Incontrare o gestire la selvaggina? IT vs UK

Le persone continuano a chiedermi le differenze tra le prove italiane e quelle britanniche. E’ complicato, ne ho già parlato in un altro articolo, ma i punti da toccare sono tanti e, più partecipo alle prove italiane, più differenze riscontro. Ho scritto partecipare perché le prove ho iniziato a “guardarle” nel 2004, ma da poco gareggio e, in ogni caso, in questi 13 anni alcune cose sono cambiate. Il mio ruolo, inizialmente, era quello del giornalista/fotografo, a cui a volte i giudici davano il compito di trascrivere le loro note. Ero un osservatore neutrale e ho avuto la grande opportunità di poter seguire le cose da vicino, pur restando ad esse esterne. Il fatto che io sia scesa in campo ha stupito chi era abituato a vedermi nel mio altro ruolo ma, questa nuova pratica mi consente di comprendere le cose ancor più in profondità. Le miei opinioni, impressioni, sensazioni e preoccupazioni non sono cambiate ma posso dire di poter vedere alcune cose con maggior chiarezza, e questo è un processo ancora tutto in divenire.

Ho spesso affermato che obbedienza e controllo del cane sono fondamentali in una prova di lavoro britannica ma meno importanti alle nostre prove. Dietro a questo approccio ci sono molte ragioni, alcune probabilmente più socio-economiche che non cinofile. La presenza della selvaggina è sicuramente uno dei punti chiave. Sono arrivata alla conclusione, non che ci volesse un genio, che ad essere “colpevoli” siano la presenza, o l’assenza, di selvaggina. Chi ha familiarità con le prove italiane, sa quanta fortuna occorra per trovare un selvatico, In media, direi che circa il 25-30% dei cani, nel corso di una prova, ha la possibilità di fermare e lavorare il selvatico come si deve. Circa il 30-35% dei cani ha invece la possibilità di “vedere” un selvatico ma poi succede qualcosa (compagno di coppia, capriolo, meteorite…) che gli impedisce di completare l’azione. A volte le cose vanno anche peggio: durante una prova corsa lo scorso ottobre non si è visto un selvatico. La mia batteria, se non ricordo male, era formata da 11 coppie, quindi 22 cani e alcuni cani, tra cui la mia, sono stati portati al richiamo per offrire loro una seconda possibilità. In totale si è visto solo UN piccione, come potete immaginare nessun cane è andato in classifica. In Gran Bretagna è tutto diverso, i cani hanno quasi sempre la possibilità di incontrare, poi qualcosa può andare storto ma, di sicuro, il mancato incontro non è in cima alle preoccupazioni dei conduttori.

Per trovare un selvatico in italia devi avere un cane sveglio che si porti addosso uno zainetto pieno di fortuna: purtroppo è tutto vero,  parlerò del perché in altri articoli. Tutto ciò è reale e tristissimo: io amo i cani da ferma e chiunque abbia la stessa passione sa quanto questa situazione possa essere frustrante. Immaginate la giornata tipo alle prove: ci si alza alle 3 del mattino (perché le prove iniziano prestissimo), si guida per 200 chilometri, il cane fa un bel turno ma non incontra. Al giudice è piaciuto e lo porta al richiamo, per dargli una seconda possibilità ma, di nuovo, non incontra e la prova si chiude così. Immaginate questo accadere regolarmente e avrete il quadro completo.

Anni fa, chiacchierando con un giudice, gli ho chiesto perché alcuni allevatori fossero ossessionati dai galoppi: esistono ancora cani senza cervello, né senso del selvatico ma che però hanno galoppi favolosi, tipicissimi per la razza. Volete leggere la risposta? Breve e incisiva: gli allevatori danno molta importanza al movimento perché per il 99% del tempo i giudici lo vedranno galoppare, data la rarità delle ferme. Quindi si ricorderanno soprattutto come cerca e come muove. La risposta ha senso, ma mi rattrista. Le prove erano nate per valutare i cani da ferma e accertarsi che fossero buoni cani da caccia? Quindi per ora abbiamo dei bei galoppi, e poi?

Credo che al cuore delle nostre prove ci sia il trovare il selvatico, meglio se fatto con bello stile e dei bei lacets ampi e profondi. È così difficile incontrare qualcosa, che quello che viene dopo è meno importante. Non sto insinuando che una bella presa di punto e una bella ferma non siano importanti, gli italiani ci tengono eccome, sto dicendo che una volta fermato il selvatico le cose non possono che andare migliorando! Forse è per questo che una volta visto il cane in ferma i conduttori lo raggiungono in corsa trasudando entusiasmo. Cosa succede se è un po’ esitante nella guidata? Se non è immobile al frullo e allo sparo? Probabilmente si chiuderà un occhio, tenendo conto di quanto sia già stato difficile incontrare.

Gerry Devine at a Scottish trial. Such actions are a common sight

In Gran Bretagna è tutto l’opposto: i cani corrono in luoghi in cui i selvatici sono presenti, a volte troppo presenti, il che rende vitale il controllo sul cane. Non è difficile trovare una grouse, la trovi anche senza cane, diciamo che la selvaggina è data per scontata. Ad una prova di lavoro britannica non sarà difficile vedere un cane in ferma, le ferme sono una cosa normale. Dopo tutto le prove sono nate per valutare i cani da ferma e senza ferma come si fa? Quando un cane va in ferma, da loro, il conduttore lo raggiunge tranquillamente camminando. Colpa di un eventuale regolamento? Dell’indole meno focosa? Può darsi, ma credo che il nocciolo della questione sia la consapevolezza, sanno che la parte più difficile della prova inizia adesso. Dopo la ferma, il cane deve guidare e fare alzare correttamente il selvatico, dimostrare immobilità perfetta al frullo e allo sparo e eseguire il “clear the ground” (ispezionare il terreno per accertarsi che non ci siano altri selvatici), il tutto condito da una buona dose di obbedienza. Le prove britanniche non sono facili!

Quindi… durante una prova italiana l’incontro è al centro della scena (meglio se il cane ci arriva con stile), mentre in Gran Bretagna il cane è controllato a puntino su come gestisce il selvatico dopo l’incontro. Agli italiani importa, eccome, di come il cane fermi e porti il selvatico ad involarsi ma, sfortunatamente, le occasioni per verificarlo sono limitate. A fare la differenza sono l’ambiente la gestione della selvaggina. Se scavo nella mia memoria, le cose che ricordo di più di cani specifici alle prove inglesi, sono il loro lavoro dopo la ferma (soprattutto le guidate) e l’obbedienza. Certo, mi ricordo anche di alcune cerche straordinarie ma queste occupano uno spazio più piccolo della mia memoria. Se cerco di ricordare le prove italiane, le cose sono rovesciate.

Che cosa è meglio? Non ci sono vincitori. Per essere vincente ad una prova italiana il cane deve essere molto determinato, avere molto senso del selvatico (e/o una dose gigante di fortuna), muoversi con stile e essere intraprendente, a volte anche troppo indipendente. Quando si ha il tutto nelle giuste dosi, si ottiene un gran cane, ma se si sbagliano i conti si producono cani che corrono per il solo piacere di correre e che sono inaddestrabili dalla persona media. Il sistema britannico, invece, controlla con pignoleria come il cane tratta il selvatico e obbliga i conduttori a tenere d’occhio l’addestrabilità. Di converso, a volte da loro trovare un selvatico è troppo facile. Se un cane potesse essere verificato attraverso entrambi i sistemi si andrebbe vicino alla perfezione.




Una bella serata di 10 anni fa – di Angelo Cammi

di Angelo Cammi

Il fascino dei ricordi.

Organizzata in una pizzeria di Piacenza nel giugno del 2006, è rimasta nei miei ricordi e ogni tanto ripassando il pacco di note e articoli che ben conservo, mi capita di rileggerla. La ripropongo, sintetizzata, se non altro, per fare confronti a distanza di tempo. Ed aggiornate considerazioni.

 L’idea di trovarsi, in quattro attorno ad un tavolo, è stata eccellente ed ha creato l’occasione per affrontare argomenti cinofili molto discussi e, come tali, con molti pro e contro. Quattro setteristi con impegni diversi che si scambiano opinioni.

Il derby, le zone di addestramento, le zone Doc e tanto altro.

“ A me non la danno a bere questa storia delle zone DOC in aree adibite a ripopolamento. Vedrai che pian piano le allargheranno in ogni dove, altro che selvaggina DOC !!! “.

Si passa poi al Derby; è una prova entusiasmante,  la verifica del valore riproduttivo dei  trialer(!!!), e si dà per presentata una proposta per un Derby per le sole femmine! <Si,si tutti propongono >– dice il Focoso a voce bassa – <campa cavallo!!-.>

E’ la volta delle starne. Il Taciturno fa riferimento ad una lettera di un tizio apparsa su un sito che si proponeva come vero esperto della loro reintroduzione. <Quello, non sa cosa dice; non ha nemmeno idea di quanto il …………………… ed io, abbiamo fatto per rimetterle; abbiamo cambiato zona,gabbie, gabbiette per i richiami, cambiato alimentazione e furono solo lacrime e sangue. Guarda il Mezzano, sembrava il paradiso terrestre delle starne, e nessuno sa ancora con precisione perché sono scomparse >.

Dato che gli argomenti non hanno regolarità nell’esposizione, si torna alle zone Doc.<E poi chi me lo dice che il criterio di scelta delle zone Doc sia uguale per tutti? Chi me lo dice? E perché allora non mi passano la tal zona di ripopolamento? > Dubbi legittimi se non si precisano le motivazioni!

Poi la legge regionale, la mancanza di zone di addestramento. Questo punto tocca i nervi scoperti. <Dove possono andare quei poveri cristi di cacciatori che hanno anche la passione per le prove? Dove vanno a fare qualche incontro? E chi si deve interessare? Le Associazioni dei Cacciatori che ci sono a fare?

Il discorso ha una sua logica! Il Tecnico con uno slancio quasi patriottico rimarca la differenza del comportamento dei fagiani autoctoni con le proprie note difese, da quelli “lancioctoni” che non sanno far tribolare il cane per farsi fermare.

Caffè per tutti ? Ci porta con i piedi per terra la graziosa voce della cameriera che dalla parte del Focoso sorride e si atteggia con grazia. Lui la guarda, si addolcisce < Signorina, lei è molto carina, dovrebbe però sviluppare un po’ i polmoni.> “Come sarebbe a dire, sbotta la ragazza. <Sa, noi abbiamo i cani e quando sono mingherlini come lei, per renderli atletici li facciamo correre per fare il fisico e sviluppare i polmoni>. – <Guardi che io ho fatto i cento metri ed il salto in lungo e non ho proprio niente da sviluppare->.

Il Saggio per portarci in carreggiata dopo la figuraccia, porta il discorso su binari un po’ più classici. <Tutto è migliorabile in democrazia, si cerca il consenso della maggioranza, poi si mette in atto il programma”.>

L’ultima parte della frase, quella che accenna “alla messa in atto dei programmi”, ha l’effetto di un blocco gastrico sul Focoso che si rende conto di trovarsi in difficoltà; una via di mezzo fra il balbettare e l’inciampare nelle parole, riesce solo a dire che non ricorda che questo sia mai avvenuto! Comunque per risollevarsi ordina un gelato al limone mimando con le mani come avrebbe dovuto essere. La ragazza del salto in lungo arriva con un catafalco di gelato che avrebbe rinfrescato una compagnia di scout.

Aspettiamo in silenzio la fine del gelato pensando alla nostra chiacchierata, ci sentiamo bene, una vera bella serata.

 

Hammer di Del Borghi
Hammer di Del Borghi

RIFLESSIONI (non solo mie): evidentemente è stato lungimirante il Focoso nel prevedere lo scollamento dell’impalcatura delle zone Doc, il loro snaturamento con il coinvolgimento delle AFV che nell’atto costitutivo non erano per nulla considerate, visti gli obiettivi. Non si può fare a meno di chiederci come e perché il progetto abbia subito modifiche peggiorative. Hanno avuto un’evoluzione le zone di addestramento? Era certo una bufala  la proposta di un Derby per sole femmine setter visto il successivo totale silenzio. Altre considerazioni? Si, diverse : come valutare sul piano tecnico- selettivo, ad esempio, i risultati del Derby inglesi 2016, peraltro magnificamente organizzato, con circa170 cani iscritti e con 4 classificati? (Poco più del due per cento). <Non consideriamo la competitività , ma la selezione, >, lo sento ripetere da anni, ma,alla luce dei fatti, i classificati sono sempre meno. I trialer, vecchi, nuovi, non mancano; i campioni di lavoro proliferano. I conti non tornano nemmeno quando ci si esalta a menzionare vittorie in manifestazioni definite importanti; certo soddisfano sotto l’aspetto spettacolare, ma la concretezza è un’altra cosa e gli standard ed i regolamenti si concentrano su questa. In sostanza la selezione a cui ci si aggrappa con piglio tecnico, produce soggetti sempre più lontani dalla funzionalità del cane da ferma. ”PRESTAZIONE IN NOTA, GALOPPO TIPICO, NON INCONTRA”; OTTIMO GALOPPO, RICHIAMATO INVESTE SELVAGGINA; Le relazioni sono su questi binari in altissima percentuale; ora si vedono anche sul sito. Ma allora di che selezione si parla?

COMMENTO: Certe idee, certe dichiarazioni, nascono in forma estemporanea con abbondante autoreferenzialità, specie quando ci si trova in un consesso che si scalda con slogan populisti; ma il seguito, come si evince, è poi desolante. Mi auguro di poter dire “sino ad ora”.

Nulla di polemico è nelle mie intenzioni, le polemiche non producono e non sono costruttive. La volontà di capire è però sempre giovane e vigorosa.

CONCLUSIONI: Grazie ai cacciatori con il setter inglese che mantengono vivo il fondamentale serbatoio dei valori autentici del cane da ferma da caccia. Un dovuto plauso con la raccomandazione di considerare essenziali L’AVIDITA’, L’INTELLIGENZA E LA CORRETTA COSTRUZIONE. Solo così il setter andrà avanti!!!!

Angelo Cammi

Aprile 2016

 




Harkila Jerva: la prova in campo

Soffia un vento siberiano. Ok, non sono sicura che sia siberiano ma soffia da est e e è molto freddo.

Gli stranieri immaginano l’Italia come un paese caldo e soleggiato tutto l’anno. È una bufala,probabilmente messa in giro da chi opera nel turismo, vi posso assicurare che, qui al nord, abbiamo inverni molto freddi. Comunque, quello che il vento cerca di dirmi è che è giunto il momento di terminare il test del mio completo Jerva. Chi segue il blog, sa già che Harkila mi ha fornito un completo da caccia da testare. Ho già descritto i dettagli estetici e tecnici del completo qui, ora vi dirò come l’ho testato e cosa ne penso. Il completo è arrivato a metà ottobre e l’ho indossato per circa un mese, quasi tutti i giorni. Dal momento che lavoro (e studio) da casa, non ho vincoli di abbigliamento quindi, in autunno e in inverno, mi aggiro per le strade vestita come… un guardiacaccia. Abitando fuori città, ho comodo accesso alla campagna e quindi il cane esce per passeggiate e sessioni di addestramento nei campi tutti i giorni. Questo significa che devo indossare abiti adatti al fango, al vento, alla pioggia e alla nebbia. Quando torno a casa mi scordo di cambiarmi e continuo la giornata con gli stessi  vestiti, ovvero vado al supermercato o in posta indossando abbigliamento da campagna che sfuma dal verde al marrone, devo sembrare decente. Va bene sembrare un guardiacaccia, ma va decisamente meno bene sembrare un boscaiolo canadese: la linea che separa queste due professioni è sottile. Comunque, mentre la indossavo, nessuno sembra avermi notato particolarmente, il che significa che stava bene. Un’amica che ha un negozio di scarpe e di accessori in centro ha visto la giacca, ha chiesto di poterla provare e poi ha fatto domande sulla stessa, sulla marca eccetera, direi che ciò definisce questo capo di abbigliamento elegante!

Bel taglio

Ma continuiamo con il test sul campo, a partire dalla giacca:  è molto confortevole e gli inserti in tessuto elasticizzato permettono ai cacciatori di muoversi liberamente, il fucile si imbraccia con facilità senza sentire tirare le maniche, ci si può sedere, sdraiare e allungarsi quanto serve per entrare e uscire dai fossi. Queste stesse caratteristiche tornano utili anche durante l’addestramento cani: mettiamo caso che dobbiate acchiappare il cane al volo, ecco potete farlo! Ho indossato il completo durante passeggiate, addestramento, uscite a caccia, alle prove, in climi differenti. Sotto un sole intenso, la giacca si è rivelata troppo calda, ma nei giorni normali, con temperature comprese tra gli 8°C e  i 15°C gradi, si è dimostrata perfetta per il cacciatore attivo.

Vento e pioggia?Dunque, le darei un 10 pieno per il vento, un 6.5 per la pioggia. La cerniere e i tessuti della giacca Jerva bloccano il vento e tollerano acqua in quantità moderata. L’ho usata senza problemi per brevi tragitti sotto la pioggia e per lunghe passeggiate nella nebbia o sotto piogge leggere, ma non credo possa resistere a piogge forti o a molte ore passate sotto l’acqua. Rovi e detriti vegetali?  i “pallini” non si attaccano, il che è un’ottima cosa, ma non la userei per affrontare dei roveti. Sono entrata in alcuni cespugli per seguire il cane al lavoro su fagiani, ma non consiglio questo completo per ambienti e compiti estremi, come fare il canettieri durante la caccia al cinghiale. Caccia alla beccaccia? Sì, potrebbe andare e andrebbe ancora meglio per la caccia di selezione alla cerca, dal momento che il tessuto è estremamente silenzioso. Una cosa che mi piace moltissimo della Jerva sono le tasche poiché sono estremamente capienti senza farvi sembrare goffi.

Tasche
Tasche

In definitiva, consiglio l’acquisto di una Jerva e se sì per quali scopi? La giacca Jerva è comoda e pratica ma, allo stesso tempo, femminile ed elegante: le donne che vanno a caccia sanno quanto sia difficile trovare tutte queste caratteristiche messe insieme in un unico capo di abbigliamento. Quindi, se avete un occhio alla qualità e all’estetica, prendetela in considerazione. La si può indossare nelle mezze stagioni, quando le temperature sono gradevoli ma il tempo può variare da un momento all’altro, in barba alle previsioni. Questa giacca è perfetta per l’addestramento cani, per le prove di lavoro, per passeggiate in campagna alla ricerca di funghi e di unicorni e per tutti  i tipi di caccia,a patto che queste attività non siano praticate in ambienti e climi estremi. Se volete cacciare al freddo, leggete la recensione del completo Harkila Kana.

Passiamo ora ai pantaloni, anche loro sono stati già descritti, e anche loro hanno suscitato nelle persone il medesimo atteggiamento rilevato con la giacca, quindi, per quanto riguarda l’estetica sono approvati dagli italiani. Poco prima di riceverli, ho acquistato un paio di pantaloni da trekking da LIDL. Ammetto che l’unico motivo che mi ha spinto ad acquistarli è stato il loro color violetto erica. Ma, in ogni caso, il mio acquisto emotivo, mi ha permesso un confronto con un prodotto di qualità superiore.  i Jerva di Harkila, infatti, costano circa 10 volte tanto ma c’è una ragione.  i pantaloni di LIDL hanno indiscutibilmente un eccellente rapporto qualità/prezzo, gli Harkila costano molto di più ma danno altrettanto. Quali le differenze principali? Materiali, taglio (quindi come ti stanno una volta indossati) e rumorosità. La maggior parte dei tessuti sintetici impermeabili, infatti,  è rumorosa: il fruscio che fanno mente vi muovete mette in allarme le possibili prede.  I pantaloni della Jerva, invece, non fanno rumore e, pur essendo leggeri, offrono una discreta protezione: le ortiche mi hanno punto mentre indossavo  i pantaloni LIDL ma non le ho sentite quando indossavo gli Harkila. Per quanto riguarda la pioggia, li ritengo entrambi resistenti all’acqua ma non impermeabili, non adatti a stare a lungo sotto la pioggia, come del resto la giacca. Però. Va anche detto, che i calzoni Jerva asciugano molto in fretta: durante una prova sono dovuta passare tra erba molto alta e molto bagnata. Indossavo anche gli stivali ma, essendo bassa,  i pantaloni sono stati in contatto con l’erba e sono stati messi in difficoltà dall’acqua ma, sebbene ci fosse solo un timido sole e il vento fosse assente, si sono asciugati in meno di mezz’ora.

Inserti elasticizzati
Inserti elasticizzati

Ultimo, ma non meno importante… come stanno  i pantaloni? Lo potete vedere da soli nelle fotografie, sono un po’ grandi per me ma, ciò nonostante stanno bene. Come la giacca, hanno dei pannelli in tessuto elasticizzato che permette di muoversi liberamente e di saltare da un posto all’altro. Permettono di camminare, correre e arrampicarsi, sono comodi ma non ti fanno sembrare come una casalinga in pigiama, le donne sanno quanto sia importante. Il completo Jerva è facile da tenere pulito, basta lasciare seccare il fango e poi spazzolarlo via. Per adesso ho lavato in lavatrice solo i pantaloni, senza detersivo per non rovinare la resistenza all’acqua, in futuro – visto che non vedo l’ora di usare di nuovo la giacca in primavera- acquisterò un detergente specifico per i tessuti tecnici come il Goretex.img_2125-1




Lasciate spazio per il dessert

Mi piacciono i dessert (non troppo dolci) e quando vado a pranzo o a cena fuori lascio sempre un po’ di spazio per loro, in questo caso Briony, che è arrivata per ultima, è stato il dessert.

Questa stagione di caccia è piuttosto tranquilla, fatta eccezione per oggi, ho vissuto una sola vera e propria giornata di caccia, il giorno dell’apertura. Poi niente altro tranne un paio di uscite dietro casa con il fucile in spalla, non sono ancora andata nemmeno a caccia al cinghiale. Ci tengo ad andare a caccia ma quest’anno qualcosa si mette sempre in mezzo, continuo ad addestrare il cane vado a qualche prova,lavoro, preparo esami universitari e il tempo per uscire a caccia scompare. Inoltre nessuno vuole venire a caccia con me, devo essere una bruttissima persona!  A parte gli scherzi, il problema è che ho il cane fermo al frullo e discretamente ubbidiente, il cane da caccia italiano, normalmente, è piuttosto selvaggio. Non sarebbe giusto pretendere che lei rimanga ubbidiente di fronte a cani che possono commettere tutti gli errori che vogliono.

Morsicando il dessert
Morsicando il dessert

Ieri sera stavo commentando un post Facebook del mio amico Andrea Vaccari (se vi piace il bracco italiano, lui cura un bel blog su questa razza). Andrea è un buon cacciatore e anche un buon addestratore, si stava lamentando perché quasi tutti i cacciatori italiani che possiedono un cane da ferma ritengono necessario avere un beeper o un GPS. Sono d’accordo con Andrea, non comprendo il senso di questa cosa e questo modo di andare a caccia è spesso carente di sportività. Le persone lanciano i cani fuori dal bagagliaio, li lasciano correre come dei cavalli pazzi e poi chiedono alla tecnologia di ritrovarli. Alcuni sono molto fieri di avere cani che cacciano (chiaramente per se stessi) ad un chilometro dal conduttore. Io lo trovo abbastanza stupido e a volte persino fastidioso, dato che i beeper sono rumorosi e li puoi sentire a grande distanza. Inoltre, con questo modo di cacciare, non vengono verificate qualità importanti come l’addestrabilità, il collegamento e la voglia di collaborare. Non sto attaccando beeper e GPS perché non mi piacciono. La tecnologia può essere estremamente utile, ma non dobbiamo trasformarla in una scusa per evitare di addestrare il cane.

Quando dici qualcosa contro a beeper e GPS la gente alza le barricate e comincia a dire che hanno comprato questi collari per “sicurezza”. È verissimo, un GPS è utile se un cane si perde, o se gli succede qualcosa ma… stiamo parlando di cani da ferma, non di segugi. Un cane da ferma dovrebbe cacciare a distanza utile per il fucile, il che significa che deve rimanere visibile, occorre insegnargli a lavorare ad una distanza ragionevole. Se il cane viene condotto in questa maniera è possibile vederlo e vedere tutto quello che succede, un GPS diventa superfluo. Ricordatevi che un GPS, da solo, non può salvare il cane se il cane è molto lontano. La scorsa primavera un cucciolone è affogato in un canale e il proprietario ha vissuto la tragedia in diretta sul palmare, era a circa un chilometro e mezzo. A volte penso che il GPS dia ai proprietari un falso senso di sicurezza, ci si illude che garantisca l’incolumità: certo vi può dire esattamente dove si trova il cane, ma si potrebbe essere troppo lontani e non fare in tempo ad intervenire. Questa falsa illusione, a mio avviso, indirettamente ci porta a dare sempre maggior libertà ai cani nella speranza, spesso vana, di incernierare un animale in più quando i selvatici scarseggiano. Mi è stato anche detto che il GPS è indispensabile se hai un cane fa ferma tedesco, perché i cani tedeschi hanno un debole per gli ungulati. La gente non ci crede che sia possibile mettere a terra un Deutsch Drahthaar davanti ad un capriolo. Se cacci la beccaccia, però, il beeper à anche meglio, affermano, perché puoi localizzare il cane senza controllare costantemente il collare e… I cani marroni non si vedono nel bosco! Perché non pensare a una mantellina arancione allora? Costa meno e non fa chiasso!20161112_124125

 

Quando ho iniziato ad interessarmi di cani da ferma, ho iniziato ad addestrare con dei Deutsch Drahthaar in preparazione per prove tedesche e l’ubbidienza era fondamentale. Li ammiravo (ho un debole per questi cagnoni irsuti) e ammiravo i loro conduttori, non credevo però possibile che un setter inglese potesse fare altrettanto. Nel 2015, invece, sono stata in Inghilterra e ho visto setter inglesi comportarsi come i cani tedeschi che conoscevo, che illuminazione! Posso candidamente ammettere che per me, esistono un’era BE (Before England) e un un’era AE (After England) dal momento che le mie opinioni sull’addestramento e sulla conduzione dei cani sono cambiate radicalmente. Sono giunta alla conclusione che, quando si tratta di cani da ferma, ci siano due filosofie di addestramento:

  • Il Metodo Italiano: ovvero lascia fare al cane quello che vuole e… corrigli dietro;
  • Il Metodo Tedesco (ma anche britannico, scandinavo….): ovvero il cane deve fare quello che dico io, senza se e senza ma.20161112_124337

Di conseguenza mi sento “un po’” fuori posto e nessuno dei miei amici ha un cane che può uscire a caccia con Briony. L’ultima volta che siamo andati a caccia con altri cani è stato circa un anno fa. Mi avevano invitato in una bella riserva e l’ho portata: grande errore! I cani correvano in ogni direzione, non ubbidienti, non fermi al frullo inseguiti da un gruppetto di proprietari di cattivo umore. I cacciatori non riuscivano ad avvicinarsi ai selvatici a sufficienza per averli a tiro e gli animali volavano fuori dalla riserva, con i cani al seguito! Un incubo, Briony non se la stava cavando male, ma essendo l’unico cane rimasto nei paraggi era diventata una specie di parafulmine Esausta, l’ho ‘ho riportata in macchina e ho iniziato a raccogliere prugnolo. Dopo essersi calmati, i cacciatori sono venuti a chiedermi scusa, sono tornata in campo ma ho lasciato il cane in macchina, era la cosa più saggia da fare. Quest’anno, sono stata invitata ancora nello stesso posto da alcune delle stesse persone. Si tratta di buoni amici e non volevo in alcuno modo metterli a disagio: siamo andati a caccia insieme per anni ed è anche grazie a loro inviti se Briony da giovane ha potuto fare esperienza. Devo loro molto, ma non volevo trovarmi di nuovo in una situazione scomoda. Ho accettato l’invito, spiegando che non avrei portato Briony. Mi hanno proposto di lasciarmi una zona in cui cacciare da sola, ma ho rifiutato. Avrei cacciato con loro e con I loro cani. Briony avrebbe fatto una corsa da sola, a fine giornata.

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Quando sono arrivata alla casa di caccia, alle 9 del mattino, sene erano già andati. Il guardiacaccia mi ha indicato dove trovarli, una muta di SEI setter correva su e giù per la collina, ho localizzato subito tutti. Due cacciatori erano sul mio lato della collina e due sull’altro lato. Due cacciatori seguivano due cani e gli altri due seguivano i rimanenti tre. Il sesto cane era sparito. Mi sono accodata ai primi due cacciatore che ho visto passare dalle mie parti, i loro cani indossavano un GPS causa tendenza al vagabondaggio. Gli uomini sono scomparsi così come erano apparsi, i due cani bianchi avevano deciso che era il momento di andare altrove. Il guardiacaccia, sconsolato, è rimasto un po’ con me: il cane bianco mancante stava scorrazzando in un’altra zona della riserva in cui stava cacciando un cliente “importante”. Gli accompagnatori erano tutti impegnati a dare la caccia al cane bianco selvaggio che, secondo me, si stava divertendo un sacco!. Gli altri amici sono poi arrivati insieme ai loro tre setter, li ho seguiti per circa tre ore. I cani si sono dimostrati validi ma lavoravano come un branco, con Vento come capo: tutti gli altri, umani inclusi, lo seguivano. I cani sapevano trovare la selvaggina, fermarla, consentire e riportare ma… era un gioco senza regole. I cani non erano fermi al frullo e non esploravano il terreno con ordine ma, soprattutto, non si preoccupavano del proprietario. Certo, lo aspettavano in ferma perché volevano abboccare il selvatico e sapevano che prima andava sparato ma, una volta che l’animale era caduto e l’avevano abboccato, si dimenticavano subito degli umani.

Tenendo d'occhio
Tenendo d’occhio

Alla fine della mattinata, il gruppo aveva incarnierato 18 capi, tra fagiani e starne, ma si era andati su e già per la collina, dentro e fuori da boschi e roveti, camminando sugli stessi terreni per almeno due volte. Alcuni voletti di starne continuavano a svolazzare avanti e indietro, stuzzicandoci. Quando gli amici hanno deciso di tornare alle auto, io sono tornata alla mia e ho liberato Briony, questo è quanto è accaduto. Appena lasciata la macchina è andata in ferma, mi ha aspettato, ha guidato a comando ed è partita in lontananza una starna, che lei non ha visto. L’ho fermata e poi l’ho invitata a riprendere l’azione. Un’altra starna è volata verso i cespugli. Briony è rimasta immobile e abbiamo potuto ripetere la stessa azione su un terzo selvatico. L’ho lasciata giocare ancora un po’ con le starne (che a questo punto erano tra i cespugli) fino a quando i cespugli sono diventati troppo fitti per consentirmi di tenerla d’occhio. In meno di 20 minuti avrei potuto incernierare tre o quattro selvatici, senza correre avanti e indietro come una cometa, senza GPS e senza beeper. Mi sono poi spostata su un terreno più aperto dove l’ho lasciata correre e ho praticato un po’ di ubbidienza. Altre starne, non disturbate dal cane corretto, erano tranquille nel bosco sotto di noi ma lei aveva già fatto ciò che doveva fare confermandomi che la mia scelta era stata corretta e i sacrifici ben ripagati! Ero davvero contenta!

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A pranzo, quando ho raccontato tutto spigando percéè avevo condotto il cane in quel modo, gli amici erano contenti e colpiti. Qualcuno mi ha chiesto come l’avessi addestrata, ho risposto che era sì stato un lavorone. ma che chiunque avrebbe potuto farlo. Si sono detti più o meno concordi ma hanno poi aggiunto di non avere il tempo per intraprendere un addestramento intensivo. Si è poi passato a parlare di pesca e di lepri fino a quando Briony è ricomparsa nel parcheggio. Era al guinzaglio e non ha fatto nulla di speciale, a parte mostrarsi ben educata e rimanere in SIT ma altri cacciatori sono venuti tutti a vedere il “cane addestrato”. Secondo alcuni di loro sono davvero “fortunata” ad avere questo cane. Certo sono stata fortunata a trovarla quando era un cucciolo paffuto ma, quello che è venuto dopo non è stata solo fortuna. Certo, la fortuna mi ha permesso di avere la mia illuminante esperienza inglese; mi ha permesso di fare domande ed avere risposte, di avere ottimi maestri ma ho avuto anche la mente sufficientemente aperta da accettare di abbandonare un vecchio sistema di convinzioni e di iniziare a lavorare sodo secondo un nuovo schema.

Ps. Se ci sono riuscita io potete farcela anche voi! Pace, Amore e felice addestramento. Sono in modalità hippie stasera!pace-di-flower-power-e-scarabocchi-meravigliosi-di-amore-28515977




Alle volte il destino

 

Sono molti i motivi per cui un appassionato di segugi, che ha sempre amato allevare e addestrare in prima persona i propri cani, decide di fare “uno strappo alla regola” e di entrare in possesso di un cane adulto. La prima ragione, la più scontata invero, ma non per questo la meno plausibile è che il soggetto in questione sia un cane valido. Di quelli uno in più a disposizione non guasta mai. Se poi il cane dovesse essere validissimo meglio ancora, che discorsi! Ma questa  è una ragione pragmatica, materiale… Alle volte invece a noi segugisti piace tanto anche sognare.

Vi potrei raccontare allora di come nel corso degli ultimi anni di segugi ne ho visti moltissimi, una valanga. Alcuni, un numero assai limitato invero, mi sono parsi di notevolissimo livello venatorio. Tuttavia, frequentandoli poco, alla somma considerazione del loro valore venatico difficilmente si è aggiunto quel grado di intesa, che, se scocca, scocca con i cani di proprietà che si vivono quotidianamente, Un giorno però ebbi un autentico colpo di fulmine! Non mi si prenda per matto; anzi no, nel caso fate pure, non me la prenderei. Un amico mi presentò nel cortile di casa un segugino non particolarmente tipico, ma di buona fattura. Taglia contenuta raccolto. Due occhi di massima espressività, penetranti, che donavano al cane un’aria da saggio pensatore, da filosofo della caccia alla lepre. Quel cane mi rimase subito impresso, quello sguardo mi segnò ed entrai subito in empatia con lui.

Putroppo alle volte il destino è crudele e ci porta via le persone più care. Marietto che del cane in questione è stato l’addestratore se ne è andato, lasciando un vuoto anche in chi come me, per sua sfortuna, non ha avuto occasione di trascorrere moltissimo tempo al suo fianco. Marietto però era una persona per bene, un taciturno in un mondo di chiacchieroni, sintetico e lapidario con le sue sentenze, che difficilmente si discostavano dalla realtà. Ecco credo allora che sia stato il destino a farmi arrivare tra le mani quel cane, che porto a caccia in memoria  e con l’aiuto di chi lo ha allevato e impiegato prima di me.

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Questa è la storia di Baldo, un segugio speciale in tutto e per tutto, che nel destino aveva scritto anche che mi avrebbe fatto catturare, dopo un’azione epica, una lepre con cui io avevo un conto in sospeso da lungo tempo. Quando conduco i cani sul terreno di caccia la mia mente spesso vaga con i ricordi dei molti personaggi con cui ho avuto il privilegio di cacciare. Molti di essi non ci sono più, ma forse è proprio per questo che spesso amo cacciare solo, perchè solo per davvero non lo sono mai. Ciao Marietto, quello che ha fatto Balduccio Sabato richiederebbe una lunga descrizione, ma tu non hai mai voluto allungarla troppo e poi tu c’eri….Agli amici magari lo racconteremo un’altra volta.10982311_10207557554643413_5035663255431227217_n




Io & Harkila

L’universo mi vuole bene: non potrebbe essere altrimenti visto che Harkila mi ha offerto la possibilità di testare e recensire i suoi prodotti!

Per chi non ha mai sentito parlare di questa marca, ma credo che voi tutti la conosciate, Harkila è un’azienda scandinava che produce abiti tecnici per la caccia. La famiglia che l’ha creata è da decenni attiva nella caccia all’orso e all’alce e ha sviluppato una linea di abbigliamento che mette in primo piano i bisogni dei cacciatori. Durante i primi contatti, mi hanno chiesto se avessi preferenze per qualche indumento ma, conoscendo la qualità dei loro prodotti, ho lasciato decidere a loro certa che sarebbe comunque arrivato qualcosa di buono. Così mi hanno mandato un completo Jerva (giacca e pantaloni) che sto testando in diverse situazioni, questo primo articolo verterà esclusivamente sui dettagli tecnici e sulle mie prime impressioni. Il verdetto finale verrà dato dopo un ragionevole utilizzo.

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Prime impressioni: quando ho trovato il pacchetto nella cassetta postale, mi sono stupita perché si trattava di una scatola piccola e leggera ma, quando l’ho aperta, ho subito intravisto che si trattava di un oggetto di valore. Giacca e pantaloni erano di un bel marrone cioccolato, un colore che mi piace e che credo mi stia bene. Essendo attenta ai particolari, ho subito notato l’etichetta in cartoncino: la definirei “country chic” e di classe, perfetto lo spago al posto del solito filo in nylon. Il completo è realizzato con due tessuti differenti: ci sono dei pannelli in tessuto tecnico in poliestere, elasticizzato, interrotti da parti in cotone moderatamente cerato che profuma di tradizione. Entrambi i capi sono soffici, leggeri e estremamente tentatori: li ho provati subito! La mia taglia normalmente è una XS/S o 40/42 ma la taglia più piccola in cui è prodotto il completo Jerva è la S/42 (che loro chiamano 36) : la giacca è una S/42 piccola: essendo in parte elasticizzata, può alloggiare qualcuno più abbondante ma non credo farebbe lo stesso effetto. È fatta per essere aderente e seguire la forma del corpo: non pensate di mettere sotto dei maglioni pesanti, vi sentireste scomodi e si perderebbe la bellezza del taglio del prodotto. I pantaloni, invece, mi stanno un po’ grandi, sono un S/42 abbondante, sono morbidi e confortevoli.

Giacca Jerva
Si tratta di capi di qualità, lo si sente al tocco e lo si vede dalle finiture. Sebbene siano estremamente soffici e comodi, sono anche eleganti e femminili, un connubio difficile da trovare quando si pensa ad indumenti tecnici da caccia. Mi piacciono particolarmente le tracce di rosso che si possono vedere sulla giacca e sulle tasche frontali dei pantaloni: ravvivano e contrastano il marrone scuro. Il bordo della giacca è regolabile e ci sono due tasche frontali, due taschine interne e una tasca piccola sul petto, vicino alla spalla sinistra. A prima vista le tasche sembrano poco profonde ma in verità sono abbastanza capienti: ci stanno comodamente un cellulare e delle chiavi e si possono chiudere con dei bottoni, la taschina sul petto e quelle interne hanno cerniere. I pantaloni hanno due tasche laterali e due sulla coscia, queste ultime si chiudono con una cerniera. Il tessuto è silenzioso, se cammini e ti muovi non fa rumore, il che mi dice che il completo potrebbe essere perfetto per la caccia di selezione praticata con il metodo della cerca.  Il cappuccio regolabile e il sottile strato di cera rendono il completo resistente all’acqua.img_1227-1

Non lo definirei impermeabile né penserei di indossarlo per lunghi periodi sotto piogge torrenziali ma lo si può mettere durante piogge deboli o per brevi periodi. Harkila definisce il complete Jerva leggero (lo confermo) e resistente (lo sto verificando), adatto ad ambienti moderatamente ostili: lo sto usando durante l’addestramenti cani, durante le prove di lavoro e giornate di caccia in ambienti semplici.




Dall’obbedienza al fermo al frullo

Non appena Briony si è esibita nei primi fermi al frullo, gonfia di orgoglio, ho postato alcuni video su Facebook. La strada che ci aveva condotto a un solido fermo al frullo era stata lunga ed ero assolutamente felice di aver ottenuto un risultato che, mesi prima, mi era sembrato irraggiungibile. Briony era stata acquistata per diventare il mio cane da caccia personale e, in effetti, era un buon cane da caccia. Ottimo senso del selvatico, ferma solida, discreto riporto ma, come tutti i cacciatori italiani, non avevo mai pensato che mi potesse servire un cane fermo al frullo. Ignoravo il problema e, così, per anni la cagnina ha potuto rincorrere ogni selvatico fermato fino a che, un giorno, ho realizzato che avrei potuto presentarla in prova.

I video si sono caricati lentamente ma, pochi minuti dopo essere diventati visibili al pubblico, ho iniziato a ricevere messaggi privati. Questi messaggi, nelle settimane e nei mesi successivi, sono diventate domande poste faccia a faccia. La gente voleva sapere se avevo usato il collare elettrico, o se le avevo sparato nel fondoschiena (un antico medico ancora molto in voga!).  Quando spiegavo che avevo ottenuto il fermo al frullo attraverso l’obbedienza i più mi guardavano con occhi sbarrati. Non riuscivano a credere che avevo costruito tutto con un guinzaglio, un fischietto e una corda di ritenuta. I pochi esseri umani che mi credevano, in compenso, mi chiedevano di fare miracoli: una donna mi ha chiesto di fermare al frullo il suo cane in poche ore e via internet!IMG_7102-1

Io non super poteri ma forse il mio insegnante li ha, in effetti è soprannominato “lo Sciamano” o “Penna bianca”. Penna Bianca mi conosceva da tempo: era stato uno dei miei insegnanti al corso per selecontrollori e a quello per biometristi. Ci eravamo incontrati a conferenze, seminari e prove di lavoro ma, ciò nonostante, prima di accettarmi come allieva ha voluto incontrarmi di nuovo, probabilmente per guardarmi sotto un’altra luce. Il primo incontro formale si è svolto davanti ad una tazza di caffè. Eravamo seduti ad un tavolino sulla strada con Briony accanto: è passato un gatto e sono riuscita a prevenire ogni reazione, credo gli sia piaciuto dal momento che ha fissato una lezione per il giorno seguente.

In verità ero abbastanza preoccupata, si trattava del “maestro” di Elena Villa e chi conosce Elena sa che lei ha praticamente vinto tutto quello che un kurzhaar poteva vincere, in Italia e all’estero. Inoltre, penan Bianca è un guardiacaccia in pensione che ha preparato, condotto e cacciato con un’infinità di cani, non dimentichiamo poi le varie esperienze venatorie… Come se non bastasse, ha avuto il miglior maestro cinofilo che sia mai circolato in Italia, Giacomo Griziotti. L’avvocato Griziotti,  nato alla fine dell’800 è tuttora considerato uno dei migliori giudici, conduttori, addestratori e autori coinvolto con le razze da ferma. A Pavia esistono una via e un collegio che portano il suo nome e  il suo libro, nonostante sia difficile da trovare e costosissimo, è ancora considerato una sorta di Bibbia. E’ ovvio che fossi preoccupata! Penna Bianca voleva testare me e Briony: se avessimo passato il test ci avrebbe addestrato gratuitamente ma doveva ritenerci una buona causa.IMG_7082-1-2

Dopo un altro caffè (per fortuna il caffé piace ad entrambi), siamo andati sul terreno e lì ho avuto la mia prima scioccante lezione sul significato di “ubbidienza”.  Ho aperto la macchina e la gabbia per fare uscire Briony ma… Penna Bianca ci ha subito reso chiaro e cristallino che lei non avrebbe potuto lasciare la gabbia senza il suo permesso.  Nei mesi successivi il “suo”permesso è diventato il “mio”permesso e lei ha dovuto imparare a sedersi e aspettare immobile se dovevo attraversare un fosso, l’avrei chiamata dopo e sarebbe dovuta venire. Mentre i miei amici si divertivano a caccia io e Briony lavoravamo con il fischietto al Seduto/Resta/Vieni/Giù, in qualsiasi condizione climatica e in qualsiasi luogo. Abbiamo lavorato in campagna, in città, nei negozi, con stimoli, senza stimoli. E’ stata durissima e deprimente: mesi interi passati a studiare ispezione dei pesci (per la mia laurea in medicina veterinaria) e a  praticare seduto/resta/giù!

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Ma poi è arrivato il giorno:  non solo Briony andava giù al trillo ma era anche  ferma al frullo, nonché obbediente, nel frattempo avevo passato anche il mio esame sui pesci! Dopo sono venuti i Field Trials in Inghilterra e Scozia e tutto il nostro durissimo e  noioso lavoro ha dato i suoi frutti, ma questa è un’altra storia. Al momento sono ancora incredula, nonché orgogliosa di far parte di una lunga e prestigiosa tradizione di addestramento dei cani da ferma.




Addestrati il cane – Train your dog

“E’ di rado vantaggioso che un cane abbia più di un istruttore. Può darsi che i metodi di insegnamento siano gli stessi ma potrebbero esserci differenze nella voce o nei modi che potrebbero confondere in qualche maniera l’allievo rallentandone i progressi. Quindi, se decidete di addestrare il vostro cane,  fatelo per conto vostro senza lasciare che nessuno possa interferire.” W. H. Hutchinson Dog Breaking 18652016-01-07 18.37.59

Non c’è molto da aggiungere al testo. Hutchinson ha ragione anche se, viste le condizioni attuali, forse è un filo estremo. Quanti di noi sanno addestrare da sé il proprio cane da caccia? Non parlo di “allenare” o meglio portare il cane a correre in campagna sperando che faccia due ferme, parlo di addestramento completo.  Se non sono capace di fare una cosa, devo farmi aiutare da qualcuno più esperto di me e qui entra in gioco un’eventuale seconda figura che può confondere il cane. Togliamo pure il può e diciamo che lo confonde, per questo motivo la figura a cui ci appoggiamo deve essere intesa come colui che ci traghetta verso conoscenze che dobbiamo apprendere al fine di addestrare da soli il nostro cane.

L’esperto deve essere una figura di riferimento più per noi che per il cane, non una persona a cui delegare il lavoro sporco, né uno sventurato a cui affidare la rimessa in sesto di un cane indisciplinato. Io la vedo così, poi le cose vanno diversamente, ma questo è un altro discorso…

Se non lo avete ancora fatto, date un’occhiata al Gundog Research Project.




Il cane da caccia

Questo è l’articolo a cui i precedenti due sono preparatori. Se non li avete letti, lo capirete lo stesso ma lo comprenderete meglio andando a dare un’occhiata a quanto scritto nei giorni scorsi. Questo è l’articolo che non vedevo l’ora di scrivere: mi sono dovuta frenare intrattenendovi con cose più noiose ma… necessarie, proprio come l’addestramento di base.  Spesso elaboro gli articoli camminando, e camminando ho riflettuto sul titolo: volevo chiamarlo il “cane perfetto”, il “cane ideale”,  il “cane utile”, ho deciso di chiamarlo semplicemente il cane da caccia, nessun avverbio e nessun aggettivo, perché quello che leggerete altro non è che un ritratto iperrealista di come deve,o dovrebbe essere, un cane da caccia.

“Queste osservazioni (degli articoli 1 e 2 n.d.a) portano inevitabilmente a pensare che nessun cane può essere considerato perfettamente addestrato a meno che non vada in ferma non appena percepisca la presenza di selvaggina e resti lì in mobile fino a che non gli ordinate di avvicinarsi; che non si metta a terra nel momento stesso in cui sparate, senza che proferiate alcun comando verbale e che, successivamente, si impegni a cercare il capo abbattuto nella direzione da voi indicata. Tutto ciò senza che voi dobbiate mai dire nulla fuorché “Trova” a bassa voce mentre si avvicina al selvatico morto, come spiegherò in seguito”. Hutchinson – Dog Breaking 1865

E’ probabile che riterrete quanto preteso da Hutchinson un’esagerazione, ma questa – errata – percezione è il solo il frutto di una prassi (è inopportuno parlare di cultura!) venatoria che ritiene l’addestramento superfluo, se non addirittura nocivo. Per non offendere nessuno, intanto, parlo per me. Ho lavorato sul Briony, fin da piccina, per darle un minimo di educazione di base. Oggi è un cane piacevole, sa stare in casa, sa stare in mezzo alla gente (bar, negozi, ristoranti, alberghi eccetera) e sa viaggiare in automobile. Insomma, sa comportarsi, ha imparato persino come ci si muove nei ring delle esposizioni, ed è anche grazie al suo lasciarsi condurre piacevolmente se abbiamo conseguito il Campionato Italiano di Bellezza. Però, da piccina, non era un cucciolo molto sicuro di sé e proprio per questo ho rimandato ad età adulta addestramenti più impegnativi.

Come cane da caccia non manca affatto di qualità naturali, cerca (sfruttando naturalmente bene il terreno), ferma, consente, recupera (bene) e riporticchia, oltre ad essere ben collegata. Fino a qualche mese fa mi consideravo soddisfattissima del risultato ottenuto. Del resto mi capita di vedere e di cacciare con cani di tutti i tipi, mediamente ben più ineducati e inaffidabili della mia. Gli unici cani che ho visto sempre lavorare a puntino appartengono a un gruppo di drahthaaristi integralisti che, con grande affetto e stima, ho sempre reputato un po’ “nazisti”.  Data la loro impostazione mentale e vista la razza, mi sembravano risultati normalmente raggiungibili con i loro cani, non con un setter inglese. Altri sporadici cani “illuminati” erano sempre continentali, cito per esempio Junus von der Himmelsleier kurzhaar di Elena Villa.

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Così, felice  come la vispa Teresa mi aggiravo beata con  la mia setterina imprecisa. Io e il cane siamo stati sereni fino a quando a me non è venuta la malsana idea di andare a vedere come lavorassero i suoi “parenti” in Britannia. Ecco, per stare in tema anglosassone, lì ho avuto quella che James Joyce chiama “epifania” ovvero la rivelazione improvvisa di una verità nascosta. Cioè, il mio inconscio probabilmente sapeva cosa andava fatto con il cane ma la mia mente razionale cercava di tenermelo nascosto. Vedere quei setter e quei pointer perfettamente “in mano”, fermi al frullo, pronti a consentire al minimo cenno, pronti a rientrare dopo mezzo fischio – e senza per questo perdere iniziativa, mi ha completamente rapito.

Ho visto la luce ma, subito dopo, la lampadina si è spenta e io e il mio cane siamo tornati al buio. Non ho dimenticato quella luce però e ho deciso che dovevo fare qualcosa: era mio dovere provare ad arrivare a quel livello. Non dico riuscirci ma almeno provare. Questa mia decisione ha stupito un po’ tutti, cane incluso. Prima di tutto ha stupito gli italiani che ritenevano il mio cane già abbastanza a posto e che ritengono inutile, superfluo e persino dannoso il mio piano d’azione. Contemporaneamente ha stupito anche gli inglesi che non capiscono come abbia fatto a tenermi un cane così selvatico fino ad ora. Secondo loro è inconcepibile andare a caccia con un cane che non sia come quello descritto da Hutchinson (nel 1865!!!) e non riescono a credere che i cani da caccia italiani siano anni luce da quel livello educativo. Non sto scherzando, non credono che io portassi abitualmente a caccia un cane non perfettamente fermo e al frullo e allo sparo e non credono che cani lanciati dal bagagliaio e lasciati liberi e selvaggi siano la normalità.

Briony è insomma l’equivalente di una signora che in ciabatte e vestaglia si  reca a un’importante evento mondano: starebbe meglio con i tacchi e con un abito da sera, paragone non venatorio ma efficace. Però atto di ciò ci stiamo lavorando ovvero stiamo investendo tempo e impegno, nonché sacrificando giornate di caccia affinché torni sul terreno nella sua nuova versione migliorata e corretta. Nonostante le difficoltà sono felice di questa scelta e, vivendola sulla mia pelle, mi viene da ripensare all’articolo di qualche tempo fa e mi chiedo se ritenere normale la condotta dei cani indisciplinati altro non sia che una giustificazione alla pigrizia.




Cacciavo con i gordon: Danilo Liboi

Era il 2004, credo, quando inizia la mia collaborazione con Sentieri di Caccia. Subito tra i miei “capi” trovai Danilo Liboi. All’epoca Danilo già praticava in forma esclusiva la caccia agli ungulati in alta montagna però, sapendo che io avrei scritto soprattutto di cani da ferma, specificò che aveva praticato anche quella caccia, con i setter gordon.  Poteva sembrare un monito a stare attenta a quello che avrei scritto ma lo fu solo a grandi linee: Danilo mi diede sempre grande libertà nella scelta degli argomenti da trattare dimostrando di aver fiducia nel mio operato. Di questo non posso che essergliene grata. Ricordo anche la gita con lui in una riserva del Piemonte durante la quale vidi per la prima volta al lavoro i vizsla e i petit basset griffon vimg_9318endéen. Purtroppo, a causa della luce scarsa, la maggior parte delle foto riuscirono male, tranne una, quella di due anatre in volo che rimane a tutt’oggi una delle migliori immagini di anatidi che io abbia mai scattato, e non avevo nemmeno una gran macchina.

Ricordo gli incontri all’Exa e, ancora meglio,  pranzi di redazione in Appennino.  Ci fu quell’anno in cui tentasti di insegnare alla “biondissima” Jessica a sparare e quell’altro anno in cui, “stremato” da una partita a calcetto ti fingesti un ungulato abbattuto e ritrovato alla fine di una traccia 🙂

Il giornalismo venatorio ha perso un personaggio importante. Nessuno è insostituibile, certo, ma tu eri senza dubbio utile a tutti noi e avevi saputo farti strada tenendo fede a tutte le tue convinzioni. Troverà il nostro settore qualcun altro come te? Me lo auguro,  andrebbe bene anche non proprio uguale ma  avesse almeno la stessa professionalità coniugata con la medesima bontà d’intenti. Ah, sono svampita (e lo sapevi!), stavo dimenticando la semplicità!img_9269

Non ho la pretesa di saper comprendere l’animo delle persone, ma per quel poco che ho capito del tuo animo la tua scelta non mi ha stupito, ma non mi ha nemmeno lasciato indifferente. Non sono una persona espansiva, ma tengo eccome alle “mie” persone e alle persone che stimo. Spero che tu abbia ritrovato i tuoi cari e, con loro, la serenità perduta. Spero che Astor sia con te e che insieme a voi ci sia anche l’amico Michele Barillaro con le sue granite con panna,  i suoi maialini selvatici e la sua Africa.

Weidmannsheil Danilo (… non è da tutti riuscire a far piangere la tua freddissima collega)

Rossella