Cuccioli… o individui senzienti?

Breve capitolo nella storia di una cucciolata

L’allevatore è spesso visto come una persona cattiva, che mette al mondo cuccioli inutili a fini di lucro… Non voglio parlare per gli altri, intendo parlare solo per me, ma ritenendomi, per fortuna, non l’unica persona a vederla così.

Fini di lucro? Io non ho nemmeno recuperato le spese che sono state necessarie per farli nascere e crescere, non parliamo delle spese relative ai controlli sanitari della madre (nel mio caso displasia dell’anca, displasia del gomito, PRA e NCL), né di quelle per portarla avanti a caccia, in esposizione e in prove di lavoro in Italia e all’estero. Sì perché il cane va preparato, serve tempo, serve selvaggina, servono i terreni. Anche per le esposizioni, sebbene per me non siano mai state prioritarie, servono un minimo di preparazione, di toelettatura, di carburante…

Ma limitiamoci a parlare dei cuccioli. I cuccioli B sono figli della mia Briony del Cavaldrossa (Ch. Italiano di Bellezza, qualifiche in prova e vincitrice di una prova su starne a Sandrigham, terreno di proprietà di Sua Maestà, la Regina Elisabetta II d’Inghilterra). Il padre è Gregor di Val di Chiana, Ch.Italiano Lavoro, Ch. Internazionale Lavoro, Ch. Europeo su Selvaggina di Montagna, pluri CAC in raduno.  Perché ho scelto Gregor lo potete scoprire leggendo qui ma, in buona sostanza, non è stata una scelta fatta a cuor leggero, o avrei preso il primo setter disponibile dietro casa. L’intento era quello di portare avanti la linea della mia cagna mettendo alla luce cuccioli sani, tipici, equilibrati e con ottime attitudini venatorie. L’Italia sarà pure la patria del setter inglese, ma trovare in un cane tutte queste caratteristiche insieme non è scontato: in coscienza ho cercato di far sì che accadesse. Chi non vorrebbe avere accanto un cane simile? Un cane collegato, che sa dove sei e non si perde, un cane equilibrato, bello da guardare, nonché un piacevole compagno di vita?

Con questo scopo sono venuti al mondo 8 fagottini, purtroppo 2 femmine (richiestissime tanto da avere una lista d’attesa) non ce l’hanno fatta e, a causa di un cucciolo morto durante il parto, i fagottini sono rimasti in 6, 3 maschi e 3 femmine che mi sono impegnata ad allevare nel migliore dei modi. I cuccioli sono nati e cresciuti IN casa, a contatto con le persone, i suoni, i rumori e tutto il resto. Prima ancora di avere un nome vero e proprio, hanno avuto un soprannome (il bianco, il nero, il maialino, la mucca, la snoopina, la piccolina, la fatina, la fochina…) e hanno immediatamente avuto un’identità e un’individualità. Non erano “i cuccioli”, erano Breandan, Branwyn, Drystan, Brianna, Tinkie e Tigerlily, ognuno era un’ anima ingenua che mi stavo impegnando a crescere al meglio. La cassa parto ha da quasi subito avuto un angolo pipì e, non appena sono stati in grado, compatibilmente con i rigori dell’inverno, sono stati fatti uscire OGNI 2 ORE (tranne la notte), affinché capissero che si sporca fuori e non in casa, dove si vive. Avete idea di cosa vuol dire seguire 6 cuccioli da soli in maniera così maniacale? E per giunta in pieno inverno? Significa fermare la propria vita per mesi, una scelta, per carità, ma estenuante.

Ogni giorno ai cuccioli venivano presentati stimoli nuovi e veniva loro insegnato qualcosa. Hanno imparato a conoscere la casa, il giardino, i rumori e hanno cominciato, compatibilmente con i rigori invernali, ad andare in macchina con la mamma, in modo che la macchina e il trasportino fossero esperienze piacevoli.  Queste sono alcune delle attività che abbiamo fatto insieme mentre, man mano, si affacciava il problema di trovare le giuste famiglie per loro. Una lista d’attesa lunga per le femmine (con Tinkie… Tinkina… Tinketta… Tinkiebella… che nel frattempo si è ammalata ed è finita fuori dai giochi, in attesa che si potesse capire se avesse, o meno, buone possibilità di guarire) e qualche problema in più per i maschi, sesso che negli ultimi anni sembra essere passato di moda tra i cacciatori.

Sì perché… considerato il tipo di selezione che ho portato avanti, volevo che a questi cani fosse data la possibilità di scendere in campo e lavorare. Subito mi sono scontrata con i così detti cacciatori “vecchia scuola” per i quali il cane deve stare fuori. Negli anni, onestamente, non ho ma capito quanto queste persone vogliano bene a cane, e quanto lo considerino uno strumento. Non ho nemmeno mai capito perché… Chi possiede setter inglesi, ne possiede in quantità irrazionali: chi ha cani da ferma continentali ne ha mediamente 1 o 2, chi possiede cani da ferma inglesi, per motivi che ancora mi sfuggono, ha quasi sempre un parco cani che va da 4 in su. Ma di questo parleremo in un’altra occasione.

Tornando ai cuccioli, avevo tante richieste (anche per i
maschi) di famiglie che desideravano un cane da compagnia, ma che avevano
capito che i miei cuccioli erano il risultato di una buona selezione (se pensiamo
alle caratteristiche di mamma e papà) e che venivano cresciuti con tantissima
cura, in modo tale che crescessero felici ed equilibrati. I cacciatori, anche quelli
che venivano in visita, in parte capivano il lavoro che stavo facendo, in parte
no: secondo loro la felicità, l’atteggiamento positivo e propositivo dei
cuccioli erano una sorta di dono divino. Insomma, se li avessi cresciuti in una
topaia in fondo all’orto, alimentandoli con croste di formaggio ammuffite,
sarebbe stato uguale.

Disarmante, sconvolgente, amareggiante, ma non sufficiente per farmi cambiare strada. Del resto studio i cani da quando ho 8 anni, sono un medico veterinario e mi sono laureata con una tesi di laurea sul benessere del cane da caccia, forse il mio modo di agire era fondato. E i miei cuccioli erano felici, ed erano felici di andare nelle nuove case dove si ambientavano immediatamente. Partivano uno alla volta, compatibilmente con le esigenze del proprietario, ma se ne sono andati tutti con calma, dopo i 75 giorni, per evitare che i traslochi cascassero proprio nel “periodo della paura”.  Ciascuno di loro ha seguito un protocollo vaccinale mirato e leggero, non è stato nemmeno necessario sverminarli perché, avendo sverminato la madre, sono risultati negativi ad ogni esame.

Loro erano felici, ma io ero esausta e lasciavo andare ciascuno di loro (tenendomi aggrappata alla piccola Tinkie che necessitava di cure e riabilitazione) ad intraprendere una vita migliore. Perché ciascuno di loro avrebbe avuto, nella mia testa, una vita migliore con un umano tutto per sé e non una Rossella da dividersi in sette. Ho cercato anche di dare a ciascuno di loro la famiglia migliore in relazione alle esigenze e al carattere, pensate un po’ che proprio per garantire il meglio a ciascuno di loro, ho cercato in tutti i modi di tenermi la canina più “sfigata” (e più adorabile) perché non ero sicura che nessuno l’avrebbe apprezzata a dovere… Ho disdetto la prenotazione di chi la voleva perché non me la sono sentita di mandarla lontano, ed è rimasta qui finché non è comparsa una sistemazione migliore di quella che potevo darle io… Alla fine sono rimasta con Tigerlily, la scelta razionale, anche se il cuore, che mi avrebbe fatto scegliere altro l’aveva messa in fondo alla mia lista di preferenze.

Ora, ogni tanto la guardo, Tigerlily, il mio cane “non preferito”, quella che si si è mangiata 8 telecomandi, che ha tranciato il filo del telefono e che è stata vista correre nella notte con una lampada solare in bocca. E penso che è felice: ha due cuscini tutti per sé, una casa, un giardino, va a scuola per diventare un buon cane da caccia (e impara)… Ha gli ossini, ha lo zoccolo di mukka e il corno di cervo, ha il Kong con la ricotta surgelata prima di andare a nanna, e niente, credi che anche gli altri tuoi ex cuccioli se la passino più o meno così. Magari qualcuno ha una vita più spartana, ma credi che sia apprezzato e felice.

Se non che poi ti ritrovi, a mesi di distanza dall’ ultimo cucciolo affidato, con il così detto cerino in mano. Quando sei sicura di aver fatto tutto per bene, salta fuori che per uno dei tuoi amati cuccioli l’abbinamento non è andato a buon fine. Vuoi perché il proprietario non ha tempo, vuoi perché le esigenze del cane non combaciano con quelle del proprietario… Vuoi perché forse una persona voleva quel cane e poi si accorge di non volerlo più…. Vuoi perché boh…. Succede che uno dei tuoi cuccioli preferiti, quello/a in cui credevi tanto, e credi ancora tantissimo (soprattutto dal punto di vista delle attitudini) è rimasto a piedi, e bisogna ripartire da zero, rimboccarsi le maniche e trovare una casa che, a questo punto, sia più che ideale.

Perché non sono “i cuccioli”, sono Breandan (Ulisse), Branwyn (Attilio), Drystan (Dryssino), Brianna, Tinkerbell (Tinkie) e Tigerlily (Lily/Foky).




I meccanismi della venaticità di Angelo Cammi

Allevatore di setter inglesi e giudice ENCI/FCI

I macroelementi sono facilmente identificabili anche da chi ha poco esperienza o competenza, si manifestano nelle situazioni contingenti, risultano ben evidenti e per questo “misurabili”. La ferma è in effetti l’espressione di una caratteristica di base che rimarca ed evidenzia la fase conclusiva del lavoro; sono rilevanti la tensione e l’espressione, diverse a seconda della razza. Ciò che  conta però ai fini della valutazione complessiva, è la parte a monte che contiene evidenze concrete e/o di natura potenziale, di solito appena percettibili, alla portata di persone che hanno la passione di approfondire.

Comunque, se nello sviluppo della caccia e delle note regolamentari, non sono presenti e operativi  i “meccanismi” significa che le stesse (note), sono disattese nella parte concettuale e centrale e si è dato spazio invece a manifestazioni estetiche che nel tempo annulleranno ciò che non si è sviluppato continuamente con la funzione. Perché ai tempi venivano considerati eccezionali i soggetti grandi cacciatori che nelle prove riuscivano a collocarsi sempre ai posti alti delle classifiche per rendimento e tipicità ? Perché rappresentavano veramente la razza sotto tutti gli aspetti, anche quelli morfologici pur se non prevalenti. Ricordo setter magnifici con affisso del Tidone e del Volo. Le stesse note, di cui sopra, prevedono peraltro che le tipicità di razza siano interagenti con la concretezza della fase realizzativa. Ogni particolarità deve essere strettamente collegata alle altre di simile fondamento determinando un unicum che rappresenterà, nel contesto, un blocco di energia psico-fisica, fasciato dalla tipicità della razza.

Pointer inglese riporta

ISTINTO: facoltà di conoscere un oggetto o una situazione senza la mediazione del ragionamento; perspicacia, acume, assoggettato alle identità di razza.
INTUITO: tendenza innata che spinge gli esseri viventi ad adottare comportamenti fondamentali.
POTENZIALITA’: carattere e contenuto di ciò che è ancora in potenza e non in atto; visibile da un occhio esperto che sa leggerne i sintomi.
PREDISPOSIZIONE: disposizioni innate, inclinazioni, tendenze, vocazioni.

L ‘intuito è equiparabile al “senso del selvatico”? Se si manifesta in un certo ceppo e con frequenza, è certamente un’abitudine assecondata da elevati elementi funzionali; utile coltivarlo quindi per la probabile fissazione.
I geni sempre e sicuramente trasmessi a tutti gli individui sono i vitali, i funzionali – che mantengono efficienti i comportamenti preposti alla vita -, i riproduttivi per la conservazione della specie.
Esistono alcuni caratteri aggiuntivi che si formano in condizioni particolari, definiti di origine ambientale. Collaborano alla loro fissazione situazioni simili per contenuto, ripetitività ed intensità: le abitudini.

Un cane da ferma assume in linea di massima come apparato genetico standard, la passione per il lavoro, la conformazione,l’equilibrio,l’intelligenza e un marcato grado di affettuosità (i cuccioli appena nati, cercano la mamma,cercano le sue attenzioni, in sostanza quel grado di affettuosità che genererà un rapporto vitale madre-figlio); tutto ciò contiene un potenziale affidamento per la costituzione di un vero rapporto di fiducia uomo-cane e viceversa. Il cucciolone ancor prima di dimostrarsi cacciatore, cerca fortemente “l’amicizia” dell’uomo, concretizzata dall’espressione mimico-gestuale di un potenziale istinto che è alla base della sua formazione come cane da caccia gestito dall’uomo. L’autonomia (altro micro-meccanismo), associata alla cerca, al collegamento, ecc., va gestita, fatta comprendere ma non soffocata da interventi drastici, inidonei ad insegnare; l’insegnamento aiuta il cane a capire ed eseguire secondo indicazioni serene e razionali. Durante l’insegnamento tenere nella massima considerazione,l’espressione dell’occhio. L’espressione dell’occhio (sguardo) quindi,coadiuvata dal colore dell’iride, è un ulteriore indicatore delle sensazioni, esprime gioia, timore, addirittura forti stati emotivi supportati dalla paura, e se si può dire di un cane,dagli stati d’animo. Il colore è rappresentato da geni specifici, come quello del mantello e/o delle mucose e delle unghie. L’intelligenza può essere considerata come coadiuvante delle sensazioni; un surplus, che genera una miscela che potrebbe essere la stessa predisposizione. La riproposizione di queste analisi serve a mantenere viva la base della struttura psichica presente nel cane ed espressa con il temperamento, autentico operatore di scelte ed iniziative nell’attività venatoria. Ha valore concreto quel cane che corre spinto dall’avidità, non ha valore alcuno il cane appartenente alle razze da caccia che corre per il gusto di farlo. Se quest’ultimo genera qualche figlio con il suo “difetto grave”, potrebbe significare che i geni anomali  della corsa si è fissato. E’ meglio allora che i suoi cromosomi rimangano in lui.

Come già ribadito, si manifestano cromosomi portatori di geni “costruiti dalle abitudini” (positive) (A), ed altri formati da altrettante abitudini decisamente negative consistenti, ad esempio, in “sistemi di addestramento” duri e coercitivi (B)  agli antipodi della corretta preparazione. Nel momento dell’accoppiamento i cromosomi trasportano i propri geni sia maschili che femminili ed ognuno vuol piazzare la propria dotazione, in questo contesto, vince il più forte, o il più veloce. Sarebbe interessante capire se si abbinano prima i geni “classici”, o quelli “aggiuntivi”. Per correre meno rischi, gli esperti suggeriscono di stare alla larga dagli iper che primeggiano, ma dei quali non si conosce la storia, quella vera che può darci indicazioni, non i certificati che sino a prova contraria, ci fanno leggere solo nomi. E’ saggio invece concentrarsi sui soggetti che da generazioni, mantengono tipicità e positività. Anche alcune caratteristiche desiderate, difficilmente si riproducono perché hanno una fisionomia di duplice formazione (es. la meccanica del movimento dipende dall’apparato scheletrico e muscolare, ma il comando arriva dal temperamento e questo (altra dote morale ) può intervenire iniettando tipicità oppure mediocrità. Un gene è portatore di un solo carattere.

Confrontando per esempio, una potenzialità positiva (A), con un gene “imposto” (B), prevarrà la prima, dato che rimane nel solco della “regolarità” rappresentata da procedure che assecondano il carattere e l’indole. Il tipo (B) è frutto di una anomalia non prevedibile nel percorso educativo. Una sorta di gesto contro natura.  I “macro” come la ferma, il riporto ed il consenso, si manifestano almeno nel 95% dei casi. Il cinque per cento restante, fa parte dei risultati “selettivi” di chi considera per esempio la ferma un opzional, il consenso qualcosa che è meglio non sia naturale, il riporto un passaggio totalmente inutile, la filata una perdita di tempo ed il collegamento addirittura un’assurdità! Eppure l’identità è rappresentata dai “macro”, ai quali si possono abbinare i meccanismi potenziali e/o occulti, che rimangono tali nel periodo iniziale dello sviluppo. Un mondo inesplorato. La preoccupazione consiste nell’ipotizzare una diminuzione del 95%.

Le potenzialità abbinate a predisposizioni, possono concorrere alla specializzazione. Ho avuto modo di verificare che nascono cani che ancora cuccioloni passano sempre o quasi, in tutte le uscite, dal prato al cespuglio, al boschetto. L’ipotesi è di portatori di un gene di natura ambientale fissato da avi che hanno sempre cacciato prevalentemente e/o esclusivamente nel bosco, ma se anche altri loro fratelli di cucciolata, tutti o anche solo una parte, hanno la medesima predisposizione, l’ipotesi è molto vicino alla realtà di un consolidamento di quei geni. L’istinto e l’intuito credo che non siano adeguatamente considerati e sono convinto che entrambi si esprimano differentemente a seconda della razza. Non è detto che siano sempre entrambi presenti e non è detto nemmeno che abbiano affinità. E’ certo comunque il loro apporto positivo.

Se siete appassionati di cani da caccia non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




Gino Pollacci Duca di Gordon

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Un viso arguto incorniciato da capelli bianchi e interrotto nei morbidi lineamenti da un paio di baffetti che ricordavano un duplice fiocco di neve. Nella penombra dell’armeria Albertini, luogo tradizionale di ritrovo, mi allungò la mano accennando ad alzarsi dalla poltrona, ed alle parole di presentazione rispose congratulandosi con chi mi presentava perché era stato capace di trovare un “giovine” più preoccupato di imparare la preparazione dei cani piuttosto che solo ad uccidere selvaggina indipendentemente dal cane e dalla etica. A quella presentazione seguirono metodici incontri, sempre nello stesso luogo, e lunghe conversazioni, alle quali il prof. teneva in modo particolare, direi con attaccamento, al punto di rilevare, “cipolla” in mano, i miei non sempre puntuali arrivi.

Seguiva con interesse i miei racconti sui cani in preparazione e interrompeva per raccontare aneddoti dai quali traeva spunto per parlarmi dei suoi gordon. Dei gordon fu certamente un vero cultore, ma non tanto in rapporto alle prove di lavoro, quanto al loro impiego sul terreno di caccia. I suoi cani di “Loano” (affisso riconosciuto nel 1929 n.d.r.), in pratica, erano stati forgiati in terreni di alte montagne e su un selvatico che egli riteneva essere, comunque, al di sopra di ogni altro, il forcello. Del gallo di monte sapeva praticamente tutto, lo amò e lo studiò anche con tentativi di riproduzione semi artificiale e, su questo argomento, scrisse anche una serie di articoli tecnici che poi raccolse in un volumetto.

Identica cosa fece per i cani del castello di Gordon. Data l’età ormai avanzata, non teneva più cani né tantomeno poteva seguire il lavoro quotidiano di Griziotti, del quale era un estimatore incondizionato. Non particolarmente interessato alle altre razze, ne faceva rari riferimenti e,  con quel modo caratteristico delle persone avanti di età, periodicamente ritornava a raccontarmi di come una invitò Griziotti alle Navette per potergli mostrare una cagnina di grandi mezzi. L’avvocato arrivò ad Ormea accompagnato da bracca che fece meraviglie su galli e cotorne tanto che egli lo pregò di portare a Pavia, in dressaggio, la gordonina, ma di lasciargli, nel frattempo, in affidamento la bracca, con la quale passò giornate indimenticabili.

In occasione di questo racconto, non mancava di farmi rilevare come il cane di Gordon non fosse altro che il bracco degli inglesi… Di Pollacci posso dire che non ebbe mai, lui professore universitario, atteggiamenti cattedratici, anzi era in sostanza persona disposta ad ascoltare e discutere dei più svariati argomenti. Logicamente poi si finiva sempre nel cadere sulla caccia e sui cani che accomunava, quasi sempre, non solo alle sue amate Navette ma anche a Mazza Emilio, suo “mitico” guardiacaccia che lo aveva introdotto ai segreti della caccia ai selvatici di alta montagna, tanti anni prima.

Malgrado abbia allevato a Pavia, dei suoi cani non è rimasta traccia, ed in verità, anche all’epoca a cui mi riferisco, non erano presenti in numero cospicuo i cani del castello di Gordon. Era figura dell’Ottocento, nel suo stile (che era comune ad altri di quell’ambiente), un Ottocento di tipo classico, romantico, che li portava anche a certi aspetti del comportamento che lasciano allibiti coloro che, come me, sono cresciuti in una dimensione diversa. Nei tempi che furono, i gentlemen di Pavia avevano quale loro luogo di ritrovo il bar ristorante Bixio. In una serata di accesa discussione suoi cani, un partecipante si lasciò scappare alcuni pesanti pensieri sia sui Gordon sia sui cani di Pollacci, il quale, dopo averlo schiaffeggiato, lo sfidò a duello. Fortunatamente, una lunga mediazione di gentiluomini presenti al fatto, salvò il malcapitato dalla lama di Gino Pollacci che era anche un campione di spada.

Vai all’articolo precedente di Ivan Torchio qui.

Altri materiali storici sul setter gordon sono disponibili a questi links:

I Tre Stili – di Giacomo Griziotti

Brevi appunti sul setter nero fuocato di Rino Radice