in his body for months. Why? It is very simple:

  • I do not know how long it will actually last;
  • I do not know how and at which speed it will be metabolized;
  • I am afraid of adverse effects. Albeit deemed safe, some dogs can experience side effects and, in this case, I will not be able to contrast them, there are no antidotes and these side effects could last for months….

So, what happened with the Australian Shepherd? First of all, as far as I know, he had never been tested for the MDR1 gene so we do not know if he really had a multi drugs resistance. Second, he was given Pro-heart 6, the long lasting moxdectin. I said above that moxidectin tablets are safe for MDR1 dogs. Is it the same for the injection? It should be safe but, for reason number 2 and 3 I would not recommend this product in a breed known for MDR1. Washington State University, on its website, gives this same advice. And neither I would recommend it for a pup/growing dog as you might need to give him a dose for “adult weight” and because younger dogs can be more sensitive to some drugs. When in doubt, err on the safe side!

I hope this can clarify some of the doubts, but please do not go around stating that “vets are ignorant goats” while, at the same time, trying to look smart by defining “vaccine” a macrocyclic lactone.




Chi è sbagliato?

Oggi parliamo di cani unicorni. Ho scelto gli unicorni perché posso dire le stesse cose che direi sui cani senza che la gente si metta sulla difensiva. Perché… Quando tiri in ballo argomenti caldi, ci sono un sacco di persone diventano agressive assertive. È cominciato tutto qualche giorno fa, in un segretissimo gruppo Facebook, fatto da persone che si conoscono da più di vent’anni. Ci sono allevatori, giudici, addestratori, ciascuno portabandiera della sua razza. Ci sono anche un sacco di veterinari, e chiunque si renda conto di cosa sia la facoltà di medicina veterinaria sa quanto queste persone debbano essere determinate per laurearsi. Quindi, mettine un po’ insieme e avrai i fuochi d’artificio.

La miccia l’ha accesa un appassionato di genetica canina (che nella vita vera lavora nel marketing). Ha iniziato a pubblicare una serie di fotografie volte a dimostrare come le razze siano cambiate nel tempo. Prende una razza, quasi ogni giorno, e poi ne pubblica i cambiamenti affinché li si possano discutere. È filato tutto liscio fino alla pubblicazione dell’Unicorn Spaniel, quando io me ne sono uscita a chiedere come mai gli esemplari da lavoro di una razza assomiglino di più ai loro antenati di quanto non accada ai soggetti da show. Ho detto questo per l’Unicorn Spaniel, ma le mie perplessità riguardavano tutte le razze da lavoro che erano andate dividendosi in due ceppi. Avrei potuto dirlo per l’Unicorn Setter, per l’Unicorn Collie, per il Siberian Unicorn, per il Pastore di Urnicornlandia… Prendete una razza a scelta, tra quelle da lavoro, meglio se una di quelle che lavorano ancora, controllate vecchie stampe e vecchie fotografie e traete le vostre conclusioni.

Unicorn Setter durante una prova di lavoro

Tornando al singolo episodio, è successo che uno dei vet (amico e gran prava persona!), appassionato di Unicorn Spaniel da bellezza, si è messo sulla difensiva accusandomi di essermi impuntata e voler avere ragione a tutti  i costi. Ok, ogni tanto mi capita, ma non in questo caso. Gli ho mostrato alcune fotografie di Unicorn Spaniel da lavoro ne è rimasto sconvolto: erano tutti sbagliati, le orecchie non andavano inserite, lì le teste non parliamone, le zampe erano sbagliate eccetera. Nel frattempo, un’altra vet ed amica, allevatrice di Unicorn Retriever è passata di lì e ha commentato: “Oh, ma è la stessa diatriba che c’è per gli Unicorn Retriever”.  Io capisco entrambi, davvero, e a modo mio simpatizzo con il loro punto di vista, ammetto persino che gli Unicorn Spaniel da show siano animali esteticamente molto gradevoli ma… allo stesso tempo, ritengo che si siano allontanati dal modello originale, altrimenti detto “giurassico”. Non sto dicendo che siano peggiori, solo che siano diversi!

Unicorn Retriever da expo’, notare la struttura massiccia e i crini profusi

Ammetto candidamente di essere appassionata  unicorni da lavoro, ma non intendevo affatto dare torto a nessuno, né riattivare la solita, per quanto sempre saggia,  discussione su linee da lavoro e linee da expo’. Intendevo, e intendo, capire PERCHE’ gli unicorni da lavoro sono ritenuti “sbagliati” dalla maggior parte delle persone, in special modo da chi frequenta le expo’. Sono la prima ad affermare che ci siano soggetti da lavoro ORRENDI, che non sembrano nemmeno più unicorni, ma sono anche pronta a ribadire che ce ne sono alcuni molto bellini. Il mio unicorno ideale è un bell’unicorno da lavoro. Non sarei felice con un unicorno brutto, ma allo stesso tempo, il mio unicorno, deve essere bravo in campo. Siffatti animali, sono la più pura espressione della bellezza: armonici e sobri, sono un piacere a vedersi, sia al guinzaglio che mentre lavorano. E, guarda caso, assomigliano anche ai loro antenati, soggetti creati per funzionare.

Durante la mia prima lezione di istologia (lo studio dei tessuti del corpo) all’università, il professore, introducendo la cellula, ha messo in chiaro che la forma è conseguenza della funzione e che questo era vero per una cellula, per un tessuto e per un organismo. Credo debba essere vero anche per gli unicorni, allora. Quindi, perché gli animali funzionali sembrano sbagliati? E perché lo sembrano anche se riflettono quanto scritto nello standard? Se leggete gli standard di razza con cura, noterete che molti di loro non promuovono, né tutelano, la maggior parte delle esagerazioni morfologiche che oggi fanno vincere un cane in ring.

Quindi, perché oggi vengono ricercate esagerazioni come mantelli super lunghi, orecchie esagerate, pelo da pecora, gambe extra corte e adipe in abbondante eccesso? Perché queste caratteristiche sono ritenute piacevoli? Dove è andato il buongusto? Il nostro senso estetico è stato contaminato dalla modernità (TV spazzatura, fast food, cineserie…)? Se è così, forse dovrei tornare nel passato mentre la questione, piuttosto filosofica, resta senza risposta

Forse ne scriverò ancora.




Which one is wrong?

Today we are going to talk about dogs unicorns. I choose unicorns because I can say the same things I would write about dogs and, at the same time,  avoid people getting defensive. Because… When you discuss some hot topics, plenty of people can turn aggressive assertive.

It all started a few days ago, in a super secret Facebook group, made of people who have been knowing each other for about 20 years. There are plenty of breeders, judges, trainers, scholars, involved with different breeds.  In such a diversity, there are also plenty of vets and… anyone familiar with Italian Vet Schools knows how strong willed these people need to be, in order to graduate!  So, put some of them together and you will get fireworks!

The fire point’s of origin was caused by a scholar of canine genetics (who in real life is a marketing specialist) who started to publish pictures showing how some breeds have changed through years. He picks a breed, almost daily, and publishes the changes for us to discuss. It all went quiet until we came to the Unicorn Spaniel: at this point, I came out questioning why the current working specimen of a breed are much closer to their ancestors than their show counterparts. I said this in the Unicorn Spaniel discussion but I deemed it valid for most of the “working” breeds that have gone through a split. It could have been the Unicorn Setter, the Unicorn Collie, the Siberian Unicorn, the Unicorn Shepherd… Pick any breeds created for a specific purpose, better If it is performing its job, go through old prints and pictures and draw your own conclusion.

A working Unicorn Setter during a FT

What happened is that a vet (and very good friend)  involved in the show type Unicorn Spaniel, got defensive and accused me of being strongly opinionated, which I can sometimes be, but not in this case. I showed him some Working Unicorn Spaniel pictures and he was literally horrified by them stating that those dogs had wrongly set ears, wrong heads, wrong paws, they were all wrong. At the same time, another vet (and good friend as well) who breeds Show Unicorn Retrieves stopped by and commented that “Oh well, it is the same story with Unicorn Retrievers”. While I can understand their viewpoints, and agree upon the fact that the show type Unicorn Spaniel is still a nicely built animal, I am also firmly convinced that it diverged from the original model and became something else. Not better, not worse, just different.

A show Unicorn Retriever (notice the extra long fluffy hair and the sturdy build)

I admit being a supporter of  the working unicorns cause,  but I was not trying to prove anybody wrong, nor to end up in the same old (yet always important) discussion on show unicorns vs working unicorns. I was, and I am, trying to understand WHY working type unicorns are perceived as being “wrong” by the majority of people, and especially by show people. Whereas I am ready to declare that some working type unicorns are incredibly UGLY and do not resemble unicorns at all, I am also ready to point out that there are also some very pretty (or handsome, depending on the sex) ones. My ideal unicorn is a good looking, nicely built, working unicorn: I won’t be happy to own a ugly unicorn, but at the same time, my unicorn should perform well in the field. These animals are the purest expression of beauty: harmonic and sober, they are a pleasure to look at either when they are on lead or when they are performing their job. Needless to say, they resemble their ancestors, models of unicorns which were created for function.

During my first histology (the study of body tissues) lesson at the university, while introducing the cell, the professor pointed out that form follows function, and that this was true for a cell, for a tissue, for an organism. I guess it should be true for unicorns as well. So why do functional specimen look wrong? And why do they look wrong if they still incarnate what is written in their breed standard? If you go through breed standards carefully, you will notice that most of them are not promoting, nor advocating, most of the exaggerated features we now see winning in the show ring. I was almost forgetting… that they still do the job they were created for!

So why do people perceive exaggerations such as extra long coats, extra long ears, super fluffy coats, super short legs and extra pounds as correct and aesthetically pleasant? Let’s forget functionality – for a moment, where has good taste gone? Has our aesthetic sense being contaminated by modernity (rubbish on tv, fast food, short lived made in China goods…)? If so, I think I should have born in another century,  but the question, a pretty philosophical one, remains unanswered.

More later, maybe.