I Tre Stili di Giacomo Griziotti

I Tre Stili di Giacomo Griziotti– Rassegna Cinofila n. 11- Novembre 1932

(Trascrizione a cura di Maurizio Peri)

***

Ricordo di avere, altrove, in altri tempi e seguendo, indegnamente, le orme di illustri maestri quali il Caillard ed il Matteucci, parlato della differenza essenziale tra lo stile di lavoro del setter e quello del pointer. Se, in genere, ed almeno in Italia, questa differenza è ammessa, riconosciuta ed apprezzata, ho notato invece, per quanto riguarda le caratteristiche di lavoro delle tre varietà di setters inglese, scozzese ed irlandese, una tendenza unificatrice, assimilatrice, quasi le tre razze avessero lo stesso modo di camminare, fermare, etc..

Ebbene no, signori miei, tra lo stile di lavoro delle tre varietà di setters vi è forse ancora tanta diversità quanta ne intercorre tra quello del setter e quello del pointer. Ho visto magnificare setters scozzesi ed irlandesi che fermavano a terra strisciando sul ventre come serpi. Bellecroix stesso descrive un setter irlandese “couchant”.

Comunemente si dice di un cane “è molto setter”. Sta bene. Ma se questa espressione può rendere l’idea di quella particolare molle elasticità di movimento che caratterizza tutte le varietà di setters, è però troppo generica e non fa rilevare le speciali caratteristiche di andatura e di ferma che sono proprie di ciascuna varietà, caratteristiche che sono il portato della diversa costruzione e del diverso temperamento di esse.

Nel 1931 correvano nelle nostre prove italiane due setters scozzesi uno dei quali fermava completamente a terra, King of Pavia, l’altro ben eretto in una posa statuaria ed imponente, Mogol dell’Apulia. Ebbene. Alcuni giudici magnificarono l’uno e buttarono giù l’altro e viceversa. E’ ammissibile questo? Io direi di no!

Ma l’esempio tipico di grande attualità è dato dal ben noto setter scozzese Prenz di S. Anna. So di toccare un tasto delicato ma vi sono costretto dall’evidenza e dalla popolarità dell’esempio e non da spirito polemico. Ora, Prenz di S. Anna è, indubbiamente, un cane eccellente, non comune, per andatura, olfatto, ferma, consenso e, soprattutto, equilibrio ma, per quanto riguarda lo stile, specialmente di ferma, è un perfetto setter sì ma inglese. A sostegno della mia asserzione invito i miei pazienti lettori che non avessero visto il cane al lavoro a confrontare le sue numerose fotografie apparse sui giornali e riviste cinegetiche con quello dei trialers setter inglesi di maggiore stile. Ci ha fatto, pertanto, meraviglia che il giudice belga Huge abbia potuto dichiarare che Prenz di S. Anna ha il miglior stile gordon che egli abbia mai visto.

Mi si potrà dire che vado troppo sottilizzando. Io ripeto che Prenz di S. Anna è un cane eccellente e che ha pienamente meritato gli allori che gli sono stati tributati, ma se mi si dice che Prenz di S. Anna ha un grande stile gordon, io dissento. Se si può, talvolta, transigere in omaggio al complesso dei meriti di un cane, su certe sfumature, quantunque, in gara classica, esse siano fondamentali, non bisogna però perdere di vista quelle che sono le principali caratteristiche di lavoro di una razza e giacchè ci siamo, diamo una rapida corsa a queste caratteristiche.

Il lavoro del setter inglese è ormai indiscusso, canonizzato ed è caratterizzato da grande contrazione, da pose a terra o pres de terre con tronco incassato tra le scapole, angoli chiusi, arti raccolti sotto di sé pronti a scattare, coda bassa. Una sola linea dal tartufo alla punta della coda. Richiamiamo i numerosi quadri e fotografie di Banchory Jim e la nostra figura n.1 che è ispirata appunto ad una di quelle fotografie.

Banchory Jim

Lo stile di ferma del setter scozzese o gordon non ha nulla a che vedere con quello del setter inglese. Quindi niente pose schiacciate, feline, ma ben erette, dominanti, muso al vento, coda diritta oppure leggermente rialzata, poca contrazione. La contrazione è sostituita nel gordon, come nel bracco, dall’imponenza statuaria, dalla maestosità. Vedi figura n.2.

 

Figura 2

Le ragioni di questa differenza, oltre che nel diverso temperamento, risiedono anche nella diversa velocità. Il setter inglese, più veloce, avverte più all’improvviso e si schiaccia oppure si precipita a terra con una breve strisciata. Il setter scozzese, più lento, avverte più incerto e più da lontano e arriva alla ferma dopo più lunga filata e dopo aver meglio riflettuto ed essersi maggiormente assicurato. E’ naturale quindi che abbia poca contrazione.

Il setter irlandese poi ha una posa di ferma affatto propria, caratteristica, inconfondibile. Posteriore basso schiacciato, quasi trascinato, coda bassissima, quasi cadente fra le gambe, anteriore invece ben eretto. Anche qui poca contrazione, almeno nel corpo. Ne vediamo invece nel collo e nella testa quest’ultima leggermente inclinata verso terra con una espressione graziosamente curiosa. Vedi figura n. 3.

Figura 3

Mi si dirà che non è possibile standardizzare in modo così assoluto. Lo ammetto, ma io ho voluto soltanto tracciare dei modelli e non è da pretendere che le copie riproducano pedissequamente gli originali. Certo è che, di regola, i setters scozzesi ed irlandesi non devono fermare a terra, mentre i setter inglesi non devono fermare eretti o almeno completamente eretti.

Perché?

Confesso che mia convinzione, quantunque concordi con quella di eminenti cinofili, è però basata piuttosto sulla pratica, su impressioni, su ragioni d’intuito e che potrebbero essere tacciate di soggettività e di empirismo, ma la ragione vera, concreta, ebbe ad indicarmela un giorno il collega Cav. Pastrone, vero studioso in materia e che ha approfondito la questione . Ed è questa.

Il setter inglese discende dall’epagneul, dal “chien couchant” originario della Navarra dove, diversamente di quanto accadeva in altri paesi si usava la rete a strascico (tirasse) che veniva tirata dall’indietro in avanti e passava necessariamente sopra il cane, coprendolo anche talvolta. Il cane doveva, quindi, ed era anche, appositamente, abituato a fermare a terra per non ostacolare il movimento della rete.

Questo fatto, unito anche ad una naturale tendenza, ha abituato, a poco a poco, l’epagneul a fermare a terra e questa qualità, tramandata di generazione in generazione, è passata poi nel setter inglese. Ora, per quanto quest’ultimo, come tutte le altre razze, abbia subito incroci (sia pure a scopo di miglioramento) deve, tuttavia, conservare tracce evidenti di quella tendenza atavica. Il cane non fermerà più a terra, posa non sempre elegante, ma fermerà almeno schiacciato, diversamente si dovrà concludere che nella razza non vi è stato soltanto razionale incrocio, bensì totale assorbimento.

Scrivo questo solo per illustrare le vignette dell’amico Coppaloni, giovane ma valente cinofilo, quantunque esse siano già di per se stesso eloquenti più delle parole. In esse si sono forse, ma ad arte, esagerate le caratteristiche per rendere più evidenti le differenze.

Non ho la pretese di dire cose nuove, solo non credo inutile ricordare questi essenziali canoni differenziatori delle varie razze di setters, canoni che, purtroppo, sembrano, molte volte, totalmente sepolti nell’oblio.

Pavia, 18 novembre 1932 XI                                                                      Giacomo Griziotti

Altri materiali storici sul setter gordon sono disponibili a questi links:

Gino Pollacci, Duca di Gordon

Brevi appunti sul setter nero fuocato di Rino Radice




Incontrare o gestire la selvaggina? IT vs UK

Le persone continuano a chiedermi le differenze tra le prove italiane e quelle britanniche. E’ complicato, ne ho già parlato in un altro articolo, ma i punti da toccare sono tanti e, più partecipo alle prove italiane, più differenze riscontro. Ho scritto partecipare perché le prove ho iniziato a “guardarle” nel 2004, ma da poco gareggio e, in ogni caso, in questi 13 anni alcune cose sono cambiate. Il mio ruolo, inizialmente, era quello del giornalista/fotografo, a cui a volte i giudici davano il compito di trascrivere le loro note. Ero un osservatore neutrale e ho avuto la grande opportunità di poter seguire le cose da vicino, pur restando ad esse esterne. Il fatto che io sia scesa in campo ha stupito chi era abituato a vedermi nel mio altro ruolo ma, questa nuova pratica mi consente di comprendere le cose ancor più in profondità. Le miei opinioni, impressioni, sensazioni e preoccupazioni non sono cambiate ma posso dire di poter vedere alcune cose con maggior chiarezza, e questo è un processo ancora tutto in divenire.

Ho spesso affermato che obbedienza e controllo del cane sono fondamentali in una prova di lavoro britannica ma meno importanti alle nostre prove. Dietro a questo approccio ci sono molte ragioni, alcune probabilmente più socio-economiche che non cinofile. La presenza della selvaggina è sicuramente uno dei punti chiave. Sono arrivata alla conclusione, non che ci volesse un genio, che ad essere “colpevoli” siano la presenza, o l’assenza, di selvaggina. Chi ha familiarità con le prove italiane, sa quanta fortuna occorra per trovare un selvatico, In media, direi che circa il 25-30% dei cani, nel corso di una prova, ha la possibilità di fermare e lavorare il selvatico come si deve. Circa il 30-35% dei cani ha invece la possibilità di “vedere” un selvatico ma poi succede qualcosa (compagno di coppia, capriolo, meteorite…) che gli impedisce di completare l’azione. A volte le cose vanno anche peggio: durante una prova corsa lo scorso ottobre non si è visto un selvatico. La mia batteria, se non ricordo male, era formata da 11 coppie, quindi 22 cani e alcuni cani, tra cui la mia, sono stati portati al richiamo per offrire loro una seconda possibilità. In totale si è visto solo UN piccione, come potete immaginare nessun cane è andato in classifica. In Gran Bretagna è tutto diverso, i cani hanno quasi sempre la possibilità di incontrare, poi qualcosa può andare storto ma, di sicuro, il mancato incontro non è in cima alle preoccupazioni dei conduttori.

Per trovare un selvatico in italia devi avere un cane sveglio che si porti addosso uno zainetto pieno di fortuna: purtroppo è tutto vero,  parlerò del perché in altri articoli. Tutto ciò è reale e tristissimo: io amo i cani da ferma e chiunque abbia la stessa passione sa quanto questa situazione possa essere frustrante. Immaginate la giornata tipo alle prove: ci si alza alle 3 del mattino (perché le prove iniziano prestissimo), si guida per 200 chilometri, il cane fa un bel turno ma non incontra. Al giudice è piaciuto e lo porta al richiamo, per dargli una seconda possibilità ma, di nuovo, non incontra e la prova si chiude così. Immaginate questo accadere regolarmente e avrete il quadro completo.

Anni fa, chiacchierando con un giudice, gli ho chiesto perché alcuni allevatori fossero ossessionati dai galoppi: esistono ancora cani senza cervello, né senso del selvatico ma che però hanno galoppi favolosi, tipicissimi per la razza. Volete leggere la risposta? Breve e incisiva: gli allevatori danno molta importanza al movimento perché per il 99% del tempo i giudici lo vedranno galoppare, data la rarità delle ferme. Quindi si ricorderanno soprattutto come cerca e come muove. La risposta ha senso, ma mi rattrista. Le prove erano nate per valutare i cani da ferma e accertarsi che fossero buoni cani da caccia? Quindi per ora abbiamo dei bei galoppi, e poi?

Credo che al cuore delle nostre prove ci sia il trovare il selvatico, meglio se fatto con bello stile e dei bei lacets ampi e profondi. È così difficile incontrare qualcosa, che quello che viene dopo è meno importante. Non sto insinuando che una bella presa di punto e una bella ferma non siano importanti, gli italiani ci tengono eccome, sto dicendo che una volta fermato il selvatico le cose non possono che andare migliorando! Forse è per questo che una volta visto il cane in ferma i conduttori lo raggiungono in corsa trasudando entusiasmo. Cosa succede se è un po’ esitante nella guidata? Se non è immobile al frullo e allo sparo? Probabilmente si chiuderà un occhio, tenendo conto di quanto sia già stato difficile incontrare.

Gerry Devine at a Scottish trial. Such actions are a common sight

In Gran Bretagna è tutto l’opposto: i cani corrono in luoghi in cui i selvatici sono presenti, a volte troppo presenti, il che rende vitale il controllo sul cane. Non è difficile trovare una grouse, la trovi anche senza cane, diciamo che la selvaggina è data per scontata. Ad una prova di lavoro britannica non sarà difficile vedere un cane in ferma, le ferme sono una cosa normale. Dopo tutto le prove sono nate per valutare i cani da ferma e senza ferma come si fa? Quando un cane va in ferma, da loro, il conduttore lo raggiunge tranquillamente camminando. Colpa di un eventuale regolamento? Dell’indole meno focosa? Può darsi, ma credo che il nocciolo della questione sia la consapevolezza, sanno che la parte più difficile della prova inizia adesso. Dopo la ferma, il cane deve guidare e fare alzare correttamente il selvatico, dimostrare immobilità perfetta al frullo e allo sparo e eseguire il “clear the ground” (ispezionare il terreno per accertarsi che non ci siano altri selvatici), il tutto condito da una buona dose di obbedienza. Le prove britanniche non sono facili!

Quindi… durante una prova italiana l’incontro è al centro della scena (meglio se il cane ci arriva con stile), mentre in Gran Bretagna il cane è controllato a puntino su come gestisce il selvatico dopo l’incontro. Agli italiani importa, eccome, di come il cane fermi e porti il selvatico ad involarsi ma, sfortunatamente, le occasioni per verificarlo sono limitate. A fare la differenza sono l’ambiente la gestione della selvaggina. Se scavo nella mia memoria, le cose che ricordo di più di cani specifici alle prove inglesi, sono il loro lavoro dopo la ferma (soprattutto le guidate) e l’obbedienza. Certo, mi ricordo anche di alcune cerche straordinarie ma queste occupano uno spazio più piccolo della mia memoria. Se cerco di ricordare le prove italiane, le cose sono rovesciate.

Che cosa è meglio? Non ci sono vincitori. Per essere vincente ad una prova italiana il cane deve essere molto determinato, avere molto senso del selvatico (e/o una dose gigante di fortuna), muoversi con stile e essere intraprendente, a volte anche troppo indipendente. Quando si ha il tutto nelle giuste dosi, si ottiene un gran cane, ma se si sbagliano i conti si producono cani che corrono per il solo piacere di correre e che sono inaddestrabili dalla persona media. Il sistema britannico, invece, controlla con pignoleria come il cane tratta il selvatico e obbliga i conduttori a tenere d’occhio l’addestrabilità. Di converso, a volte da loro trovare un selvatico è troppo facile. Se un cane potesse essere verificato attraverso entrambi i sistemi si andrebbe vicino alla perfezione.