La caccia, gli allevamenti intensivi e la tolleranza

di Giulia Del Buono

Stamani durante l’ora d’aria in campagna, io e Olena abbiamo avuto l’immensa sfiga di imbatterci in un’altro caso umano tipo quello che qualche giorno fa avevo incontrato con Porzia e me ne aveva dette di tutti i colori perché, a domanda, avevo risposto che quella cucciola di bracco italiano, un giorno sarebbe andata a caccia.

Un’ora fa, altra pseudo-animalista, con cani liberi in zona di ripopolamento, stessa pantomima, stessa faccia schifata a diapositiva della sentenza “la caccia, che brutta cosa”.

Allora ci tenevo a dire una cosa: avete rotto.

Che uno non sia libero di accompagnarsi ad un cane da caccia, di praticare un’attività regolamentata con l’ausilio di un esemplare di una razza creata e selezionata all’uopo senza doversene vergognare pur di non scatenare polemiche e discussioni alle 8 del mattino, è una roba che nel 2020 non si può tollerare.

Soprattutto nella realtà come quella in cui mi ritrovo. Perché io sono cresciuta in centro storico a Pisa, so un cazzo della vita di campagna, ma qui siamo a Reggio Emilia – e nemmeno in città, ai confini con l’arato e l’erba medica – dove ogni 100 metri c’è una stalla in cui da sempre, nonostante i km di nulla cosmico, si allevano animali dentro a dei capannoni dal giorno in cui nascono a quello in cui muoiono, perché producano latte, diventino salami o finiscano a tocchi sugli scaffali dei supermercati.

Dopo una vita vissuta come?

Ma c’è davvero qualcuno che preferirebbe vivere la vita in una gabbia a ingrassare con una data di scadenza, piuttosto che avere la chance di compiere il suo ciclo vitale nel proprio habitat e giocarsi la sua partita con la vita avendo goduto fino all’ultimo di libertà e dignità?

La caccia si può non praticare e non condividere, ma bisogna smettere di giudicarla dimenticando la realtà che ci circonda e dando per scontato che chiunque la pratichi senza etica, senza morale, senza rispetto per la natura e per gli animali.

Perché altrimenti dobbiamo parlare anche di quelli che tutti i giorni portano i cani a correre in campagna e pur non avendoli minimamente educati al richiamo, li sguinzagliano strafregandosene dei danni che possono arrecare all’ambiente e alla selvaggina e di cui noi, col cane da caccia, invece siamo ben consapevoli.

Ma la caccia, è una brutta cosa.

L’alternativa invece è una figata.

L’ottusità, ancora meglio.




Giacomo Griziotti: Vent’anni con l’Avvocato

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Quasi tutte le vicende fin qui riportate ripetono un nome: Giacomo Griziotti (1894-1986).  Non fu allevatore in senso stretto, non fu professionista ma un protagonista (quasi suo malgrado); dotato di grande intelligenza e di profonda cultura, fu uno dei più apprezzati conoscitori del cane da caccia ed esercitò sempre un grande “carisma” per la profondità tecnica delle sue osservazioni.

La sua presenza nella cinofilia italiana ha lasciato tracce indelebili, tali da far affermare, senza alcun dubbio, che l’Avvocato fu uno dei più significativi “ambasciatori della pavesità”. La nebbia, intensissima e gocciolante, era di quelle classiche della nostra pianura quando, al mese di novembre, si alternano giornate di splendido sole ed altre di scarsissima visibilità. Nella piazza, che sembrava inghiottita nel nulla, lì, di fronte a me pochi metri, un possente bracco italiano stava frugando in mezzo a delle immondizie. Mi fermai ad osservarlo mentre una voce maschile invitava il cane ad essere più ubbidiente. Chiesi che età avesse il bracco italiano. Quel signore, che io non conoscevo, sorpreso dal fatto che conoscessi la razza, incominciò con le solite domande che si rivolgono ai ragazzini mentre, insieme, percorrevamo un tratto di piazza. Ci lasciammo con l’impegno di rivederci il giorno seguente per andare fuori coi cani.

Così cominciarono i miei venti anni con l’Avvocato. Nel dressaggio era autodidatta sebbene seguisse la filosofia di Ernest Bellecroix del quale possedeva un libro, in lingua originale, che ebbi anche in lettura, naturalmente. Data l’intelligenza seppe utilizzare il metodo senza trasposizioni acritiche, tanto è vero che ogni soggetto in preparazione veniva osservato pazientemente studiato attentamente, in quanto l’obiettivo era sempre il capire come poter esprimere, al massimo, le caratteristiche individuali sollecitandone la psiche. Non utilizzava mai metodi di dura coercizione ed era proverbiale il suo modo di lavorare…  armato di nodosi randelli, (che chiamava “teneri virgulti”) e che mai tuttavia si incontrarono con groppa di cane; l’Avvocato li utilizzava infatti solo a scopo di minaccia. Da tutti considerato braccofilo, in realtà amava qualsiasi razza ed ebbe sempre in grande considerazione i cani inglesi. I bracchi erano per lui una sorta di legame con la nostra terra e, come tali, dovevano quindi essere curati e seguiti con particolare impegno soprattutto in periodi di crisi profonda, quale fu quello in cui imperversò, da noi, il furore anglofilo.

Sui campi portò tutte le razze, dagli irlandesi (ultimo Deli dell’Architetto Balbis), al drahthaar (Zara del dott. Marchetti per esempio). Correva per imporre i suoi cani, ma quando ciò non avveniva soleva dirmi: “quando gli affari vanno male, il fisico non deve subirne le conseguenze” e così cercavamo oblio in tavole ben imbandite. Cacciavamo molto con i cani ma, quasi esclusivamente, i beccaccini che non sparavamo se non dopo lavori perfetti. Grande cacciatore cinofilo ma anche grande appassionato di caccia sul fiume con barchino e spingarda, caccia che abbandonò quando le normative vietarono l’uso di quest’ultima. Aveva il dono di impegnarsi anche nelle cose in cui non credeva, come ad esempio nell’attività militare, che pur non riuscendo a capire né, tantomeno, a condividere sia nel primo sia nel secondo conflitto mondiale, affrontò con spirito determinato raggiungendo il grado di generale. Modestissimo, era solito chiedere parere in tutto, anche a me che pur ero, nei primi anni della nostra conoscenza, un ragazzino con i pantaloni corti.

La sua cinofilia era il dressaggio,  altre cose come gli aspetti associativi ecc. non lo interessavano in modo particolare, in questo dimostrando, ancora, modestia.  Era giudice, e alle doti, innate, di equilibrio e di obiettività, univa grande capacità di capire i cani ed una grande esperienza, tuttavia svolse questa attività solo raramente, quando il rifiuto sarebbe stato… sconveniente.

Incominciai col seguirlo anche in giro per l’Italia, sui campi di prove, e finimmo con l’invertire i ruoli: lui a raccontarmi aneddoti e fatti di cinofilia, di vita e di guerra, ed io che, alla guida del suo automezzo lo accompagnavo.  Il tempo passava veloce e sempre più spesso notavo il distacco dal mondo della cinofilia, così come è concepito attualmente… non aggiungo altro perché, credo, i motivi siano facilmente comprensibili per chi ha letto il suo libro sull’addestramento. Griziotti è stato un grande, anche più di quanto si possa immaginare e solo chi, come me lo ha seguito, può capire come la sua grandezza andava al di là dei risultati nella passione comune.

Ancora oggi, quando penso a Griziotti, penso a un modello, magari fuori tempo ma da imitare.

Un articolo di Giacomo Griziotti è presente qui.

Leggi il prossimo articolo di Ivan Torchio qui.




76esimo Derby DKV Mainfranken di Mattia Felicetta

76esimo Derby DKV (Deutsch Kurzhaar Verein) Mainfranken 22-04-2017

di Mattia Felicetta

Di articoli di prove ne esistono migliaia, alcuni ci lasciano un’impronta, una lezione, un’idea di cos’è stato vissuto in quell’occasione, ma l’atmosfera può essere solo vissuta. L’ultima frase è un palese invito di vivere almeno una giornata come spettatore di queste prove (Derby, Solms, IKP o Kleemann per i DK), ed è indirizzato ad ogni persona interessata alla cinofilia delle razze tedesche. Se siete giunti su questo articolo è perché abbiamo un interesse comune, la passione che ogni giorno coltiviamo, con tanti sacrifici di tempo, migliorare non tanto per noi stessi, quanto per i nostri ausiliari e compagni di tutti i giorni. Mi sono presentato a delle prove di lavoro in Italia, da totale inesperto e con il massimo rispetto di quelli che sono stati i giudizi, ammetto di non avere una base di preparazione/esperienza per questi test. Un tasto toccato in più occasioni da altri concorrenti è un loro parere sulle prove tedesche, espresso a volte senza conoscere le specialità affrontate da un cane polivalente. Tra questi esistono due linee di pensiero diametralmente opposte: chi non le accetta minimamente e chi ne è incuriosito.Ora starete pensando “ma non dovevamo parlare del Derby?” Giustamente, siete qui per questo. Seguendo l’ordine cronologico si parte da giovedì mattina, partenza fissata alle 9:30 con mio padre Massimo ed il protagonista, Kurt (DK) fino ad ora completamente in secondo piano. Alle 18 circa siamo giunti a Gollhofen, più precisamente al Gasthaus Stern, tra Norimberga e Würzburg. Circa in contemporanea arriva Ingeborg Voelker-engler, cara amica e costante riferimento per gli italiani che si avvicinano al mondo delle prove tedesche. E’ lei il mio referente, ed è lei che spenderà il giorno seguente a farmi un corso intensivo sulla preparazione del cane.

Due giorni dopo, sabato 22 aprile 2017, inizia la prova: consegna del pedigree, controllo dei vaccini, rilascio del numero ad ogni concorrente, spiegazione delle varie fasi.
All’ingresso dell’albergo un veterinario incaricato aspetta ogni concorrente per la lettura del microchip ed un controllo sanitario, dovuto soprattutto per il monitoraggio di difetti quali displasie o assenza di denti. Tutto scritto sull’apposito modulo della prova. In totale 18 cani, divisi in quattro batterie, due da quattro cani e due da cinque cani, con tre giudici per ciascuna batteria di concorrenti. Il tutto organizzato in modo che Ingeborg, l’unica che conosceva l’italiano, potesse essere a giudizio della batteria, per aiutare con le traduzioni e le indicazioni sia a me sia a Marco. Ci dava anche tranquillità.

Cercherò di essere il più neutro possibile, limitandomi solo alla spiegazione delle varie fasi della prova, specificando il comportamento di Kurt nella giornata. In fondo era su di lui che era focalizzata la maggior parte della mia attenzione, se non tutta. Premetto che non sono un giudice di prove tedesche, non mi dichiaro addestratore di alcun tipo. Tutto ciò che leggerete da questo punto in poi sarà semplicemente l’interpretazione e la prima esperienza in queste prove di un ventenne che si affaccia a questo mondo. Alcune cose vi strapperanno una risata magari, ma in tutta la mia umiltà vi riporto quello che, forse in modo sbagliato, penso di aver capito.

Il primo passaggio consisteva nel piacere al lavoro, l’indifferenza al colpo e la cerca. Lo stile di razza di ogni ausiliare (DD, DK, Weimaraner eccetera) è recepito in modo completamente differente dalla mentalità italiana. Il portamento di  testa alto accomuna le due filosofie, ma  il metodo di lavoro lo reputo completamente opposto. Un cane deve segnalare i vari odori interessati all’attività venatoria, non pistando in modo continuo come un segugio, ma nemmeno cercare freneticamente ed in modo nervoso a distanze troppo ampie. La lepre, non a caso, non viene ignorata in Germani: se un cane, durante il suo turno, fa un incontro su questo selvatico viene valutato con un giudizio in più, se non incontra, nessun problema, non è richiesto. La  prima valutazione consiste quindi nel vedere come si comporta il cane nei confronti delle varie emanazioni recepite, controllando il cambio della battuta della coda, le pause per segnalare l’odore, il cambio di movimento. Ovviamente deve sempre rispettare le condizioni di cerca e, se capita l’opportunità anche di ferma.
L’indifferenza al colpo non è tanto banale come sembra, ad una distanza di 30 metri, con cane in fase di apertura (non rientro) viene sparato un colpo, in modo da valutare la reazione a questa fase, poi uno successivo. Non sono molto a conoscenza sul giudizio dato, non vorrei quindi andare in errore, sicuramente ad ogni reazione del cane viene riportato un giudizio sull’opportuna tabella.

Io sono il secondo della batteria, il campo di fronte a me era già stato battuto sul lato destro, quindi io ho lo sgancio dalla parte sinistra, distante circa 50 metri da me un boschetto sulla sinistra, largo forse una decina di metri e 200 in lunghezza. Il vento da sinistra.  Mi indicano di mettere il cane a terra. Comando il “Platz” a Kurt. Mi allontano quei pochi passi verso destra in modo che l’apertura sia verso destra, con gli occhi rivolti verso il cane perché non si muova. Arriva il cenno di far partire il cane. “Via”. Tutta l’agitazione passa in quel comando, ormai vada come vada, mi devo solo divertire. Fatti due lacets, mentre io continuo a muovermi e fischiare per farlo girare, parte il primo colpo, ancora un lacet ed ormai a sinistra verso il bosco, si butta dentro. “Ecco, chissà cos’ha sentito” le prime parole che ho pensato. Poco prima di parcheggiare erano partiti dei caprioli. Avrei dovuto aspettare di tornare alla macchina perché mio padre mi avvisasse che era partita  anche una lepre. Dopo essere andato avanti un centinaio di metri dentro al bosco richiamo il cane, lo sgancio di nuovo. Stesso inizio, tre lacets, ma stavolta epilogo diverso: gli parte una lepre a circa dieci metri. La vede,  parte senza dare voce, e inizia ad andare in seguita per diverse centinaia di metri, arrivando a cima del colle, sulla strada sterrata va a sinistra, esattamente dove era passata la lepre. Con l’anima in pace aspetto che il cane rientri. Mi volto verso i giudici cercando lo sguardo di Ingeborg per chiederle cosa fare e come fosse andato il cane, ottenendo come risposta che è solo una cosa in più, che avremmo discusso dopo, di richiamare il cane e continuare. Tempo un minuto ed il cane rientra, gli metto il guinzaglio, torno indietro qualche passo e stesso rito precedente per lo sgancio. Ripassa ancora sulla spur (traccia) della lepre che ha appena fatto, alla stessa folle velocità di prima ed ancora sulla stessa strada, pensavo ci fosse un viottolo ormai. A questo punto lo sgancio a destra, cercando di evitare che ripassi ancora su quella pista. Si muove abbastanza bene, anche se dopo quelle corse un po’ di fatica la sente. Parte quindi il secondo colpo per il giudizio di reazione. Ancora qualche lacets, adesso non troppo ordinati, e mi viene detto di fermare il cane.
Tirando le somme ha fatto secondo me un’ottima spur, ero davvero felice di come si era comportato.Senza entrare nello specifico, ho visto dei cani veramente ordinati in questa fase, con aperture ampie, messi molto bene sul percorso ed a una velocità moderata, ma soprattutto in mano ai conduttori.

Il secondo passaggio consiste nella valutazione della ferma. Ad ogni cane iscritto alla prova viene data la possibilità di dimostrare le proprie capacità su quello che è lo stile di ferma e l’utilizzo dell’olfatto. La risalita verso un’emanazione è la cosa più importante, qualsiasi sia il terreno sul quale si svolge questa fase. La ferma deve essere accertata dal cane, non deve fermare in bianco, per questo, da quel che ho inteso, un cane che stringe la cerca prima della ferma, anziché fermare di colpo, viene valutato con un buon punteggio. Bisogna quindi aspettare che arrivi il conduttore per servire il cane, in questo caso era consigliato di portare via il cane legato in modo che i concorrenti dopo potessero fermare. Nel nostro caso di trattava di un boschetto di tre filari con alcuni punti di erba alta.  Al mio turno, solito rito per l’inizio della prova, parte il cane tra le piante, a volte andando fuori, in fondo, saranno stati 30 metri in larghezza, avevo già immaginato una situazione simile, per cui, con tutta la calma chiamo il cane a rientrare. Ad un certo punto smette di cercare in modo ordinato, dopo la seconda volta che è uscito a sinistra del bosco. Parte in diagonale, da sinistra a qualche decina di metri in avanti a me, rallenta. Mi fermo per vedere cosa sta facendo. E’in ferma, una statua, davanti ad un mucchio di erba alta, dove sicuramente dentro ha  sentito la starna. Il giudice più in avanti alza la mano, per dare conferma che il cane è nel punto esatto. Mi avvicino e lego.

Dopo circa un’ora mi avvisano di prendere il cane, andiamo al campo a sinistra del boschetto, lievemente in salita verso sinistra. Mi indicano di salire circa 40 metri dalla strada  e sganciare il cane verso sinistra. Parte subito, forse un po’ troppo in avanti. Non passano neanche un paio di minuti che parte una lepre in mezzo al campo. Il cane non l’ha vista, trillo ed il cane si siede. Mi giro verso i giudici per chiedere come devo comportarmi, per tutta risposta mi hanno detto di lasciare il cane e vedere come di sarebbe comportato. Fatto ripartire fa un paio di lacets e finisce qualche decina di metri dall’inizio della spur, comunque sulla traccia. Inizia a pistare, facendo un centinaio di metri veramente bene, perdendo poi l’odore al passaggio sull’arato. Scendo verso la strada, mi indicano che adesso torniamo a filo bosco. Chiamo quindi il cane che scende dopo qualche attimo, ancora non è convinto  di rientrare.Arrivato quindi sulla stradina lascio andare il cane avanti a me, inizia a cercare facendo il suo lavoro. Ad un certo punto si lancia nel fossetto di scolo dell’acqua, io, sapendo di questo suo vizio di rinfrescarsi, lo richiamo di uscire. Ingeborg mi dice di lasciare fare il cane che non sta sbagliando, metto quindi via il fischietto. Continua per qualche minuto a cercare lì dentro, fino a quando parte una starna, utilizzata il turno prima. Il turno è finito ormai, lego quindi il cane.

Subito dopo il richiamo, mi danno indicazione che sarebbe iniziata l’ultima fase della prova:  l’attesa del conduttore. Questa parte consiste nel mettere i cani a terra, ad una distanza di qualche metro l’uno dall’altro, e fare allontanare i conduttori. I giudici in questo caso valutano l’equilibrio del cane ad aspettare dopo aver ricevuto un comando, per un tempo a discrezione dei giudici. L’erba è  abbastanza umida, l’unica accortezza che ho avuto è stata quella di mettere un telo di loden in modo che Kurt non si bagnasse per sedersi. Dato il “platz e fermo” al cane e mi sposto.  La mia prova è finita.

Mentre aspettiamo il rientro delle altre persone, pranziamo leggendo i risultati che uno alla volta vengono trascritti sul computer, collegate ad un proiettore.  Sui risultati va fatta una precisazione: le prove tedesche non sono agonistiche, pertanto tutti i cani possono ricevere un 1° Premio, dettato dai punteggi ottenuti nella prova. I cani della VJP ricevono invece un punteggio effettivo. Durante la trascrizione ero il 2° della lista su cui si compilava, “Kurt : I Preis 4h Vorstehen mit Andreasstern” ossia 1° premio, eccellente in ferma ed eccellente per la traccia su lepre. Finita la compilazione Ingeborg mi dice che con quel punteggio potrei anche aver vinto la prova, sempre che qualche concorrente delle batterie rimanenti non avesse fatto due 4h. Fritzi, una volta ottenuti tutti i risultati della prova, fa  un discorso, dicendo che di 18 cani era un ottimo risultato avere tredici primi premi, un secondo ed un terzo premio, oltre che in VJP tre punteggi con 72, 68 e 64. Chiama poi uno per uno e ormai aveva chiamato la penultima ho capito che mancavo solo io, avevo appena vinto il Derby. O meglio, Kurt aveva appena vinto il Derby! Emozionato e con gli occhi lucidi sono andato a ritirare il premio!

Non resta quindi che concludere, ringraziare gli organizzatori impeccabili, Ingeborg che ogni volta ci accoglie con infinita pazienza e gioia di vederci, Marco e Michela che ci hanno tenuto compagnia e fornito le fotografie che vedete nell’articolo, io sono quello qui al centro!.Un grandissimo ringraziamento va nei confronti di Ivan e Rebo, in fondo mi hanno aiutato loro in tutta la preparazione, e molte, se non tutte, le cose che ho imparato in questi ultimi 4 anni le devo a loro. Ovviamente non posso non ringraziare mia madre e mio padre, che mi aiutano sempre.




Variabilità genetica nel kurzhaar

Segnaliamo ai lettori di Dogs & Country un’importante iniziativa patrocinata dall’ENCI, dal Kurzhaar Club Italiano e dall’Istituto di Ricerca Spallanzani.

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Forum del Bracco Italiano: Raduno Decennale

In data 12 e 13 dicembre 2015 si è svolto il Raduno Annuale del Forum del Bracco Italiano (www.ilbraccoitaliano.net) con una particolarità questa volta: il raduno compiva 10 anni, tanto era passato dal primo incontro tra amici avvenuto nel 2005. Ad accogliermi facce nuove e facce vecchie, tutte accomunate dalla stessa passione per la caccia, per la cinofilia e per lo stare in compagnia.  Le targhe nel parcheggio testimoniavano arrivi da molto lontano, c’era chi veniva dal centro-sud e chi arrivava persino dall’estero. Anche alla casa di caccia le diversità si mantenevano: tanti accenti e tante razze canine accompagnavano i partecipanti.  Nonostante il forum sia nato per promuovere il bracco italiano, infatti, ha subito accolto appassionati di ogni razza diventando uno dei più affollati (se non il più affollato!) punto d’incontro per i cinofili della rete.  Io mi sono presentata con una setter inglese ma c’erano anche pointer, setter gordon, kurzhaar, drahthaar, spinoni, springer spaniel e weimaraner, il premio rarità credo sia andato a Kobe di Angelo Pirali esponente di una razza assai poco diffusa, il weimaraner a pelo lungo.

Foto di Gruppo
Foto di Gruppo

 

Il raduno si è aperto il sabato pomeriggio con una cacciata interamente sponsorizzata dalla ditta Franchi svoltasi presso l’AATV  Bruera  di Vaprio d’Agogna (NO), cacciata che ha visto impegnati 20 cacciatori divisi in quattro batterie.  La manifestazione è proseguita nella giornata di domenica (sempre grazie allo sponsor Franchi) con due turni di caccia che hanno così permesso ad altre 60 persone di cacciare, suddivise in otto batterie. Ho scelto di seguire la batteria nella quale i bracchi italiani erano più rappresentati e mi sono trovata al cospetto di un bracco molto famoso, il Ch.It. L. Caravaggio.  Ad assisterlo nel lavoro altri validi bracchi italiani, Arno un bretoncino tanto piccolo quanto determinato e Muttley un incrocio drahthaar- spinone che, nonostante le umili origini, ha messo in chiaro di essere un signor cacciatore.  Belli i terreni a disposizione: aperti a sufficienza per poter apprezzare il lavoro dei cani, ma provvisti di boschetti e sporchi nei quali la selvaggina (fagiani e starne) può trovare riparo.  I cacciatori? Buona l’intesa e la coordinazione tra loro anche se non sono mancate padelle clamorose, due delle quali hanno insignito Amedeo Spadacci della Super Padella D’Oro, Edizione Speciale per il Decennale.

Ch.it. B Briony del Cavaldrossa & Multi Ch. Caravaggio
Ch.it. B Briony del Cavaldrossa & Multi Ch. Caravaggio

A metà pranzo foto di rito, consegna dei doni offerti da sponsor minori e dei premi speciali. Il beeper offerto dalla ditta Trophy Hunt (Enrico Resta) è andato a sorteggio a ReJoy (Pietro Maioli); mentre gli occhiali  da sole Harry & Sons sono stati vinti da Maura Martegani. I quattro pelouche Trudi, offerti dall’Allevamento di Weimaraner Semper Adamas, sono andati a: Ettore e Giacomo – giovanissimi partecipanti al raduno – un bracco italiano e un weimaraner;  Andrea Silvagni (Er Monnezza)- weimaraner  e alla sottoscritta – bracco italiani. Gli abbonamenti offerti dalla CAFF sono stati assegnati a Romualdo Cipriano (Beccacce che Passione) e al gordonista storico Sergio Gnemmi (Sentieri di Caccia).  E la padella d’oro? Il trofeo annuale è stato vinto da Giulio Rigamonti mentre la super padella per il decennale (offerta dall’artista Gianni Marcucci – Ceramiche Marcucci Deruta) è andata ad Amedeo Spadacci, realizzatore di una coppiola di formidabili padelle su fagiani.  Una targa speciale per il lavoro svolto in questi anni è stata infine assegnata a Massimiliano Di Lorenzo, creatore del forum che, insieme alla compagna Flavia, è stato essenziale per la buona riuscita della manifestazione.

Le Padelle d'Oro
Le Padelle d’Oro