Quattro passi dentro casa: il cespo di erica

Anche qui, non confondiamoci: il cespuglio di erica stava
fuori casa, il cespo di erica stava quasi in casa. Il cespuglio, radicato
solidamente nel terreno, abitava in giardino accanto al lampione. Poi un bel
giorno è sparito. I ricordi sono molto vaghi ma, tra un’ombra della mente e
l’altra, mi sembra che abbia fatto i bagagli nello stesso periodo in cui è
arrivata una setterina bianca e arancio, questioni di sopravvivenza. Il cespo,
anzi i due cespi, stavano in due vasi, sul balcone. Anche qui, come potete
notare, si parla al passato. Il balcone è quello della stanza in cui vivono il
telo cinese, le cornici blu e il divano dell’Avanella. La stanza, se non ve
l’avessi già detto, è esposta a nord, quindi non vede mai il sole. Del suo
balcone non se ne ricorda mai nessuno: è impunemente esposto alle intemperie
tanto da aver causato un’infiltrazione d’acqua nel soggiorno. È un ambiente
superfluo: ogni inverno, per lo meno negli inverni d’altri tempi, si imballa di
neve e devo uscire con la scopa per lanciarla giù in giardino, sperando sempre
di non centrare i cani. Adesso ha una pavimentazione in finto cotto toscano,
l’ho comprata da “Michela”, il cui cognome è abbastanza industrial-rinomato,
quindi diciamo solo il nome.  Le antenate
di queste piastrelle erano giallastre, rachitiche e scivolose. Roba da
discount, insomma, ma me le sarei tenute, evitando l’anda e rianda del
piastrellista sul parquet, se non fosse stato per l’infiltrazione.

Delle piastrelle non me ne importa un granché: le vedo solo
con la coda dell’occhio, ci dividono i doppi vetri e la zanzariera. Perché, se
fa freddo non puoi aprire i vetri, che entra il freddo; se fa caldo non puoi
aprire le zanzariere, che la a casa si trasforma in un emporio all’ingrosso di
insetti. Questa mattina ho aperto un istante ed è entrato un moscone: nero, lucido
e cangiante, era molto nervoso. Per fortuna se ne è andato di sua sponte, non
sempre succede. Le cimici cinesi, per esempio, vengono per restare. Non so chi
abbia concesso loro il permesso di soggiorno, ma si sentono a loro agio dalle
nostre parti, in tutte le quattro stagioni. Oramai non le temo più: le
acchiappo delicatamente con della carta igienica (per questo ogni tanto svetta
rotolo sulla scrivania) e le butto nel water. La mia prima cimice, al contrario,
è stata un trauma: avevo circa otto anni e lei (?) si è posata sulla manica di
un mio maglione. Il maglione era brutto, giallo e sintetico. Ho urlato talmente
tanto che sono arrivati i vicini, da quel giorno non ho più indossato maglioni
gialli, qualche volta maglioni sintetici.

Se alle cimici mi sono abituata, persistono perplessità nei confronti di api, vespe e calabroni. Io faccio finta che non esistano, ma loro mi vengono a cercare. La calabrona regina è molto ostinata: ogni anno cerca di fare il nido su questo balcone. La scorsa stagione ho chiamato i rinforzi e l’hanno uccisa. Era enorme: sette, o otto, centimetri d’insetto, forse di più. Data la taglia era sicuramente americana, anzi texana, e proveniva dalla base USA di Aviano. Prima di spirare, mi ha giurato che avrebbe mandato la nipote a sostituirla, arriverà da Houston con DHL. Speriamo che il Covid_19 generi intoppi, nel frattempo torniamo al cespo…

L’erica di LIDL

Perché “cespo”? Perché chiunque abbia visto l’erica nel nord dell’Inghilterra e in Scozia non può chiamare diversamente un ciuffetto di questa pianta compattato artificialmente in un parallelepipedo. I cespi erano arrivati in sostituzione dei gerani: non li curavo e sono morti. Non è che lo faccia apposta: me ne dimentico, sulle piante ho sempre avuto le mie idee. Non posso tenere piante d’appartamento, perché i cani le morsicano. Ho provato orchidee e bonsai, ma nonostante le amorevoli cure mi hanno lasciato: a volte sono morti, altre volte li ho regalati per il loro bene. Non mi piacciono i fiori recisi: sono dei condannati a morte e mi fanno starnutire. Resterebbero le piante carnivore, ma non so, non so se ho voglia di provarci. Ho sempre pensato che le piante debbano essere #aiutateacasaloro e che non debbano #stareincasa. Io abbraccio gli alberi, ma li lascio nei boschi. Credo nei giardini selvaggi e scapigliati.

La mia povera erica è morta per il caldo: gli è stato
chiesto di adeguarsi a un clima che non le appartiene. Tutti gli anni, almeno
un paio di volte all’anno LIDL propone dell’erica in vendita, forse anche lei è
arrivata così, ma non per mano mia. 
Quando la incrocio tra gli scaffali, la guardo, le sorrido e scatta quel
sentimento dolceamaro di nostalgia dei moors.  Le giro le spalle e le auguro buona fortuna.

Il mio cespo, sebbene passato a miglior vita, era stato molto amato, non capita a tutte le eriche in cattività. Durante i primissimi giorni di quarantena, la gente era impazzita. Non potendosi più recare né a lavoro, né al centro commerciale, si era avventurata nella scoperta delle campagne. Uscire all’aperto con il cane era diventato meno che sicuro: anche i luoghi poco battuti erano diventati battuti, fosse il sole alto o basso all’orizzonte. Non sapendo come altro risolvere, sono andata a passeggiare dalle parti del campo nomadi, a debita distanza: c’ero soltanto io, e le sagome delle baracche sullo sfondo. Al rientro, ho conosciuto un rigagnolo: né bello, né brutto, se non fosse stato per la spazzatura.  Nell’acqua del rigagnolo, dritto davanti a me, un cespo di erica di forma rettangolare, identico al mio. Non era stato amato abbastanza e lo avevano gettato in acqua: curiosa l’idea di affogare l’erica, quando è di troppo, di norma la si brucia. L’erica è piuttosto resistente all’acqua, nasce e cresce in una terra di tempeste: il cespo infatti era ancora vivo. Ho provato a salvarlo, ma non ci sono riuscita, troppi i cani con me, troppo pesante il cespo e troppa la distanza che lo separava dalla riva. Ciao cespo, e rinasci sul moor la prossima volta, ma mettiti in un angolo, così non ti bruciano!

Se ti è piaciuto trovi il precedente qui e il successivo qui.




Quattro passi dentro casa: le cornici blu

Le cornici blu, come è giusto che sia, guardano dall’alto al
basso il telo cinese. Sono arrivate prima di lui, molto, molto prima. Ridendo e
scherzando, credo se ne stiano attaccate al muro da almeno una quindicina
d’anni. Sempre nella stessa posizione e sempre sopra la stessa pittura color
malva che mi ha reso inconfondibile tra i commessi del colorificio locale. Che
ci vada di persona, o che mandi l’imbianchino, il contenuto della latta non
deve essere rosa, ma non deve nemmeno essere viola. Guai a virare verso il
color lavanda, è troppo freddo, dobbiamo stare il quanto più vicini possibile
al color malva. Che poi è quasi sinonimo del color erica in fiore: dipende
dalla luce, tante cose dipendono dalla luce. 
A proposito di colori freddi, non credo si vedrà mai una parete gialla
in questa casa, il color malva si abbia perfettamente al blu delle cornici. È
un blu che è tanti blu insieme: distalmente, così diciamo in anatomia, troviamo
un blu abisso, muovendoci verso l’interno, invece, abbiamo un azzurro chiaro
caraibico, commercialmente noto anche come “Bahamas Blue”. Le sfumature sono
interrotte da venature bianco azzurro. Descritte così, le mie cornici potrebbero
sembrare la seconda cinesata nel raggio di pochi centimetri: niente di più
falso, nell’insieme, l’effetto complessivo è piacevole.

Non posso dirvi dove le ho comprate, non perché debba
rimanere un segreto, semplicemente non me lo ricordo: ricordo di averle
comprate io, di questo ne conservo la certezza, ma ho dei buchi nella memria
simili a quelli di un gruviera. Credo provengano da una specie di brico locale,
uno di quelli che da un anno all’altro cambiano nome e proprietà, con
l’assortimento che, tuttavia, rimane all’incirca lo stesso. Però, potrebbero
anche provenire dal brico supremo, quello che sta a una ventina di chilometri
da qui e che non nomino perché mi mette troppa soggezione: è troppo lontano per
pensare di andarci. Ho visto gente rimettere a nuovo la casa durante queste
giornate di quarantena. C’è una casetta bianca, qualunque, lungo il tratto in
cui passeggio con i cani. In meno di un mese la sua recinzione è diventata più
nera, le sue persiane più verdi, e i suoi muri più bianchi. Se non si può
uscire di casa, da dove saranno arrivate tutta quella pittura e tutti quei
pennelli?

Comunque, tornando alle cornici blu, costoro sono un numero
di cinque, non ricordo esattamente il perché. Tre alloggiano stampe di
fotografie dell’inizio del secolo scorso , due invece delle copie di fotografie
in bianco e nero scattate negli anni ’70. 
C’è però un incredibile trait d’union, tutte le immagini portano
dei setter inglesi. Prima di parlarvi delle immagini, devo parlarvi dei passpartout,
perché hanno una storia tutta loro. A comprare una cornice pronta ed infilarci
dentro una foto siamo capaci tutti, ci costa anche molto meno che far fare una
cornice su misura, il problema arriva quando gli abbinate ciò che dovrebbe contenere.
Le anime semplici si accontentano di far combaciare i bordi dell’immagine con
quelli della cornice: la gradevolezza del risultato lascia però molto a
desiderare.  Tutti abbiamo almeno
un’immagine imprigionata in questa maniera, ma… ecco vi lascio i puntini di
sospensione, così potete decidere come pensarla.

La soluzione preferita da
pignoli-perfezionisti-ossessivi-compulsivi? Il passepartout della giusta
tonalità e della giusta misura. Ora che ci penso, perché il beige del
passpartout centrale è più crema degli altri, che danno invece sul corda? Chi
lo sa, ho impattato con l’ennesimo buco del gruviera. Nell’anno di nascita
delle cornici blu non esistevano ancora i tutorial su Youtube, però avrei
potuto aggrapparmi ai ricordi delle lezioni di educazione tecnica delle scuole
medie. Ci ho pensato, ma non ci ho neanche provato: è inutile cercare di fare
il salto dalla teoria alla pratica, se sai già che quanto allungherai la gamba
cadrai prima di toccare l’altra sponda.

Ready for the Call

Se esistesse una classifica del senso pratico, il mio sarebbe sotto lo zero. Con la manualità va un po’ meglio, ma sostanzialmente io sono quella che ha le idee, mi aspetto che siano gli altri a realizzarle. Le mie idee, ovviamente, sono ottime, solo difficili da mettere in pratica. È per questo che i commessi dei brico, i fabbri, gli imbianchini, i falegnami, insomma gli artigiani in genere, preferiscono non avermi come committente.  Ricorrono a mille astuzie per non farsi trovare, ma nulla possono contro la mia determinazione. Mi evitano perché sanno di non poter essere scortesi: negli anni, infatti, ho elaborato un sistema di rottura di scatole raffinato ed efficace, nonché a prova di insulto. Perché se io rompo, usuro, consumo, trito….  ma in fondo sono educata e gentile, anche se vorrebbero tanto mandarmi a quel paese non ho fornito loro le munizioni per poterlo fare.  In fondo sono persino buona: consapevole della mia totale assenza di senso pratico, affermo spesso che il mio coinquilino ideale sarebbe un caporeparto del Leroy Merlin.

Comunque, quando venne l’ora dei passepartout, la vittima
designata fu un anziano corniciao locale.  Con poco entusiasmo, li realizzò, facendomeli
pagare a caro prezzo e poi narrò la vicenda al figlio che ereditò, insieme
all’attività, anche un atteggiamento sospetto nei miei confronti.

Ma arriviamo finalmente a raccontare cosa contengono le
cornici blu, partendo da quella più a sinistra. La prima cornice, vicino alla
finestra e a nord del televisore, contiene una delle due foto anni ’70. Una
setterina che sorveglia un cucciolo di circa tre settimane: l’età l’ho stimata
io.

Con la seconda cornice abbiamo invece la prima foto di William Reid, un fotografo scozzese che risulta essere stato attivo tra il 1910 e il 1931. La “foto” è in realtà una pagina stampata proveniente da una qualche pubblicazione d’epoca. No Holt’s, no Christie’s: l’ho comprata su Ebay. Ora, io capisco il nazionalismo scozzese, capisco la sentita ricerca di identità da parte di questo popolo ma, intitolare l’immagine “Ready for the Call”, azzardatamente sottotitolata “A pack of Scottish Deerhounds on the Hills of the Vicinity of Edinburgh” (un branco di deerhound scozzesi sulle colline nei pressi di Edinburgo), mi pare un po’ tirato. Avete presente che cos’è un deerhound? Se non lo sapete ve lo spiego io: i deerhound sono dei levrieri specializzati nella caccia al cervo. La traduzione letterale del loro nome è segugi da cervo. Sono alti, molto alti sugli arti, smilzi, grigiastri e hanno un mantello duro, arruffato che spara in ogni direzione. Siccome so che è scortese paragonarli allo scopettone del wc, dirò che assomigliano a quelle spazzole irsute e avvitate che si usano per lavare l’interno delle bottiglie. Tolto il paragone politicamente scorretto, a me piacciono persino ma… non hanno nulla a vedere con le bestiole che appaiono nella foto. Abbiamo invece otto, forse nove – c’è una testolina che spunta dietro – cani. Di questi, quattro sono setter inglesi, tre sono pointer inglesi e uno sembra essere un cocker, per non sbagliare chiamiamolo semplicemente spaniel. I cani sono più o meno accovacciati e fermi, a dimostrazione che la steadiness (capacità di restare immobili), non è stata scoperta di recente dagli addestratori scozzesi. Dietro sembra vedersi un lago, più in là la sagoma dei moor.

We are Seven

Un lago fa da sfondo anche nell’immagine contenuta nella
cornice centrale, “A Young Game Keeper and His Nine Assistants, Aberfoyle
Scoltand”
(un giovane guardiacaccia e i suoi nove aiutanti, Aberfoyle,
Scotland). Nove cani, anche qui, che scrutano l’orizzonte immobili in compagnia
di un guardiacaccia che indossa il tweed della riserva, come accade tutt’ora.
Bravo William! Good boy! Stavolta hai azzeccato il titolo.

In quarta posizione abbiamo “We are Seven” (siamo
sette), il cui sottotitolo è “A Scotch Lassie and her half dozen setter
puppies”
. Lassie vuol dire ragazza, non vuol dire Lassie come lo intendiamo
noi. La razza “Lassie” non esiste, il cane a cui è stato dato quel nome, era un
cane da pastore di razza collie. Se siete arrivati fino a qui, e vi siete
persi, ci riprovo: quel cane protagonista di tanti film, era un collie di nome
“Lassie”, ovvero un cane da pastore di nome “Ragazza”. Se questo vi sembra
contorto, a me fa molto francese il contare i cani in mezze dozzine, sapete
come si dice 96 in francese vero? I cuccioli sono sei, con loro c’è una
ragazza, caso, o coincidenza, mi sento tanto io quando zampettavo per il
giardino urlando “Cagnoliniiiiiiii!”, “Cuccioliii” alla mia mezza dozzina.

La quinta cornice è sul confine con la libreria, cioè con una delle librerie, torniamo negli anni ’70, con una setter pensierosa, la stessa che fu mamma nella cornice iniziale. E il cerchio si chiude.

Se ti è piaciuto trovi il pezzo precedente qui e il successivo qui.




Quattro passi dentro casa: la cinesata suprema

Disclaimer: questa volta non si tratta di un articolo cinofilo, né venatorio (sebbene un articolo con questo tema sia in preparazione), quello che state per leggere è un esercizio di scrittura “terapeutica” da quarantena. Del resto c’è chi si rilassa cucinando e chi scrivendo.

What if… Scrivessi il bestseller del secolo? Il secolo è appena iniziato e scrivere un libro che vendesse bene sempre stato il mio Piano B. Anzi no, il Piano C, il Piano B è meglio che lo conoscano solo in pochi: manca ancora la materia prima per pensare di realizzarlo, ma non posso svelarlo, comporterebbe il rischio che salti.

Sono le 18.00, diciotto punto zero-zero, sei zero zero p.m.,
in questo momento mi sfugge come leggano le ore nei Marines.  Mi appena risvegliata da un torpore profondissimo,
il che significa che non sono ancora davvero sveglia.  Non c’è né come il non dormire la notte,
dovrei saperlo: del resto non ho mai dormito. 
Ho passato la mia infanzia attaccata alle tazze di tè: a 3 anni sapevo già
distinguere un British Breakfast da un Earl Gray, al primo sorso.  Oggi per far ripartire il motore al minimo
dei giri, è servita una moka doppia di caffè ecobio-solidale non so cosa, ha
una confezione color juta. A seguire, una tazza di, mi pare che si chiami,
English Rose della Whittard. Whittard of Chelsea, la Londra bene, un tè
pannoso, una tazza di tè non potrebbe essere pannosa, ma questa lo è. Vi scrivo
standomene affondata nel divano con il computer sulle ginocchia. Sotto al
computer un supporto fucsia, anzi no, chiamiamolo con suo vero colore “rosa
shocking”. È non è nemmeno tanto trash, passatemi il secondo anglismo. Il
problema è un altro: a causa della globalizzazione, che ci ha messo in questo
disastro, migliaia di persone ne hanno uno identico al mio: li produce Ikea,
non potrebbe che essere altrimenti.

La cosa più spazzaturosa che mi circondi, tuttavia, sta un
paio di piani al disotto del supportino color lampone: sotto al mio sedere e
sotto ai cinesissimi jeans di seconda mano, se non ricordo male. Parlo della
trapunta che mi è stata regalata. Nell’intenzione di chi l’ha acquistata,
doveva trattarsi di un oggetto patchwork fatto a mano e a tema setter ma, non
appena è arrivato il pacco, ci si è subito accorti che la realtà superava di
gran lunga la fantasia. Davanti a me c’era l’equivalente di un copri asse da
stiro o, se preferite, di un sinteticissimo copri materasso. Nessuna traccia
delle pezze da patchwork,  abbiamo invece
un tessuto unico e scintillante, ovvero predestinato all’autocombustione. Su di
esso sono stati stampati, per giunta rozzamente, immagini di setter inglesi.  Ci sono persino le sbavature…

C’è sopra un po’ di tutto, ma confesso che il motivo per cui l’ho accettata come regalo di compleanno è stata l’immagine centrale: una, per me è una lei, setter identica a Tinkie, la mia ex-cucciola preferita. Non è ancora il momento giusto per raccontarvi di Tinkie, strepitoso esempio di resilenza, vi basti sapere che questo telo radioattivo è arrivato anche a causa sua: qualcuno certe colpe deve pur prendersele! Generalmente parca, in questo caso avevo deciso di abbondare, scegliendo la versione matrimoniale del telo, in modo da poterlo usare per il mio divano personale. Non immaginavo che, una volta aperto il pacco, le dimensioni avrebbero raddoppiato un vigoroso attacco di risate. Sì, perché di fronte a un tale monumento al kitsch, puzzolente come il catrame appena steso, non si poteva fare altro che riderci sopra: impossibile buttarlo nel camino, visto che non ce l’ho. Tra l’altro, essendo il mio compleanno a fine maggio, ed essendo il telo arrivato con tempistiche caraibiche, più che cinesi, la sua sinteticità non ne permetteva un pronto utilizzo in un ordinario luglio da Pianura Padana. La sorte, tuttavia, dopo l’inganno, era tornata a sorridermi: a breve sarei partita per il nord dell’Inghilterra e il sinteticone, lassù, avrebbe avuto vita più facile.

Let’s go together: io, Briony detta “la tigre”, Tigerlily detta “la foca”, la zia Chiara (la zia della foca) e il telo delle meraviglie. L’intenzione era quella di usarlo per salvaguardare il divano dai cani: con nostra sorpresa, abbiamo trovato ben due divani e una casa intonsa, una figlia naturale di Elle Decor. I suoi genitori adottivi, quelli della casa intendo, si sono subito mostrati molto apprensivi, qualcosa di inquietante considerando, la concomitante presenza della “Lillina”, una setterina che, a dispetto del nome floreale, andava comportandosi come la figlia del demonio. È così è iniziato il balletto del metti il telo – togli il telo; del metti il tappeto – togli il tappeto. Ogni giorno coprivamo il divano piccolo con ceste e tavolini; il divano grande lo coprivamo con la cinesata. I tappeti, invece, acquistati con grande affanno, venivano ritmicamente stesi, e poi arrotolati, a tutela della moquette, grigio polvere chiaro, che dava dritta su un giardino annaffiato a giorni alterni da tempeste oceaniche. In questa lotta senza tregua al fango e al danno, temevamo, probabilmente non a torto, di essere spiate dai veri proprietari della casa:  a ogni uscita smantellavano l’accampamento, per poi ripristinarlo al rientro. 

Poi vennero la traversata della Manica, il Passo del Gottardo e i tempi surreali del COVID-19, fu così che il copriletto acrylic-setteroso si sentì finalmente a casa, in mezzo alle risaie del nord Italia.

Ti è piaciuto? Vai a leggere il successivo.




Le razze da ferma inglesi in Inghilterra

Un’altra domanda che mi viene spesso rivolta è “come sono i
cani in Inghilterra?”. Cercherò di rispondere razza per razza, illustrando
quelle che sono le mie impressioni, impressioni che inevitabilmente risentono
del confronto con i cani italiani.

Iniziamo dal pointer, la razza da ferma inglese più diffusa.
Non so dirvi quanti pointer inglesi vengano registrati ogni anno in
Inghilterra, ma posso dirvi che la razza ha un buon seguito di appassionati. La
maggior parte dei pointer fa il cane da compagnia, o da esposizione ma, detto
questo, il pointer inglese è anche la razza più rappresentata alle prove di
lavoro. Verrebbe da chiedersi il perché, visto che il clima fresco, umido e
ventoso fa decisamente il tifo per i setter. Eppure, il pointer piace, e tanto,
perché è ritenuto facile da addestrare e da condurre. A un neofita che desidera
avvicinarsi ai cani da ferma inglesi tutti consiglieranno un pointer. Scommetto
che questa cosa vi suonerà un po’ strana dal momento che noi italiani ci siamo
fatti un po’ un’idea (e anche una selezione) del pointer un po’ matto. Grande
cane per carità…. Altrettanti grandi mezzi ma… un po’ difficili da maneggiare.
I pointer inglesi-inglesi, in questo senso sono assai diversi dai nostri.
Qualche appassionato ha importato e introdotto del sangue italiano, che di
fatto ha dato un po’ di “matteria”, ma la maggior parte dei pointer ha sangue
inglese-scozzese o, al massimo, irlandese. Si tratta di cani in genere molto
veloci e decisi, ma meno stilisti dei nostri. Li definirei più pragmatici,
nonché più facili (tranne qualche eccezione conosciuta personalmente) da
addestrare e da condurre. Sono cani affidabili e sicuri, che ho visto fare
molto bene sia su starne che su grouse.  Si tratta di cani sostanzialmente equilibrati
che danno pochi problemi al conduttore, ma che potrebbero non piacere al
pointerista italiano, perché mancano della classica testa “all’Italiana”, anche
la morfologia (pur essendoci una certa variabilità) potrebbe non piacere.
Quanto alla spettacolarità e allo stile, la selezione inglese non ricerca
espressamente queste caratteristiche, ma non mancano i giudici che sanno
apprezzarle e, qualche cane che potrebbe essere gradito anche ai nostri giudici
di fatto esiste.

Il setter irlandese rosso è probabilmente la seconda razza
più rappresentata nei trials, specie quelli corsi su grouse. Ci sono cani di buona taglia e morfologia e altri
oggettivamente “bruttini”, ma che si trasformano appena sganciati. Una volta in
movimento sono cani di grande effetto e di grande avidità. Efficacissimi,
guidano con sicurezza nella forte emanazione della grouse. A volte però sono un po’ troppo spavaldi e sfrullano. Molti
dei setter irlandesi che partecipano alle prove su grouse arrivano con i loro conduttori dall’Irlanda, dove poi
rientrano al termine del circuito delle prove. Piacerebbero agli italiani? Per
cerca, azione e avidità sicuramente, anche se noi tendiamo ad amare la cautela
e la ferma solida dell’inglese, caratteristiche non propriamente “dei rossi”,
che tuttavia se di sangue anglo-irlandese da lavoro sono signori cani da
caccia.

Il setter irlandese rosso e bianco. Purtroppo, ne ho visti
lavorare soltanto due, di cui una da show. Da quello che mi è stato detto,
tuttavia, in Irlanda ci sono ottimi cani che partecipano a prove e vanno a
caccia. Sono meno veloci degli irlandesi rossi e probabilmente meno “scenici”,
ma chi gli ha avuti per le mani ne dice un gran bene.

Il setter gordon. I setter gordon nutrono di un buon seguito
di appassionati, o forse sarebbe meglio dire di appassionate dal momento che
molte donne che inizialmente allevavano solo con le esposizioni come obiettivo,
attualmente portano i loro cani anche alle prove di lavoro. Nella mia
esperienza ho visto più gordon nelle prove su grouse, che non in quelle su starne e nella Novice Stake, che non nella Open.
Le gordoniste sembrano inoltre preferire il circuito di prove scozzesi a quelle
inglesi. Come sono questi cani? Da alcune di queste genealogie nate per le
expo’ sono usciti anche dei campioni assoluti, ma credo che le loro abilità
vadano contestualizzate. Sono cani che ho visto fare bene sul moor, magari in condizioni climatiche
difficili, dove il ragionamento e la cautela sono più utili rispetto alla
velocità e alle grandi aperture. Sono anche cani che vengono presentati sempre
ben preparati e che sono condotti con facilità da chi li presenta, il che mi
lascia pensare a una buona predisposizione all’ubbidienza e all’addestramento.
Possono piacere al cacciatore italiano? Dipende da che tipo di cane desidera avere
accanto e, a mio avviso anche dall’ambiente e dal clima in cui intende cacciare.
Cani di “struttura” e con molto pelo, per giunta scuro, potrebbero essere messi
in difficoltà da giornate calde (che purtroppo oramai si prolungano fino ad
autunno inoltrato), terreni aridi, rotti e selvaggia scarsa.

Accanto a questi cani ci sono i gordon “da lavoro” in senso
stretto, caratterizzati da morfologie un po’ eteorogenee (alcuni sono assai
tipici, altri meno), ma da un’azione più briosa. Alcuni di questi cani hanno
sangue scandinavo. Come andrebbero da noi? Non so dirlo con certezza in quanto
il setter gordon, nella realtà italiana è sempre stato, e probabilmente
continuerà ad essere, un cane da amatori, un cane di forza, più che di
eleganza, la cui azione è sempre un po’ a cavallo tra quella dei continentali e
quella degli inglesi… più spinti.

Veniamo infine al setter inglese, che lasci per ultimo non perché
è la mia razza preferita, ma perché non è una delle razze più popolari nei field trials. In un mondo che gira all’incontrario
sono forti i numeri dei pointer e deboli quelli degli inglesi. I setter inglesi
che si vedono nei trials sono
essenzialmente di tre ceppi: ceppo inglese (a volte con qualche goccia di
sangue irlandese); ceppo continentale (con sangue prevalentemente italiano,
misto francese), ceppo inglese incrociato con il ceppo continentale e ceppo
irlandese (sangue irlandese e scandinavo – generalmente condotti da esseri
umani irlandesi). L’importazione di sangue continentale è stata essenziale a
causa della ridotta variabilità genetica del ceppo inglese. Oggi si vedono così
in campo tre tipi di setter che si differenziano per taglia (più strutturati e
alti sugli arti i cani inglesi), movimento e stile di lavoro. I cani inglesi e
irlandesi sono più fluidi nella guidata, più esitanti i cani di ceppo
continentale ma, se si leggono testi di cinofilia venatoria britannici, il problema
della ritrosia a guidare (ricordo che loro pretendono che il cane guidi a
comando, immediatamente e senza aiuti) è da sempre presente nella razza e
indotto dall’indole più cauta e “felina” di questi cani. Sempre il temperamento
e la loro sensibilità non li fanno ritenere, dagli inglesi, la razza più facile
da addestrare.

Ai trials si
vedono sia ferme erette che ferme schiacciate, a seconda delle genealogie che
stanno dietro al cane, lo stesso dicasi per i galoppi. Buona la velocità e l’ampiezza
dell’azione, per quanto riguarda lo stile, dipende da cosa si cerca: i cani con
sangue continentale possono essere molto simili ai nostri per prestazione, i
cani irlandesi invece possono essere diversi, ma dare vita ad azioni
altrettanto spettacolari. Il setter inglese e il pointer, per lo meno nella mia
esperienza personale, sono le razze che meglio interpretano le prove a pernici
(starne).




I trials inglesi: questione di atmosfera

In tanti mi chiedono perché vado con i cani in Inghilterra, come si fa a partecipare e, soprattutto come si fa ad allenare. Quest’ultima domanda, vista la fame di selvaggina che si ha in Italia, è più che lecita, ma le cose sono un po’ più complicate di quello che sembrano.

Nel 2015, grazie ad una serie di “coincidenze” ho avuto per la prima volta in vita mia la possibilità di assistere ad una prova di lavoro su grouse in Inghilterra e di partecipare, da spettatrice, ad una sessione di addestramento.  Molto di quanto ho visto mi ha affascinato al punto di farmi decidere di cercare di diventare parte di un mondo che, per lo meno geograficamente, non mi apparteneva.  Ero nata nel posto sbagliato, ma mi sentivo culturalmente vicina a loro. Intendiamoci, le prove di lavoro inglesi (e scozzesi) non sono perfette: ad oggi non ho ancora trovato un sistema d valutazione che possa testare in maniera zootecnicamente perfetta le caratteristiche del cane da caccia ideale, eppure…. Eppure, il circuito di prove britanniche possiede elementi che continuano a suscitare il mio interesse.

Vado in Inghilterra perché è più facile”, questa è la voce che mi è giunta alle orecchie. Beh, mi dispiace deludere i vocianti, ma nelle prove inglesi di facile non c’è un bel niente. Non mi credete? Ok, ve lo dimostrerò. Il minuto, per esempio, non esiste, se al giudice non piace come sganciate il cane, o se il cane allo sgancio fa qualcosa che al giudice non piace (per esempio emette un guaito di felicità, o guaisce perché gli avete pestato un piede) voi siete eliminati. Tenendo conto che i giudici sono due (uno controlla a destra e uno controlla a sinistra), occorre fare in modo di piacere ad entrambi. I turni oltre a non avere il minuto, non hanno una durata minima, o massima.

Il cane deve partire nella direzione assegnata: se deve andare a destra e va dritto, o gira immediatamente a sinistra, può essere penalizzato, o eliminato, a discrezione. La stessa cosa può succedere se si allontana troppo, se non “gira” quando richiesto dal giudice, se non va a terra quando richiesto, o se non guida con scioltezza quando dovrebbe farlo.

In guidata il cane non si può toccare, pena l’eliminazione.
Non è il conduttore a sparare dopo l’involo del selvatico, bensì un
guardiacaccia, su comando del giudice: non è quindi pensabile il trucchetto
dello “sparo-nascosto-in-un-cespuglio” molto amato da alcuni dresseur nostrani.
Non serve avere il grilletto facile, perché di fatto non si ha un grilletto.

Il cane deve rimanere fermo (IMMOBILE) al frullo e allo sparo, non può muoversi di un millimetro ma, a conclusione dell’azione, deve proseguire la guidata nel clear the ground (pulizia del terreno per individuare altri eventuali animali, in genere parte di una covata).

Non è possibile guinzagliare il cane immediatamente dopo
l’involo: il cane può essere legato solo quando lo decide il giudice. Se il
cane ha fatto tutto correttamente è possibile che veniate chiamati al secondo
turno: i cani, per andare in classifica, devono essere verificati due volte.

Può capitare, tuttavia, di non essere richiamati anche se, in apparenza tutto é andato bene. Questo può accadere per esempio perché molti cani sono stati shot over e quindi ne vengono richiamati solo alcuni (i migliori) dal momento che la classifica va solamente dal primo al quarto cane…  Il numero dei cani al secondo turno può essere altresì ridotto in contingenza di condizioni particolari che riguardano il terreno, la selvaggina, o il clima.

Generalmente, tutti i cani sganciati sul terreno presentano un livello di ubbidienza medio-alto. Il cane che allunga troppo, che si prende delle licenze, o che non si fa legare, non è un esemplare gradito.

Grouse…

Per diventare campione un cane deve vincere due Field Trials in classe Open, ma per avere diritto a correre in Open deve aver prima vinto una classe Novice (o aver fatto due secondi posti in una Novice) o una classe Puppy. A volte è possibile competere in Open anche senza essersi qualificati, ma solo se ci sono posti a sufficienza. Sì perché ai trials esiste una sola batteria e i posti sono limitati: i club organizzatori stilano una graduatoria, e chi è in fondo alla graduatoria finisce in lista d’attesa.

Credo questo possa fare comprendere che scegliere di partecipare alle prove inglesi non sia una scelta “di comodo”: oltre a doversi fare quasi 2000 chilometri (solo andata) per raggiungere i campi di gara, è persino difficile avere la possibilità di gareggiare!

Il numero chiuso, però, in fondo ha senso ed è espressione
dell’intento non consumistico di queste prove. A nessuno importa avere più cani
e a nessuno importa attirare i “professionisti” che, di fatto, praticamente non
esistono. C’è un solo conduttore, per giunta irlandese, che arriva con un
discreto numero di cani condotti “conto terzi”, così come c’è un solo
allevatore (di setter inglesi) che ricava parte del suo reddito dalla vendita
di cuccioli. Il setter inglese, tuttavia, è una razza poco commerciale: chi
sceglie i cani da ferma inglesi generalmente predilige i pointer ma, vi sembrerà
incredibile, nessuno si guadagna da vivere allevando pointer da lavoro.

C’è qualche conduttore semi-professionista che conduce uno, o al massimo, due cani per altre persone e un gruppetto di appassionati/allevatori amatoriali che iscrivono il loro branchetto. Chi possiede più cani, tuttavia è svantaggiato: da regolamento si cerca di garantire la partecipazione di un cane per ogni proprietario…. Quindi se ne avete quattro, è probabile che alcuni di loro vengano messi in lista d’attesa.

Il fatto che i conduttori non addestrino cani per vivere, non significa che non sappiano preparare i cani: al contrario, si colgono finezze di conduzione e di preparazione a cui non ho mai assistito qui in Italia. L’addestramento è una passione e si lavora con la massima cura dovendo rendere conto per lo più a se stessi, oltre che ai giudici.  I bravi conduttori mettono soggezione non perché sono “famosi”, ne perché hanno “vinto tanto”, ma semplicemente perché sono BRAVI. Starei ora fare domande e a chiedere di raccontarmi come fanno ad insegnare al cane questo e quello.

Famosi o meno, ci si chiama per nome, non per cognome, e ci si conosce tutti. Ci sono Richard, Maddy, Carole, Maria, Terry (un paio), Sara, Mary, Anne, Nicky (un altro paio), Dennis, Steve… eccetera. È normale prima dello sgancio scambiarsi una stretta di mano, o un augurio di buona fortuna: il compagno di coppia, del resto, si chiama compagno di coppia, non rivale di coppia. Tutti sanno che correre con un compagno di coppia ben preparato è un vantaggio: difficilmente causerà disturbo all’altro cane.

Tra i nomi che ho appena elencato sopra ne compaiono anche tanti femminili. Le donne che addestrano e conducono cani, nel Regno Unito, non sono bestie rare, tutt’altro. E non si limitano a fare capolino ai trials con il cane preparato da qualcun altro, la maggior parte di loro il cane se lo prepara da sé, e non è certo lì per seguire la passione del marito, o del compagno. Al contrario, spesso sono proprio i mariti che vengono a vedere e a dare una mano.

La parte umana dei trials ha il suo perché, insieme a tutte le tradizioni e alle formalità che l’accompagnano. I britannici non sono i più espansivi dei popoli, ma dopo un po’ ci si sente parte di quel mondo, un mondo fatto da formalismi, ma anche da semplicità che vanno dal pranzo al sacco, consumato tutti insieme all’aperto in quasi qualsiasi condizione climatica, alla cucciolata fatta esclusivamente per portare avanti la propria linea. Le razze da ferma inglesi, infatti, non sono granché commerciali e commerciabili e questo tiene ben lontana la minaccia che la cinofilia venatoria diventi un business. Un maschio vincente farà qualche monta (forse), ma non diventerà mai uno stallone di grido, capace di rendere ricco il suo proprietario.

L’aspetto amatoriale caratterizza anche la gestione dei terreni e dei selvatici. Gli italiani sono abituati ad andare all’estero per allenare e per addestrare e credono che basti pagare per poter sganciare il cane. Costoro non hanno mai incontrato un gamekeeper britannico al quale, molto francamente, non importa nulla delle esigenze del vostro cane. I guardiacaccia stanno lì per tutelare la selvaggina, punto, e il cane è spesso visto come un elemento di disturbo. Si può allenare (o essere invitati a censire) a discrezione del guardiacaccia, non è un diritto che si acquisisce pagando, occorre in qualche modo meritarselo. Negli anni sono riuscita a allenare il cane e a partecipare a qualche censimento, ma queste attività non sono programmabili. Tutto dipende dal clima, dall’età dei selvatici, dall’andamento delle covate, dalla disponibilità di chi vi deve accompagnare, eccetera eccetera. Allenare è un privilegio, non un diritto.

Gamekeepers…

È difficile avere accesso ai terreni, ed è per questo motivo che il mio cane, per esempio, ha fatto molto meglio su starne e su fagiani, che non su grouse. Non posso allenare il cane su grouse in Italia, perché non esistono e, in Inghilterra, non sempre ho la possibilità di muoverla abbastanza.  La grouse di per sé è un selvatico come un altro, che ben si presta al lavoro del cane da ferma, ma che ha due problemi. Uno è legato all’emanazione e l’altro alla densità numerica. L’emanazione è molto forte e può far bloccare cani abituati su selvatici meno “odorosi” e più leggeri e, come detto poco sopra, se il cane non guida in maniera fluida rapidamente, viene eliminato. Il secondo problema, ovvero la densità di animali, amplifica il primo problema: è normale veder alzare voli d 15-20 grouse, che se ne stavano da qualche parte tutti insieme. D’altra parte, un cane molto focoso e non ben addestrato, può perdere la testa di fronte a tanta selvaggina e andarsene a spasso per ore, o addirittura per giorni. I moors inglesi sono utilizzati per la caccia alla grouse in battuta, non per la caccia con il cane da ferma, questo spiega la tanta densità ma, come potete capire, confonde il cane.

Nelle prove a autunnali a pernici (starne), invece, ferma restando una densità di selvatici superiore a quella dell’Italia, essa è inferiore a quella delle prove estive e l’incontro non è garantito, ma si tratta di densità più consone ai nostri cani. I moors della Scozia, su cui sono stata soltanto nel 2016, li ricordo come una via di mezzo, mentre mi restano ancora da scoprire le prove primaverili. Certo è che la magia di un moor estivo ricoperto di erica in fiore e abbagliato da un cielo violetto è difficile da superare.

Vuoi saperne di più sui Field Trials ne Regno Unito? (Articles available in Englih as well) Clicca qui.




Charity shops: the bargains hunter’s realm

What can I do in a bit of spare time?

I can tell you about charity shops! They are a very British thing. An American friend told me they also have thrifty stores, but I have never seen any while I was living in the US. Therefore, for me, charity shops are something British, like wine gums, or fish and chips. Brits might think these shops do not deserve so much emphasis, but I am quite keen on them since I don’t have them in Italy!

What are charity shops? They are shops managed by different charities and that sell items that people donated them. As you can guess, all the profits go to charity and most of the employees are volunteers. What you can find in a charity shop is usually second-hand, but I managed to find a tweed hat and a tweed door stopper (in a fox shape) which were new with labels. Among the other things, they sell figurines, books, prints, mugs, watches, frames, mugs and…. clothes! It has become an habit, for me, to go and raid all the local charity shops each time I go to England.

My Tweed Fox

I like them because they look like real shops, they have proper and nice windows and all the items are presented at their best: one of the shops in Barnard Castle even places its clothes by colour! During the years, I learnt that some charity shops are better than others. To get quality items at ridiculous prices, you should pick the best locations, such as wealthy towns and neighbourhoods. Furthermore, some charities are more attractive to donors than others. I visited shops in: Barnard Castle, Stanhope, Hexam, Consett (shocking experience), Grantown – on – Spey and Sittingbourne so far, and, unfortunately, forgot to check those in Harrogate, during my short stay. All the items I purchased, however, come from Barnard Castle and, as far as I can recall, I bought: a wrist watch, a pair of purple jeans, three framed prints, a new tweed hat (paid 3.99£ and on sale online for 16.99£) a new tweed fox (door stopper) and three shirts, one of which, was paid 3.50 , but worth 75£ according to Amazon! I might have forgotten something and I “lost” a nice tweed bag due to indecision. Besides the bargains that came home with me, I spotted some other good deals such as: some great furniture in Sittingbourne, a nice wedding gown in Hexam priced 20£ (in size 12 in case anyone needs it) and…. two pairs of men’s tweed breeks.

These tweed breeks ignited quite a turmoil at trials: strictly trained as a bargain hunter since childhood, I later developed some good skills as personal shopper. I can’t stand a bargain being ignored, or ending up with someone not so nice that probably does not deserved it. So… I started telling all the “worthy” trialers that there were two pairs of almost new tweed breeks in a Barnard Castle charity shop. That they were new, priced 7.99 £ each, and could be found in the “old people” (age.uk) shop, the one “by the funeral home”. Well, despite my vague directions, a bunch of people from the field trial circuit showed up at that shop during the same afternoon. Some of them bumped into each other, but all of them denied they had purchased the breeks. However, I went back on the to the shop one day later and the breeks were gone!

One of the two breeks

Here in Italy, some parishes organize a charity draft (the Italian literal translation would be a “charity fish”) yearly, but most the items you can win by purchasing a ticket are far away from being nice things to look at… and no second hand clothes at these fisheries.

Here second hand clothes end up in some huge yellow rubbish bins that are, indeed, owned by charities. These clothes, however, are re-sold to dealers and sometimes can be spotted in some open air markets, but there is no warranty this will happen. Open air markets are usually good places to find bargains, but the quality of offered items has dropped dramatically in the last few years. There are many more Chinese sellers, selling products that scream “made in China”. It is difficult to find used clothes but, in the biggest cities, like Milan, some sellers have traditional German and Austrian hunting clothes. Not really my thing, but friends with German dogs love them and I admit I would do the same if they were “tweed”.

Besides looking for bargains online, then, what else can I do? Well… apparently one of the charities managing the yellow rubbish bins is bound to open a “vintage” clothes shop in my city next Autumn: I’ll definitevely investigate on the quality of their offers!

Still curious about British trials? Check the section A Month on the Moor or click here.




English Summer Trials: Daily Life

People keep asking about British trials…. but they always forget to ask about daily life during these trials! A brief recap: I watched Champion Stake 2015 (this falls into “English Summer Trials); participated in English and Scottish summer trials in 2016; participated in English partridge trials in Norfolk (autumn trials) in 2017. Now I am just back from English summer trials 2018 and I am still incredibly tired: summer trials are not really a relaxing holiday, probably they are not a holiday at all!

Grouse

I have to admit that Autumn Partridge trials, in spite of being less flashy, are perfectly suitable to the average human being, whereas Grouse Summer trials are certainly more demanding in terms of physical fitness. I do not consider myself a lazy person, and I do my best to keep in shape, but I get tired quite easily, this makes me think that to survive in summer trials with elegance you need to be a bit of a super-hero. For this reason, this year I did not even dare to cross the Scottish border: my 2016 experience in Scotland was pretty intense and most of my time was spent on the road, travelling from one trial to another, often trying to reach the micro supermarket (& service station) in Grantown on Spey before it was too late. Maybe it was too much just because I was staying in a B&B I did not particularly enjoy and from which I eventually ran away. Maybe it was so bad because I did not even have a fridge, nor a freezer or… most likely, there was simply too much to do for one person travelling alone.

This is one of the reasons that made me opt for “England only” this year, as if rural England was easy to deal with. I tried to be more organized and I booked a whole cottage: um mm err… it was a cottage suitable for five people, much more than one small sized human and her dog would have needed, but it was conveniently located and reasonably priced. Most of the people participating in British trials, indeed, do not stay in hotels, or at home, as it happens with FCI trials (at least those taking place in Italy). The Brits normally live in a caravan (some Irish even dared to live in a tent!) or rent a cottage, a few opt for a bed and breakfast. Trials take place every day (one day you have the puppy or the novice stake, and on the following day you normally have the open stake) and most of the competitors have a trial each day.

Newbiggin estate

Trials start later than Italian FCI trials: the meeting is normally at 9 o’clock (and not at dawn as awfully required here), but the venue might be far from where you are staying. In my experience, since I have always skipped the first trials, those that take place near Lauder (Scottish Borders), we have about one week of trials near Blanchland and Barnard Castle, which are villages in County of Durham and Northumberland, and one second week with trials around Reeth, in North Yorkshire. People can choose whether to move around from trial to trial, to stay one week in one place and then move somewhere else to get closer to the next trials, or decide to remain two weeks in the same place, and drive back and forth. I chose the third option to avoid packing and unpacking continuously.

Trialers do not travel light: they cannot. Most of the people drive a pick up truck full of dogs, clothes and food. You can have all sort of weathers during a trials circuit, sometimes even during a single trial: this year temperatures ranged from 8°C degrees with high winds and rain to thirty something degrees. You need to bring summer clothes, rain clothes and winter clothes, better if in two copies, as everything can get soaked with water. You also need a hat, a rain hat, some sunscreen, a walking stick, the list of the must have is long, I am just mentioning something to let you imagine how full our cars are.

While supermarkets exist in Northern England, they can be far from where you live or close earlier than you are used to. Shops also close around 5 p.m. and you are not normally back from a trial by that time. This happens because English trials can have up to 40 dogs (20 braces) and at least two rounds take place, which means a trial usually finishes late in the afternoon(*you are expected to stay until the end of the trial and to follow the stake on foot, all day long). There is normally a lunch break, but there is no restaurant, nor do the clubs cater food for competitors: runners are expected to bring they own packed lunches and eat them on the moor, or in the car if the weather is too bad. This also means you have to arrange your own meals by purchasing them or by cooking them in advance.

Lunch on the moor

As said earlier, trials start at 9 a.m. but might be located one, or even two hours away from where you are staying. To reach Masham trial in time, I woke up at 5 a.m., had breakfast and packed everything I needed to carry with me and to met with friends on the way at 6.30 a.m. We reached the venue a bit earlier than planned, but you are somehow expected to be there well before the announced meeting time. Also, travel time on country roads is not very predictable with sheep and tractors ready to sabotage the best plans.

Lunch on the moor

That trial was sadly cancelled and, as traditionally happens, this was announced on the trial’s ground, not in advance by phone, or-mail. We reached home earlier on that day but trials do not usually finish before 5 p.m. so, by the time awards are given and you leave the moor…. you are back at your temporary home at around 7 p.m., or even later if you stop on the way to get some gas, or to grab any food for the following day.

By the time you unload the car, have a shower, feed the dog, feed yourself and maybe dry your wet clothes, is almost time to go to bed and maybe answer a couple of e-mails and messages you received during the day, in the rare instances your cellphone managed to get some signal. That’s daily life during English summer trials: Scottish summer trials were similar two years ago, but with competitions taking place much further from each other and with much less service stations, supermarkets and cell phone signal on the way!

Still curious about British trials? Check the section A Month on the Moor or click here.

Newbiggin (Yorkshire Gundog Club) Open Stake slideshow pictures below.




Miracles happen at Sandrigham: Norfolk Trials

Almost three months later, I am finally here to write down what happened. On Sept 7th 2017, in fact, Briony won Novice Stake on Partridge at Sandrigham, organized by the Pointer Club of UK. Some might argue that, well, it’s “just” a Novice Stake, but for me it is a great achievement. Briony is not my first English Setter, I got the first one, “Socks” (Slai di Riccagioia),  in 1999, but he was a rescue and he came to me after having be discarded by a “pro” trainer and with a bag full of behavioural problems. In his own way, he was a smart dog, we managed to go hunting alone together (he did not want men with shotguns around him), but there was no way I could rehab completely and train him for trials. I had not enough  skills, nor  experience,  and he would not have dealt well with formal training sessions.  He,  however, opened me new doors as we started training for rough shooting and I got a firearms and hunting license. I met people, got new friends and spent many years rough shooting over English Setters and other pointing breeds up and down the hills of the Northern Apennines. I, somehow, had the chance to watch- and shoot over- hundreds of dogs  during those years, and it was  an incredible experience. I also began attending trials and to work for canine and shooting magazines which lead me to meet breeders, judges and handlers…

Socks (Slai di Riccagioia) my first ES

After his death, when I started looking for another setter,  I had very clear ideas about what I wanted in my next dog, but not so clear ideas about where to find her! It took months, but I finally located my litter and my puppy, on a farm on the Swiss Alps, not too far from Sankt Moritz (posh dog!). I knew what I needed to know about Briony’s dad, but mum was quite a surprise: she was beautiful, gentle and smart. She came with us heeling off lead to the small village’s café and then sat quietly under the table. I loved that, as well the whole bloodline registered in the pedigree and the parents’ health clearances. When I brought Briony home, people thought she was cute, but too expensive, and that I was going to “ruin” her, training her in my own way and socializing her too much. I just thought she was a terrible pup who did not like me at all. It took quite a while to become friends, probably she was just testing me to be sure she was in good hands!

Ansa del Simano, Briony’s mum

First day of 2017 hunting season

She was naughty, but smart, and she quickly developed in a good hunting companion. Sometimes she had a mind of her own and sometimes  she was not the easiest dog to handle, but she surely did not lack of determination and bird sense. She was, and she still is,  strong willed and sensitive at the same time. Thanks to friends, we had access to some private estates where she could meet much more birds that she could have met on more affordable – by me –  public grounds. Other people introduced her to woodcock and, I still remember the day, with my surprise, she pointed her first snipe. During these hunting seasons, she learnt to work with other dogs and we worked a lot on backing and on remaining steady on point. I must admit I had good teachers, and that skilled hunters helped us to locate birds, but steadiness to wing was not required. Hunters here want the dogs to be steady on point, but after the bird flies,  all they wish is to hit it, none cares anymore about the dog.

In the meantime, as she also grew prettier, I entered her at a dog show that took place nearby and, to my surprise, she was awarded a RCAC (RCC), so I decided to continue on this road. Briony, however, had other plans and after a stressful indoor show, she decided she wanted  to end her career  as a show dog. She had already a CAC in her pockets and I did not want her journey to end. I am not a show person, and I consider dog shows boring, but I wanted to prove that a good looking working dog, from working (mountain hunting and mountain trials) bloodlines, could make it. So, we went together to take handling lessons with Richard Hellman, a great handler and a great person. Briony seemed to enjoy the lessons and, in August 2015, she became a Show (full) Champion.  I also think that having learnt to face the ring she somehow increased her self esteem.

Briony first dog show… RCAC

Field trials were next on my list, but there was a HUGE problem: I did not want to send her away for training, nor to hire a professional trainer as people normally do here. I wanted to train and handle Briony by myself, easier said than done in Italy where field trials are dominated by male professional handlers. But, thanks to an unexpected series of coincidences, in the summer of 2015 I ended up watching the Champion Stake for Pointers and Setters in Northern England and… I had an awakening! I saw some “ordinary people” handling their dogs to a very high standard and I saw very obedient setters! I was used to see very obedient Drahthaars (GWPs), but the average Italian Setter is usually quite a wild critter! I could not believe setters could be that obedient and, as naïve as it might sound, I was impressed.

Dorback Estate, Scotland, training with gamekeeper Brian

Briony herself was pretty wild at the time and her nickname was “Tigress” but, again, unexpectedly, a good mentor came to us. You can read more about Briony’s taming for field trials and about “White Feather” clicking here but, in a few words,  I would describe her  training a demanding task,  it was equally rewarding though! It took a while to tame “Tigress”, but as soon as she decided to cooperate, she became impressively reliable and well behaved. This is how we ended up on the moor in the summer of 2016, and this is how my passion for British trials developed even further (you can read more here).  Our first experience with grouse was not that bad: she always behaved and she kept improving but paid her inexperience with grouse during the English Trials and she paid my inexperience with trials in during the Scottish – and the English- trials. She still needed some fine tunings but, overall, I could not complain. At the end of the circuit, I went home with no awards but determined to save money and to go back in 2017.

Haughton Hall, roading a hare :-)

But, when the time to go again on the moors was close to come, I had to withdraw all my entries as Briony anticipated her season. I wasn’t happy, I was quite disappointed, no… honestly… I was quite upset, but there was not much else I could do. Some friends, however, tried to cheer me up advertising September trials on partridge. It is easier to get a run, they said, the atmosphere is very relaxed, they added and… we are going to run  at Sandrigham Estate, on Queen Elizabeth II’s  grounds, they  concluded. I must admit the last thing they mentioned was very tempting: it was thanks to such a good advertisement that  I decided to bet on partridge trials in Norfolk. That was a brave bet, I shall admit, as I was perfectly aware they were going to be more difficult than grouse trials. While gathering information, I learn that: 1) during the first round, usually on stubble, dogs were going to be evaluated mainly for pace, style and ground treatment and that 2) “a few” hares were going to be present. Uh, I was forgetting the sugar beet! So well, while I was going to do my best to show up with a well behaved dog,  going there to win was not surely  written down in my agenda. I just wanted to be there, see people, get to know things better, learn more and feel part of a world I like.

Briony started the circuit well (we went to the 2nd round in 4 trials out of 9) and, even if, we could not find any birds on our paths, she was behaving well and respecting hare nicely (I do not have hare here, just rabbits and cats to train on). I was happy, we were learning more and enjoying the social side of September trials : I do not drink, but I was always at the pub! It was nice to see friends doing well and, especially after IGL Snettisham trials , when no awards were given, I was super happy to see Rhia (Tapper) and Sara (Chichester) receiving the Gun’s Choice rosette. Trials proved to be as difficult as I expected: while there were plenty of hare, feathered wildlife was scarce or, should I say, very  smart and very professional at hiding. On Thursday, 7th of September, (Pointer Club trial  at Sandrigham) I was number 13 AND the bye dog (quite a scary combination), but she did well in the first round, and well again in the second,  so I knew I was going to get “something”, but I did not know what.

When the secretary announced that I had won First Prize, I could not believe it and indeed, the Vaux Silver Tankard, fell from my hands a couple of times! It was like living in a Disney movie and this article should have explained you why. She is the first dog I have ever trained for trials, and I trained her all by myself. Yes, many wonderful people helped me through the journey (in Italy and in the UK, and I am grateful to them all),  but I have always been the one in charge. I am just a normal person with limited training opportunities coupled with a high degree of stubbornness and self discipline which surely helped. This is why everything that could sound normal to someone else, is so special to me,  and yes, winning an award at Sandrigham confirms that Briony is a posh dog!

Me, Alan Goodship (Queen Elizabeth’s dog trainer) and the fallen trophy

Ps. I promise I will also write on other dogs  – and not just on mine – as there will be more articles on September trials,  (all partridge trials  rusults can be downloaded here) in the meantime, if you have a chance, take a look at the research project I am working on for my Veterinary Medicine dissertation.

Still curious about British trials? Check the section A Month on the Moor or click here.




Lady Jean Fforde of Isle of Arran Kennels – An Appreciation by Jon Kean

Herewith a tribute to Lady Jean Fforde who has passed away on 13th October 2017,  3 weeks before her 97th birthday by Jon Kean

I first met Lady Jean in the 1970s – appropriately enough it was on the grouse moors in Perthshire. Janette and I were there just to spectate at the field trial and find out more about working Pointers and Setters. Lady Jean immediately put us at ease and explained what was happening at the trial. My one abiding memory from that day was the unusual footwear Lady Jean sported. It was a pair of sandshoes (baseball type) with the words “Skateboard City” emblazoned on the side. Her great friend Mrs Patience Badenoch Nicolson was there too. Their guidance inspired me to find out more about working Pointers.

From that day, friendship developed and I learned so much from Lady Jean and Patience about working Pointers. After a while, I asked Lady Jean if it would be possible to purchase an Isle of Arran Pointer. My wish was granted! In historical terms, the Pointer kennels were among the first, if not the first, to be registered by her grandfather at the Kennel Club when it was formed. In 1983, I brought back from Arran two male puppies from Lady Jean’s litter, sired by Moanruad Aron (the late John Nash’s Pointer) and Isle of Arran Neillia (litter sister of the 1981 Champion Stake winner FT CH Isle of Arran Larch, handled by Mrs Marcia Clark). I reared Isle of Arran Micha and the brother Isle of Arran Gideon was bought by Duncan Davis from the North of England. The rest, as they say, is history. Gideon duly became a field trial Champion and Micha (pet name Duke) won the Champion Stake at Bollihope Moor in County Durham in 1989. Duke was a fantastic Pointer for our shooting trips to Garrogie Estate, owned by Charles Connell in Invernesshire. Apart from his game finding ability, Duke’s great attribute was his stamina and endurance. He had the strength of 3 dogs.

Lady Jean Fforde and Jon Kean – Champion Stake 1989

Lady Jean and Patience were hugely influential people in the Pointer world. They were always willing to help and offer advice to anyone interested in working gundogs. One day, I was called aside for an informal chat. Lady Jean told me: “Patience and I both agree that you need to put something back into the sport. We think you should take on the role of Honorary Secretary of the Scottish Field Trials Association.” I was duly appointed in 1986 and have done the job of Secretary for the Pointers and Setters ever since.

Looking back, there were many famous Pointers with the Isle of Arran prefix. The list is endless – Isle of Arran African Queen, Scotney Isle of Arran Regent, Isle of Arran Juno, FT CH Scotney Isle of Arran Jack, Isle of Arran Minoru, FT CH Isle of Arran Dice, Isle of Arran Lilly. Lady Jean’s favourite was FT CH Isle of Arran June, a beautiful orange and white bitch. In Lady Jean’s memoir, she wrote: “ June became the dog of my life – I adored her! Considering she was the first dog of any kind I had trained myself, she was a miracle. I trained her by phoning Patience Nicolson week by week, and asking for instructions.”

Lady Jean was President of the Pointer Club of Scotland since it was founded many years ago. She had many, many interests outwith the world of field trials. She was a keen gardener, for example. Her parents brought back many rare plants from their trips throughout the world. On our visits to Strabane, her home at Brodick, Lady Jean gave us a guided tour of the gardens. On one visit, Lady Jean told us she would be sending her friend to collect us from the ferry at Brodick. The friend just happened to be Richard Todd, the Oscar-nominated actor best known for war dramas like The Hasty Heart, The Dam Busters and The Longest Day.

She was also involved with the RNLI and the Red Cross. She was an artist. Lady Jean wrote fascinating memoirs – Castles in the Air and Feet On the Ground – From Castles to Catastrophe. In those books, we discover she spent part of her life in India, Palestine, Sierra Leone, Northern Rhodesia and of course her beloved Isle of Arran. It was at the Government Code and Cypher School at Bletchley Park that Lady Jean joined the army of women who cracked the German code to save countless lives and shorten the war by at least two years.

Lady Jean’s mother was very keen on taking cine films of life on Arran, which included stalking and shooting over Pointers on the island from the 1930s onwards. A couple of years ago we spent a lovely afternoon in Strabane viewing some of the reels of film, and they are fascinating to watch.

Lady Jean sent me a gift of the book called Training Setters and Pointers for Field Trials, by Professor John Beazley, Alf Manners and Arnold White-Robinson. It is signed : “To Jon. Wishing You every luck in field trials with your puppy. Jean Fforde 1981.” I have used this book as a guide for seminars ever since.

In 1982, Lady Jean asked me to show her Champion Stake winner, Larch, at Crufts in London. This I duly did and was thrilled when the Judge Mrs Kitty Edmondson awarded a prize to Larch. Unbeknown to me,Lady Jean’s best friend , Princess Antoinette of Monaco, was a surprise visitor at the ringside at Crufts.

I will always have great memories of Lady Jean. Our last visit to Lady Jean was in July this year. She was in good spirits and very keen to hear news from the world of Pointers. RIP Lady Jean.

Still curious about British trials? Check the section A Month on the Moor or click here.




Una gemma dal 1956: un italiano ai trials inglesi

Come alcuni di voi già sanno, ho ereditato l’archivio del Dr. Ridella, veterinario e allevatore di setter con l’affisso Ticinensis. Mi sento onorata di essere stata scelta come custode di questi materiali, ma mi rincresce ammettere che ne ho ripulito e ordinato solo metà delle riviste. Tuttavia, circa 50 anni di editoria cino-venatoria, sono oggi ben archiviati e leggibili. Sapendo ciò, un amico mi ha chiesto di trovargli due articoli di Solaro del 1938 e del 1954 che, ovviamente, non sono riuscita ad individuare. Non dandomi per vinta, ho controllato anche gli anni limitrofi, niente da fare, ma ho trovato qualcosa di estremamente affascinante ed inatteso. Nel numero del secondo trimestre di Rassegna Cinofila (è l’antenato dei Nostri Cani) del 1956, c’è un bell’articolo di Giulio Colombo (1886-1966). Per chi non lo conoscesse, Colombo era allevatore con affisso della Baita, nonché un noto giudice. Aveva sempre cercato di tenere vivi i legami tra Italia e Gran Bretagna e l’Italia importando, tra gli altri i setter: Lingfield Mystic (vincitore del Derby inglese); Lingfield IlaLingfield Puma e Bratton Vanity. Grazie all’articolo, ho scoperto che nel 1956, Colombo è andato a giudicare a Sutton Scotney (Hampshire – UK) e ha raccontato laesperienza. L’articolo è leggibile per intero nel PDF che potete scaricare qui o nella photogallery qui linkata. Ne riporterò però qui alcuni pezzi salienti.

Colombo comincia pensando a Laverack, Llewellin e Lady Auckland (che giudicava con lui) e con un excursus storico che spiega come mai setter e pointer siano stati selezionati in questa maniera. “Credo aver, inteso i due Grandi sussurrare a un dipresso così: Competizioni di giganti le nostre, quando ancora si credeva alla necessità del cane da ferma sul terreno della caccia, quando pointers e setters rispondevano al gusti venatori del cacciatore, quando non si codificava un bel niente a priori, teoricamente, per estetismi o postulati da tavolino senza aver vissuta o sofferta mai la, passione incontenibile dello sport codaiolo, fra le più strenue ed inebrianti passioni, quando pointers e setters, cani da Grande Cerca, si imposero selezionati perfezionati, secondo suggeriva la pratica diuturna di lunghe stagioni venatorie con l’esperienza del terreno e dei selvatico, a servizio del fucile vagante, e si stabilì la macchina animale perfetta, collaudata con formula aderente alla realtà per quel terreno e quel selvatico, e conquistò il mondo intero quella macchina intelligente, tanto che nati Inghilterra pointers e setters furon poi cittadini di ogni Paese.”

Non credo ci sia molto da aggiungere, poi continua con la descrizione dettagliata del lavoro che essi sono chiamati a fare: “II cacciatore ragionò così: di fronte a me la pianura sconfinata, ondeggiante di mammelloni di grani, di stoppie, di prati, di eriche, faticosa, lenta da per correre tutta scarpinando da coltivo a coltivo, da piaggia a piaggia in traccia delle compagnie di starne e grouses discoste le une dalle altre in famiglia ciascuna col proprio pascolo, e le lunghe pause senza incontri e senza sparare scoraggiano anche il cacciatore più caparbio: a me occorre un ausiliare speciale anzi una pariglia di tali, dall’olfatto possente, cerca indefessa. dalla ferma statica, dalla guidata corta, che a galoppo spinto per accorciare le distanze, nel tempo breve per la nostra passione da crepuscolo a crepuscolo, risparmiando a me ciechi e fortunosi passi, concludano spicci su grouses e su starne e magari su lepre sorniona; e perché io possa sparare a visuale libera senza tema, giù, a terra proni a frullo e schizzo. Drake e Dash, ed é il più bel momento della vita di cacciatore; e perché quel selvatico che non possono raggiungere né se vola né se galoppa, non induca in tentazione, proni testa fra gli arti ari in segno di rinuncia, voi cavalieri dei moors e praterie, per riporto e recupero i ho apparecchiato io stesso un valletto che non falla. il retriever, vi risparmi di strusciare il tartufo pistando, voi Signori », Torto o ragione, ragionavano cosi e così fu sempre categoricamente a quei tempi. Proscritti falsi allarmi di ferme senza presenza di selvatico, non si tolleravano inganni ed indugi oziosi, se Drake e Dash fermano ci sta il selvatico e non lo mollano più, e si raziocinava così: « Perchè noi si possa usufruire del lavoro di due cani, ed uno non costituisca il doppione dell’altro galoppandogli al fianco appaiato, li sguinzaglio nel bel mezzo dell’area da esplorare e partano essi uno verso destra e l’altro verso sinistra in senso opposto, e giunti a un centinaio di metri, anche di più a seconda del terreno vasto e sgombro, virino essi e ritornìno in direzione l’uno dell’altro, sempre nella scia dei vento, ma più oltre verso la meta lontana, in maniera da esplorare il terreno anche nel senso della direttiva di marcia, e si incontrino a metà cammino scambiandosi il lato come nella quadriglia dama e cavaliere, a ritmo cadenzato, con astuta sincronia e… nacque la cerca incrociata, non eleganza, ma accorgimento pratico.

E affinché l’intesa fra i due ausiliari fosse concorde, con rispetto della fatica e della autorità di ciascuno e l’uno approfittasse dei risultati concreti dell’altro, ecco che mentre l’uno dei cani bloccava col rito della ferma l’altro non persisteva ad esplorare, ma sostava immobile simulando a sua volta la ferma per mimetismo conscio e istintivo, per collaborazione atavica fra gli animali ida preda, e il segugio accorre scagnando all’indicazione sonora e Drake rispetta la ferma non sua ed ecco codificata la pratica del consenso, indispensabile con ausiliari che trescano veloci e lontani.

E siccome il selvatico tiene udito sensibilissimo, abolito ogni richiamo a voce o col fischio, cenni della mano al cane che di tanto in tanto sbircia al padrone per interpretarne le intenzioni, quindi tacita intesa fra cacciatore ed ausiliare, l’uno per l’altro. E quando s’ha da interrompere l’azione, un sibilo e i cani al terra, docili al guinzaglio e si inaugurò il drop e il down, non accademia da recinto, ma freno in terreno libero. Col tempo per emulazione fra scuderie, per sane rivalità sportive fra amatori di razze affini a chi tiene i l miglior cane con olfatto più potente a corsa più veloce e reazioni più pronte, nacque in un paese di scommesse, il cane da gara, il Trialler, via col vento, cane da Sport, ma riproduttore che rifornisca i ranghi per cacciare starne e grouses e non lepri e conigli, in terreno vasto e non negli scampoli di grano.”

Qui viene espresso in dettaglio il lavoro “ideale” dei cani inglesi e le motivazioni pratiche che stanno dietro a queste pretese. Leggendo questi paragrafi sento ancora più la mancanza delle mie esperienze britanniche, perché da loro le cose sono rimaste all’incirca come descritte qui. Se non avessi prima visto, e poi partecipato ai loro trials, sarei un cinofilo diverso, avrei un cane diverso ma… devo ammettere che sono contenta di quello che sono! Segue qualche notizia sulle regole del gioco, con riflessioni sui pro e sui contro delle diverse regole:“In Inghilterra non si redige relazione alcuna, non si concede qualifica, si comunica l’ordine di classifica dal primo ai quarto con una riserva, e stop, i concorrenti tanto intelligenti da valutare da sé gli errori dei propri allievi senza sentirseli ricordare per iscritto postumo dal Giudice e talmente sportivi da comprendere che se il Giudice ha creduto di disporre i cani in un dato ordine progressivo è ozioso recriminare e voler sostituire tante altre classifiche quanti concorrenti e spettatori, ognuna diversa dall’altra, ma tutte quante più oculate, più cognite, più probanti, più sapute, più pettegole di quella ufficiale!”

Non ci sta minuto di tolleranza, assurda nostrana indulgenza che consente al cane di dimostrare le proprie attitudini a far frullare, a rifiutare il consenso, a rincorrere, a beffare il conduttore, senza che il Giudice possa prenderne atto, coll’eventualità magari di non aver mai più durante il turno il cane occasione di ripetere quanto é suo costume perpetrare dì norma, e frodare magari un premio con relativa qualifica bugiarda.

Nemmeno si tiene conto di un lasso di tempo prestabilito per la prova: allorché il Giudice opina di essersi fatto un concetto probante del lavoro dei cani taglia corto, e su questo si potrebbe discutere, perché un minimo di percorso è più equo a garanzia delle probabilità comuni, eccetto per gli errori da squalifica. Vige il sistema dei richiami protratti con confronti ripetuti, con pericolo di dover sul finire della gara modificare da capo una classifica già plausibile”

Se volete saperne di più sulle differenze tra le prove italiane e quelle britanniche, potete andare a leggerle qui. Faccio una breve riflessione sull’abitudine inglese di non avere relazioni a fine prova: Colombo dice che il pubblico spesso tende a saperne di più del giudice. Persone che, pur stando a centinaia di metri dal cane, vedono e prevedono errori che sfuggono (secondo loro) ai giudici! Credevo che negli anni ’50 il pubblico fosse più , come dire, sobrio ma apparentemente l’arte di attribuire errori inesistenti ai cani degli altri ha radici antiche. Colombo poi racconta del Derby (non so se fosse identico all’attuale Puppy Derby, per soggetti sotto ai 2 anni) e non ho capito se i cani correvano a singolo o in coppia, siccome menziona poi le Brace Stakes (in coppia). “Nel complesso del lavoro nel Derby constatai qualche fase di dettaglio, insistenze su orme, qualche consenso stentato a comando, senza partecipazione né formale né conscia all’azione; Nota del Concorso presente in alcuni esemplari, ma frenata da frequenti incontri di fagiano, lepri e conigli, scarse le starne, e deplorevole il coniglio soprattutto, che conta é la starna, per fagiani basta il cocker. Punte in profondità. ritorni all’interno come in Coppa Europa, qualche intemperanza di richiami come da noi. Soggetti a corto di preparazione per il maltempo, alcuni veramente di classe, ma non superiore nel complesso alla nostra attuale. Primo Lenwade Wizard, pointer di Mr. Arthur Rank, di 15 mesi, stilista, corretto, galoppo sciolto, risolutivo sull’incontro. Secondo Lenwade Whisper, pointer di Messrs P. P. Wayre’s e G. F. Jolly’s, di 15 mesi, con buon percorso, benché lacets troppo compatti e qualche incertezza nell’indicazione.”

Seguono accenni alla Brace Stake: “Le Brace Stakes videro presenti due Setters, irlandesi, Sulhamstead Bey d’Or e F. T. Sulhamstead Basil d’Or. Basil soggetto rimarchevole, con reazioni pronte e buon olfatto, impegno e buon galoppo, qualche incertezza e ritorni all’interno, ferma e guida con espressione, consente, bene in mano, ben condotto, surclassa il compagno Bey e si aggiudica per proprio esclusivo merito il secondo premio, trattenuto il primo, della pariglia.”

Alla All Aged Stake era stato iscritto anche un weimaraner che poi non si è presentato. Colombo disquisisce sul far correre un continentale insieme a degli inglesi: “non avendo visto il Weimaraner sul lavoro non posso affermare se fosse o no nera Nota del Concorso dl Setters e Pointers, superflua qualsiasi meraviglia dal momento che corrono da noi diversi Kurzhaar ed Epagneuls perfettamente nella Nota della Grande Cerca assai più di qualche esponente di razza inglese; gli inglesi, con meno ipocrisia e più raziocinio, dal momento che alcuni continentali filano all’inglese, li fanno correre con gli inglesi; la Grande Cerca non è questione di coda lunga o corta, ma di garretti, olfatto reagendo, e non è escluso che un giorno i Continentali, italiani compresi, corrano a Grande Cerca, e pointers e setters a Cerca ristretta.”

Dopodiché tira le somme su quanto visto nel corso delle prove: “in Inghilterra la Grande Cerca non è più professata e sentita come un tempo, in un ambiente dove il cane da ferma è in crisi gravissima di impiego eccetto che alcuni pochi attivissimi Sportsmen fedeli alla formula antica; che è la prassi impiegata per correre la Grande Cerca che si allontana oggi in Inghilterra, o quantomeno a Sutton Scotney, non dal modello continentale ma da quello stesso descritto e commentato dagli Autori inglesi, praticato per il passato e introdotto poi sul continente: turni a singhiozzo, interruzioni di percorso per battere porzioni limitate, della pur vasta area, sfruttamento di appezzamenti, di scampoli di terreno percorribili in qualche minuto, assolutamente inidonei allo sviluppo della cerca in grande e anzi in contrasto con la cerca dinamica e veloce pertanto che nota personalità inglese ebbe a definire alcuni: turni da Springers; si tollerano dai conduttori troppe fasi di dettaglio e si ammettono lunghe guidate inespressive con schizzo finale di lepre e coniglio considerate valide, e niente sta ad attestare la possibilità di pistaggio che il Trialler naso al vento deve trascurare non essendo suo compito preoccuparsene; si dimentica spesso che il consenso è attivo, partecipante, solidale con il cane in ferma e non rinunciatario e passivo per obbedienza; non si reprimono sempre i ritorni all’interno e si tarpa talora l’azione del cane di lato costringendolo a percorso inadeguato allo scopo stesso della velocità.”

Il cane da ferma era in decadenza in Gran Bretagna nel 1956? Non lo so, non c’ero, quello che posso intuire da letture passate ed esperienze presenti è che la realtà venatoria britannica era (ed è) completamente diversa dalla nostra come potete leggere cliccando qui. La loro gestione faunistica-venatoria ha indubbiamente favorito spaniels e retrievers, a scapito dei cani da ferma. Probabilmente, nel 1956, i cani da ferma erano comunque cani di nicchia e in stagnazione, mentre da noi si assisteva ad una sorta di ascesa della caccia con il cane da ferma, gli inglesi in particolare. Innanzitutto la Grande Cerca intesa da Colombo nel 1956 era molto diversa dalla Grande Cerca attuale ma… gli inglesi hanno mai avuto una vera e propria Grande Cerca? Non ricordo nulla di specifico ad opera di autori inglesi. Non dico che non sia mai stata descritta, dico che non ne ho mai letto e mi piacerebbe leggerne su uno dei testi a cui fa riferimento Colombo, senza però indicarne i nomi. Mi piacerebbe poter conversare con lui e capire, capire cosa intendessero gli inglesi – secondo lui- per Grande Cerca e capire la sua visione. La sua visione, in fondo la conosciamo, non possiamo certo dimenticare che il cane ideale per Colombo era velocissimo, dalla cerca estrema, dal naso superlativo. Lo chiamava “il puro”, il “folle” e in “Trialer! Saggio di Cinofilia Venatoria” (1950) lo definiva: “Il Riproduttore, Il Capolavoro, il quadro d’Autore, il brillante di cinquanta grani, l’oro zecchino. E’ il Capodanno, non gli altri 364 giorni.” La cinofilia italiana è stata profondamente influenzata dalla visione di Colombo, ma non quella britannica e, come dicevo sopra, non sono nemmeno certa che inizialmente fosse indirizzata in quella direzione. [In ogni caso mi sono rimessa a leggere Arkwright a piccoli passi].

Turni da spaniel. Interruzioni di percorsi, terreni questionabili, lunghe fasi di dettaglio, lunghe guidate eccetera, le ho viste?Ni. Ho seguito e partecipato ad almeno 20 trials, forse di più, e ho visto alcune delle cose di cui racconta Colombo ma andava sempre così. Molto andava a discrezione dei giudici e dei guardiacaccia (è il guardiacaccia che ti dice dove puoi fare il turno!) e il livello dei cani era variegato. Non so come fosse la situazione a Sutton Stockney ma, in certi trials a grouse si corrono in mezzo a densità di selvatici impressionanti. Non è che si possano fare chissà quali percorsi. I consensi a comando? Li chiedono ancora anche se un consenso naturale è molto apprezzato e si sta lavorando in questo senso. Tirando le somme, comunque, credo che Giulio Colombo si aspettasse di assistere a qualcosa di diverso e sia rimasto un po’ spiazzato. Ciò nonostante, Colombo non era uno stupido e ammette egli stesso che anche un giudice britannico potrebbe non essere colpito sempre in positivo dai trials italiani: “Benchè una sola prova controllata da me non possa fornirmi indice probante del complesso di un materiale setter e pointer, esiguo come numero nei confronti dell’italiano e francese, da quella sola gara di Sutton Scotney (dovrei dedurne una netta decadenza rispetto alla nostra; mi guardo dal farlo: probabilmente un Giudice inglese avrebbe la stessa impressione da alcuni turni nostrani alla Cattanea, a Borgo d’Ale ed Alice Castello.”

Il nostro inviato ammette altresì di aver visto, oltre a cani meno buoni, anche cani buoni: “Se alcuni concorrenti si palesarono tassativamente negativi al compito del Trialler, altri al limite quattro pointers almeno, due setters inglesi e un irlandese furono in tal classe da doverli rammaricare dal non poterli rivedere mai più. Fra i premiati Seguntium Niblick, pointer di Mr. J. Alun Roberts, di due anni, primo, velocissimo, sicuro sull’incontro, senso del selvatico. Scotney Gary, pointer di Mr. Arthur Rank, due anni, velocissimo, stilista, senso del selvatico, olfatto, secondo; Scotney Solitaire, pointer di Mr. Arthur Rank, di non ancora due anni, tutto nella Nota, testa alta, corretto, olfatto, reazioni, terzo; Sulhamstead Basil d’Or, irlandese, impegno, testa alta, corretto, quarto; Ch. Downsmans Bracken, setter inglese, dalle reazioni rapide, le ferme schiacciate slittando, lunghe e significative, infortunato su starne durante un rispetto di lepre, quinto. E lo indiavolato Sulhamstead Nina d’Or, setter irlandese di Mrs. Nagle’s e Miss M. Clarcks’s, di non ancora l’anno, partito su lepre, e quello inglesino blu belton dalla cerca ampia, avida, Flashaway Eve, del Col. A. S. Dalding’s, di non ancora due anni, che tende al fuori mano sul fianco, ma possiede tanta avidità e stile setter e galoppo radente da presagirne un Campione, se ben condotto.” Condivido appieno, la mia esperienza è identica alla sua: accanto a cani poco stilisti e lenti, ci sono soggetti che non sfigurerebbero anche alle nostre prove: in 60 anni è cambiato poco.

L’articolo di Colombo si chiude così: “Ma da Oltre Manica si importarono pointers e setters eccelsi, ma oltre Manica vige ancora sangue di Dero 4° del Trasimeno di Vignoli, sangue ricordato, vantato, e scorre nelle vene del secondo classificato, Scotney Gary, sangue che emigrò anche in America per ritornare in Inghilterra; e Blakfield Gide di Waldemar Marr, sorellastra di Fast, e Galf di S. Patrick di Nasturzio, sono citati in Inghilterra, paese per niente sciovinista, fra i migliori e più validi riproduttori, ed esponenti dei Pointer in quegli allevamenti: ricordiamolo anche noi.

Da “Rassegna “ ringrazio Mr. e Mrs Bank, Lady Auckland, il Segretario Generale del Kennel Club Inglese Mr. Buckley, Mr. Binney, Mr. e Mrs. Mac Donald Daly, Mr. e Mrs. William Wiley, Mr. Lovel Clifford mio valido interprete, che mi furon prodighi di ospitalità ed attenzioni durante il breve, ma denso soggiorno in- Inghilterra. Formulo il voto che la passione del Trialler non venga mai meno nella Patria Augusta del Signore l’Aria!” [Chi volesse leggerlo per intero può scaricarlo qui].

Ho deciso di parlare di questo articolo perché ritengo contenga dei punti chiave utili anche al lettore contemporaneo. Quali sono? Mi piace innanzitutto che apra con un excursus storico che spiega come si siano evolute le razze da ferma inglesi. Sono il frutto di particolari selvatici e di particolari terreni. Sono il frutto della caccia in quelle circostanze, circostanze che ne hanno plasmato il temperamento e codificato il metodo di lavoro. Prima che esistessero le prove, esisteva la caccia, esisteva il cacciatore che, a fronte di situazioni di caccia complesse, volevano tornare a casa con qualcosa nella cacciatora. Le circostanze hanno subito reso chiari quali fossero i tratti da selezionare e i comportamenti graditi, nonché tutto ciò che doveva essere considerato difetto. I cani andavano a caccia e poi, se bravi, venivano presentati anche alle prove. Un tempo era così anche in Italia e… vorrei fosse rimasto tale. Oggi abbiamo Campioni di Lavoro che non sono mai stati a caccia, che sono di proprietà (o persino condotti ed addestrati) da gente che non pratica attivamente la caccia con il cane da ferma, o che la pratica in contesti e su selvatici che si discostano da condizioni ideali e probanti. Questo porta anche a non comprendere alcuni regolamenti nati tanti anni fa, e a fare confusione su quali siano i comportamenti corretti da parte del cane, eppure costoro spesso si ritengono “esperti”. Se rileggete le parole di Colombo vedrete quanto stima il fermo al frullo, il down e il drop, definendoli “non accademia da recinto, ma freno in terreno libero”, beh nella nostra penisola sono ancora abbastanza fraintesi. Non so se Colombo sia stato anche a trials su grouse ma la sottoscritta ha impiegato pochi minuti sul moor a capire che lì, questi insegnamenti sono indispensabili. Colombo ricorda anche l’importanza del percorso, del saper stare sul vento e del lavoro in coppia. Lavoro in coppia che deve essere armonico, di squadra facendo capo a caratteristiche che devono essere nella genetica del cane. I cani devono anche essere facili da condurre, collegati e disponibili a collaborare con la minima necessità di ordini sonori, o i selvatici sarebbero disturbati troppo. Questi appunti mancano in tanti libri di cinofilia venatoria moderna, hanno forse questi tratti perso importanza?

Credo ora abbiate capito perché io ritenga il resoconto di Colombo su Sutton Scotney affascinante ed intrigante. Poi si aggiunge qualcosa di personale: proprio come lui, ho avuto modo di assistere (e prendere parte) ai British Trial e essi significano molto per me. Mi hanno trasformato in un cinofilo “diverso” e mi hanno consentito di avere un cane “diverso”.

Per saperne di più sulla cinofilia britannica cliccate qui.