Quattro Passi Dentro Casa: l’Enciclopedia del Cane

L’Enciclopedia del Cane sta sulla libreria a nord-ovest, quella anni ’80, ma di design. È stata collezionata con lentezza, fascicolo per fascicolo Frequentavo ancora le scuole elementari, ma già leggevo cose di una pesantezza indescrivibile. Ogni settimana arrivava un fascicolo nuovo che io andavo a ritirare dal giornalaio. I due giornalai che si sono succeduti durante la raccolta dei fascicoli avevano un entrambi un cognome che finiva in -oni e mi conoscevano benissimo: l’editoria necessita di clienti come me. Le enciclopedie, a quei tempi, funzionavano in maniera un po’ macchinosa: ogni settimana arrivava un fascicolo nuovo da ritirare dal giornalaio, poi, ogni tot fascicoli si ordinava al giornalaio la copertina.  Quando la copertina arrivava, si riportavano i fascicoli dal giornalaio che li mandava, insieme alla copertina, dal rilegatore. Dopo un tempo variabile, i fascicoli tornavano rilegati in un volume, ben avvolti nella carta da pacco. Per andarli a riprendere serviva tornare nuovamente in edicola, anzi spesso ci si andava più volte per sapere se fossero arrivati. L’edicola, insieme al supermercato, era l’anima del quartiere: dell’edicola resta solo il casottino, del supermercato l’edificio, ora occupato dalla farmacia e da un poliambulatorio.

Quando l’enciclopedia è iniziata, non avevo ancora un cane mio, sebbene lo desiderassi più di ogni altra cosa, la fissa per i cavalli è venuta dopo. Mentre imparavo a conoscere le razze attraverso l’enciclopedia, cercavo di capirle anche dal vivo, ma c’era un problema: a me piacevano i cani da caccia, l’enciclopedia partiva dai cani da pastore (Gruppo I), e procedeva lentissima verso il Gruppo VII (Cani da Ferma). Nel frattempo, cercavo di conoscere i cani del quartiere: quasi tutti appartenevano al Gruppo II ed erano stati comprati per fare la guardia. Ricordo schnauzer, rottweiler, dobermann, maremmani e qualcosa del Gruppo I, pastori tedeschi per lo più, e in pastore belga Tervuren, poi morto di piroplasmosi, che oggi chiamiamo babesiosi.

Arrivata al quarto volume dell’enciclopedia, ho scoperto i cani nordici, che in quegli anni iniziavano a andare molto di moda. Mi piaceva il samoiedo: tutto bianco e orsettoso al punto giusto. Lo chiamano il cane che sorride, peccato che abbai altrettanto. In strada, tuttavia, si vedevano solo husky, rigorosamente neri e bianchi, e con gli occhi azzurri, e alcuni chow. Mi piaceva anche il groenlandese che, tuttavia, l’enciclopedia sconsigliava di prendere come animale domestico. Invece, chissà perché, taceva di dire la verità sugli husky, che nel frattempo invadevano le case degli italiani, con esiti non sempre fausti. Qui gli husky non hanno mai rischiato di entrare: nessuno aveva intenzione di comprarmi un cane, tantomeno un cane da slitta.

Mentre l’enciclopedia mi propinava bassotti, terrier e segugi, e io volevo sapere tutto dei cani del Gruppo VII, i cani da ferma hanno trovato me. Il giovane esploratore, ovvero fuggiasco, era una un Deutsch Drahthaar, che aveva imparato a scappare dalla sua cuccia a igloo, dal suo serraglio, e dal suo giardino, per venirmi a trovare. Il problema era che puzzava quanto le fognature di una metropoli del sud-est asiatico e trasferiva tutti i suoi aromi su di me. Però, a patto che non mi ci strusciassi troppo addosso, avevo ottenuto il permesso di portarlo in giro per il quartiere. Io frequentavo ancora le scuole elementari e lui era più grosso e saggio di me, andavamo insieme in edicola, e poi lo riportavo, a malincuore, nel suo serraglio. Almar, così si chiamava, dopo qualche mese di amicizia è sparito, prima sostituito da un setter blue belton, e poi da una pointerina bianca e arancio. Temo sia stato l’odore a fregarlo: non sarei mai riuscita a convincere mia madre che lavandolo sarebbe diventato inodore, così niente drahthaar, anche se la razza avrà sempre un posticino nel mio cuore.

In quegli anni, mio zio, storico e fedelissimo kurzhaarista (allora li chiamavano bracchi tedeschi, o brac tudesch), si era portato a casa un setter irlandese incontrato in campagna: l’aveva seguito fino all’auto, era molto bello e aveva deciso di dargli una possibilità. Ricordo che era bellissimo, che si chiamava Rosso, e che è vissuto, se non sbaglio, fino ad almeno 17 anni. Però, ricordo di aver pensato qualcosa del tipo: “umm sì, bello, molto bello, ma qualcosa non mi torna, troppo appariscente”. Il bracco tedesco, al contrario, mi sembrava troppo essenziale; il pointer aveva qualche carattere distintivo in più, ma restava pur sempre un cane a forma di cane, con quattro peli addosso. Il gordon? No! Troppo scuro e massiccio! Il bracco italiano? Ma, sembra un segugio! Insomma, già allora non sapevo farmi andare bene niente!

Invece, il setter inglese… intrigante e setoso, ma non troppo, era la giusta via di mezzo.  La maggior parte degli inglesi presenti nel settimo volume, di otto, era bianca e nera (blue belton): io ero rimasta colpita dal bianco arancio “Lindo della Bassana”.  I miei, che già avevano dribblato il drahthaar, avrebbero fatto a meno anche del setter, eppure ero quasi riuscita a convincerli: c’era una setterina blue belton al canile municipale e sono andata a vederla con mio padre, che ha cercato di prendere tempo.

Pochi giorni dopo, non fidandomi delle promesse di nessuno, ho raccattato il primo randagio (che probabilmente non era tale) avvistato transitare per il quartiere. Era blue belton, aveva una bellissima coda frangiata da setter e fermava e guidava proprio come un’inglese. Il pelo arruffato e la “durezza” ne tradivano le origini, almeno in parte, teutoniche. Tommaso, così si chiamava, era molto probabilmente mezzo setter e mezzo schnauzer: all’eleganza del primo, univa la serietà e la predatorietà del secondo. Sul suo diario di caccia sono segnati topi, talpe, galline, bisce, gatti… mai altro mio cane fu così spazzino.

Se ti è piaciuto puoi leggere il precedente qui.




Sii portavoce delle tue passioni

Gentaglia, o brava gente? Stando a dati di qualche giorno fa, le donazioni da parte dei cacciatori per l’emergenza COVID_19,  hanno superato il 1.500.000 euro. A queste donazioni “identitarie”, ovvero fatte attraverso le associazioni di categoria, andrebbero sommate anche quelle fatte singolarmente. So per certo di cacciatori che hanno fatto, di loro iniziativa, offerte a enti e ospedali. Andrebbero anche calcolate le offerte che sono state fatte, e che verranno fatte, in “memoria di”, perché purtroppo il coronavirus si è portato via anche molti di noi. Non sapremo mai, con esattezza, quanti soldi sono stati donati dai cacciatori, ma in fondo… che ci importa? Ricordo le donazioni dei cacciatori per il terremoto dell’Emilia e per i successivi, ma chi se le ricorda? Forse quelli che le hanno fatte, forse quelli che le hanno ricevute, ma l’opinione pubblica? Se il mondo se ne è scordato, che ci importa? Vuole la categoria guadagnare visibilità attraverso le offerte? Credo proprio di no, anzi, al contrario, molti tra coloro che hanno donato, lo abbiano fatto per il piacere di farlo, perché sentivano di dover donare, non per essere notati, o ringraziati.

Sia chiaro, avete e abbiamo fatto tutti bene a donare, è
sicuramente una bella dimostrazione di solidarietà da parte della categoria, ma
da sola non basta. Infatti, come avrete sicuramente letto, gli animalisti hanno
inventato dei pretesti per attaccarci, inventandosi che le donazioni non erano
vere, eccetera eccetera. Attaccano persino perché, ad oggi, la stagione
venatoria 2020/2021, non è stata sospesa. Come se non ci fosse un indotto
dietro alla caccia, come se non ci siano (di già) degli allevamenti di selvaggina
che scoppiano, come se la Beretta non avesse riconvertito parte della sua
produzione alla creazione di valvole per i respiratori.

Queste cose però le sappiamo solo “noi”, sono notizie che
non fanno rumore. Questo nostro “noi”, invece, deve aprirsi, smettere di essere
un cerchio chiuso, deve espandersi. Lì fuori devono capire che siamo “brava
gente”, devono capirlo attraverso i nostri gesti di tutti i giorni, gesti di
vita e gesti di caccia. Sulla vita di tutti i giorni, cosa volete che vi dica:
non fregate i parcheggi, aiutate le vecchiette ad attraversare la strada,
magari fermatevi se per terra vedete delle strisce pedonali, queste cose le sapete
già, non mi dilungo.

Quanto alla caccia, diventate ambasciatori della vostra passione. Fermi, alt, dove andate, tornate indieeeeetro! Non vi sto incitando ad aprire improbabili profili Instagram per esibirvi tipo influencer dei poveri, NO-NO-NO! Di questi, e soprattutto di “queste”, ne abbiamo già abbastanza: non deve importarci della nostra di visibilità, deve importarci della nostra passione. Occorre spiegare, con saggezza, quello che facciamo. Il 28 di marzo avevo in programma una giornata per raccontare i cani da caccia in un centro cinofilo; il 16 di aprile sarei dovuta andare in una scuola elementare a parlare di cani, inclusi quelli da caccia.  Questi sarebbero stati esempi di divulgazione positiva e propositiva, ovviamente sono saltati, ma qui non ci si perde d’animo.

Io per esempio faccio colazione sfogliando quelle vecchie
riviste cinofile e venatorie che non ho mai avuto il tempo di leggere. Sono
certa, o per lo meno mi auguro, che ne esistano a pacchi anche nelle vostre
case, così come spero che qualcuno di voi abbia ancora vecchie pubblicazioni
degli anni ’30, ’40, ’50, eccetera. Ve li ricordate i disegni di Lemmi? Vi
ricordate con che garbo e con che classe erano discusse la caccia e la
cinofilia? Bene, riprendiamo in mano quelli scritti e lasciamoci ispirare,
scriviamo anche noi (su questo blog c’è sempre spazio per i contenuti di
qualità) e cerchiamo, attraverso i social, che oggi sono l’unico contatto con
il mondo esterno, di presentare le nostre passioni nel migliore dei modi.

Ho qui accanto una copia di The Shooting Gazette, è mezza
mangiata dal cane, ma leggo che è stata pubblicata nell’aprile del 2018: ci
sono andati DUE anni per trovare il tempo di leggerla. Ma ho fatto bene a non
gettarla, contiene un articolo che si chiama “Be the Best You Can Be” in
cui David Edgan ci invita a essere le migliori persone possibili durante la
pratica venatoria, e a essere i migliori portavoce possibili della caccia. Cosa
possiamo fare? Innanzitutto, comportarci bene in campo. Vale di più un fagiano,
o il rispetto delle norme di sicurezza? Altre cose? Raccogliere le cartucce
sparate, rispettare le distanze da case e strade, trattare e preparare bene i
nostri cani, ma poi? Dobbiamo anche allargare il nostro punto di vista,
comprendere l’importanza della gestione faunistica e del nostro ruolo
all’interno della stessa. Dobbiamo essere cacciatori formati ed informati,
pronti a rispondere, con dati e fatti, alle domande che ci vengono poste.
Dobbiamo conoscere le normative, le specie, l’ambiente, dobbiamo essere
preparati: in questo modo si fa divulgazione, solo così si tolgono le munizioni
dalle dei nemici. E poi?

Scusate se salto di palo in frasca, ma non voglio che mi
scappino le idee. Per esempio, se vi fermate in un ristorante dopo una
mattinata di caccia, siate rispettosi e sobri. Al tavolo accanto potreste avere
qualcuno che non a pensa come voi, o qualcuno che non sa nulla della caccia:
essere grezzi e volgari non è il miglior modo per presentargliela. Sui social,
comportatevi nello stesso modo. Io difficilmente posto foto di cadaveri, in
genere sono in bocca al cane o, ben più raramente, già serviti a tavola.
Fotografare piatti a base di selvaggina è un regalo che possiamo fare alla
caccia: chi li vede capisce che la selvaggina in tavola è molto buona, e che
non ci sono sprechi. Si scopre che quello che è stato abbattuto viene mangiato:
indirettamente si salva un animale d’allevamento.

Se volete pubblicare altri tipi di foto con animali morti
chiedetevi: “è etico il mio atteggiamento?” (se state ridendo con una nutria in
mano, non è etico – ve lo dico io); “fa impressione?”; “è di buon gusto?”.
Insomma, pensateci un attimo, pensate a quanti lo possono vedere, e poi postate,
o non postate.

Ricordate sempre che la promozione, sana, delle nostre
passioni è la miglior difesa e iniziate dal basso, magari invitando i
miscredenti a venire con voi al tiro al piattello, o ad accompagnarvi a addestrare
il cane.




Altre brevi note sul setter nero focato – di Rino Radice

Altre brevi note sul setter nero focato – di Rino Radice Rassegna Cinofila Novembre-Dicembre 1936 XV

Trascrizione a cura di Maurizio Peri

I Brevi appunti sul setter nero focato da noi pubblicati nell’ultimo numero di questa Rassegna, non hanno incontrato il favore di un anonimo scrittore di “La Caccia e la Pesca” (v. La Caccia e la Pesca, n.3: A proposito del Setter scozzese – sinonimi: Setter Gordon, Setter nero fuocato – smentite ufficiali che non smentiscono ma confermano) e del Prof. Gino Pollacci (v. Diana 1936, n. 24: Ancora sul Setter Scozzese).

Il dissenso non ci stupisce affatto perché è da tempo che La Caccia e la Pesca va ospitando articoli nei quali si sostiene sia la denominazione di scozzese sia il mantello tricolore per la razza di cui è questione, ed il Prof. Gino Pollacci nel n. 19 (15 Ottobre) di Diana 1936 spezzava ancora, posteriormente dunque al riconoscimento E.N.C.I. alla Società del Setter nero fuocato, una lancia a favore del mantello tricolore e della denominazione… scozzese.

E’ appunto a causa di tali pubblicazioni che abbiamo ritenuto opportuno e doveroso pubblicare i nostri brevi appunti. Il dissenso dunque non ci stupisce perché già conosciuto, ma quello che ci stupisce è il modo col quale specialmente l’anonimo scrittore de La Caccia e la Pesca, ed, in tono minore, il Prof. Pollacci, hanno creduto di potere demolire le conclusioni cui eravamo arrivati nei nostri brevi appunti.

Avevamo onestamente pubblicato integralmente cinque documenti (le lettere dei Sigg. Eadington, Jack e Wright, la memoria del Sig. Bolam e lo standard ufficiale inglese), ne avevamo tratte le nostre conclusioni, sulle quali il lettore poteva pur dissentire, ma avevamo dato mezzo al lettore di formare il suo giudizio alle medesime fonti dove avevamo attinto il nostro; non ci aspettavamo però che per giungere a diverse conclusioni si potesse osare di citare incompletamente e di stroncare i pensieri degli autori dei documenti pubblicati.

Questo stroncamento è la causa principale del nostro stupore.

L’anonimo scrittore di La Caccia e la Pesca scrive:

“E’ bene ricordare come sia venuto alla luce il nome di Setter Scozzese, recentemente bocciato. Non è stato un capriccio nostro. No. Esso è stato preso da una pubblicazione ufficiale dell’E.N.C.I. sul Setter Gordon (nero focato), apparsa nei numeri 3, 4, 5, 6, 7, e 8 di Rassegna Cinofila del 1931, appunto con il nome di Setter Scozzese, Questa pubblicazione dovuta al Prof. Gino Pollacci era avallata, senza alcuna riserva, dalla firma del Dr. Rino Radice, Segretaraio Generale dell’E.N.C.I., quale Direttore della Rivista. La pubblicazione portava bene in vista questo titolo Setter Scozzese (sinonimi: Setter Gordon, Setter nero fuocato) e di essa furono editati anche e distribuiti degli estratti, ad evidente scopo di indirizzo cinofilo. L’A. Prof. Gino Pollacci, dimostrava in essa che l’origine del Gordon era la Scozia e l’E.N.C.I. teneva a battesimo nel 1931 questa asserzione, e, come già abbiamo detto, le dava il crisma ufficiale.

Nessuno allora protestava, nemmeno i lettori de Il Cacciatore Italiano.

Quest’anno in un primo tempo all’epoca del riconoscimento della Società Italiana, non teneva più conto del nome stabilito sotto i suoi auspici, metteva da una parte la pubblicazione ufficiale, e non voleva più saperne del nome Scozzese ed indirettamente della riconosciuta provenienza”

E’ vero che il Prof. Pollacci nel 1931 faceva pubblicare, nei N. 3, 4, 5, 6, 7, e 8 di Rassegna Cinofila, uno studio sul setter nero fuocato, studio che conteneva anche una traduzione dello standard stabilito dalle società scandinave ed una traduzione dello standard stabilito dalle società britanniche ed infine chiudeva, dopo avere affermato essere preferibile quest’ultimo in confronto del primo, con una proposta di standard che senza avere la pretesa di volerne stabilire uno diverso da quello scozzese, può completarlo e renderlo meno improprio nella dicitura se non modificarlo (v. Rassegna Cinofila, 1931, N.8, pag. 319).

E’ vero che il Prof. Gino Pollacci, secondo la consuetudine, faceva riunire in un opuscolo le sei puntate del suo studio apportandovi anche qualche variante e l’opuscolo diffondeva fra gli amici. Ma le proposte del Prof. Pollacci non avevano più seguito; l’E.N.C.I. non ha mai fatto sue né la proposta di mutamento del nome né la proposta di standard. Non sappiamo a quale canone, a quale consuetudine giornalistica l’anonimo possa appellarsi per giustificare la pretesa peregrina che la pubblicazione di un articolo firmato nella parte redazionale di una rivista, sia pure ufficiale di un Ente, porti con sé automaticamente che le conclusioni cui l’articolista è giunto diventino per sé stesse ufficiali e che la firma del Direttore, concessa come affermazione di responsabilità verso lo Stato, avalli le conclusioni, magari anche le sublimità o le castronerie, cui l’articolista può avere dato corpo.

La pubblicazione dello studio sul setter n.f. compiuto dal Prof Pollacci non aveva allora carattere ufficiale, come non lo hanno i nostri brevi appunti e queste nostre note aggiunte. Si tranquillizzi adunque l’anonimo scrittore de La Caccia e la Pesca; l’E.N.C.I. non ha mangiato –novello Saturno – i suoi figli sia perché il gesto non è mai stato né morale né estetico, sia perché, in questo caso, figli non aveva avuto né ha.

All’anonimo scrittore ed, in tono minore, al Prof. Pollacci invece domandiamo quale giudizio essi farebbero di un contradditore che, per coglierli in fallo, si permettesse di citare incompletamente i loro scritti. Domandiamo perciò a loro ed al lettore imparziale se sia giornalisticamente corretto e polemisticamente efficace affermare:

che il Signor Bolam -la cui memoria tradotta non è che il cenno illustrativo premesso alla nuova edizione dello standard (il quale ora non porta più la scala dei punti) (1) quindi qualcosa di ben più importante di quello che non possa esserlo l’espressione del pensiero personale di un noto od ignoto cinofilo, e con ciò intendiamo rispondere al Prof. Pollacci che taccia d’incompetente il Bolam stesso – scrive che l’origine del Gordon è praticamente sconosciuta, ed ammette che nel 1830 il Duca di Gordon aveva un gran numero di setters di colori vari ma sottacere la conclusione cui il Bolam giunge, dopo avere dissertato alquanto sui cani appartenenti al Duca di Gordon sugli incroci a questo o ad altri attribuiti e sulla mancanza di ogni prova in merito e, cioè che : ANZI NON POSSIAMO NEANCHE AFFERMARE CON SICUREZZA CHE IL SETTER GORDON PROVENGA DAL CASTELLO DI GORDON.

che il Sig. Jack scrive che la razza si chiama Gordon dal nome del Duca di Gordon che risiedeva nel castello scozzese ecc ed omettere il seguito: LA VERA ORIGINE DELLA RAZZA E’ SCONOSCIUTA ma comunque essa non esisteva nel 1803. Il Colonnello Thornton, noto sportivo di quel periodo ebbe occasione di visitare il Castello di Gordon e nel suo libro: “Northern Tour” scrive di un incrocio che il Duca aveva fatto fra un lupo ed un volpino di Pomerania (2);

che il Sig. Whright afferma che in origine il Setter Gordon fu allevato dal Duca di Gordon ecc. e tralasciare che vi sono molte teorie sull’origine della razza e che il vero, è probabilmente che questi cani, che erano neri, bianchi e focati, erano della STESSA RAZZA DEI SETTERS INGLESI, che in altre parole c’erano tre tipi di setters inglesi cioè “Laverack”,”Belton” e “Gordon” e che più tardi questi Gordon furono conosciuti sotto il nome di setters “nero fuocati”.

L’anonimo autore de La Caccia e la Pesca ci fa poi rimprovero di non aver fatto nulla di nuovo col riportare lo Standard britannico del setter nero fuocato salvo la pessima traduzione, mentre esso standard si trova assai ben tradotto “ letteralmente” nella pubblicazione così detta ufficiale del Prof. Pollacci (v. Rassegna 1931). Saremmo pronti a batterci il petto se ci sentissimo traditori dello standard britannico; ma noi non abbiamo fatto quella traduzione perché ignari della lingua inglese; fidenti però nella piena esperimentata conoscenza delle lingue italiana ed inglese sia da parte della Signora Americana cui era stata affidata la traduzione, sia da parte dell’allevatrice cinofila italiana che parlando perfettamente la lingua inglese apportò la propria competenza tecnica nella revisione dell’opera della prima, siamo in dovere di difendere il lavoro delle nostre benemerite collaboratrici. Potremmo citare una rispettabile serie di imprecisioni della traduzione del 1931; ci limitiamo a scegliere nel mazzo alcuni punti riportando per il raffronto il testo inglese e le due traduzioni 1931 e 1936:

Testo inglese Trad. 1931 Trad. 1936
 

A stylish dog, not so racy as the Irish, but more dignified in appearance,

 

Clear colours

 

The head should have a clearly indicated stop

 

On the inside of the hind legs and inside of thighs showing down the front of the stifle and broadening out to the outside of the hind legs from the hock to the toes. It must, however, not completely eliminate the black on the back of hind legs.

 

The bloodhound type with heavy and big head and ears and clumsy body, as well as the collie type with its pointed muzzle and curved tail.

APPARENZA GENERALE

Cane che ha uno stile proprio non tanto bello quanto l’irlandese ma più massiccio per l’aspetto….

 

Colore spiccato

TESTA

La testa deve avere un portamento nettamente definito

MACCHIE

Sul lato interno delle zampe posteriori, in basso anteriormente sui ginocchi fino al lato esterno delle zampe posteriori, dall’anca fino alle dita. Non è detto che debba mancare  completamente il nero sui lati delle zampe posteriori.

DIFETTI- IMPRESSIONE GENERALE

Il tipo del cane consanguineo con testa ed orecchi pesanti e larghi, corpo tozzo come il tipo collie con il suo muso appuntito, la coda curva

 

Un cane di stile, di aspetto meno snello del setter irlandese ma di apparenza più dignitosa

 

Colori ben definiti

 

Lo stop della testa è ben marcato

 

 

Sulle parti interne degli arti posteriori e delle coscie, le macchie possono allargarsi fino alla parte esterna degli arti fra il garretto ed il piede, ma non devono però eliminare completamente il nero sul retro degli arti posteriori.

 

Tipo Bloodhound con testa grossa e pesante, orecchie troppo grandi e corpo senza garbo; anche il tipo Pastore scozzese, con il muso a punta e la corda arcata

 

Tanto l’anonimo scrittore de La Caccia e la Pesca come il Prof. Pollacci fanno dell’ironia per avere noi concluso che il Setter nero fuocato ha avuto le sue origini nelle isole britanniche. La conclusione è esatta e doverosa: forse che al pointer non è stata attribuita erroneamente la derivazione dal bracco italiano, e con qualche maggiore probabilità, dal bracco spagnolo?

E con ciò non ci occuperemo più dell’anonimo di La Caccia e la Pesca, ma passeremo a dare alcuni schiarimenti al Prof. Pollacci incominciando dal rimprovero rivoltoci in tema di standard (3) di avere tradotto con testa con molto spazio per il cervello  (!) la frase: with plenty of brain room  che egli ora dice volere significare cassa cranica grossa. Prescindendo che la traduzione letterale della frase inglese è: con abbondanza di cervello spazio, non ci pare inutile rimandare il Prof. Pollacci alla sua stessa traduzione del 1931 ed alla sua stessa proposta di standard ch’egli allora aveva fatta; si legge testualmente nell’una e nell’altra: con abbondante scatola cerebrale! Il che può essere zuppa e pan molle con la nostra testa con molto spazio per il cervello (che si riferisce alla capienza della scatola) e non già con cassa cranica grossa (che si riferisce alla grossezza delle pareti).

Il Prof. Pollacci poi ci rimprovera di avere accennato alla possibile immissione di sangue Bloodhound negli ascendenti del setter nero fuocato nonostante che il Bolam lo escluda o meglio ne infirmi la prova data da taluni col richiamo al rosso nell’occhio. E’ vero che il Bolam non fa caso di tale prova. Ma il Prof. Pollacci non cita, neppure per demolirlo, il periodo della lettera del Sig. Jack in cui è detto: “ Si trovano pure delle referenze a tipi più pesanti, con la testa grossa e pesante, con le labbra grosse e pendenti, MOSTRANDO UN RECENTE INCROCIO CON IL BLOODHOUND ed il setter inglese o l’irlandese”.

A tale proposito ricordo che lo standard proscrive tanto il tipo Bloodhound, come il tipo collie, segno evidente che immissioni di tali sangui sono avvenute ed ora se ne vorrebbero eliminare le conseguenze. E il Prof. Pollacci ben sa che sono stati importati in Italia soggetti dove la impronta del Bloodhound è indiscutibile! Così per l’intervento del collie, non abbiamo da osservare che il Prof. Pollacci insiste ancora sulla leggenda del cane da pastore scozzese usato dal Duca di Gordon per la formazione della razza, mentre il Bolam non vi crede e tutti gli altri informatori non ne parlano.

Ancora: il Prof. Pollacci vuol persuadere che altri, oltre lui, ha usato per il setter n.f. il nome di scozzese e che altri, oltre lui, ha combattuto per il mantello tricolore nel setter nero fuocato. Gliene diamo atto ma osserviamo:

per il nome: che il tentativo non ha trovato successo né nelle isole Britanniche né in Scandinavia né nell’Europa continentale;

per il mantello: che nessuno ha mai negato che in origine esso fosse tricolore, ma è indiscutibilmente esatto che ora il bianco non è desiderato (“la macchia sul petto più piccola è, meglio è”); la lettera di Paul Caillard riportata integralmente dal Prof. Pollacci non fa che documentare la sconfitta subita nel tempo dalla tesi sostenutavi cinquantacinque anni fa dal competentissimo e valentissimo giudice francese. A confutare poi l’ultima affermazione del Caillard e del Signor Trewithick che una gran parte dei cani iscritti allo Stud Book del Setter, cani nero e fuoco non hanno alcun rapporto con la primitiva razza dei Duchi di Gordon, dovrebbe pur servire il seguente brano della lettera inviataci dal Sig. Wright, Segretario del British Gordon Setter Club:

Una signora entusiasta, la Signora R.M. Gray, ha dedicato molto tempo di quest’anno allo studio di antichi libri di origine e giornali cinofili ed asserisce, escludendo ogni dubbio, che tutti i Gordon moderni discendono da “Jobling’s Dandye”

Quel Jobling’s Dandye, discendente dalla razza di Gordon che vinse il primo premio per tutti i Setters alla esposizione di Newcastle nel 1859!

Ed a proposito di gordons tricolori il Prof. Pollacci non è a cognizione che ad una femmina importata in Italia sia stata fatta scomparire la macchietta bianca che aveva sul petto? Perché? Il bianco non è forse desiderato?

Il Prof. Pollacci infine ci accusa di avere riprodotto, quale prototipo del Setter nero fuocato, l’effige di un Setter tolto dalla sua monografia; quella monografia che, secondo lui, noi non avremmo mai letto! Tale disegno, egli dice, non riprodurrebbe un setter n.f. puro ma bensì il lontano discendente di un incrocio fra un puro ed un irlandese. Questo sa il Prof. Pollacci perché ne fu informato dal norvegese Prof. Helgeby di Oslo su testimonianza del norvegese Schilbred.

L’informazione può essere esatta, ma l’accusa fattaci non ci tocca; non abbiamo usato per la illustrazione la figura data dal Prof. Pollacci or sono cinque anni; ma abbiamo direttamente riprodotto la figura come intestazione della carta da lettera del British Gordon Setter Club, di cui, vedi combinazione, è proprio presidente onorario il Duca di Richmond e Gordon! La cantonata dunque, se vera, non è nostra!

A chiusura non ci resta dunque che concludere, con sopportazione dei contradditori, che manteniamo perfettamente integre, con più vigorosa persuasione se fosse possibile, le quattro conclusioni cui eravamo arrivati nei precedenti nostri brevi appunti.

RINO RADICE

(1) se la scala dei punti avesse fatto parte, anche in una sola edizione delle due che abbiamo ricevute, dello standard britannico, non l’avremmo certo omessa, anche se la scala in genere non gode delle nostre simpatie, e non siamo soli in tale apprezzamento negativo (N.d.A.).

(2) la citazione di questo incrocio non è fatta per attribuire all’ascendenza del Setter Gordon il lupo ed il volpino, ma unicamente per dimostrare che il noto sportivo Thornton recatosi a Gordon nel 1803 non vi trovò ancora i Setter Gordon ma, sola cosa rimarchevole, l’incrocio citato.

(3) cogliamo l’occasione per correggere due errori in cui il proto è caduto nel riportare la nostra traduzione dello standard: parlando della testa egli ha fatto diventare asciugato ciò che era asciutto nell’originale ed ha ridotto un naso grande in un non grande. Anche il Prof. Pollacci sa che tali infortuni sono tipograficamente sempre possibili, cosicché nel suo attuale articolo di Diana il nome del Signor Bolam e ripetutamente e costantemente divenuto Bloam.




Brevi appunti sul setter nero focato – di Rino Radice

Brevi appunti sul setter nero focato  di Rino Radice – Rassegna Cinofila ottobre 1936, XIV

Trascrizione a cura di Michele Ivaldi

(clicca qui per leggere il seguito dell’articolo)

***

La nuova costituzione in Italia di una Società specializzata per il Setter nero fuocato ha dato inizio ad una discussione sulle origini e sulle caratteristiche, specie sul mantello e sul nome di questa razza.

Per tale fatto abbiamo ritenuto opportuno attingere direttamente nel paese che ha dato i natali alla razza alcune informazioni che potessero considerarsi un poco come punti fermi.

Abbiamo perciò interpellato i Signori W. R. Eadington, Segretario dell’English and Gordon Setter Association (Associazione del Setter inglese e del Setter gordon), il Sig. George Jack, Segretario della Scottish Gundog Association (Associazione Scozzese del cane da caccia), ed il Sig. Albert E. Wright, Segretario onorario del British Gordon Setter Club (Club Britannico del Setter gordon).

Sono dunque tre competenze, non solo per le cariche ricoperte ma anche per il posto da essi occupato nell’allevamento britannico del nero fuocato.

Il Signor W. R. Eadington del Cheshire ci scrive:

Warverley, 15 agosto 1936.

Gentile Signore,

Le mando qui accluso lo standard del Gordon Setter, come è attualmente in vigore in Inghilterra. Le mando inoltre alcune altre informazioni che forse Le possono servire. Ultimamente ho avuto la grande fortuna di potermi procurare un ottimo cucciolo Gordon e spero per la prossima primavera di avere dei begli esemplari da questo stallone e da una nipote della mia femmina Camp. Painter’s Nancy. Per qualunque altra informazione che Le possa occorrere, sarò sempre a Sua disposizione.

Cordiali saluti,

R. Eadington

Accompagnando la seguente breve memoria a stampa, dovuta alla penna del Sig. G. F. Bolam, e lo standard della razza, qual è fissato dalle Società britanniche la cui traduzione pubblichiamo a seguito di queste brevi note:

IL GORDON SETTER

Rintracciare l’origine di una qualsiasi razza di cane è, senza dubbio, interessante; ma è un lavoro senza fine, ed i risultati raggiunti sono quasi sempre inconclusivi. Informazioni autentiche ed accurate scarseggiano; e poi, un secolo fa si scriveva poco o niente su quest’argomento. Dunque, l’origine del Setter Gordon, come quella di tante altre razze canine, è praticamente sconosciuta. Un vecchio cinofilo sostiene l’idea che il Setter è probabilmente un grosso spaniel, al quale un secolo di allevamento curato ha dato la grandezza e l’apparenza caratteristica, e che ha imparato un modo speciale di segnalare la preda durante la caccia. Un altro dice, però che solo il Setter Irlandese era originariamente spaniel; le altre varietà dei setter sono prodotti di incroci di un spaniel con bracco spagnolo. Ci sono pure numerose altre teorie circa l’origine del setter, ma, in fin dei conti, non ce n’è una più attendibile delle altre. E’ un fatto però ben conosciuto che nell’anno 1830 il Duca di Gordon possedeva un gran numero di setters, di colori vari, per esempio, bianco, nero, e rosso; ogni tanto uno di questi cani veniva ceduto a qualche allevatore; e c’è poco dubbio che un gran numero di Setter Gordon di oggi sono discendenti di cani che provenivano dal canile del Duca di Gordon. E’ opinione generale che da quell’epoca si siano verificati vari incroci nell’allevamento dei Gordon. Uno scrittore dice che il Bloodhound è stato adottato per un incrocio, citando, come prova di questa teoria, il fatto che in molti Gordon si vede il rosso dell’occhio. Secondo me, però, questo fatto non prova nulla; ad esempio, il rosso dell’occhio è un difetto comunissimo anche nel Cocker nero; e non credo che ci sia il più piccolo grado di parentela fra il cocker e il bloodhound. Ammetto che il Gordon ha una maniera di muoversi alquanto simile a quella del bloodhound, ma anche questo fatto non si può prendere come prova assoluta. Si dice che al Castello del Duca di Gordon c’era un cane da pastore e che il Duca abbia adottato questo stallone molto spesso nell’allevamento di cani da caccia, ma anche qui, non esiste la minima prova: anzi, non possiamo neanche affermare con sicurezza che il Setter Gordon provenga dal Castello di Gordon. È  un fatto indiscutibile però che il Setter Gordon ha fatto molti progressi ultimamente. Il numero di registrazioni di Gordons è sempre in aumento e probabilmente il Gordon diverrà popolare come gli altri due tipi di setters. In azione, i Gordons sono ottimi; hanno un naso straordinario, e nonostante tutto quello che si dice, al contrario, sono instancabili, facilmente ammaestrabili, e trovano sempre la preda. Il Gordon è un cane di indiscutibile bellezza; la cagna è un’ottima madre. Oggi hanno un gran difetto, particolarmente evidente nelle cagne; sono molto timidi nelle mostre; però quando lavorano, questo difetto non si manifesta che raramente. Al presente, gli allevatori di Gordon si stanno sforzando di correggere questo difetto, e i risultati finora ottenuti sono soddisfacenti. Il lavoro di Mr. W. Murray Stewart, Segretario generale del British Gordon Setter Club, in questo campo, è stato di grande valore, ed è suo vanto che neanche uno dei suoi cani soffre di nervosismo. Nelle mostre ed esposizioni c’è sempre grande concorrenza nelle classi dei Gordons, lo standard è altissimo, viva la competizione, e solo un soggetto extra potrà arrivare a un C.A.C. Purtroppo, però, è difficile trovare una cagna di primo ordine. Ne conosco pochissime, e fra queste, nessuna da paragonare a Camp. Painter’s Nancy od a Camp. Bydand Miss Sport, che si sono coperte di allori nelle esposizioni di pochi anni fa. Ma con tutti i buoni stalloni che ci sono disponibili, dovrebbe essere facile rimediare a questa situazione, ed eliminare i difetti (quale la timidezza) delle cagne: timidezza, taglia piccola e posteriore vaccino. Nell’apparenza, il Gordon dovrebbe essere più grande e più pesante dell’Inglese e dell’Irlandese; la sua testa pure dovrebbe essere più pesante. Però, come complesso generale deve essere snello e agile, per il suo lavoro; gli allevatori devono cercare sempre di eliminare spalle pesanti, occhi troppo chiari, colore cattivo, coda lunga e mal portata. Lo standard, che ormai è internazionale, dev’essere ben studiato, e giudici ed allevatori dovrebbero cercare sempre di attenersi a questo standard. Troppi giudici, purtroppo, hanno le loro idee personali circa il Gordon; bisogna cercare sempre di eliminare le opinioni personali. Se tutti concorrono lealmente nell’aderire allo standard i risultati saranno certamente benefici per la razza del Gordon.

F. Bolam.

Il Signor George Jack del Dundartonshire (Scozia) ci manda, oltre lo standard, le seguenti note:

9 Settembre 1936.

In risposta alla Sua lettera, ho il piacere di scriverLe qualche informazione che spero Le possa servire.

La razza si chiama Gordon dal momento in cui fu presentata al pubblico dal Castello di Gordon (Fochabers, Banffshire, Scotland), sede Scozzese del Duca di Richmond e Gordon. La vera origine della razza è sconosciuta, ma comunque, essa non esisteva nel 1803. Il colonnello Thornton, noto sportivo di quel periodo, ebbe occasione di visitare il Castello di Gordon e nel suo libro “Northern Tour” scrive di un incrocio che il Duca aveva fatto fra un lupo e un Volpino di Pomerania. Verso il 1820 la razza fu conosciuta in diverse località. Nel 1897, il vecchio tipo del Setter di Gordon fu accoppiato con un Setter Inglese di sangue prevalentemente Laverack. Il risultato di questo incrocio fu la perdita del vero tipo Gordon, cioè il cane nero, rosso mogano (fuoco) e bianco. Esistono negli annali Inglesi tante referenze a setter nero e fuoco; però questo non vuol dire che fossero tutti Gordon. Ma purtroppo anche l’origine di questi è incerta. Verso il 1860 il Jubb, capo guardiacaccia del Castello di Gordon ebbe occasione di dire che “tutti i Setters Gordon erano originariamente nero e fuoco, ma adesso (cioè 1860) sono nero, bianco e fuoco”. Il fu Duca di Gordon preferiva quella combinazione di colori, sostenendo che era più bella e che era più facilmente seguibile sul terreno durante la caccia. Sono cani sveltissimi e allegri, e non fanno mai una falsa punta. Si trovano pure delle referenze a tipi più pesanti, con la testa grossa e pesante, con le labbra grosse e pendenti, mostrando un recente incrocio fra il Bloodhound e il Setter inglese o l’Irlandese. Faccio seguire la descrizione ed le caratteristiche principali del Gordon:  Nello standard del Gordon Club, non è permesso il nero, fuoco e bianco. La testa è più pesante di quella del Setter Inglese, molto larga fra gli orecchi, cranio leggermente arrotondato, l’occipite ben sviluppato, con molto spazio tra l’occipite e la mascella inferiore che non nel Setter Inglese. Non troppo spazio fra gli occhi; naso di media lunghezza e largo in alto, con le narici ben aperte, in modo che il naso sia più largo in questo punto. La forma della mascella inferiore varia alquanto, ma di solito la mascella inferiore è pesante. Gli orecchi pure variano; troviamo alcuni cani con gli orecchi lunghi e setosi, pendenti vicino alla faccia; in altri esempi gli orecchi sono più corti. Il corpo è più pesante di quello del Setter Inglese ma segue la stessa linea, pressappoco, cioè con le spalle profonde e ben inclinate, petto profondo piuttosto che largo, costole ben aperte dietro le spalle, specialmente nella parte posteriore; gomiti e dita dritti; gambe muscolose con ginocchia forti e larghe, ossa grandi in tutte e quattro le gambe, piedi pelosi.
Colore del Mantello. – Occhi, guancia, labbra, collo, e gola, e piedi fuoco. Fuoco sulle gambe anteriori fino al ginocchio, sulle gambe posteriori fino ai fianchi, sulla pancia, sulla parte interna delle cosce e dentro le orecchie.
Altezza. – Circa 25 pollici (= 63/64 centimetri).

Spero che quest’informazione possa interessarLa. Sarò lieto di aiutarLa se ha bisogno di altra informazione.
Con distinti saluti,

George Jack.

Ed infine il Signor Albert E. Wright, di Luton, segretario di quel British Gordon Setter Club di cui è Presidente onorario Sua Grazia l’attuale Duca di Richmond e Gordon, scrive:

Luton, 20 Agosto 1936.

Gentile Signore,
Le rispondo con un po’ di ritardo perché la Sua lettera è arrivata durante la mia vacanza. In origine il Setter Gordon fu allevato dal quarto duca di Gordon al Castello di Boyne, Scozia. Vi sono molte teorie sulla origine della razza. Il vero è, probabilmente, che questi cani, che erano nero, bianchi e focati, erano della stessa razza dei Setters Inglesi. In altre parole, c’erano tre tipi di Setters inglesi cioè “Laverack”, “Belton” e “Gordon”. Più tardi, questi Gordons furono conosciuti sotto il nome di “Setters nero-focati”. E un cane di questa razza, conosciuto quale “Gobling’s Dandye” ha vinto il primo premio nella prima mostra tenuta in questo paese; il che avvenne a Newcastle nel 1859. Una signora entusiasta, la Signora K. M. Gray, ha dedicato molto tempo di quest’anno allo studio di antichi libri d’origine (stud books) e giornali cinofili, ed asserisce escludendo ogni dubbio, che tutti i Gordons moderni discendono da “Gobling’s Dandye”. Si crede generalmente che siano stati fatti degli incroci con Setters Irlandese per eliminare le macchie bianche, e da questo è risultato il Gordon moderno. Il bianco riappare regolarmente, però, in piccole quantità, generalmente sul petto e qualche volta sulle dita. Spero di averLe dato delle notizie interessanti, e di averLe risposto alle informazioni che mi ha domandato. Mi dispiace di non essere in grado di contraccambiare i suoi complimenti scrivendo nella Sua magnifica lingua.

Sinceramente,

Albert E. Wright

Non crediamo di errare se, a conclusione delle informazioni avute, possiamo concludere:
che pur non potendo stabilire precisamente quale regione diede origine alla razza in esame, si può con sicurezza asserire che essa ebbe i natali nelle Isole Britanniche, avendo concorso alla sua formazione e fissazione, oltre ad altre razze canine (quali il cane da pastore scozzese, il bloodhound ecc.) il setter inglese principalmente ed il setter irlandese;
che il nome comunemente usato nelle Isole Britanniche è quello di gordon e secondariamente di nero fuocato, mentre nessun richiamo viene fatto alla regione scozzese;
che il mantello ora fissato è il nero fuocato, escludendo il bianco, solamente tollerato;
che il setter nero fuocato deve essere nel suo complesso un poco più pesante del setter inglese senza però eccedere.

Rino Radice

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CARATTERISTICHE DEL SETTER NERO FUOCATO STABILITE DALLE SOCIETA’ BRITANNICHE SPECIALIZZATE.

(Società del Setter Inglese e del Setter Gordon e dalla Società Britannica del Setter Gordon).

Disegno apparso nell’articolo originale

Apparenza generale. – Un cane di stile, di aspetto meno snello del Setter Irlandese ma di apparenza più dignitosa; muscoloso, e di tipo prettamente Setter, di conformazione simmetrica. Dorso forte e relativamente corto e livellato, coda corta. Testa ben delineata, con espressione intelligente, colori ben definiti, con pelo liscio o leggermente ondulato.

Grandezza.  – In media, altezza alle spalle, per il maschio 66 centimetri; per la femmina 62 centimetri.

Testa. – Profonda piuttosto che larga, con molto spazio per il cervello, ben arrotondata, cranio ben formato, e più largo fra le orecchie. Lo stop della testa è ben marcato. Sopra e sotto gli occhi dovrebbe essere (asciugata) asciutta e le guance le più strette possibile. Il muso è abbastanza lungo con linee quasi parallele, e non a punta sia guardandolo dal di sopra che guardandolo di profilo. Le guance non pendenti, ma con una indicazione chiara delle labbra. (Non) Naso grande, largo, con narici aperte, di color nero.

Occhi. – Abbastanza grandi, non troppo profondi né troppo sporgenti; bruno scuri, brillanti e intelligenti.

Orecchie. – Attaccate basse sulla testa, abbastanza larghe e sottili.

Collo. – Lungo, magro, arcato verso la testa, e senza giogaia.

Spalle. – Lunghe, oblique, che indicano libertà di movimento; gomiti abbastanza bassi.

Petto. – Profondo, e non molto largo davanti. Le costole ben allargate, lasciando molto spazio per i polmoni.

Arti anteriori. – Ossa grosse, diritte, ben coperte di pelo, con gomiti liberi.

Arti posteriori. – Lunghi dall’anca al garretto piatti e muscolosi; dal garretto al tallone corti e forti. Le articolazioni ben piegate e non inclinate né in dentro né in fuori.

Piedi. – Ovali, con le dita unite e ben arcate.

Coda. – Corta e non dovrebbe arrivare sotto il garretto. Portata orizzontale o quasi. Grossa alla radice, terminante in una punta sottile. Il pelo vicino alla radice della coda dovrebbe essere dritto, diminuendo di lunghezza verso la punta.

Pelo.– Dovrebbe essere soffice e lucente, somigliante a seta. Liscio o leggermente ondulato ma non riccio, con peli lunghi sulle orecchie, sotto lo stomaco, sul petto, dietro agli arti posteriori ed anteriori e vicino ai piedi.

Colore e macchie. – Nero cupo lucente, con macchie di un colore caldo rosso-mogano. Le macchie debbono essere lucenti e non opache. Possono avere delle strisce nere sui piedi.

POSIZIONE DELLE MACCHIE FOCATE

  1. Due macchie distinte sopra agli occhi, di non più di due centimetri di diametro.
  2. Ai lati del muso, la fuocatura non deve oltrepassare la base del naso, sì da sembrare una striscia intorno alla punta del muso da una parte all’altra.
  3. Sulla gola.
  4. Due larghe e distinte macchie sul petto.
  5. Sulla parte interna degli arti posteriori e delle cosce, le macchie possono allargarsi fino alla parte esterna degli arti fra il garretto e il piede, ma non devono però eliminare completamente il nero sul retro degli arti posteriori.
  6. Sugli arti anteriori, dietro fino al gomito, davanti un po’ più in alto.
  7. Intorno all’ano.

E’ tollerata una macchia (bianca) sul petto ma più piccola è meglio è.

DIFETTI

Impressione generale. – Apparenza poco intelligente. Tipo Bloodhound con testa grossa e pesante, orecchie troppo grandi e corpo senza garbo. Anche il tipo Pastore Scozzese, con muso a punta e la coda arcata.

La testa. – A punta, piccola, muso che va in giù o che va in su, bocca troppo piccola o troppo larga.

Gli occhi. – Di colore troppo chiaro, troppo infossati o troppo sporgenti.

Orecchie. – Attaccate troppo in alto, troppo larghe o pesanti.

Il collo. – Grosso e corto.

Spalle e schiena. – Di forma irregolare.

Il petto. – Troppo largo.

Arti e piedi. – Storti, gomiti sporgenti in fuori; dita allargate, piedi piatti.

La coda. – Troppo lunga, portata male, ricurva all’estremità.

Il pelo. – Riccio come la lana, non lucente.

Il colore. – Fuocature troppo chiare, senza linee ben marcate fra i diversi colori. Piedi bianchi. Troppo bianco sul petto. Fra il nero non ci dovrebbero essere peli focati. Questo si verifica intorno agli occhi.

Clicca qui per leggere il seguito dell’articolo.




I Tre Stili di Giacomo Griziotti

I Tre Stili di Giacomo Griziotti– Rassegna Cinofila n. 11- Novembre 1932

(Trascrizione a cura di Maurizio Peri)

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Ricordo di avere, altrove, in altri tempi e seguendo, indegnamente, le orme di illustri maestri quali il Caillard ed il Matteucci, parlato della differenza essenziale tra lo stile di lavoro del setter e quello del pointer. Se, in genere, ed almeno in Italia, questa differenza è ammessa, riconosciuta ed apprezzata, ho notato invece, per quanto riguarda le caratteristiche di lavoro delle tre varietà di setters inglese, scozzese ed irlandese, una tendenza unificatrice, assimilatrice, quasi le tre razze avessero lo stesso modo di camminare, fermare, etc..

Ebbene no, signori miei, tra lo stile di lavoro delle tre varietà di setters vi è forse ancora tanta diversità quanta ne intercorre tra quello del setter e quello del pointer. Ho visto magnificare setters scozzesi ed irlandesi che fermavano a terra strisciando sul ventre come serpi. Bellecroix stesso descrive un setter irlandese “couchant”.

Comunemente si dice di un cane “è molto setter”. Sta bene. Ma se questa espressione può rendere l’idea di quella particolare molle elasticità di movimento che caratterizza tutte le varietà di setters, è però troppo generica e non fa rilevare le speciali caratteristiche di andatura e di ferma che sono proprie di ciascuna varietà, caratteristiche che sono il portato della diversa costruzione e del diverso temperamento di esse.

Nel 1931 correvano nelle nostre prove italiane due setters scozzesi uno dei quali fermava completamente a terra, King of Pavia, l’altro ben eretto in una posa statuaria ed imponente, Mogol dell’Apulia. Ebbene. Alcuni giudici magnificarono l’uno e buttarono giù l’altro e viceversa. E’ ammissibile questo? Io direi di no!

Ma l’esempio tipico di grande attualità è dato dal ben noto setter scozzese Prenz di S. Anna. So di toccare un tasto delicato ma vi sono costretto dall’evidenza e dalla popolarità dell’esempio e non da spirito polemico. Ora, Prenz di S. Anna è, indubbiamente, un cane eccellente, non comune, per andatura, olfatto, ferma, consenso e, soprattutto, equilibrio ma, per quanto riguarda lo stile, specialmente di ferma, è un perfetto setter sì ma inglese. A sostegno della mia asserzione invito i miei pazienti lettori che non avessero visto il cane al lavoro a confrontare le sue numerose fotografie apparse sui giornali e riviste cinegetiche con quello dei trialers setter inglesi di maggiore stile. Ci ha fatto, pertanto, meraviglia che il giudice belga Huge abbia potuto dichiarare che Prenz di S. Anna ha il miglior stile gordon che egli abbia mai visto.

Mi si potrà dire che vado troppo sottilizzando. Io ripeto che Prenz di S. Anna è un cane eccellente e che ha pienamente meritato gli allori che gli sono stati tributati, ma se mi si dice che Prenz di S. Anna ha un grande stile gordon, io dissento. Se si può, talvolta, transigere in omaggio al complesso dei meriti di un cane, su certe sfumature, quantunque, in gara classica, esse siano fondamentali, non bisogna però perdere di vista quelle che sono le principali caratteristiche di lavoro di una razza e giacchè ci siamo, diamo una rapida corsa a queste caratteristiche.

Il lavoro del setter inglese è ormai indiscusso, canonizzato ed è caratterizzato da grande contrazione, da pose a terra o pres de terre con tronco incassato tra le scapole, angoli chiusi, arti raccolti sotto di sé pronti a scattare, coda bassa. Una sola linea dal tartufo alla punta della coda. Richiamiamo i numerosi quadri e fotografie di Banchory Jim e la nostra figura n.1 che è ispirata appunto ad una di quelle fotografie.

Banchory Jim

Lo stile di ferma del setter scozzese o gordon non ha nulla a che vedere con quello del setter inglese. Quindi niente pose schiacciate, feline, ma ben erette, dominanti, muso al vento, coda diritta oppure leggermente rialzata, poca contrazione. La contrazione è sostituita nel gordon, come nel bracco, dall’imponenza statuaria, dalla maestosità. Vedi figura n.2.

 

Figura 2

Le ragioni di questa differenza, oltre che nel diverso temperamento, risiedono anche nella diversa velocità. Il setter inglese, più veloce, avverte più all’improvviso e si schiaccia oppure si precipita a terra con una breve strisciata. Il setter scozzese, più lento, avverte più incerto e più da lontano e arriva alla ferma dopo più lunga filata e dopo aver meglio riflettuto ed essersi maggiormente assicurato. E’ naturale quindi che abbia poca contrazione.

Il setter irlandese poi ha una posa di ferma affatto propria, caratteristica, inconfondibile. Posteriore basso schiacciato, quasi trascinato, coda bassissima, quasi cadente fra le gambe, anteriore invece ben eretto. Anche qui poca contrazione, almeno nel corpo. Ne vediamo invece nel collo e nella testa quest’ultima leggermente inclinata verso terra con una espressione graziosamente curiosa. Vedi figura n. 3.

Figura 3

Mi si dirà che non è possibile standardizzare in modo così assoluto. Lo ammetto, ma io ho voluto soltanto tracciare dei modelli e non è da pretendere che le copie riproducano pedissequamente gli originali. Certo è che, di regola, i setters scozzesi ed irlandesi non devono fermare a terra, mentre i setter inglesi non devono fermare eretti o almeno completamente eretti.

Perché?

Confesso che mia convinzione, quantunque concordi con quella di eminenti cinofili, è però basata piuttosto sulla pratica, su impressioni, su ragioni d’intuito e che potrebbero essere tacciate di soggettività e di empirismo, ma la ragione vera, concreta, ebbe ad indicarmela un giorno il collega Cav. Pastrone, vero studioso in materia e che ha approfondito la questione . Ed è questa.

Il setter inglese discende dall’epagneul, dal “chien couchant” originario della Navarra dove, diversamente di quanto accadeva in altri paesi si usava la rete a strascico (tirasse) che veniva tirata dall’indietro in avanti e passava necessariamente sopra il cane, coprendolo anche talvolta. Il cane doveva, quindi, ed era anche, appositamente, abituato a fermare a terra per non ostacolare il movimento della rete.

Questo fatto, unito anche ad una naturale tendenza, ha abituato, a poco a poco, l’epagneul a fermare a terra e questa qualità, tramandata di generazione in generazione, è passata poi nel setter inglese. Ora, per quanto quest’ultimo, come tutte le altre razze, abbia subito incroci (sia pure a scopo di miglioramento) deve, tuttavia, conservare tracce evidenti di quella tendenza atavica. Il cane non fermerà più a terra, posa non sempre elegante, ma fermerà almeno schiacciato, diversamente si dovrà concludere che nella razza non vi è stato soltanto razionale incrocio, bensì totale assorbimento.

Scrivo questo solo per illustrare le vignette dell’amico Coppaloni, giovane ma valente cinofilo, quantunque esse siano già di per se stesso eloquenti più delle parole. In esse si sono forse, ma ad arte, esagerate le caratteristiche per rendere più evidenti le differenze.

Non ho la pretese di dire cose nuove, solo non credo inutile ricordare questi essenziali canoni differenziatori delle varie razze di setters, canoni che, purtroppo, sembrano, molte volte, totalmente sepolti nell’oblio.

Pavia, 18 novembre 1932 XI                                                                      Giacomo Griziotti

Altri materiali storici sul setter gordon sono disponibili a questi links:

Gino Pollacci, Duca di Gordon

Brevi appunti sul setter nero fuocato di Rino Radice




La responsabilità dell’educatore cinofilo di Tania Andreutti

La responsabilità dell’educatore cinofilo, i danni della mediocrità
di Tania Andreutti (Educatore Cinofilo)
Direi che vale per ogni ambito, ma mi limiterò a quello che ho scelto di approfondire da ormai 18 anni in maniera più scientifica per un mio generale approccio scientifico al mondo, per passione ma soprattutto per amore dei miei cani: la cinofilia.
Credo che il processo naturale della percezione e della conoscenza parta dalla consapevolezza di non capirne un cazzo, fondamentalmente… Hai cani, ci vivi da tempo ma ti rendi conto che c’è molto più da sapere, e così inizi la formazione (oppure sei al primo cane e ti poni il problema da subito). Passa qualche anno, per qualcuno meno, molte letture, stage, corsi, lavoro con i propri cani, sperimentazione, confronto… Per qualcuno c’è il corsetto da educatore in 36 ore con un attestato che qualche mente criminale – per scopo di lucro -ti ha rilasciato facendoti pensare di essere pronto a diffondere il suo verbo, così inizi a sentirti “colto”. Per alcuni arriva il momento del “ormai so quasi tutto, posso insegnare praticamente a tutti”, per altri un semplice “beh, direi che ne so abbastanza, tutto sommato ne so”, e molti si fermano qui. Quelli che si fermano in questa fase sono i mediocri: sono la maggioranza e sono in mezzo a noi, sono i tuttologi, sono quelli che ci tengono a dire la loro sempre ovunque, senza capire quando è il momento di tacere, senza umiltà, spesso con l’atteggiamento supponente e i sorrisetti di accondiscendenza che distribuiscono a chi li mette in discussione. Altri continuano lo stesso, sapendo che non ne sapremo mai abbastanza e capita qualcosa che ti fa salire quell’ansia dell’ “oddio, non ne saprò DAVVERO mai abbastanza”. Alcuni si fermano e decidono di non pensare più con la propria testa, ma di prendere per buono ciò che viene da quella che per loro è una fonte autorevole, perché non hanno la tempra per accettare questa sensazione di indeterminatezza (che è la stessa che porta la gente ad appoggiarsi ai “guru” senza metterli in discussione o a seguire una religione). Altri dicono “pazienza, non smetterò mai di cercare di capirne di più ma comunque non saprò mai tutto quello che vorrei” e vanno avanti, senza smettere mai.
Ma il problema di chi arriva (peggio per chi si ferma) nella fase arrogante della fasulla illusione di sapere davvero ciò che sta professando è che non si rende conto dei danni che può fare quando assume il ruolo dell’educatore. L’educatore ha una responsabilità in più, perché la gente che si rivolge a lui/lei fondamentalmente a lui/lei si affida, e il grado di abbandono è inversamente proporzionale alla preparazione e alla sicurezza dell’individuo.
Quando noi educatori facciamo una prima valutazione, stiamo facendo appunto una prima valutazione: quel cane e il suo compagno umano non li conosciamo, sappiamo quel che ci dicono e vediamo un piccolo spaccato di loro due, ma è solo uno spaccato, a volte fasullo.
I cani e le persone, ad una prima valutazione, potrebbero non essere nel loro contesto abituale (e quello è il motivo per cui alcuni di noi fanno le valutazioni a casa del cliente) ma potrebbero essere in un periodo della loro vita particolare,oppure in una condizione psicofisica alterata. Ci si sveglia con la luna storta, si potrebbe aver dormito male, aver mal di pancia, avere caldo, freddo o tiepido, male ai piedi o quella mattina aver litigato con qualcuno che ti ha rovinato la giornata… possono esserci così tante variabili che solo l’esperienza e l’umiltà del non mediocre gli ricordano cosa potrebbe incontrare. E poi ci sono cose che vedi oggi che sono il risultato di ciò che è stato: che ne sai davvero di come quel binomio è arrivato lì, da dove è partito?
Ma il poco esperto (o il mediocre) prende quello che vede e crede di aver capito: ha capito chi ha davanti, cane e persona che sia, e spesso crede di avere la responsabilità di dirlo alla persona che ha di fronte con la supponenza del “lo faccio per il bene del cane, della vostra vita assieme, della vostra felicità”.
Ma chi hai di fronte, tu piccola persona, mentre dici ciò? Non necessariamente di fronte hai una persona sicura di sé che si rende conto che stai dicendo una serie di stronzate – per le quali dovresti davvero vergognarti, potresti avere davanti una persona che non ha le competenze per capirlo, che non ha gli strumenti di conoscenza, o magari caratteriali, per ridere del tuttologo del giorno, voltare pagina e andare altrove. Davanti a te potrebbe esserci una persona molto meno esperta, o molto più mediocre, o così insicura da permettere che il tarlo del senso di colpa attecchisca, che le boiate che gli sono state propinate si insinuino, tanto da fargli mettere in discussione e in dubbio cose che invece non dovrebbero essere toccate perché sane.
Noi professionisti abbiamo questa responsabilità, quella di avere a volte un ascendente su altri che potrebbe aiutare, o danneggiare, chi si affida a noi ed è per questo che dobbiamo imparare i limiti della nostra professione, e capire che quello che possiamo dire è “in questo momento io vedo questo e penso che potrebbe essere così, perché in questa situazione io ho visto questo, ma qui e ora potrebbero essere diversi da ieri e lì, o da domani e là,quindi devo conoscervi meglio prima di poter dire le cose con maggior sicurezza”. A volte la strada è giusta, a volte dobbiamo raddrizzare il tiro e cambiare strategia man mano che impariamo a conoscere il cane e la sua persona.
Se non siete disposti ad arrivare a questo punto del vostro percorso professionale, rischiate di fare dei danni e spero che abbiate almeno l’umanità da preoccuparvi di questo. Se non ne siete capaci, siete solo altra fuffa come ce n’è davvero già troppa e posso solo augurarmi che i vostri clienti lo capiscano da soli.



Una gemma dal 1956: un italiano ai trials inglesi

Come alcuni di voi già sanno, ho ereditato l’archivio del Dr. Ridella, veterinario e allevatore di setter con l’affisso Ticinensis. Mi sento onorata di essere stata scelta come custode di questi materiali, ma mi rincresce ammettere che ne ho ripulito e ordinato solo metà delle riviste. Tuttavia, circa 50 anni di editoria cino-venatoria, sono oggi ben archiviati e leggibili. Sapendo ciò, un amico mi ha chiesto di trovargli due articoli di Solaro del 1938 e del 1954 che, ovviamente, non sono riuscita ad individuare. Non dandomi per vinta, ho controllato anche gli anni limitrofi, niente da fare, ma ho trovato qualcosa di estremamente affascinante ed inatteso. Nel numero del secondo trimestre di Rassegna Cinofila (è l’antenato dei Nostri Cani) del 1956, c’è un bell’articolo di Giulio Colombo (1886-1966). Per chi non lo conoscesse, Colombo era allevatore con affisso della Baita, nonché un noto giudice. Aveva sempre cercato di tenere vivi i legami tra Italia e Gran Bretagna e l’Italia importando, tra gli altri i setter: Lingfield Mystic (vincitore del Derby inglese); Lingfield IlaLingfield Puma e Bratton Vanity. Grazie all’articolo, ho scoperto che nel 1956, Colombo è andato a giudicare a Sutton Scotney (Hampshire – UK) e ha raccontato laesperienza. L’articolo è leggibile per intero nel PDF che potete scaricare qui o nella photogallery qui linkata. Ne riporterò però qui alcuni pezzi salienti.

Colombo comincia pensando a Laverack, Llewellin e Lady Auckland (che giudicava con lui) e con un excursus storico che spiega come mai setter e pointer siano stati selezionati in questa maniera. “Credo aver, inteso i due Grandi sussurrare a un dipresso così: Competizioni di giganti le nostre, quando ancora si credeva alla necessità del cane da ferma sul terreno della caccia, quando pointers e setters rispondevano al gusti venatori del cacciatore, quando non si codificava un bel niente a priori, teoricamente, per estetismi o postulati da tavolino senza aver vissuta o sofferta mai la, passione incontenibile dello sport codaiolo, fra le più strenue ed inebrianti passioni, quando pointers e setters, cani da Grande Cerca, si imposero selezionati perfezionati, secondo suggeriva la pratica diuturna di lunghe stagioni venatorie con l’esperienza del terreno e dei selvatico, a servizio del fucile vagante, e si stabilì la macchina animale perfetta, collaudata con formula aderente alla realtà per quel terreno e quel selvatico, e conquistò il mondo intero quella macchina intelligente, tanto che nati Inghilterra pointers e setters furon poi cittadini di ogni Paese.”

Non credo ci sia molto da aggiungere, poi continua con la descrizione dettagliata del lavoro che essi sono chiamati a fare: “II cacciatore ragionò così: di fronte a me la pianura sconfinata, ondeggiante di mammelloni di grani, di stoppie, di prati, di eriche, faticosa, lenta da per correre tutta scarpinando da coltivo a coltivo, da piaggia a piaggia in traccia delle compagnie di starne e grouses discoste le une dalle altre in famiglia ciascuna col proprio pascolo, e le lunghe pause senza incontri e senza sparare scoraggiano anche il cacciatore più caparbio: a me occorre un ausiliare speciale anzi una pariglia di tali, dall’olfatto possente, cerca indefessa. dalla ferma statica, dalla guidata corta, che a galoppo spinto per accorciare le distanze, nel tempo breve per la nostra passione da crepuscolo a crepuscolo, risparmiando a me ciechi e fortunosi passi, concludano spicci su grouses e su starne e magari su lepre sorniona; e perché io possa sparare a visuale libera senza tema, giù, a terra proni a frullo e schizzo. Drake e Dash, ed é il più bel momento della vita di cacciatore; e perché quel selvatico che non possono raggiungere né se vola né se galoppa, non induca in tentazione, proni testa fra gli arti ari in segno di rinuncia, voi cavalieri dei moors e praterie, per riporto e recupero i ho apparecchiato io stesso un valletto che non falla. il retriever, vi risparmi di strusciare il tartufo pistando, voi Signori », Torto o ragione, ragionavano cosi e così fu sempre categoricamente a quei tempi. Proscritti falsi allarmi di ferme senza presenza di selvatico, non si tolleravano inganni ed indugi oziosi, se Drake e Dash fermano ci sta il selvatico e non lo mollano più, e si raziocinava così: « Perchè noi si possa usufruire del lavoro di due cani, ed uno non costituisca il doppione dell’altro galoppandogli al fianco appaiato, li sguinzaglio nel bel mezzo dell’area da esplorare e partano essi uno verso destra e l’altro verso sinistra in senso opposto, e giunti a un centinaio di metri, anche di più a seconda del terreno vasto e sgombro, virino essi e ritornìno in direzione l’uno dell’altro, sempre nella scia dei vento, ma più oltre verso la meta lontana, in maniera da esplorare il terreno anche nel senso della direttiva di marcia, e si incontrino a metà cammino scambiandosi il lato come nella quadriglia dama e cavaliere, a ritmo cadenzato, con astuta sincronia e… nacque la cerca incrociata, non eleganza, ma accorgimento pratico.

E affinché l’intesa fra i due ausiliari fosse concorde, con rispetto della fatica e della autorità di ciascuno e l’uno approfittasse dei risultati concreti dell’altro, ecco che mentre l’uno dei cani bloccava col rito della ferma l’altro non persisteva ad esplorare, ma sostava immobile simulando a sua volta la ferma per mimetismo conscio e istintivo, per collaborazione atavica fra gli animali ida preda, e il segugio accorre scagnando all’indicazione sonora e Drake rispetta la ferma non sua ed ecco codificata la pratica del consenso, indispensabile con ausiliari che trescano veloci e lontani.

E siccome il selvatico tiene udito sensibilissimo, abolito ogni richiamo a voce o col fischio, cenni della mano al cane che di tanto in tanto sbircia al padrone per interpretarne le intenzioni, quindi tacita intesa fra cacciatore ed ausiliare, l’uno per l’altro. E quando s’ha da interrompere l’azione, un sibilo e i cani al terra, docili al guinzaglio e si inaugurò il drop e il down, non accademia da recinto, ma freno in terreno libero. Col tempo per emulazione fra scuderie, per sane rivalità sportive fra amatori di razze affini a chi tiene i l miglior cane con olfatto più potente a corsa più veloce e reazioni più pronte, nacque in un paese di scommesse, il cane da gara, il Trialler, via col vento, cane da Sport, ma riproduttore che rifornisca i ranghi per cacciare starne e grouses e non lepri e conigli, in terreno vasto e non negli scampoli di grano.”

Qui viene espresso in dettaglio il lavoro “ideale” dei cani inglesi e le motivazioni pratiche che stanno dietro a queste pretese. Leggendo questi paragrafi sento ancora più la mancanza delle mie esperienze britanniche, perché da loro le cose sono rimaste all’incirca come descritte qui. Se non avessi prima visto, e poi partecipato ai loro trials, sarei un cinofilo diverso, avrei un cane diverso ma… devo ammettere che sono contenta di quello che sono! Segue qualche notizia sulle regole del gioco, con riflessioni sui pro e sui contro delle diverse regole:“In Inghilterra non si redige relazione alcuna, non si concede qualifica, si comunica l’ordine di classifica dal primo ai quarto con una riserva, e stop, i concorrenti tanto intelligenti da valutare da sé gli errori dei propri allievi senza sentirseli ricordare per iscritto postumo dal Giudice e talmente sportivi da comprendere che se il Giudice ha creduto di disporre i cani in un dato ordine progressivo è ozioso recriminare e voler sostituire tante altre classifiche quanti concorrenti e spettatori, ognuna diversa dall’altra, ma tutte quante più oculate, più cognite, più probanti, più sapute, più pettegole di quella ufficiale!”

Non ci sta minuto di tolleranza, assurda nostrana indulgenza che consente al cane di dimostrare le proprie attitudini a far frullare, a rifiutare il consenso, a rincorrere, a beffare il conduttore, senza che il Giudice possa prenderne atto, coll’eventualità magari di non aver mai più durante il turno il cane occasione di ripetere quanto é suo costume perpetrare dì norma, e frodare magari un premio con relativa qualifica bugiarda.

Nemmeno si tiene conto di un lasso di tempo prestabilito per la prova: allorché il Giudice opina di essersi fatto un concetto probante del lavoro dei cani taglia corto, e su questo si potrebbe discutere, perché un minimo di percorso è più equo a garanzia delle probabilità comuni, eccetto per gli errori da squalifica. Vige il sistema dei richiami protratti con confronti ripetuti, con pericolo di dover sul finire della gara modificare da capo una classifica già plausibile”

Se volete saperne di più sulle differenze tra le prove italiane e quelle britanniche, potete andare a leggerle qui. Faccio una breve riflessione sull’abitudine inglese di non avere relazioni a fine prova: Colombo dice che il pubblico spesso tende a saperne di più del giudice. Persone che, pur stando a centinaia di metri dal cane, vedono e prevedono errori che sfuggono (secondo loro) ai giudici! Credevo che negli anni ’50 il pubblico fosse più , come dire, sobrio ma apparentemente l’arte di attribuire errori inesistenti ai cani degli altri ha radici antiche. Colombo poi racconta del Derby (non so se fosse identico all’attuale Puppy Derby, per soggetti sotto ai 2 anni) e non ho capito se i cani correvano a singolo o in coppia, siccome menziona poi le Brace Stakes (in coppia). “Nel complesso del lavoro nel Derby constatai qualche fase di dettaglio, insistenze su orme, qualche consenso stentato a comando, senza partecipazione né formale né conscia all’azione; Nota del Concorso presente in alcuni esemplari, ma frenata da frequenti incontri di fagiano, lepri e conigli, scarse le starne, e deplorevole il coniglio soprattutto, che conta é la starna, per fagiani basta il cocker. Punte in profondità. ritorni all’interno come in Coppa Europa, qualche intemperanza di richiami come da noi. Soggetti a corto di preparazione per il maltempo, alcuni veramente di classe, ma non superiore nel complesso alla nostra attuale. Primo Lenwade Wizard, pointer di Mr. Arthur Rank, di 15 mesi, stilista, corretto, galoppo sciolto, risolutivo sull’incontro. Secondo Lenwade Whisper, pointer di Messrs P. P. Wayre’s e G. F. Jolly’s, di 15 mesi, con buon percorso, benché lacets troppo compatti e qualche incertezza nell’indicazione.”

Seguono accenni alla Brace Stake: “Le Brace Stakes videro presenti due Setters, irlandesi, Sulhamstead Bey d’Or e F. T. Sulhamstead Basil d’Or. Basil soggetto rimarchevole, con reazioni pronte e buon olfatto, impegno e buon galoppo, qualche incertezza e ritorni all’interno, ferma e guida con espressione, consente, bene in mano, ben condotto, surclassa il compagno Bey e si aggiudica per proprio esclusivo merito il secondo premio, trattenuto il primo, della pariglia.”

Alla All Aged Stake era stato iscritto anche un weimaraner che poi non si è presentato. Colombo disquisisce sul far correre un continentale insieme a degli inglesi: “non avendo visto il Weimaraner sul lavoro non posso affermare se fosse o no nera Nota del Concorso dl Setters e Pointers, superflua qualsiasi meraviglia dal momento che corrono da noi diversi Kurzhaar ed Epagneuls perfettamente nella Nota della Grande Cerca assai più di qualche esponente di razza inglese; gli inglesi, con meno ipocrisia e più raziocinio, dal momento che alcuni continentali filano all’inglese, li fanno correre con gli inglesi; la Grande Cerca non è questione di coda lunga o corta, ma di garretti, olfatto reagendo, e non è escluso che un giorno i Continentali, italiani compresi, corrano a Grande Cerca, e pointers e setters a Cerca ristretta.”

Dopodiché tira le somme su quanto visto nel corso delle prove: “in Inghilterra la Grande Cerca non è più professata e sentita come un tempo, in un ambiente dove il cane da ferma è in crisi gravissima di impiego eccetto che alcuni pochi attivissimi Sportsmen fedeli alla formula antica; che è la prassi impiegata per correre la Grande Cerca che si allontana oggi in Inghilterra, o quantomeno a Sutton Scotney, non dal modello continentale ma da quello stesso descritto e commentato dagli Autori inglesi, praticato per il passato e introdotto poi sul continente: turni a singhiozzo, interruzioni di percorso per battere porzioni limitate, della pur vasta area, sfruttamento di appezzamenti, di scampoli di terreno percorribili in qualche minuto, assolutamente inidonei allo sviluppo della cerca in grande e anzi in contrasto con la cerca dinamica e veloce pertanto che nota personalità inglese ebbe a definire alcuni: turni da Springers; si tollerano dai conduttori troppe fasi di dettaglio e si ammettono lunghe guidate inespressive con schizzo finale di lepre e coniglio considerate valide, e niente sta ad attestare la possibilità di pistaggio che il Trialler naso al vento deve trascurare non essendo suo compito preoccuparsene; si dimentica spesso che il consenso è attivo, partecipante, solidale con il cane in ferma e non rinunciatario e passivo per obbedienza; non si reprimono sempre i ritorni all’interno e si tarpa talora l’azione del cane di lato costringendolo a percorso inadeguato allo scopo stesso della velocità.”

Il cane da ferma era in decadenza in Gran Bretagna nel 1956? Non lo so, non c’ero, quello che posso intuire da letture passate ed esperienze presenti è che la realtà venatoria britannica era (ed è) completamente diversa dalla nostra come potete leggere cliccando qui. La loro gestione faunistica-venatoria ha indubbiamente favorito spaniels e retrievers, a scapito dei cani da ferma. Probabilmente, nel 1956, i cani da ferma erano comunque cani di nicchia e in stagnazione, mentre da noi si assisteva ad una sorta di ascesa della caccia con il cane da ferma, gli inglesi in particolare. Innanzitutto la Grande Cerca intesa da Colombo nel 1956 era molto diversa dalla Grande Cerca attuale ma… gli inglesi hanno mai avuto una vera e propria Grande Cerca? Non ricordo nulla di specifico ad opera di autori inglesi. Non dico che non sia mai stata descritta, dico che non ne ho mai letto e mi piacerebbe leggerne su uno dei testi a cui fa riferimento Colombo, senza però indicarne i nomi. Mi piacerebbe poter conversare con lui e capire, capire cosa intendessero gli inglesi – secondo lui- per Grande Cerca e capire la sua visione. La sua visione, in fondo la conosciamo, non possiamo certo dimenticare che il cane ideale per Colombo era velocissimo, dalla cerca estrema, dal naso superlativo. Lo chiamava “il puro”, il “folle” e in “Trialer! Saggio di Cinofilia Venatoria” (1950) lo definiva: “Il Riproduttore, Il Capolavoro, il quadro d’Autore, il brillante di cinquanta grani, l’oro zecchino. E’ il Capodanno, non gli altri 364 giorni.” La cinofilia italiana è stata profondamente influenzata dalla visione di Colombo, ma non quella britannica e, come dicevo sopra, non sono nemmeno certa che inizialmente fosse indirizzata in quella direzione. [In ogni caso mi sono rimessa a leggere Arkwright a piccoli passi].

Turni da spaniel. Interruzioni di percorsi, terreni questionabili, lunghe fasi di dettaglio, lunghe guidate eccetera, le ho viste?Ni. Ho seguito e partecipato ad almeno 20 trials, forse di più, e ho visto alcune delle cose di cui racconta Colombo ma andava sempre così. Molto andava a discrezione dei giudici e dei guardiacaccia (è il guardiacaccia che ti dice dove puoi fare il turno!) e il livello dei cani era variegato. Non so come fosse la situazione a Sutton Stockney ma, in certi trials a grouse si corrono in mezzo a densità di selvatici impressionanti. Non è che si possano fare chissà quali percorsi. I consensi a comando? Li chiedono ancora anche se un consenso naturale è molto apprezzato e si sta lavorando in questo senso. Tirando le somme, comunque, credo che Giulio Colombo si aspettasse di assistere a qualcosa di diverso e sia rimasto un po’ spiazzato. Ciò nonostante, Colombo non era uno stupido e ammette egli stesso che anche un giudice britannico potrebbe non essere colpito sempre in positivo dai trials italiani: “Benchè una sola prova controllata da me non possa fornirmi indice probante del complesso di un materiale setter e pointer, esiguo come numero nei confronti dell’italiano e francese, da quella sola gara di Sutton Scotney (dovrei dedurne una netta decadenza rispetto alla nostra; mi guardo dal farlo: probabilmente un Giudice inglese avrebbe la stessa impressione da alcuni turni nostrani alla Cattanea, a Borgo d’Ale ed Alice Castello.”

Il nostro inviato ammette altresì di aver visto, oltre a cani meno buoni, anche cani buoni: “Se alcuni concorrenti si palesarono tassativamente negativi al compito del Trialler, altri al limite quattro pointers almeno, due setters inglesi e un irlandese furono in tal classe da doverli rammaricare dal non poterli rivedere mai più. Fra i premiati Seguntium Niblick, pointer di Mr. J. Alun Roberts, di due anni, primo, velocissimo, sicuro sull’incontro, senso del selvatico. Scotney Gary, pointer di Mr. Arthur Rank, due anni, velocissimo, stilista, senso del selvatico, olfatto, secondo; Scotney Solitaire, pointer di Mr. Arthur Rank, di non ancora due anni, tutto nella Nota, testa alta, corretto, olfatto, reazioni, terzo; Sulhamstead Basil d’Or, irlandese, impegno, testa alta, corretto, quarto; Ch. Downsmans Bracken, setter inglese, dalle reazioni rapide, le ferme schiacciate slittando, lunghe e significative, infortunato su starne durante un rispetto di lepre, quinto. E lo indiavolato Sulhamstead Nina d’Or, setter irlandese di Mrs. Nagle’s e Miss M. Clarcks’s, di non ancora l’anno, partito su lepre, e quello inglesino blu belton dalla cerca ampia, avida, Flashaway Eve, del Col. A. S. Dalding’s, di non ancora due anni, che tende al fuori mano sul fianco, ma possiede tanta avidità e stile setter e galoppo radente da presagirne un Campione, se ben condotto.” Condivido appieno, la mia esperienza è identica alla sua: accanto a cani poco stilisti e lenti, ci sono soggetti che non sfigurerebbero anche alle nostre prove: in 60 anni è cambiato poco.

L’articolo di Colombo si chiude così: “Ma da Oltre Manica si importarono pointers e setters eccelsi, ma oltre Manica vige ancora sangue di Dero 4° del Trasimeno di Vignoli, sangue ricordato, vantato, e scorre nelle vene del secondo classificato, Scotney Gary, sangue che emigrò anche in America per ritornare in Inghilterra; e Blakfield Gide di Waldemar Marr, sorellastra di Fast, e Galf di S. Patrick di Nasturzio, sono citati in Inghilterra, paese per niente sciovinista, fra i migliori e più validi riproduttori, ed esponenti dei Pointer in quegli allevamenti: ricordiamolo anche noi.

Da “Rassegna “ ringrazio Mr. e Mrs Bank, Lady Auckland, il Segretario Generale del Kennel Club Inglese Mr. Buckley, Mr. Binney, Mr. e Mrs. Mac Donald Daly, Mr. e Mrs. William Wiley, Mr. Lovel Clifford mio valido interprete, che mi furon prodighi di ospitalità ed attenzioni durante il breve, ma denso soggiorno in- Inghilterra. Formulo il voto che la passione del Trialler non venga mai meno nella Patria Augusta del Signore l’Aria!” [Chi volesse leggerlo per intero può scaricarlo qui].

Ho deciso di parlare di questo articolo perché ritengo contenga dei punti chiave utili anche al lettore contemporaneo. Quali sono? Mi piace innanzitutto che apra con un excursus storico che spiega come si siano evolute le razze da ferma inglesi. Sono il frutto di particolari selvatici e di particolari terreni. Sono il frutto della caccia in quelle circostanze, circostanze che ne hanno plasmato il temperamento e codificato il metodo di lavoro. Prima che esistessero le prove, esisteva la caccia, esisteva il cacciatore che, a fronte di situazioni di caccia complesse, volevano tornare a casa con qualcosa nella cacciatora. Le circostanze hanno subito reso chiari quali fossero i tratti da selezionare e i comportamenti graditi, nonché tutto ciò che doveva essere considerato difetto. I cani andavano a caccia e poi, se bravi, venivano presentati anche alle prove. Un tempo era così anche in Italia e… vorrei fosse rimasto tale. Oggi abbiamo Campioni di Lavoro che non sono mai stati a caccia, che sono di proprietà (o persino condotti ed addestrati) da gente che non pratica attivamente la caccia con il cane da ferma, o che la pratica in contesti e su selvatici che si discostano da condizioni ideali e probanti. Questo porta anche a non comprendere alcuni regolamenti nati tanti anni fa, e a fare confusione su quali siano i comportamenti corretti da parte del cane, eppure costoro spesso si ritengono “esperti”. Se rileggete le parole di Colombo vedrete quanto stima il fermo al frullo, il down e il drop, definendoli “non accademia da recinto, ma freno in terreno libero”, beh nella nostra penisola sono ancora abbastanza fraintesi. Non so se Colombo sia stato anche a trials su grouse ma la sottoscritta ha impiegato pochi minuti sul moor a capire che lì, questi insegnamenti sono indispensabili. Colombo ricorda anche l’importanza del percorso, del saper stare sul vento e del lavoro in coppia. Lavoro in coppia che deve essere armonico, di squadra facendo capo a caratteristiche che devono essere nella genetica del cane. I cani devono anche essere facili da condurre, collegati e disponibili a collaborare con la minima necessità di ordini sonori, o i selvatici sarebbero disturbati troppo. Questi appunti mancano in tanti libri di cinofilia venatoria moderna, hanno forse questi tratti perso importanza?

Credo ora abbiate capito perché io ritenga il resoconto di Colombo su Sutton Scotney affascinante ed intrigante. Poi si aggiunge qualcosa di personale: proprio come lui, ho avuto modo di assistere (e prendere parte) ai British Trial e essi significano molto per me. Mi hanno trasformato in un cinofilo “diverso” e mi hanno consentito di avere un cane “diverso”.

Per saperne di più sulla cinofilia britannica cliccate qui.