Quattro passi dentro casa: La libreria a sud, il piano attico

Ci ho pensato, riflettuto, e ripensato: anche le librerie
meritano di essere raccontate.  Magari a
rate, per non tramortire, e inframmezzate con elementi più leggeri. Le mie
librerie sono pesanti, sovraccariche. In tutti i sensi.

La libreria ha sud, è in realtà, una delle due che poggiano
contro il muro meridionale della stanza. Abbiamo la libreria vera e propria, e
la sua cucciola, che ha solo tre ripiani. A separarle c’è un cassettone che per
il momento non avrà voce in capitolo. La libreria a sud è uno scaffale
bianco-giallognolo che appartiene alla serie Billy di Ikea. È il primo mobile
che ho comprato da Ikea, il primo mobile che abbia mai montato da sola. Il
fatto che si chiami come un cane, per l’esattezza come l’ex cane di mia nonna,
deve avermi aiutato non poco.

Ikea è sempre una sorpresa: studi il catalogo; decidi cosa
vuoi; vai in negozio; vedi gli ambienti; vai in magazzino; rintracci il tuo
prodotto e scopri, ogni sacrosanta volta, che l’agognato elemento d’arredo è
uno scatolone piatto e lungo. Ci vuole molta fantasia ad immaginarlo in tre
dimensioni, e ce ne vuole ancora di più a dargli l’opportunità di trasformarsi
in un mobile vero. Siccome non ho mai avuto come coinquilino il caporeparto del
Leroy Merlin, ho sempre affrontato le istruzioni di Ikea in prima persona e
rigorosamente da sola: non amo ricevere suggerimenti in quei frangenti. Potrei
reagire male, molto male, è meglio che mi sentano solo viti e bulloni, o
finirei con l’iniziare una nuova carriera al porto di Genova. E poi, vuoi
mettere, trasformare la confezione lunga e piatta in un mobile vero? Tutto da
sola?

La libreria ha sei ripiani, ma oggi ci soffermeremo sul
primo dall’alto: il piano attico. Un libro non dovrebbe mai augurarsi di finire
al piano attico. Se è stato messo a dimora lì, significa che non te ne importa
abbastanza. Non verrà sfogliato spesso, né verrà spolverato. Più è basso il
proprietario, più questa cosa sarà tragicamente vera. Sul mio piano attico c’è
un gruppo eterogeneo di libri, scritti in italiano, in inglese e in francese.
Gli argomenti sono i più disparati: abbiamo una raccolta di Hemingway; un libro
di scienze forensi; Libertà di Franzen; robette commerciali; un bel saggio – in
verità un po’ tirato – sul ruolo della donna nella caccia, scritto da
un’antropologa; un manuale di obedience canina anni ’60; un libro che ci
hanno fatto leggere in terza elementare; dei saggi di filosofia e alcuni libri
scritti da autori nippo-americani.

La letteratura nippo-americana, o giapponese-americana, è
pressoché sconosciuta in Italia, forse perché pochissimo è stato tradotto
dall’inglese. Durante la Seconda Guerra Mondiale, questo gruppo etnico è stato
oggetto di forti discriminazioni, culminate con la reclusione di migliaia di
persone in campi di internamento. Gli scrittori nippo-americani hanno nomi
giapponesi: sono nati negli Stati Uniti da genitori giapponesi. La mia
preferita, quella su cui ho scritto la mia tesi di laurea, magistrale, è Hisaye
Yamamoto. Seventeen Syllables (diciassette sillabe), la sua raccolta di
racconti, alloggia altrove, è a portata di mano.

Alla descrizione della mensola, è seguito un forte impulso a
sgomberare: ma tutti i libri del piano attico si sono salvati, ad avere la
peggio sono stati dei CD. Gli inglesi lo chiamano decluttering
(rimozione del clutter, cianfrusaglie) e sono volate nel bidone un po’
di cose, non troppe perché la discarica è chiusa. Ho passato gran parte della
mia vita ad accumulare, fino a quando, frequentando un corso di feng shui,
ho cambiato prospettiva. Il fatto che io abbia fatto un corso di feng shui,
non vi deve stupire, sarei capace di seguire anche corsi su come dipingere il
carapace delle tartarughe. Il fatto che invece abbia iniziato a liberarmi degli
eccessi, invece, ha stupito anche me. Non succede sempre-sempre, ma adesso da
alcune cose riesco a staccami. Il libro sul feng shui, però, è al piano
sotto, il che mi impone di rimandare ulteriori approfondimenti. Decluttering,
tuttavia, suona bene con book crossing e, i miei primi esperimenti di
sgombero, hanno riguardato proprio i libri.

In effetti ne ho parecchi, anzi ne ho troppi: cauti e
silenziosi, i libri hanno preso possesso di questa casa. Ho iniziato a leggere
quando non sapevo ancora leggere: guardavo le figure o, peggio, pretendevo che
gli altri leggessero per me. Sin da bambina, ho chiesto e ricevuto in regalo,
un sacco di libri, e quando dico “sacco” immaginatevi una valanga. I genitori
sanno dire no a un giocattolo, ma se chiedi un libro non gli sembra di
viziarti.

Le biblioteche le ho invece sempre frequentate con
parsimonia: andava spesso a finire che, una volta riportato il libro a casa
sua, ne andassi a comprare una copia per conservarla in eterno, tanto valeva
comprarla da subito senza fare tanti giri. Non paga del cartaceo accumulato,
quando mia nonna ha traslocato, mi sono portata via anche tutti i libri che
stavano lì, con la scusa che la nuova casa era più piccola.

Accumula che accumula, post feng shui, venne il
giorno in cui un vicino di casa, dovette mettere a disposizione il suo Apecar
per trasportare, in diversi viaggi, i libri che avevo deciso di donare alla
biblioteca del paese. Questa storia dell’Ape che sfrecciava avanti e indietro
sulle strade di campagna la racconto con un pizzico di orgoglio, per essermi
scrollata di dosso quintali di libri, e con una punta di imbarazzo, per averne
accumulati così tanti di cui, in fondo, mi importava così poco.  A quel grande esodo, ne sono seguiti di minori:
ogni tanto di o tre libri prendevano la via della biblioteca. Quali libri?
Quelli che avevo già letto e che non mi erano piaciuti. Quelli che avevo già
letto, ma non avrei riletto e, infine, quelli che non avevo mai letto, e non
avrei mai letto. Yes, because, in una delle mie fasi di accumulo pre- feng
shui
avevo scoperto l’Augusto.

L’Augusto è l’omino che vende i libri usati in Piazza del
Duomo a Pavia, nei giorni di mercato. Con la scusa che costavano poco, che
erano interessanti e che avevo imparato a montare librerie, col vai e vieni
dall’Augusto, in pochi mesi ne ho riempite altre due. Hai voglia a sgomberare,
a una libreria si sono sfondati i ripiani e, interpellato l’aggiusta-tutto, si
è rifiutato di aggiustarla, fino a che non l’alleggerisco. Campa Cavallo che
l’Erba Cresce, sono quasi sicura che il surplus librario sopravviverà
alla quarantena. Eppure, sono cambiata: romanzi, narrativa e libriciattoli vari
li leggo in ebook, anche perché non saprei dove metterli; acquisto libri
cartacei con misura e continuo a donare, ma, a guardarsi intorno, è rimasto
tutto uguale.

Le biblioteche però, le ho abbandonate: volevo che i libri
fossero disponibili per la comunità, volevo poterli magari andare a trovare se
ne avessi sentito la mancanza e, invece, ho tragicamente scoperto che i libri
non sarebbero rimasti lì. Niente macero, NO PANIC, ma li avrebbero girati a
carceri, sale d’attese d’ospedale, scuole, eccetera eccetera. Bene, ma non
benissimo, non li volevo rinchiusi forzati in un luogo sconosciuto, così ho
cambiato approccio.

Taaanti, anni fa, durante il mio primo viaggio all’estero da sola, in Irlanda, avevo trovato un libro su un autobus di Cork: On the Road, di Jack Kerouac. Quel libro voleva viaggiare, infatti è arrivato fino in Italia, così, ricordandomi di lui, ho iniziato a pensare che il destino di un libro era quello di trascorrere la sua vita su uno scaffale, ma solo se amato, o di viaggiare libero fino a trovare “il suo posto”. I libri che escono di qui, e che nessun amico vuole adottare, oggi vengono liberati attraverso un circuito di book crossing, gli auguro buona vita e li immagino in tanti luoghi e in tante avventure. Libertà!

Se ti è piaciuto qui puoi leggere il precedente e qui il successivo.




Dare fiducia a uno spirito libero

Questo articolo nasce dalla passeggiata in campagna di stamattina, le mie camminate in campagna sono sempre buona fonte di ispirazione!

Oggi ho pensato che, quando esci con un setter inglese, tutti i tuoi sensi devono essere attivi al fine di localizzare il cane che, come la razza comanda, appare e scompare. Lo puoi sentire quando è dietro agli alberi, o quando sta uscendo da un cespuglio; lo puoi vedere quando corre libero si terreni aperti. A volte, quando si rotola in “qualcosa”, ne puoi perfino sentire l’odore. No, non puoi sentirne il sapore, né toccarlo ma, negli anni, hai sicuramente sviluppato un sesto senso capace di dirti dove si trova il cane, cosa sta facendo e da che parte lo vedrai ritornare.

Mentre tenevo le antenne accese, ho incontrato un uomo con una golden retriever. Gli trotterellava accanto, mansueta, tenendo in bocca un grosso ceppo. Mi chiedo se sarei felice con un cane simile o se, al contrario, mi annoierebbe. Poi, quando Briony correva a tutta velocità in una risaia, abbiamo incontrato un runner con un cane corso e con un cane primitivo, più grande di uno shiba e più piccolo di un akita. È rimasto impressionato dal richiamo ma, ancora di più, dalla velocità e dall’ampiezza di cerca. I cani da ferma inglesi, fatta eccezione per il gordon – ogni tanto, sono i cani da ferma più estremi. È difficile per un proprietario di cani da compagnia riuscire a capirli. Restano perplessi quando il proprietario di un setter (o di un pointer) rifiuta di sguinzagliare il cane su un piccolo appezzamento di terreno circondato da strade, spiegando che è troppo piccolo e quindi non sicuro.

Non riescono a capire che quegli spazi sono piccoli: lasciate libero un pastore tedesco o un border collie, saranno sempre attenti, pronti ad obbedire agli ordini, nascono per questo; un dobermann o un rottweiler terranno sempre d’occhio il proprietario, perché il loro istinto gli chiede di proteggerli. Con un setter inglese le cose vanno diversamente: il regalo migliore che possiate fare a un setter è la libertà. Certo, a loro piace anche russare su superfici morbide, gli piace mangiare bene ma, se vuoi davvero far felice il tuo setter…  lascialo libero! Il suo muso simpatico diventerà un felice muso simpatico e lui inizierà ad esplorare. Un setter inglese libero non starà a preoccuparsi del padrone. Sono cani che guardano Discovery Channel, sanno benissimo che noi possiamo cavarcela da soli mentre loro sono impegnati a esplorare il mondo, trovare selvatici… ci sono un sacco di cose interessanti in campagna! Dare libertà a un setter inglese è un po’ come portare un maiale in un ristorante all you can eat, o regalare a una donna la carta di credito di qualcun altro! Così tanto entusiasmo mette a dura prova il controllo!

Un setter inglese libero può prestarvi più attenzione se portate un fucile: i cani usati a caccia sanno fare gioco di squadra e la maggior parte di loro è felice di andare a recuperare un selvatico abbattuto. È così che la maggior parte dei cacciatori controlla il proprio setter. Le cose diventano più complicare se non avete armi con voi: il setter (o il pointer), non trae beneficio dalla vostra presenza… ed è questa la parte che mi piace di più! Perché qui entrano in gioco la relazione, l’addestramento e la fiducia RECIPROCA.

Relazione: beh, è elementare, devi avere una relazione con il tuo cane! Lui deve avere fiducia in te (fiducia reciproca, vedi sotto), perché sa che non limiterai la sua libertà, per lo meno non troppo. Lui tornerà da te, o eseguirà i tuoi ordini, e poi sarà di nuovo libero.

Addestramento: l’importanza dell’addestramento non deve mai essere sottostimata. Insegnare a uno spirito libero un richiamo efficace non è facile. Ma sono la prova vivente che l’essere umano modello base può farcela.

Fiducia: sta alla base di tutto. È quello che ti permette di lasciare libero il tuo cane sapendo che tornerà. Devi davvero credere al tuo setter: alcune persone vanno in panico quando vedono quanto forte e lontano questi cani possano andare. Ma se davvero vuoi bene a “qualcuno”, e specialmente se “qualcuno” vive per la libertà… lascialo libero!