I meccanismi della venaticità di Angelo Cammi

Allevatore di setter inglesi e giudice ENCI/FCI

I macroelementi sono facilmente identificabili anche da chi ha poco esperienza o competenza, si manifestano nelle situazioni contingenti, risultano ben evidenti e per questo “misurabili”. La ferma è in effetti l’espressione di una caratteristica di base che rimarca ed evidenzia la fase conclusiva del lavoro; sono rilevanti la tensione e l’espressione, diverse a seconda della razza. Ciò che  conta però ai fini della valutazione complessiva, è la parte a monte che contiene evidenze concrete e/o di natura potenziale, di solito appena percettibili, alla portata di persone che hanno la passione di approfondire.

Comunque, se nello sviluppo della caccia e delle note regolamentari, non sono presenti e operativi  i “meccanismi” significa che le stesse (note), sono disattese nella parte concettuale e centrale e si è dato spazio invece a manifestazioni estetiche che nel tempo annulleranno ciò che non si è sviluppato continuamente con la funzione. Perché ai tempi venivano considerati eccezionali i soggetti grandi cacciatori che nelle prove riuscivano a collocarsi sempre ai posti alti delle classifiche per rendimento e tipicità ? Perché rappresentavano veramente la razza sotto tutti gli aspetti, anche quelli morfologici pur se non prevalenti. Ricordo setter magnifici con affisso del Tidone e del Volo. Le stesse note, di cui sopra, prevedono peraltro che le tipicità di razza siano interagenti con la concretezza della fase realizzativa. Ogni particolarità deve essere strettamente collegata alle altre di simile fondamento determinando un unicum che rappresenterà, nel contesto, un blocco di energia psico-fisica, fasciato dalla tipicità della razza.

Pointer inglese riporta

ISTINTO: facoltà di conoscere un oggetto o una situazione senza la mediazione del ragionamento; perspicacia, acume, assoggettato alle identità di razza.
INTUITO: tendenza innata che spinge gli esseri viventi ad adottare comportamenti fondamentali.
POTENZIALITA’: carattere e contenuto di ciò che è ancora in potenza e non in atto; visibile da un occhio esperto che sa leggerne i sintomi.
PREDISPOSIZIONE: disposizioni innate, inclinazioni, tendenze, vocazioni.

L ‘intuito è equiparabile al “senso del selvatico”? Se si manifesta in un certo ceppo e con frequenza, è certamente un’abitudine assecondata da elevati elementi funzionali; utile coltivarlo quindi per la probabile fissazione.
I geni sempre e sicuramente trasmessi a tutti gli individui sono i vitali, i funzionali – che mantengono efficienti i comportamenti preposti alla vita -, i riproduttivi per la conservazione della specie.
Esistono alcuni caratteri aggiuntivi che si formano in condizioni particolari, definiti di origine ambientale. Collaborano alla loro fissazione situazioni simili per contenuto, ripetitività ed intensità: le abitudini.

Un cane da ferma assume in linea di massima come apparato genetico standard, la passione per il lavoro, la conformazione,l’equilibrio,l’intelligenza e un marcato grado di affettuosità (i cuccioli appena nati, cercano la mamma,cercano le sue attenzioni, in sostanza quel grado di affettuosità che genererà un rapporto vitale madre-figlio); tutto ciò contiene un potenziale affidamento per la costituzione di un vero rapporto di fiducia uomo-cane e viceversa. Il cucciolone ancor prima di dimostrarsi cacciatore, cerca fortemente “l’amicizia” dell’uomo, concretizzata dall’espressione mimico-gestuale di un potenziale istinto che è alla base della sua formazione come cane da caccia gestito dall’uomo. L’autonomia (altro micro-meccanismo), associata alla cerca, al collegamento, ecc., va gestita, fatta comprendere ma non soffocata da interventi drastici, inidonei ad insegnare; l’insegnamento aiuta il cane a capire ed eseguire secondo indicazioni serene e razionali. Durante l’insegnamento tenere nella massima considerazione,l’espressione dell’occhio. L’espressione dell’occhio (sguardo) quindi,coadiuvata dal colore dell’iride, è un ulteriore indicatore delle sensazioni, esprime gioia, timore, addirittura forti stati emotivi supportati dalla paura, e se si può dire di un cane,dagli stati d’animo. Il colore è rappresentato da geni specifici, come quello del mantello e/o delle mucose e delle unghie. L’intelligenza può essere considerata come coadiuvante delle sensazioni; un surplus, che genera una miscela che potrebbe essere la stessa predisposizione. La riproposizione di queste analisi serve a mantenere viva la base della struttura psichica presente nel cane ed espressa con il temperamento, autentico operatore di scelte ed iniziative nell’attività venatoria. Ha valore concreto quel cane che corre spinto dall’avidità, non ha valore alcuno il cane appartenente alle razze da caccia che corre per il gusto di farlo. Se quest’ultimo genera qualche figlio con il suo “difetto grave”, potrebbe significare che i geni anomali  della corsa si è fissato. E’ meglio allora che i suoi cromosomi rimangano in lui.

Come già ribadito, si manifestano cromosomi portatori di geni “costruiti dalle abitudini” (positive) (A), ed altri formati da altrettante abitudini decisamente negative consistenti, ad esempio, in “sistemi di addestramento” duri e coercitivi (B)  agli antipodi della corretta preparazione. Nel momento dell’accoppiamento i cromosomi trasportano i propri geni sia maschili che femminili ed ognuno vuol piazzare la propria dotazione, in questo contesto, vince il più forte, o il più veloce. Sarebbe interessante capire se si abbinano prima i geni “classici”, o quelli “aggiuntivi”. Per correre meno rischi, gli esperti suggeriscono di stare alla larga dagli iper che primeggiano, ma dei quali non si conosce la storia, quella vera che può darci indicazioni, non i certificati che sino a prova contraria, ci fanno leggere solo nomi. E’ saggio invece concentrarsi sui soggetti che da generazioni, mantengono tipicità e positività. Anche alcune caratteristiche desiderate, difficilmente si riproducono perché hanno una fisionomia di duplice formazione (es. la meccanica del movimento dipende dall’apparato scheletrico e muscolare, ma il comando arriva dal temperamento e questo (altra dote morale ) può intervenire iniettando tipicità oppure mediocrità. Un gene è portatore di un solo carattere.

Confrontando per esempio, una potenzialità positiva (A), con un gene “imposto” (B), prevarrà la prima, dato che rimane nel solco della “regolarità” rappresentata da procedure che assecondano il carattere e l’indole. Il tipo (B) è frutto di una anomalia non prevedibile nel percorso educativo. Una sorta di gesto contro natura.  I “macro” come la ferma, il riporto ed il consenso, si manifestano almeno nel 95% dei casi. Il cinque per cento restante, fa parte dei risultati “selettivi” di chi considera per esempio la ferma un opzional, il consenso qualcosa che è meglio non sia naturale, il riporto un passaggio totalmente inutile, la filata una perdita di tempo ed il collegamento addirittura un’assurdità! Eppure l’identità è rappresentata dai “macro”, ai quali si possono abbinare i meccanismi potenziali e/o occulti, che rimangono tali nel periodo iniziale dello sviluppo. Un mondo inesplorato. La preoccupazione consiste nell’ipotizzare una diminuzione del 95%.

Le potenzialità abbinate a predisposizioni, possono concorrere alla specializzazione. Ho avuto modo di verificare che nascono cani che ancora cuccioloni passano sempre o quasi, in tutte le uscite, dal prato al cespuglio, al boschetto. L’ipotesi è di portatori di un gene di natura ambientale fissato da avi che hanno sempre cacciato prevalentemente e/o esclusivamente nel bosco, ma se anche altri loro fratelli di cucciolata, tutti o anche solo una parte, hanno la medesima predisposizione, l’ipotesi è molto vicino alla realtà di un consolidamento di quei geni. L’istinto e l’intuito credo che non siano adeguatamente considerati e sono convinto che entrambi si esprimano differentemente a seconda della razza. Non è detto che siano sempre entrambi presenti e non è detto nemmeno che abbiano affinità. E’ certo comunque il loro apporto positivo.

Se siete appassionati di cani da caccia non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




La paura dello sparo: ulteriori considerazioni

L’articolo sulla paura dello sparo, come prevedibile, ha suscitato forti reazioni. Diciamo che l’avevo previsto ma… avrei sperato in un filo in più di apertura mentale e, invece,  molti lettori hanno ritenute insensate le conclusioni a cui è giunta l’etologia moderna. Inconsciamente, questa è una scelta di comodo perché è molto più semplice incolpare i geni (la fattrice, lo stallone, l’allevatore…) che prendersi le proprie responsabilità.  Riconoscere il ruolo dei fattori ambientali nella genesi della paura del fucile, infatti, implica assumersi delle colpe, se il cane è un fifone, o darsi da fare se stiamo crescendo un nuovo cucciolo.

Le obiezioni? “Io non ho mai fatto nulla per presentare al cane i rumori, l’ho portato fuori all’apertura, si è alzato un volo di starne, gli ho fatto una scarica di fucilate sulla testa e non è successo nulla! Sono tutte ….. la socializzazione e tutto il resto!” Nell’articolo originario, se l’avessero letto bene, queste persone avrebbero trovato la parte in cui dico che si può essere molto fortunati e ritrovarsi con un cane che non accusa il colpo di fucile, nonostante non si sia fatto nulla di particolare per prepararlo a tanta confusione.  Come mai? Può essere pura fortuna o, può anche essere, il che è molto più plausibile,  che il cane sia stato esposto a stimoli rumorosi senza che ciò sia stato pianificato. Magari avete spaccato la legna in sua presenza, azionato la motosega, il trattore, il toserba, magari è nato in estate e c’erano spesso temporali,eccetera. Cani che vivono in prossimità dell’uomo spesso vengono esposti ai rumori senza che lo si debba fare “apposta”.

Qui si inserisce la seconda critica all’articolo un tempo i cani non venivano esposti ai rumori, né socializzati eppure erano normali”… Questo è un falso mito.  Un tempo, parliamo di quasi un secoletto fa, i cani da caccia erano quasi tutti di proprietà di “signori” che li facevano accudire da personale apposito: è assai improbabile che questi soggetti avessero scarse interazioni con l’uomo. Parallelamente, e più tardivamente, anche persone di medio e basso reddito hanno iniziato ad andare a caccia con il cane, ma si trattava quasi sempre di contadini con il classico segugetto da pagliaio che, comunque, partecipava alla vita della fattoria vivendo a stretto contatto con l’uomo e quindi come rumore.

I  cacciatori appartenenti alla classe media e bassa hanno iniziato, almeno in Italia, ad avere cani di razza a partire dal secondo dopo guerra, direi più spiccatamente dagli anni ’60 e, a quell’epoca, non esisteva nemmeno ancora l’idea dell’allevamento a fini commerciali. I primi grossi allevamenti, alcuni tuttora attivi, stavano gettando le fondamenta ma, in generale, le cucciolate erano ancora cose per ricchi (provvisti di staff specializzato),  o faccende di famiglia, con tanto di pargoli saltellanti attorno ai cani. Cuccioli e uomini, insomma, vivevano a stretto contatto.

Le cose sono cambiate, dopo, con i cani che iniziavano ad essere intesi come fonte di reddito, il che ha portato ad allevarli in maniera più “intensiva”  e la qualità delle cure è scesa:  a volte ci si trova con più cucciolate da accudire contemporaneamente, a volte le strutture in cui crescono sono lontane dai rumori, eccetera eccetera. Anche il cacciatore è cambiato:  c’è chi vive in appartamento e non può tenere il cane in città e lo lascia crescere in qualche recinto isolato in periferia. C’è chi ha la villetta, ma siccome il cucciolo rovina il giardino lo si mette in un box in fondo all’orto. Poi si rientra tardi alla sera, stanchi da lavoro e non si trascorre del tempo con lui, anche se si tratta del figlio di campioni di altissima genealogia, pagato fior di soldi,  e non di un cane da pagliaio qualunque.

Se il cucciolo fosse un meticcetto di paese, forse, le cose sarebbero più semplici per lui: gli appartenenti ad alcune razze canine moderne  sono l’equivalente di un purosangue con la relativa ipersensibilità, se selezioniamo cani reattivi, loro saranno reattivi anche quando ciò diventa scomodo!  I cani, i tempi e i contesti sono cambiati, perché gli uomini si ostinano a non cambiare? Non dovrebbe forse esserci una maggior sensibilità nei confronti del cane? Non dovrebbe, il cane, essere un amico prima di essere un ausiliare? Non dovremmo noi, suoi proprietari, fare qualche piccolissimo sacrificio per crescerlo al riparo da paure, anziché insistere con l’allevatore per avere “un cambio di prodotto”, se il cucciolo sviluppa la paura del fucile? Credo sia nostro dovere morale, viste le moderne conoscenze etologiche, offrire al cucciolo tutte le risorse per aiutarlo a crescere bene e limitare il rischio che si manifestino problemi come la paura del fucile.

Allego, per i curiosi, un articolo de “I Nostri Cani” del 1968 in cui si riportano i consigli del noto  addestratore Gino Puttini. Si parla di paura dello sparo e di come recuperare (e sottolineo recuperare, non scartare!) i cani. Il pezzo ha quasi 50 anni q quindi ci sta che si pensasse ancora alla genetica, sebbene siano ben menzionate anche le cause ambientali, lo ripropongo più che altro come curiosità storica. Si tratta di una foto “stropicciata” perché la rivista è molto debole e non sopravvivrebbe. PS. Non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




Esiste il gene della paura del fucile?

Ne ho già parlato in diverse occasioni (come per esempio nello speciale Il Mio Cucciolo) e, di solito mi innervosisco a ripetere sempre le stesse cose ma, poco fa, ho aperto un thread su un forum di cinofilia venatoria e mi sono accorta che, nonostante gli anni passino, nulla è cambiato. Stavo rispondendo rapidamente a quel thread quando la finestra del browser si è chiusa, ripartiamo da qui.

Tutti corrono a comprare, accoppiare e accumulare cani ma nessuno fa il minimo sforzo per informarsi, in questo caso poi, se non si vuole leggere, a volte basterebbe ragionare. Cito infatti il francese Patrick Pageat (L’homme et le chien – L’uomo e il cane, nell’edizione in italiano), veterinario nonché noto studioso di comportamento canino: “Come può esistere la paura del colpo di fucile quando, nel periodo in cui ebbe origine il cane, il fucile non esisteva? Può, Madre Natura essere stata così previdente?”

Direi di no, eppure alcuni cani hanno paura dello sparo, perché? Non sono “tarati”, detesto questo termine e darei del tarato a chi lo utilizza, la spiegazione è più raffinata, nonché meno semplice. Sappiamo che esistono individui (anche all’interno della specie umana), più sensibili di altri. Questo ci porta a pensare che esistano cani più sensibili a determinati stimoli, ad esempio il rumore, rispetto ad altri. Questa maggiore sensibilità può avere basi genetiche? Possibile, anzi probabile, oserei dire. Di fatto, ho riscontrato un maggior numero di soggetti con “paura dello sparo” in alcune razze rispetto ad altre e, sempre in queste razze, i cani erano più difficili da recuperare rispetto ad altri, il tutto sempre da intendersi come generica generalizzazione. In linea di massima, i “sensibili” erano soggetti molto reattivi, definibili, con un termine, forse inappropriato, “nevrili”. Un certo tipo di selezione porta a privilegiare velocità, reattività, nervi a fiori di pelle e quindi anche “sensibilità”: se paragoniamo il comportamento di un mastino napoletano a quello di un setter… non sono proprio la stessa cosa!

Prima di parlare di paura, tuttavia, dovremmo parlare di sensibilità: ci sono soggetti più sensibili a stimoli sonori? Sì, ma essere sensibili a qualcosa non significa averne il terrore, quello si sviluppa sulla sensibilità, a seguito di fattori esterni. Oltre ad essere sensibili, cos’altro avevano in comune i cani che avevano sviluppato paura dello sparo? Altri elementi avevano giocato a loro sfavore? Sì: in primis una socializzazione sommaria. Non è questa la sede per definire ed illustrare il concetto di socializzazione, lo farò forse in futuro e nel frattempo vi invito a googlare, il punto è che i cuccioli vanno socializzati e, tanto, ma il cacciatore/allevatore lo fa un po’ a macchia di leopardo. Il cane da caccia “medio”, nasce e cresce in canile, in campagna, lontano da particolari problemi e da particolari stimoli. L’ambiente che lo circonda, in genere, è piuttosto silenzioso e ciò non lo prepara a sufficienza alla futura attività venatoria.

Errore numero due, il cucciolo, oltre a non essere socializzato a sufficienza nei primissimi mesi di vita, viene lasciato maturare in box nella convinzione che, lavorandolo prima, si “rovini”. Moltissime persone non fanno fare niente al cane fino a 7-8 mesi, o più. Raggiunta quella età caricano il cane in macchina (magari non ci è mai andato prima, se non per recarsi una volta dal veterinario) e lo “testano” con qualche quaglia sullo sparo o, peggio, lo portano direttamente a caccia, magari il giorno dell’apertura, o durante un’allegra zingarata in riserva.

E qui possono succedere due cose: a) il cane ha nervi d’acciaio (e il proprietario è molto fortunato) e tutto fila liscio, nonostante esistano tutte le premesse per il disastro o b) il cane si spaventa, succede il disastro e ci si trova per le mani un soggetto con “la paura dello sparo”. I modi e i metodi di custodia del cane che ho descritto sopra, non sono inventati, purtroppo, anzi e ho conoscenti che sono recidivi e che ad ogni nuovo cucciolo, si ritrovano con un cane timoroso dello sparo: è davvero solo sfortuna? Possibile che ad alcuni non capitino mai cani con paura dello sparo e altri cacciatori solo cani “tarati”? (Le eccezioni in eventuale loro possesso sono, in questo caso, cani acquistati già adulti).

Vi riporto un altro esempio tratto da una storia vera. Il signor Rossi acquista cucciola di alta genealogia eccetera eccetera e la fa crescere in canile/giardino. Dopodiché, le presenta il solito selvatico e la solita fucilata: disastro. Negli anni successivi la canina viene più o meno recuperata (con metodi piuttosto empirici…) ma, visto il problema, l’allevatore offre una seconda cucciola, sorella della prima. La cagnolina, questa volta, viene socializzata molto bene e stimolata correttamente durante la crescita: non presenta alcun timore dello sparo e a caccia è ben più spavalda della sorella con cui condivide gli stessi geni.

Chi avesse obiezioni può continuare a leggere qui.

PS. Non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




L’assenza di barba (genetica)

L’articolo di ieri ha riscosso grande interesse, mi fa piacere, così come mi fa piacere che siano stati chiesti dei chiarimenti. Avendo poco tempo a disposizione ho fatto uno schema “a mano”: non è un’opera d’arte ma mi sembra che i concetti siano comprensibili. Il criceto copre uno scarabocchio…

Ho scelto la lettera W (da wirehaired – pelo duro) ma potremmo scegliere una lettera qualsiasi, non ha importanza.  Nel drahthaar (così come nel bassotto a pelo duro, nello jagd terrier e in altre razze) possiamo avere tre genotipi e due fenotipi:

Genotipo WW (omozigote dominante) – Fenotipo: ha la barba e la trasmette

Genotipo Ww (eterozigote) – Fenotipo: ha la barba ma porta il gene recessivo dell’assenza di barba

Genotipo ww (omozigote recessivo) –  Fenotipo:  è senza barba (kurzhaar type) e trasmette questo carattere.

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I cani senza barba li vediamo tutti, il test genetico ci aiuta a capire se il cane è WW o Ww e, di conseguenza, ci fa capire con chi altro accoppiarlo per avere cuccioli con la barba.




Variabilità genetica nel kurzhaar

Segnaliamo ai lettori di Dogs & Country un’importante iniziativa patrocinata dall’ENCI, dal Kurzhaar Club Italiano e dall’Istituto di Ricerca Spallanzani.

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PRA & NCL-D nel setter inglese // PRA & NCL-D in the English Setter

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La sigla PRA (rcd 4) sta per Atrofia Progressiva della Retina mente la sigla NCL-D è acronimo di Lipofuscinosi Neuronale Ceroide. Cosa sono?

Si tratta di due malattie genetiche presenti in diverse razze canine, tra esse il setter inglese. Personalmente, sono a conoscenza della NCL-D da almeno 20 anni ma solo pochi anni fa avevo appreso che fosse stata individuata la mutazione. Mi risultava altresì che l’unico laboratorio che effettuava i test fosse in Repubblica Ceca.

Per quanto riguarda la PRA, invece, la disponibilità del test per il setter inglese e per il setter gordon è relativamente recente ma da diversi anni la malattia è conosciuta e testata nel setter irlandese, ne avevo parlato anche nel mio libro sui setter.

Cosa comportano queste malattie nello specifico? L’atrofia progressiva della retina causa cecità nei soggetti affetti. Il test a disposizione  indaga su una delle forme di PRA  presenti nel setter inglese. E’ possibile, purtroppo, che ce ne siano anche altre.  Non esistono terapie per la PRA. La patologia è  caratterizzata da insorgenza tardiva, si sviluppa cioè in soggetti adulti che potrebbero già essersi riprodotti.

Secondo il laboratorio Antagene, la mutazione responsabile della patologia è presente nel 7% della popolazione dei setter francesi (moltissimi dei quali, mi preme ricordarlo, hanno antenati italiani). Sono stati altresì riscontrati casi di PRA (rcd4) in setter inglesi norvegesi, di sangue italiano e non.

Sulla lipofuscinosi non ho dati numerici da trasmettere ma mi preme sottolineare che è una patologia neurodegenerativa GRAVE che porta a morte del soggetto. Un cane affetto da lipofuscinosi difficilmente raggiunge l’anno di età e trascorre i suoi pochi mesi di vita miseramente, causando sofferenza anche ai proprietari destinati a vederlo spegnere.  E’ pertanto dovere degli allevatori e degli appassionati impedire che questo accada. Non esistono terapie per la NCL-D.

Cosa hanno in comune queste due patologie? Si tratta di patologie autosomiche recessive, causate da un unico gene che è recessivo. Questo significa che noi possiamo testare il DNA  per individuare il gene con un semplice prelievo di saliva o di sangue. Ogni soggetto possiede due copie dello stesso gene. Attraverso l’esame del DNA possiamo scoprire se entrambe le copie sono “sane”, in quel caso si parla di cane “esente” e omozigote; se è “portatore” (una copia è mutata), quindi il soggetto è “portatore” e eterozigote oppure “affetto” (due copie mutate).  Trattandosi di geni che si comportano in maniera recessiva solo i soggetti “affetti” (due copie mutate), manifesteranno la malattia. I soggetti portatori NON manifesteranno la malattia ma, se si intende usarli in allevamento, vanno accoppiati SOLO con soggetti esenti e i cuccioli vanno poi ricontrollati in quanto il 25% di loro (un cucciolo su quattro) sarà composto da portatori. Un soggetto portatore può trasmettere il gene mutato alla prole. Un soggetto affetto trasmette sicuramente il gene mutato alla prole pertanto NON va messo in riproduzione.

Il costo dei test sul DNA dipende dal laboratorio a cui vi rivolgete ma, ultimamente, ci sono buone offerte. Da Antagene ho pagato 98 euro per entrambi i test.  Si tratta di una cifra da leggersi all’interno di un programma di selezione, ogni allevatore e ogni appassionato, prima di pensare a fare cucciolate, dovrebbe fare tutto il possibile per mettere a mondo soggetti prima ancora di essere “bravi” e “tipici” siano “sani.

Immagine Antagene
Immagine Antagene

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PRA (rcd 4) means Progressive Retinal Atrophy while NCL-D stands for Neuronal Ceroid Lipofuscinosis, two genetic diseases  that can be found in some canine breeds, including the English Setter. NCL-D had been known for at least 20 years but, as far as I know, the gene responsible for it had been found only a couple of years ago. I also remember that, at the time, there was only a lab testing for it in Czech Rep.

As for the PRA, the availability of a test for the ES and GS is quite recent as well,  while the disesase is well know among IS breeders. I wrote about it in my Setter book which came out in 2004.

Which are the symptoms caused by these disesaes? PRA  causes  progressive loss of vision (at night and then in daylight) culminating in blindness. The  DNA test identifies only one of the mutations causing PRA (there are more “types” of PRA which seems to affect the ES) and Antagene Lab estimates the mutation to be present in the 7% of the French ES population (most of which has Italian ancestry).  There are also cases of PRA (rcd 4) in Norway and carrier dogs who are both of Norwegian ancestry and of Italian ancestry.  There are no therapies for PRA and this is a late onset disease which means the dog might start showing symptoms of the disease after having already been used as a stud/bitch.

I have no numerica data on lipofuscinosis which is a neurodegenerative diseases leading to loss of motor function and vision and to behavioural disorders. The age of onset can vary between 12 and 18 months and the animal will eventually died, It is a serious and painfull disesaes that would devastate owners too, it is therefore very important that breed lovers and breeders work to eradicate it.

Both these diseases are autosomal recessive, hence an animal might have three possible status:

Clear (normal homozygous) – Both the copies of the genes are correct, he or she  will not develop the disease  nor pass the mutation to the prole.

Carrier (heterozygous) –  One of the gene copy is mutated, he or she will not develop the diseases but will pass the mutation tp 50% of the prole.  If you intend to breed a carrier, his or her partner must be a Clear.  In this case, about 25% of the puppies could be carriers as well.

Affected (mutated homozygous)– Both the copies of the genes are mutated. He or she will develop the disease and pass it to all the prole. These dogs must not be used for breeding.

DNA test costs vary according to the laboratory you choose but you can find good deals online. I paid 98 euros (two tests) choosing Antagene, not a huge amount of money if you are a reputable breeder caring about the breed.  A reputable breeder must consider health prioritary, conformation and working ability are very important traits to select for but health should always come first.




Due parole sulla variabilità genetica nel cane

Magari anche più di due visto che è un tema che mi sta molto a cuore. Dunque, forse non sapete che la variabilità genetica all’interno di una singola razza canina è molto bassa, più bassa di quella riscontrata in alcune specie di animali ad altissimo rischio di estinzione. Non sono convinzioni mie, sono dati che i genetisti hanno estrapolato scientificamente e che sono lì, per tutti. In linea generale si potrebbe pensare che una razza numerosa, proprio in  virtù della numerosità, abbia una variabilità genetica maggiore rispetto a una razza poco diffusa. Questo sarebbe logico ma le storture della cinofilia hanno fatto in modo che non sia così: se prendiamo in esame il pastore tedesco (linee da show), una delle razze più popolari  al mondo, scopriamo che in realtà la variabilità genetica di questa razza è molto bassa e in cani sono tutti, in qualche maniera, imparentati tra di loro. Ho scritto linee da show (se preferite le possiamo chiamare da “esposizione”) perché il pastore tedesco, come altre razze, è stato diviso in linee da lavoro e in linee da show che vengono allevate su binari separati: solo pochi allevatori accoppiano cani da lavoro con cani da esposizione e questo va a svantaggio della variabilità genetica.

Altre ancora integre per quanto riguarda il dualismo bellezza//lavoro, pensiamo per esempio al bracco italiano, invece contano pochi esemplari e questo limita, per forza di cose, la variabilità genetica. Riassumendo, la variabilità genetica di una razza, di per sé limitata può essere ulteriormente limitata da scelte allevatoriali (del tipo “scegliamo tutti lo stesso stallone”) o, più semplicemente, da una scarsa diffusione numerica. Ma non è questo il problema a cui voglio rivolgere l’attenzione, bensì scrivo per presentarvi un articolo scientifico in cui mi sono imbattuta ieri. Si tratta di J Anim Breed Genet. 2013 Jun;130(3):236-48. doi: 10.1111/jbg.12017. Epub 2012 Dec 6.  The effects of dog breed development on genetic diversity and the relative influences of performance and conformation breeding. Pedersen N1, Liu H, Theilen G, Sacks B.

Il titolo, in italiano, sarebbe “Gli effetti della selezione canina sulla diversità genetica e le influenze della selezione per il lavoro e per la morfologia.” Gli autori confrontano la variabilità genetica dei “cani da villaggio” (randagi) con quella dei cani appartenenti a otto razze canine. Le otto razze canine non sono state scelte a caso bensì in base al tipo di selezione portato avanti dagli appassionati della razza specifica. Ecco quindi razze selezionate per la morfologia (barbone medio, piccolo levriero italiano, setter inglese da show *- in USA esiste una linea da show); per morfologia e lavoro (epagneul breton); soprattutto per il lavoro (drahthaar e kurzhaar) ed esclusivamente per il lavoro (setter inglese da lavoro * in USA esiste una linea da lavoro – e red setter * un setter rosso pseudo-irlandese che in USA selezionano per il lavoro).

Quello che non mi stupisce sono i risultati: 1) i cani di razza hanno una variabilità genetica inferiore a quella dei cani da villaggio; 2) le razze selezionate per il lavoro hanno una variabilità genetica più alta rispetto alle altre; 2) le razze selezionate per la conformazione hanno una variabilità genetica bassa e 3) le razze che seguono una selezione per conformazione & attitudine si trovano in una situazione intermedia. I dati non ottenuti non mi sorprendono perché chi alleva a fini espositivi sovente ricorre alla consanguineità per fissare il tipo morfologico e sacrifica così la variabilità genetica. In lavoro il ricorso alla consanguineità è era meno frequente perché i le attitudini e i tratti caratteriali non sono così facili da fissare come le caratteristiche morfologiche. Pertanto, solitamente, chi seleziona per la performance accoppia in base alle prestazioni dei cani e non cercando parentele nei pedigree. Questo metodo di pianificazione degli accoppiamenti ha garantito una buona variabilità genetica in razze da lavoro con un buon numero di esemplari ma… purtroppo anche sul fronte del lavoro la variabilità genetica si va impoverendo: in tanti rincorrono il solito campione o, peggio, sono convinti che un accoppiamento in consanguineità – magari molto stretta – sia così buona e giusto.

Fermatevi e pensate, la diversità genetica è indispensabile al benessere del cane e le razze canine sono patrimonio di tutti, preserviamole