Diamanti in palude: le prove a beccaccini

Ho una predilezione per il beccaccino, vai a capire il perché. Sì, certo preferisco le grouse ma il beccaccino non è male e mi aiuta a gestire l’assenza delle prime. Io e il beccaccino siamo vecchi amici, ci siamo incontrati nel 2004, l’hanno in cui ho preso la prima licenza di caccia. Per accorciare una lunga storia, ero venuta a sapere dei beccaccini attraverso i libri e i racconti dei cacciatori, ma non li avevo mai visti dal vivo fino a quando Spina, una setter inglese, ha fermato uno di loro. Il suo lavoro mi ha affascinato al punto da farmi amare i beccaccini. Non tutti i cani li fermano e non a tutti i cani piacciono: i beccaccini vivono in ambienti ostili, come risaie e paludi. Più specificamente, dalle mie parti, i beccaccini vivono in risaie allagate dall’acqua, più c’è fango e meglio è. Non è facile galoppare su questi terreni e le condizioni climatiche tendono ad essere ugualmente avverse. Autunno e inverno qui sono famosi per la nebbia, l’umidità e l’assenza di vento: un cane deve veramente amare i beccaccini per decidere di andarseli a cercare. Servono anche fondo e forte predatorietà: i beccaccini scarseggiano e non è improbabile che un cane finisca per correre per ore su terreni deserti e difficili. E, se poi il cane è fortunato abbastanza da trovarne uno, il selvatico potrebbe comunque essere più furbo e volare via prima che il povero quadrupede abbia modo di fermarlo.

Cuore

I beccaccini sono nervosi, veloci, leggeri e incredibilmente difficili ma, nonostante ciò, qualche conduttore coraggioso, iscrive i cani alle prove su beccaccini. Prove che, dato il selvatico, sono diverse da qualsiasi altra prova e ritenute adatte solo a “specialisti”. Le regole e i parametri di giudizio le rendono speciali, per esempio i cani da ferma inglesi corrono da soli e non in coppia, cosa normalmente impossibile. Perché corrono da soli? Perché, altrimenti, sarebbe improbabile che lavorino il selvatico correttamente. I giudici vogliono un cane veloce e dalla cerca ampia che, contemporaneamente, sappia dove sono i selvatici. Si parla di “senso del beccaccino”: il cane deve correre piacevolmente sfruttando il vento e trovare un beccaccino, senza apparente sforzo, nei 15 minuti del turno. Ciò non è affatto semplice, i cani lenti che trotterellano attorno incapaci di distinguere tra la preda e la sua emanazione (esibendo incertezze e ferme false) non sono apprezzati. Il cane deve mostrarsi deciso, correre, trovare e fermare. Alla ferma non segue generalmente la guidata perché il beccaccino si invola da solo con facilità, spesso anche troppa. Non è possibile far correre due cani a piena velocità nella stessa risaia, i beccaccini, se presenti, esploderebbero come mine! È anche meglio non usare troppo il fischietto, non parlare e fare attenzione a non sbattere le portiere della macchina, fate troppo rumore e si finirete col correre su beccaccini fantasmi. Ah, dimenticavo i frullini, creature fatte apposta per complicare e ancor di più le cose!

Quanto appena scritto è sicuramente sufficiente per indirizzare i conduttori da un’altra parte, a patto che costoro siano saggi. Ho sempre pensato alle prove su beccaccini come ad una specie di Olimpo e li ho immaginati, un po’ come le donne normali immaginano una vacanza ai tropici. Mi piacciono i beccaccini e anche a Briony piacciono, abitiamo nella terra dei beccaccini (fantasma), ma i miei piani per le prove d’autunno li avevano categoricamente esclusi, avremmo gareggiato su animali normali, come fagiani e starne. I miei piani perfetti, tuttavia, sono durati fino a quando non è stata cancellata la mia batteria ad una prova “normale”, due giorni prima che questa avesse luogo. Amareggiata, sono andata online a controllare che altre prove ci fossero in calendario dalle mie parti, e l’unica era una prova a beccaccini. Così ho preso il telefono e chiamato il presidente del Club del Beccaccino, che subito mi ha rimbalzato al segretario. Sorpresa, il segretario era una persona che conoscevo da anni, mi ha iscritto subito alla prova!

Blus
Blus

Il giorno della prova, raggiunto il punto del raduno, mi sono sentita un po’ a disagio. Tutti sembravano molto professionali e c’erano adesivi e toppe con i beccaccini ovunque. Anche sul terreno ho avvertito lo stesso senso di inadeguatezza: borotalco spruzzato in ogni direzione per trovare il vento (non c’era vento e io non avevo borotalco) e conduttori pignolissimi sulla scelta dei terreni. Il Club del Beccaccino mi ha chiesto di scattare fotografie e ho accettato con piacere, dal momento che questo mi avrebbe permesso di seguire la batteria da vicino. Quanto visto non mi ha impressionato: alcuni cani (incluso il mio) sono stati costretti a correre su terreni deserti e asciutti, mentre altri, pur avendo avuto abbondati occasioni, le hanno buttate via non riuscendo a lavorare correttamente il selvatico. Abbiamo avuto ferme false, sfrulli, rincorse, eccetera eccetera ma, sebbene il lavoro dei cani non fosse stato degno di nota, le persone mi avevano colpito in positivo: erano gentili, amichevoli ed incoraggianti. O meglio lo sono diventate dopo l’avermi studiato per alcune ore: all’inizio pensavano che fossi lì “solo” per le foto e non riuscivano a collegarmi al cane. Queste persone pensavano che il cane fosse lì “solo” a guardare e che fosse troppo carina e troppo bianca per gareggiare. Quando hanno finalmente accettato il fatto che avrebbe corso, si sono auto convinti che sarebbe venuto qualcun altro (uomo) a condurla. Non ho idea di dove avessero collocato l’uomo, dal momento che la mia auto non conteneva al cune essere umano (tranne me), forse pensavano che sarebbe arrivato all’ultimo minuto, giusto in tempo per il turno. Quando hanno visto incamminarmi verso il terreno con il cane al guinzaglio, il che dichiarava che sarei stata io il conduttore, è calato il silenzio e siamo finite, nostro malgrado, sotto le luci del palcoscenico. Ci era toccato un terreno orribile: ruscello a sinistra, ferrovia di fronte, trattore a destra e stoppie asciutte. Briony ha lavorato bene, stando sul vento e esplorando il terreno con metodo ma, sfortunatamente, non c’era alcun beccaccino ad aspettarla. La sua buona condotta, tuttavia, ha cancellato i sospetti e mi ha trasformato improvvisamente in un buon conduttore. Il silenzio è cessato e le persone mi sono venute incontro per congratularsi e fare domande. È stato divertente: mi hanno chiesto se l’avessi preparata io, quale fosse la linea di sangue e se avessi intenzione di continuare a presentarla, belle sensazioni.

Noi

Alla fine della giornata ero confusa e non sapevo se avrei partecipato , o meno, ad altre prove su beccaccini. Verso il finire della settimana, tuttavia, avevo preso la mia decisione e Mauro, come promesso, mi aveva tenuto un posto. Questa volta, al raduno, c’erano diversi nuovi “amici” che mi hanno fatto sentire parte del branco o, meglio, una specie di animale domestico adottato da una famiglia. Lo stesso Club del Beccaccino aveva auto-deciso che sarei diventata la sua fotografa e i conduttori hanno prontamente imparato a fare del loro meglio per riuscire bene in foto. Alla fine ho partecipato a 5 delle 10 (?) prove del circuito autunnale e questo è quello che è successo. Su cinque prove Briony si è trovata in condizioni di poter lavorare il beccaccino solo in due occasioni. Nel primo caso l’aveva avvertito ed aveva iniziato ad accostare ma, un istante prima che potesse fermarlo, lui si è involato per motivi suoi e questo ha portato all’eliminazione. La seconda volta, invece ha sbagliato in pieno, non abbiamo visto altri beccaccini fino alla quinta prova, corsa sotto un diluvio che ha spinto i beccaccini ad essere estremamente leggeri e a involarsi da soli molto, molto avanti rispetto ai cani. Stavo dimenticando la prova numero quattro quando ha fermato un fagiano: era l’unico selvatico nei paraggi ma non era valido per quella prova. Il cane che ha corso dopo di lei è stato ugualmente sfortunato incappando nell’unica lepre di tutto l’ATC. Io e Briony non ci siamo mai qualificate durante queste prove, ma i giudici ci hanno detto di continuare (o avrei risparmiato soldi!) ed è stata menzionata da uni giudice durante una relazione, un trattamento di solito riservato a quei cani che hanno fatto bene ma che, per un motivo o per l’altro, sono stati un po’ sfortunati.

Lui!!! (Oldrado)

Generalmente, nel corso di ogni prova solo il 20% dei cani incontrava è brutto che sia così, ma questi animali sono selvatici che non possono essere posati prima della gara e tutti hanno dovuto fare i conti con la loro scarsità. O forse, si poteva cercare di comprare una buona dose di fortuna in anticipo. Nel mio caso non sono mai riuscita a metterla nel carrello ma, devo ammettere che gli altri concorrenti sono stati discretamente gentiluomini cercando di farmi correre su terreni idonei e suggerendomi dove cercare. È un po’ più facile trovare un beccaccino se conosci i terreni anche se… questi selvatici sono sempre pronti a coglierti di sorpresa!

In definitiva, le prove a beccaccini sono difficili come si sente dire? Credo di sì, i beccaccini sono pochi, nervosi e tremendamente influenzati dalle condizioni meteo. I beccaccini sono come diamanti e, proprio come i diamanti sono minuscoli e difficili da trovare, però luccicano, se li si cerca con attenzione li si può trovare. Abbiamo corso la prima prova durante una mattinata tiepida, umidiccia e senza vento. Le successive prove si sono tenute in mattinate fredde, nebbiose e prive di vento, fatta eccezione per l’ultima prova quando il vento è arrivato insieme a una pioggia torrenziale! Fermare il beccaccino in assenza di vento è molto duro, e la scarsa visibilità ha reso il compito dei giudici anche più difficile. Che dire dei conduttori? Si è trovato un po’ di tutto, come alle altre prove: cani perfetti e cani più “creativi” che si sono mangiati le ciance di andare in classifica perché hanno inseguito o sono andati fuori mano, ma ho visto dei buoni cani? Sì, credo di sì, e devo ammettere che, sebbene la maggior parte dei concorrenti presentasse setter inglesi, ho visto anche ottimi rappresentanti di altre razze. Voglio menzionare un paio di irlandesi (non andati in classifica), un pointer altrettanto bello da vedere (e altrettanto sfortunato) e un super Gordon: difficilmente mi piacciono i gordon ma questo era davvero speciale! Mi rivedranno in primavera? Forse…




Lasciate spazio per il dessert

Mi piacciono i dessert (non troppo dolci) e quando vado a pranzo o a cena fuori lascio sempre un po’ di spazio per loro, in questo caso Briony, che è arrivata per ultima, è stato il dessert.

Questa stagione di caccia è piuttosto tranquilla, fatta eccezione per oggi, ho vissuto una sola vera e propria giornata di caccia, il giorno dell’apertura. Poi niente altro tranne un paio di uscite dietro casa con il fucile in spalla, non sono ancora andata nemmeno a caccia al cinghiale. Ci tengo ad andare a caccia ma quest’anno qualcosa si mette sempre in mezzo, continuo ad addestrare il cane vado a qualche prova,lavoro, preparo esami universitari e il tempo per uscire a caccia scompare. Inoltre nessuno vuole venire a caccia con me, devo essere una bruttissima persona!  A parte gli scherzi, il problema è che ho il cane fermo al frullo e discretamente ubbidiente, il cane da caccia italiano, normalmente, è piuttosto selvaggio. Non sarebbe giusto pretendere che lei rimanga ubbidiente di fronte a cani che possono commettere tutti gli errori che vogliono.

Morsicando il dessert
Morsicando il dessert

Ieri sera stavo commentando un post Facebook del mio amico Andrea Vaccari (se vi piace il bracco italiano, lui cura un bel blog su questa razza). Andrea è un buon cacciatore e anche un buon addestratore, si stava lamentando perché quasi tutti i cacciatori italiani che possiedono un cane da ferma ritengono necessario avere un beeper o un GPS. Sono d’accordo con Andrea, non comprendo il senso di questa cosa e questo modo di andare a caccia è spesso carente di sportività. Le persone lanciano i cani fuori dal bagagliaio, li lasciano correre come dei cavalli pazzi e poi chiedono alla tecnologia di ritrovarli. Alcuni sono molto fieri di avere cani che cacciano (chiaramente per se stessi) ad un chilometro dal conduttore. Io lo trovo abbastanza stupido e a volte persino fastidioso, dato che i beeper sono rumorosi e li puoi sentire a grande distanza. Inoltre, con questo modo di cacciare, non vengono verificate qualità importanti come l’addestrabilità, il collegamento e la voglia di collaborare. Non sto attaccando beeper e GPS perché non mi piacciono. La tecnologia può essere estremamente utile, ma non dobbiamo trasformarla in una scusa per evitare di addestrare il cane.

Quando dici qualcosa contro a beeper e GPS la gente alza le barricate e comincia a dire che hanno comprato questi collari per “sicurezza”. È verissimo, un GPS è utile se un cane si perde, o se gli succede qualcosa ma… stiamo parlando di cani da ferma, non di segugi. Un cane da ferma dovrebbe cacciare a distanza utile per il fucile, il che significa che deve rimanere visibile, occorre insegnargli a lavorare ad una distanza ragionevole. Se il cane viene condotto in questa maniera è possibile vederlo e vedere tutto quello che succede, un GPS diventa superfluo. Ricordatevi che un GPS, da solo, non può salvare il cane se il cane è molto lontano. La scorsa primavera un cucciolone è affogato in un canale e il proprietario ha vissuto la tragedia in diretta sul palmare, era a circa un chilometro e mezzo. A volte penso che il GPS dia ai proprietari un falso senso di sicurezza, ci si illude che garantisca l’incolumità: certo vi può dire esattamente dove si trova il cane, ma si potrebbe essere troppo lontani e non fare in tempo ad intervenire. Questa falsa illusione, a mio avviso, indirettamente ci porta a dare sempre maggior libertà ai cani nella speranza, spesso vana, di incernierare un animale in più quando i selvatici scarseggiano. Mi è stato anche detto che il GPS è indispensabile se hai un cane fa ferma tedesco, perché i cani tedeschi hanno un debole per gli ungulati. La gente non ci crede che sia possibile mettere a terra un Deutsch Drahthaar davanti ad un capriolo. Se cacci la beccaccia, però, il beeper à anche meglio, affermano, perché puoi localizzare il cane senza controllare costantemente il collare e… I cani marroni non si vedono nel bosco! Perché non pensare a una mantellina arancione allora? Costa meno e non fa chiasso!20161112_124125

 

Quando ho iniziato ad interessarmi di cani da ferma, ho iniziato ad addestrare con dei Deutsch Drahthaar in preparazione per prove tedesche e l’ubbidienza era fondamentale. Li ammiravo (ho un debole per questi cagnoni irsuti) e ammiravo i loro conduttori, non credevo però possibile che un setter inglese potesse fare altrettanto. Nel 2015, invece, sono stata in Inghilterra e ho visto setter inglesi comportarsi come i cani tedeschi che conoscevo, che illuminazione! Posso candidamente ammettere che per me, esistono un’era BE (Before England) e un un’era AE (After England) dal momento che le mie opinioni sull’addestramento e sulla conduzione dei cani sono cambiate radicalmente. Sono giunta alla conclusione che, quando si tratta di cani da ferma, ci siano due filosofie di addestramento:

  • Il Metodo Italiano: ovvero lascia fare al cane quello che vuole e… corrigli dietro;
  • Il Metodo Tedesco (ma anche britannico, scandinavo….): ovvero il cane deve fare quello che dico io, senza se e senza ma.20161112_124337

Di conseguenza mi sento “un po’” fuori posto e nessuno dei miei amici ha un cane che può uscire a caccia con Briony. L’ultima volta che siamo andati a caccia con altri cani è stato circa un anno fa. Mi avevano invitato in una bella riserva e l’ho portata: grande errore! I cani correvano in ogni direzione, non ubbidienti, non fermi al frullo inseguiti da un gruppetto di proprietari di cattivo umore. I cacciatori non riuscivano ad avvicinarsi ai selvatici a sufficienza per averli a tiro e gli animali volavano fuori dalla riserva, con i cani al seguito! Un incubo, Briony non se la stava cavando male, ma essendo l’unico cane rimasto nei paraggi era diventata una specie di parafulmine Esausta, l’ho ‘ho riportata in macchina e ho iniziato a raccogliere prugnolo. Dopo essersi calmati, i cacciatori sono venuti a chiedermi scusa, sono tornata in campo ma ho lasciato il cane in macchina, era la cosa più saggia da fare. Quest’anno, sono stata invitata ancora nello stesso posto da alcune delle stesse persone. Si tratta di buoni amici e non volevo in alcuno modo metterli a disagio: siamo andati a caccia insieme per anni ed è anche grazie a loro inviti se Briony da giovane ha potuto fare esperienza. Devo loro molto, ma non volevo trovarmi di nuovo in una situazione scomoda. Ho accettato l’invito, spiegando che non avrei portato Briony. Mi hanno proposto di lasciarmi una zona in cui cacciare da sola, ma ho rifiutato. Avrei cacciato con loro e con I loro cani. Briony avrebbe fatto una corsa da sola, a fine giornata.

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Quando sono arrivata alla casa di caccia, alle 9 del mattino, sene erano già andati. Il guardiacaccia mi ha indicato dove trovarli, una muta di SEI setter correva su e giù per la collina, ho localizzato subito tutti. Due cacciatori erano sul mio lato della collina e due sull’altro lato. Due cacciatori seguivano due cani e gli altri due seguivano i rimanenti tre. Il sesto cane era sparito. Mi sono accodata ai primi due cacciatore che ho visto passare dalle mie parti, i loro cani indossavano un GPS causa tendenza al vagabondaggio. Gli uomini sono scomparsi così come erano apparsi, i due cani bianchi avevano deciso che era il momento di andare altrove. Il guardiacaccia, sconsolato, è rimasto un po’ con me: il cane bianco mancante stava scorrazzando in un’altra zona della riserva in cui stava cacciando un cliente “importante”. Gli accompagnatori erano tutti impegnati a dare la caccia al cane bianco selvaggio che, secondo me, si stava divertendo un sacco!. Gli altri amici sono poi arrivati insieme ai loro tre setter, li ho seguiti per circa tre ore. I cani si sono dimostrati validi ma lavoravano come un branco, con Vento come capo: tutti gli altri, umani inclusi, lo seguivano. I cani sapevano trovare la selvaggina, fermarla, consentire e riportare ma… era un gioco senza regole. I cani non erano fermi al frullo e non esploravano il terreno con ordine ma, soprattutto, non si preoccupavano del proprietario. Certo, lo aspettavano in ferma perché volevano abboccare il selvatico e sapevano che prima andava sparato ma, una volta che l’animale era caduto e l’avevano abboccato, si dimenticavano subito degli umani.

Tenendo d'occhio
Tenendo d’occhio

Alla fine della mattinata, il gruppo aveva incarnierato 18 capi, tra fagiani e starne, ma si era andati su e già per la collina, dentro e fuori da boschi e roveti, camminando sugli stessi terreni per almeno due volte. Alcuni voletti di starne continuavano a svolazzare avanti e indietro, stuzzicandoci. Quando gli amici hanno deciso di tornare alle auto, io sono tornata alla mia e ho liberato Briony, questo è quanto è accaduto. Appena lasciata la macchina è andata in ferma, mi ha aspettato, ha guidato a comando ed è partita in lontananza una starna, che lei non ha visto. L’ho fermata e poi l’ho invitata a riprendere l’azione. Un’altra starna è volata verso i cespugli. Briony è rimasta immobile e abbiamo potuto ripetere la stessa azione su un terzo selvatico. L’ho lasciata giocare ancora un po’ con le starne (che a questo punto erano tra i cespugli) fino a quando i cespugli sono diventati troppo fitti per consentirmi di tenerla d’occhio. In meno di 20 minuti avrei potuto incernierare tre o quattro selvatici, senza correre avanti e indietro come una cometa, senza GPS e senza beeper. Mi sono poi spostata su un terreno più aperto dove l’ho lasciata correre e ho praticato un po’ di ubbidienza. Altre starne, non disturbate dal cane corretto, erano tranquille nel bosco sotto di noi ma lei aveva già fatto ciò che doveva fare confermandomi che la mia scelta era stata corretta e i sacrifici ben ripagati! Ero davvero contenta!

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A pranzo, quando ho raccontato tutto spigando percéè avevo condotto il cane in quel modo, gli amici erano contenti e colpiti. Qualcuno mi ha chiesto come l’avessi addestrata, ho risposto che era sì stato un lavorone. ma che chiunque avrebbe potuto farlo. Si sono detti più o meno concordi ma hanno poi aggiunto di non avere il tempo per intraprendere un addestramento intensivo. Si è poi passato a parlare di pesca e di lepri fino a quando Briony è ricomparsa nel parcheggio. Era al guinzaglio e non ha fatto nulla di speciale, a parte mostrarsi ben educata e rimanere in SIT ma altri cacciatori sono venuti tutti a vedere il “cane addestrato”. Secondo alcuni di loro sono davvero “fortunata” ad avere questo cane. Certo sono stata fortunata a trovarla quando era un cucciolo paffuto ma, quello che è venuto dopo non è stata solo fortuna. Certo, la fortuna mi ha permesso di avere la mia illuminante esperienza inglese; mi ha permesso di fare domande ed avere risposte, di avere ottimi maestri ma ho avuto anche la mente sufficientemente aperta da accettare di abbandonare un vecchio sistema di convinzioni e di iniziare a lavorare sodo secondo un nuovo schema.

Ps. Se ci sono riuscita io potete farcela anche voi! Pace, Amore e felice addestramento. Sono in modalità hippie stasera!pace-di-flower-power-e-scarabocchi-meravigliosi-di-amore-28515977




L’anello mancante: il moor

Attenzione, questo è un articolo criceto.

Che diavolo è un articolo criceto? È uno di quegli articoli che inizia a correre nella testa dell’autore come fanno i criceti sulle loro ruote. Gli articoli criceto vogliono essere raccontati e diventano impazienti quando gli tocca aspettare. Il mio criceto corre da un mese, è giunto il momento di accontentarlo. La creaturina vuole che scriva sull’anello mancante, e cioè sul moor. Quelli che mi conoscono personalmente, o che sono da tempo in contatto con me, sanno che sono un po’ strana e che convivo tranquillamente con le mie peculiarità. Però, a volte, mi sento fuori posto, come se mancasse qualcosa.

Parlando di setter inglesi, razza nei confronti della quale provo una grande devozione, mancava un pezzo del puzzle e ci sono voluti 16 anni dal mio primo setter per trovarlo. Gli adulti strani, in maggioranza, sono stati bambini strani, non faccio eccezione. Quando ancora gattonavo, non ne volevo sapere di bere latte, il mio biberon era pieno di té, per forza che poi non dormivo. A quattro anni, le maestre d’asilo hanno chiamato a colloquio i miei genitori. Erano preoccupate perché usavo troppo viola nei disegni. I miei genitori non seppero fornire una spiegazione e nemmeno io so darla, del resto sono nota al colorificio locale per essere quella che ordina un violetto erica/malva da mettere sulle pareti! A cinque anni, a colazione, mangiavo pancakes e tè, i bambini normali caffè latte con biscotti. Nello stesso periodo mi fu regalato un libro sui 25 anni di regno della Regina Elisabetta, ce l’ho ancora, gelosamente conservato nella mia biblioteca. L’anno successivo ho chiesto di essere iscritta a un corso extra di lingua inglese e, grazie al mio libro di testo, ho appreso chele case britanniche messe in vendita avevano ragni giganti nelle vasche da bagno. E, infine, a dieci anni, ero assolutamente convinta di aver “bisogno” di un setter inglese da lavoro. I miei genitori la pensavano diversamente.

Pareti... e altro!
Pareti… e altro!

Anni dopo ne ho finalmente avuto uno, ho iniziato a portarlo a caccia e a partecipare come spettatrice alle prove di lavoro. Qualcosa, tuttavia, mancava. Mi divertivo in campagna e continuavo a cercare di informarmi, leggevo, chiedevo, seguivo giudici e cacciatore più esperti ma qualcosa che non riuscivo a definire continuava a mancare. L’unica cosa che riuscivo a capire è che amavo alcuni terreni più di altri. Potrei menzionare Villa Alta a Ruino; Costa del Vento o Costa Pelata a Montalto – tutte in Appennino e tutte, ironicamente, – l’avrei scoperto dopo – abbastanza somiglianti ad un moor. Altri posti mi suonavano insignificanti. Gli italiani dicono che le razze inglesi hanno bisogno di spazio e giustificano gli estremi della Grande Cerca asserendo che queste razze sono nate per cacciare sui moors. I miei connazionali trovano perfettamente normale che un setter salti da una valle all’altra (e sia monitorato nell’impresa con un GPS) perché, dopotutto, è nato per il moor. I pointer possono spaziare anche di più, due o tre valli sono il numero ideale. Non h mai creduto del tutto a questa teoria, ma ho tenuto questa convinzione per me. Forse avevano ragione ma mi sembrava si cercasse di infilare un piede nella scarpa sbagliata.

Costa del Vento in febbraio
Costa del Vento in febbraio

Dopo tutto i setter lanciati in ampie distese pianeggianti, nei boschi o tra i roveti se la cavano piuttosto bene, la razza è sicuramente versatile e adattabile. Il mio istinto, tuttavia, continuava a dirmi che qualcosa era fuori posto. Nei miei libri e sulle mie pareti c’erano vecchie fotografie di cani sul moor ma erano in bianco e nero, non riuscivo a comprendere i colori. Nel 2008 ho acquistato alcune britanniche: il moor risplendeva in violetto! Non era solo l’erica, il cielo e la luce erano in differenti gradazioni del viola, tutta l’atmosfera era violetto! Era magico, incredibile, credevo avessero ritoccato i colori con Photoshop, a volte riesco ad essere abbastanza ingenua!

Nel 2015 sono andata su un moor per la prima volta, e tutto era incredibilmente famigliare e “normale”. I cani in corsa sul moor si inserivano perfettamente nel contesto: grouse, erica e cieli color lavanda sembravano fatti su misura per loro. Non appena ho lasciato il moor, ho iniziato a sentirne la mancanza. Sentivo di dover tornare, viverlo, capirlo. Un anno dopo, gli stessi cieli color lavanda mi guardavano dall’alto, io rispondevo con un sorriso. Ho passato un mese tra l’erica, tra le grouse, tra I cani da ferma e tutto è andato a posto: iI setter apparteneva al moor, o viceversa; le grouse gli si addicevano perfettamente e l’erica li aiutava nel lavoro, anche il tempo era splendido! Beh, il tempo sui moors è di rado splendido se lo si valuta con parametri da umani ma… se immaginate di essere un cane, il tempo è perfetto! È freddo abbastanza, ventoso abbastanza, umido abbastanza. Ero talmente abituata ad essere spazzata via dal vento da sentirne la mancanza. Ero (e resto) talmente innamorata del moor che ho condiviso subito con entusiasmo le fotografie con amici italiani. Alcune loro reazioni mi hanno sorpreso. Un amico, in particolare, si è accorto che mancavano gli alberi, li trovava luoghi molto spogli. In effetti non mi ero mai accorta che mancassero gli alberi e questo, probabilmente, è accaduto perché non li considero affatto spogli. Al contrario, sono pieni di doni, bisogna solo essere sensibili abbastanza per accorgersene. Non mi servono i boschi per dare la caccia alla beccaccia, non mi strega. So che è il selvatico preferito dai setteristi italiani e la trovo un animale affascinante ma non posso affermare di amarla. La grouse è diversa ed è una grande maestra, severa e paziente allo stesso tempo, probabilmente uno dei migliori selvatici su cui preparare i cani da ferma. Inoltre non considero i boschi un terreno ideale per il setter inglese: alberi e foglie nascondono il lavoro del cane, l’erica invece, nasconde le grouse ma lascia il cane sul palcoscenico.

Cani, erica viola e cieli lavanda
Cani, erica viola e cieli lavanda

Il moor è uno spazio sacro in in cui solo i cani ben educati sono ammessi: sul moor si addestra, si compete in prove di lavoro, si va a caccia. Per ora ho vissuto solo le prime due attività e continuerò a scriverci su, quello che posso dire, in breve è che i field trials sono differenti dalle nostre prove di lavoro. Non sono qui per affermare che siano migliori o peggiori, non riesco nemmeno a spiegare bene come le consideri, riesco solo a dire che, nella loro diversità, le trovo normalissime e… mi hanno persino dato ragione! Moor, grouse & trials insegnano ai cani di allargare, ma mi allargare “il giusto”, che è diverso dall’ “allargare follemente”. I terreni aperti sono tentatori, ma un cane intelligente e addestrato all’inglese aprirà quanto gli potrebbe essere consentito in una tradizionale – GPS free – giornata di caccia. Essendo stata la caccia la prima attività intrapresa con il cane da ferma, non posso che concordare. Forse un giorno parteciperò a una giornata di caccia alla grouse e così saranno messi i tocchi finali al quadro: setter inglesi, erica viola, profumo di polvere da sparo e cieli color lavanda.




Quando il pragmatismo incontra l’addestramento

Ci sono situazioni in cui avere accanto qualcuno pragmatico e affidabile è essenziale. Non parlo solo di quei soldati che, in battaglia,  necessitano commilitoni decisi e pieni di senso pratico, il pragmatismo serve anche ai cinofili. In special modo a quei cinofili con i capelli rossi, persi nelle loro filosofie e seguaci di sciamani, costoro hanno assoluta fame di senso pratico.

Dopo aver religiosamente seguito Penna Bianca per più di sei mesi, Briony aveva deciso che era giunto il momento di un cambiamento: pretendeva meno disciplina e più libertà, due entità che faticano a trovare un punto d’incontro. I terreni di addestramento di Penna Bianca, inoltre, non erano più disponibili: l’erba medica era già alta e le altre coltivazioni in piena crescita. Non sapevo dove andare, la primavera aveva portato con sé un sacco di colture in atto che rendevano impossibile liberare il cane. Potevo solo andare in zone B (addestramento cani senza sparo) e C (addestramento cani con sparo) e così ho fatto. Le prime sessioni di addestramento sono state brevi, volevo andare sul sicuro fino a che… una mattina… è comparso C. accusandomi di addestrare a “passo di lumaca”.

Ho incontrato C per la prima volta nel 1999,  avevo appena detto addio al Massachusetts, il mio cane precedente era morto e avevo deciso che era giunto il momento di concedermi un setter inglese, ne avevo desiderato uno fin dall’età di 10 anni del resto!  Grazie alla mia innata tendenza a salvare il mondo e a recuperare esseri in difficoltà, non  volevo assolutamente un cucciolo, volevo un povero cane scartato da qualcun altro e lo ottenni! Mi sono innamorai di un maschio bianco arancio, era un cane molto dolce e gentile che subito contraccambiò i miei sentimenti, ma con troppo entusiasmo: dopo poche ore a casa mia, aveva già sviluppato una grave forma di ansia da separazione. Sapevo che era stato poco socializzato, che aveva vissuto in un recinto per anni e che era stato addestrato (ovvero maltrattato) da un addestratore professionista. Sapevo che aveva tutte le ragioni per comportarsi così, ma vivere con lui era un inferno. Feci tutto quello che andava fatto: iniziai una terapia comportamentale; partecipai a lezioni di ubbidienza; iniziai ad addestrarlo per la ricerca dispersi, somministrai antidepressivi ma il cane migliorava in maniera molto lenta e poco convincente. Il suo allevatore, nel frattempo, felice che il cane fosse in buone mani, mi diede il pedigree, attraverso il quale scoprii che si trattava di un cane da lavoro di ottima genealogia. Socks era il mio primo cane da ferma e sapevo molto poco su di loro ma, la mia esperienza con altre razze canine mi portò a pensare che,  FORSE,  permettergli di fare ciò per cui era nato gli avrebbe consentito di superare alcune sue paure.

Socks a 13 anni riporta un fagiano
Socks a 13 anni riporta un fagiano

Onestamente non avevo idea di come dovesse lavorare un setter inglese, di come andasse condotto e di cosa dovessi insegnargli. Mi misi a leggere libri, che è quello che faccio quando voglio apprendere qualcosa, ma volevo incontrare qualcuno che potesse darmi un supporto di persona. Visti i problemi comportamentali di Socks, non potevo affidarlo ad un dresseur e lasciaro a lui in pensione, eppure gli unici addestratori di setter proponevano quella formula. Provai a chiedere ad alcuni cacciatori ma nessuno di loro sembrò prendere sul serio una giovane e inesperta donzella… Le donne appassionate di setter da lavoro sono rare, e meno ancora erano nel 1999: era – e resta – un mondo dominato dagli uomini. Le opportunità, tuttavia, saltano fuori quando meno te lo aspetti e Monica, una donna che addestra drahthaar nell’assolata  Toscana, mi telefonò per dirmi che aveva le “persone” per me e che si trovavano a pochi chilometri da casa mia. Per farla breve, Monica aveva contattato due famosi addestratori e conduttori di drahthaar e li aveva convinti ad aiutarmi. Uno di loro non aveva tempo in quel periodo (ma mi aiutò dopo) mentre il secondo fu abbastanza coraggioso da accettare di lavorare con noi.

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Per circa due mesi addestrai almeno due volte a settimana con C. che, all’epoca, era già abbastanza noto comne addestratore sia in Italia che in Germania. Lavorammo soprattutto sul richiamo e mi insegno molti elementi di addestramento essenziali che mai avrei immaginato: come usare il fischietto, come tenere il cane concentrato su di me cambiando spesso direzione eccetera. Socks migliorò, e continuai a lavorarlo da sola e per se stesso: sapevo che non sarebbe diventato un grande cane da caccia ma volevo che fosse felice e diventasse più sicuro di sé. Credo che il mio ultimo addestramento con Claudio sia avvenuto su quaglie, nel 2004. Dopo quell’anno mi spostai a lavorare socks in collina, con altri setter e per parecchio tempo non ci furono più occasioni per lavorare insieme. Ciò nonostante, restammo in contatto e gli mandai diversi clienti a quattro zampe che, insieme agli altri cani addestrati, lo trasformano in uno dei migliori addestratori per cani da ferma continentali che io conosca.

C. si è specializzato nella preparazione di drahthaar per prove tedesche (VJP/HZP/VGP) e nella preparazione di cani da ferma da portare a caccia. Pertanto, incontrarlo in zona C non mi sorprese affatto. Era alle prese cin una kurzhaar che amava ingoiare le quaglie: osservai tutta la scena, la sua allieva riportò perfettamente alla mano dopo lo sparo. Impressionata chiesi al guardiacaccia “se C.  avesse già risolto il problema”.

“No… La cagna con lui non mangia la quaglia, solo con il proprietario. Non so, forse è una faccenda di postura e di linguaggio del corpo, prova a farci caso… Però bisogna che la cagna sbagli per poterla correggere. E’ il miglio addestratore che lavora sul mio terreno.”

Continuai a guardare e non accadde nulla fino a che venne il mio turno. “Lasciala andare” – urlò qualcuno alle mie spalle – ” ma sii ferma quando fischi e grida se necessario. La chiave alla libertà è il controllo”,  più facile a dirsi che a farsi.

Lasciala andare
Lasciala andare

Quando C. scoprì che stavo preparando Briony per le prove su grouse iniziò a comportarsi come se volesse essere parte del progetto. Ci incontravamo sul terreno per caso, quando capitava, ma ogni volta aveva qualche buon consiglio da darmi. Non cercò mai di addestrare Briony al mio posto, né sollevò mai obiezioni ai metodi dello Sciamano, si limitò ad intervenire con fermezza e pragmatismo per velocizzare l’addestramento e rendermi più sicura di me stessa e delle mie capacità.  Credo che in qualche maniera abbia addestrato me: è stata la persona che mi ha spinto a togliere la corda di ritenuta e a passare dalle quaglie alla pernice e al fagiano per verificare la solidità al frullo di animali più grandi. Mi ha anche incoraggiato a credere di più nel cane e a lavorarla su terreni diversi e selvatici diversi per testarne le reazioni.  Ogni volta osservava la mia conduzione, correggeva i miei errori e ricreava nuovi e più difficili contesti, una cosa molto astuta,  per metter alla prova il cane.  Ha minimizzato le miei preoccupazioni sui conigli e mi ha persino prestato un costosissimo lanciavolatili raccomandandomi, un’infinità di volte, di spegnerlo e di non perderlo (non che fosse piccolo!).  Quindi, ecco, grazie C.  per essere stato una di quelle persone esperte e disponibili che avete reso possibili le prove grouse per me e per Briony.




Ritorno alle origini (Sentieri di Caccia Novembre 2015)

Interrompo la serie su Hutchinson (momentaneamente) per promuovere un mio articolo attualmente in edicola.  So che può suonare poco modesto auto-promuoversi in maniera sfacciata ma è un pezzo molto sentito e, pertanto, un buon pezzo. Se siete curiosi di saperne di più sui cani da ferma britannici (setter inglese, irlandese, gordon e pointer) nel Regno Unito e sulle prove di lavoro (sul Champion Stake in particolare) laggiù investite… 5 euro per acquistare Sentieri di Caccia di Novembre 2015 e…. buona lettura!

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Il mastocitoma canino

Mi ero ripromessa di NON trattare argomenti di veterinaria su Dogs &  Country poiché ne vedo a sufficienza sui libri. Il giorno in cui mi sono fatta questa promessa, però, ero sicura che l’avrei prontamente infranta. L’occasione  è il saluto a Flo, una setterina tricolore volata sul Ponte dell’Arcobaleno a causa di questa malattia. Il mastocitoma canino è una neoplasia molto frequente nel cane, se non ricordo male, la più frequente neoplasia cutanea. Si tratta di un tumore maligno il cui andamento ,però, è molto variabile e dipendente sia dal grado istologico (abbiamo mastocitomi di I°, di II° e di III° grado), sia dalla capacità di reazione del organismo. Ovviamente un mastocitoma classificato come di III° grado è più grave di uno di I° grado ma il grado, da solo, non ci dice quanto potrà sopravvivere un cane affetto.FLO231210 (trascinato)2

Conosco il mastocitoma perché ne ha sofferto anche il mio setter precedente, Socks.  Nel suo caso i mastocitomi avevano assunto aspetti variabili: potevano assomigliare a dei ponfi, ad un lipoma o ad un granuloma. Essendo molto pignola e molto china su libri di medicina veterinaria, mi sono preoccupata subito nonostante le neoformazioni avessero un’aria innocua. Dopo il primo intervento (erano di I° grado) ne sono spuntati di nuovi, una volta tolti anche questi, il cane ha vissuto fino a 15 anni e mezzo, per cui posso dirmi  fortunata, anche se la diagnosi iniziale mi aveva parecchio allarmato.

Lo scorso gennaio, un’amica che è andata a vivere in un’altra città, ha contattato perché la sua setter (una ex setter da caccia che le avevo “procurato” io) non stava affatto bene. I sintomi di Flo erano seri, per non dire allarmanti per cui le ho sconsigliato di non attendere di poter vedere il veterinario curante nella vecchia città e l’ho riferita ad un’amica veterinaria con ambulatorio in Milano. FLO231210 (trascinato) 32

Credo che questa veterinaria, che per altro ha lavorato egregiamente, avrebbe preferito le inviassi un caso destinato ad avere un lieto fine.  Tutti ci abbiamo sperato: la situazione di Flo è apparsa subito molto grave, ma si sperava di poter stabilizzare il paziente e intervenire chirurgicamente sul paziente (la chirurgia è il trattamento d’elezione per il mastocitoma), in un secondo tempo.  I sintomi di Flo non mi piacevano, ma volevo provare ad essere ottimista: se c’è uno spiraglio di luce bisogna seguirlo!  La setter, purtroppo,  è sopravvissuta solo un mese dalla diagnosi di mastocitoma. Non sapremo mai di che grado fosse il tumore ufficialmente (probabilmente di III° grado) perché per ottenere tale parametro occorre un esame istologico, esame che si effettua dopo la chirurgia.  Flo ha vissuto bene il suo ultimo mese di vita, mi piace pensare che se lo sia guadagnato per regalare ai proprietari un addio meno repentino.

Se avete un cane, specie se appartenente a razze predisposte (cito ad esempio boxer, il boston terrier, lo shar-pei e setter inglese, ma ce ne sono molto altre), che presenta masse cutanee di vario tipo su tronco e arti  fatelo controllare. Non fermatevi davanti a rassicurazioni sommarie perché il mastocitoma può assomigliare a qualsiasi altra cosa, non per nulla è chiamato anche “il grande imitatore”. Se rinvenite neoformazioni cutanee NON schiacciatele, potrebbero essere mastocitomi e allora fareste un disastro, andate da un veterinario!FLO231210 (trascinato) 51

Il mastocitoma di Flo, dal momento in cui si è reso manifesto, è apparso subito particolarmente aggressivo pertanto non credo che una diagnosi un po’ più precoce avrebbe cambiato il corso degli eventi ma in tanti altri casi una diagnosi precoce  ha fatto la differenza.

Le illustrazioni che accompagnano l’articolo raffigurano Flo e sono opera dell’illustratore spagnolo Oscar Martinez, in arte Barateria.