Il cane da caccia
Questo è l’articolo a cui i precedenti due sono preparatori. Se non li avete letti, lo capirete lo stesso ma lo comprenderete meglio andando a dare un’occhiata a quanto scritto nei giorni scorsi. Questo è l’articolo che non vedevo l’ora di scrivere: mi sono dovuta frenare intrattenendovi con cose più noiose ma… necessarie, proprio come l’addestramento di base. Spesso elaboro gli articoli camminando, e camminando ho riflettuto sul titolo: volevo chiamarlo il “cane perfetto”, il “cane ideale”, il “cane utile”, ho deciso di chiamarlo semplicemente il cane da caccia, nessun avverbio e nessun aggettivo, perché quello che leggerete altro non è che un ritratto iperrealista di come deve,o dovrebbe essere, un cane da caccia.
“Queste osservazioni (degli articoli 1 e 2 n.d.a) portano inevitabilmente a pensare che nessun cane può essere considerato perfettamente addestrato a meno che non vada in ferma non appena percepisca la presenza di selvaggina e resti lì in mobile fino a che non gli ordinate di avvicinarsi; che non si metta a terra nel momento stesso in cui sparate, senza che proferiate alcun comando verbale e che, successivamente, si impegni a cercare il capo abbattuto nella direzione da voi indicata. Tutto ciò senza che voi dobbiate mai dire nulla fuorché “Trova” a bassa voce mentre si avvicina al selvatico morto, come spiegherò in seguito”. Hutchinson – Dog Breaking 1865
E’ probabile che riterrete quanto preteso da Hutchinson un’esagerazione, ma questa – errata – percezione è il solo il frutto di una prassi (è inopportuno parlare di cultura!) venatoria che ritiene l’addestramento superfluo, se non addirittura nocivo. Per non offendere nessuno, intanto, parlo per me. Ho lavorato sul Briony, fin da piccina, per darle un minimo di educazione di base. Oggi è un cane piacevole, sa stare in casa, sa stare in mezzo alla gente (bar, negozi, ristoranti, alberghi eccetera) e sa viaggiare in automobile. Insomma, sa comportarsi, ha imparato persino come ci si muove nei ring delle esposizioni, ed è anche grazie al suo lasciarsi condurre piacevolmente se abbiamo conseguito il Campionato Italiano di Bellezza. Però, da piccina, non era un cucciolo molto sicuro di sé e proprio per questo ho rimandato ad età adulta addestramenti più impegnativi.
Come cane da caccia non manca affatto di qualità naturali, cerca (sfruttando naturalmente bene il terreno), ferma, consente, recupera (bene) e riporticchia, oltre ad essere ben collegata. Fino a qualche mese fa mi consideravo soddisfattissima del risultato ottenuto. Del resto mi capita di vedere e di cacciare con cani di tutti i tipi, mediamente ben più ineducati e inaffidabili della mia. Gli unici cani che ho visto sempre lavorare a puntino appartengono a un gruppo di drahthaaristi integralisti che, con grande affetto e stima, ho sempre reputato un po’ “nazisti”. Data la loro impostazione mentale e vista la razza, mi sembravano risultati normalmente raggiungibili con i loro cani, non con un setter inglese. Altri sporadici cani “illuminati” erano sempre continentali, cito per esempio Junus von der Himmelsleier kurzhaar di Elena Villa.
Così, felice come la vispa Teresa mi aggiravo beata con la mia setterina imprecisa. Io e il cane siamo stati sereni fino a quando a me non è venuta la malsana idea di andare a vedere come lavorassero i suoi “parenti” in Britannia. Ecco, per stare in tema anglosassone, lì ho avuto quella che James Joyce chiama “epifania” ovvero la rivelazione improvvisa di una verità nascosta. Cioè, il mio inconscio probabilmente sapeva cosa andava fatto con il cane ma la mia mente razionale cercava di tenermelo nascosto. Vedere quei setter e quei pointer perfettamente “in mano”, fermi al frullo, pronti a consentire al minimo cenno, pronti a rientrare dopo mezzo fischio – e senza per questo perdere iniziativa, mi ha completamente rapito.
Ho visto la luce ma, subito dopo, la lampadina si è spenta e io e il mio cane siamo tornati al buio. Non ho dimenticato quella luce però e ho deciso che dovevo fare qualcosa: era mio dovere provare ad arrivare a quel livello. Non dico riuscirci ma almeno provare. Questa mia decisione ha stupito un po’ tutti, cane incluso. Prima di tutto ha stupito gli italiani che ritenevano il mio cane già abbastanza a posto e che ritengono inutile, superfluo e persino dannoso il mio piano d’azione. Contemporaneamente ha stupito anche gli inglesi che non capiscono come abbia fatto a tenermi un cane così selvatico fino ad ora. Secondo loro è inconcepibile andare a caccia con un cane che non sia come quello descritto da Hutchinson (nel 1865!!!) e non riescono a credere che i cani da caccia italiani siano anni luce da quel livello educativo. Non sto scherzando, non credono che io portassi abitualmente a caccia un cane non perfettamente fermo e al frullo e allo sparo e non credono che cani lanciati dal bagagliaio e lasciati liberi e selvaggi siano la normalità.
Briony è insomma l’equivalente di una signora che in ciabatte e vestaglia si reca a un’importante evento mondano: starebbe meglio con i tacchi e con un abito da sera, paragone non venatorio ma efficace. Però atto di ciò ci stiamo lavorando ovvero stiamo investendo tempo e impegno, nonché sacrificando giornate di caccia affinché torni sul terreno nella sua nuova versione migliorata e corretta. Nonostante le difficoltà sono felice di questa scelta e, vivendola sulla mia pelle, mi viene da ripensare all’articolo di qualche tempo fa e mi chiedo se ritenere normale la condotta dei cani indisciplinati altro non sia che una giustificazione alla pigrizia.