Dalla parte del cane

Eccomi, finalmente dopo alcuni mesi molto intensi. Ho terminato gli esami necessari alla laurea in medicina veterinaria e ora, tirocini a parte, dovrò occuparmi della tesi che riguarderà i cani da caccia. Se volete saperne di più sul Gundog Research Project cliccate sul link. Prima di affrontare la letteratura scientifica dura e pura, ho deciso di dare un’occhiata ai libri che avevo in casa e… ho alcuni suggerimenti. Se non la conoscete, iniziate a guardarvi i lavori di Temple Grandin, questa donna ha molto da dire. (Alcuni dei sui libri sono pubblicati in italiano).

Poi, andando più nel dettaglio, vi consiglio uno dei miei libri preferiti. Il titolo originale inglese è In Defence of Dogs di John Bradshaw orrendamente tradotto in “La naturale superiorità del cane sull’uomo” e… pare fuori stampa. Un vero peccato: è un libro gradevolissimo da leggersi e di grande rigore scientifico, ogni cinofilo dovrebbe leggerlo. Il secondo libro si intitola The Domestic  Dog. Its Evolution,  Behavior and Interactions  with People. Si tratta di un’antologia curata da  James Serpell che racchiude parti di differenti studiosi tra cui Raymond Coppinger,  M.B. Willis,  Benjamin and Lynette Hart e Valerie O’ Farrel.  Non mi risulta tradotto in italiano ma c’è anche un articolo curato da Boitani e altri collaboratori. Io possiedo l’edizione del 1995, prima edizione, ma ho intenzione di controllare anche la nuova edizione, 2016 sicuramente più aggiornata.

Un’altra risorsa interessante è il corso online Animal Behavior and Welfare a cura della University of Edinburgh disponibile online attraverso la piattaforma Coursera.org il corso è gratuito e sono disponibili i sottotitoli delle lezion in italiano.

Cercherò di scrivere altro molto presto!




Antonio Tonali: un uomo di un altro mondo

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Antonio Tonali, classe 1895, cinofilo, cacciatore, soprattutto uomo di grande cultura, intelligenza, umanità e dotato di una modestia poco comune.

“Quando ero in collegio, era un po’ come essere prigioniero: chiudevano il portone ed a me veniva una grande tristezza, mi scoppiava il cuore. Pensavo al mio amico Pinu che aveva, anche lui, in mente i cani. Quelli erano tempi duri! Un ragazzo di dieci anni doveva già lavorare come un uomo e, tra di loro, quelli appassionati risparmiavano la mancia che, alla Festa, veniva loro consegnata per comperare le castagne o qualche altra piccola cosa (allora, non c’erano i Caffè e cercavano di mettere da parte soldi per comperare un cane. Non Io dicevamo nemmeno al toro papà (i tempi erano troppo duri per questi “lussi”) ma io, loro coetaneo, venivo messo al corrente questi segreti e li ammiravo. Me ne guardavo bene però dal dire queste cose, altrimenti mi, avrebbero portato… al manicomio. Vivevamo di sogni: ci bastava avere un “bastardino”, magari col pelo un po’ lungo, e fantasticavamo che avesse la discendenza dal setter… così avevamo sempre la testa per aria. Però mi sarebbe spiaciuto se mi avessero bocciato, per mia mamma, lei ci teneva che io studiassi.  Ricordo che un professore aveva capito che qualcosa in me non andava ed, un giorno, mi fece parlare, alla fine mi disse “tu sei uno di un altro mondo”. Allora avevo nove anni ed ho capito che le cose stavano davvero così… credo che questa affermazione sia tuttora valida.”

Seduti davanti al camino acceso, con una canina pointer bianco arancio ed un setter che ci osservano incuriositi, ascoltiamo Antonio Tonali che vestito, come sempre, da cacciatore, con vivacità giovanile, ci racconta di cani, di beccaccini e di persone. Il richiamo a… quell’altro mondo, palpabile e ciò che ne determina la percezione sono la serenità e la semplicità che il nostro personaggio e l’ambiente che lo circonda ci trasmettono. La grande passione per i cani, elevata a “ragione di vita” in contrapposizione alla violenza della Prima Guerra Mondiale vissuta drammaticamente in prima persona. Una vita semplice, forse un po’ primitiva, ma solo in apparenza, in realtà essenziale ma arricchita dalla semplicità e dalla genuinità nel rapporto con gli animali e con gli uomini, cui è sottesa una grande cultura ed una grande carica di umanità. Affascinati dall’uomo, ci ricordiamo dell’importanza di Tonali come testimone dei primi passi della nostra cinofilia e gli domandiamo di descriverci i cani di allora (la fine del secolo scorso – Fine 1800 n.d.r.).

“Anche allora, in ogni paese, non c’erano più di alcuni cacciatori bravi e questi avevano cani bravissimi. I cacciatori avevano fucili a bacchetta con la canna che sembrava un tubo di stufa sparavano polvere nera e, dopo il colpo, dovevano spostarsi sul lato per vedere cosa era successo al di là della cortina di fumo. lo ero ragazzo e diventavo matto a vedere il lavoro dì quel cani: bracchi e pointers.”

— Lei parla di pointers, ma c’erano già in Italia? “Che sappia io i primi pointer venivano da Monza, erano cuccioli che qualche guardiacaccia della tenuta reale vendeva e costavano 50 lire. Pensate che, qui a Villanterio, il migliore terreno agricolo costava 40 lire alla pertica. Io ammiravo molto questi cacciatori che spendevano un patrimonio per avere uno di questi cani ed ammiravo soprattutto quelli che facevano grandi sacrifici per mettere da parte i soldi.”

– Come facevano ad esserci i pointers a Monza? “Era una riserva di caccia di Umberto I e lui, sicuramente, li avrà avuti in regalo dall’Inghilterra.”

– E Lei quando ha avuto il primo cane? “Finché mio papà è stato in grado di andare a caccia i cani li aveva lui, io sono subentrato gradualmente; un giorno lui ha detto che non dovevamo contarlo più, come cacciatore; aveva 80 anni e disse che, in campagna poteva ancora andarci, col bastone, ma, a caccia, aveva finito. Allora, sapete, i vecchi non avevano egoismo, quando arrivavano a 80 anni (non erano molti però ad arrivarci), molto ragionevolmente, dicevano: la vita finisce, dovete continuare voi. Così comperai una cagnina “già fatta”, da un fittavolo vicino a Pavia, mio papà l’aveva vista e mi diede le 40 lire d’argento con cui la pagai. Andai a prenderla in bicicletta e lasciai al fittavolo il mucchietto dei 40 “cavourini” d’argento… in fondo un po’ mi piangeva il cuore nel vedere quel mucchietto lasciato sul tavolo. Era una cagnina tutta marrone che poi ho fatto coprire e mi ha dato un cucciolo col quale ho iniziato con le “sgnepe”; di beccaccini se ne trovavano dappertutto e così uno, due, tre, io cercavo di sparare bene e li facevo riportare (per farle capire) così ha cominciato a fermare.”

– Con le prove a beccaccini, quando ha cominciato? “Io leggevo sul “Cacciatore Italiano” delle prove a beccaccini, leggevo le polemiche tra Colombo, Griziotti ed altri… mi piaceva perché capivo che erano appassionati che s’intendevano di cani e , di beccaccini, che erano grandi cinofili. Ho cominciato per caso: un giorno cacciavo col mio cane ed signore, dopo avermi osservato a lungo (non riuscivo a capire cosa volesse) mi disse di andare nei “Paludi” dove provavano i cani e dove facevano anche le prove a beccaccini. Sono andato ed ho visto dei cani proprio belli, dei pointers molto tipici, però anch’io, con la mia cagnina, non ho fatto brutta figura ed allora, ho preso un po’ di coraggio. Ho cominciato con una cagnina che il mio amico Preti, il veterinario, aveva comperato a Copiano e poi affidata a me. Io non volevo andare alla prova perché… come potevo competere con tutti quei grandi cinofili che avevano dei pointers che mi facevano restare incantato? Però hanno insistito e sono andato. Il mio amico Preti non è venuto (forse aveva paura che facessi fiasco) ma ci ha dato la sua macchina ed ha detto al meccanico del paese che venisse a guidarla lasciandoci auto ed autista, tutto il giorno, a disposizione. Con me c’erano un mio amico, che era segugista, ed il papà di Antonio Ridella (Antonio era ancora un bambino). Lei (la cagna n.d.r.) è andata proprio bene, io invece mi ero impantanato e non riuscivo ad andare a servire la cagnina. I beccaccini erano avanti 10 – 15 metri e son volati e la cagnina… niente ed io che non riuscivo a muovermi e non capivo più nulla… era la mia prima prova quindi si può capire; se il fischietto non fosse stato legato con lo spago, forse l’avrei mandato giù… Giudicava Colombo e mi diceva di chiamare la cagnina ma io, pur nella mia confusione non la chiamavo, e poi mi sono anche spazientito e gli ho detto che non la chiamavo perché, altrimenti, avrei disturbato l’altro cane che era in coppia con la mia. Non era giusto disturbare quell’altro cane dal momento che la mia aveva fermato ed era stata corretta al frullo delle “sgnepe”. E così ho vinto e così è iniziata la malattia delle prove al beccaccino”

– Com’era organizzata la cinofilia a Pavia? “C’erano delle grandi personalità, Coppaloni e il mio amico Giannino Radice, Griziotti, Bovina ed altri, io sono sempre rimasto un po’ fuori, cosa dovevano farsene di uno come me che potevo solo… far ridere i polli. Poi mi hanno un po’ convinto, dicevano che bisognava darsi da fare per il bene della cinofilia perché la maggior parte dei cacciatori sosteneva i cani bastardi e, invece, si doveva dimostrare il contrario. Mi ricordo di tanti altri oltre a quelli che ho già detto: Nasturzio, l’armatore di Genova che importò i setters e li portò poi a Rocca de Giorgi e poi, di lì, cominciò l’era delle prove ed allora c’erano: Necchi che aveva rilevato l’allevamento di bracchi di Colombo, Rettani, il dott. Bionda, Biondet e poi Rino Colli che era il segretario della “Scuderia Lomellina.”

– Lei era molto amico di Antonio Ridella? “Antonio era di qui e l’avevo conosciuto da bambino, era lui che mi portava anche in giro e che mi ha fatto conoscere tanti cinofili. Ma io… andare in città… andare via dalla mia campagna, finiva che andavo in confusione e allora mi dicevo: hai visto, dovevi stare a casa, cosa vai a fare insieme a tutta questa gente importante?”

-Qual è il cane che ricorda di più? “Tutti. Però i cani sono come i cristiani: ci sono quelli fortunati e quelli che nascono sfortunati. Posso ricordare Cirano. Ha avuto dei grandi risultati sì, però, non è stato capito, solo Griziotti aveva capito che grande cane era. Io dicevo tante volte a Cirano: sei arrivato tardi, dovevi arrivare quando c’era ancora Colombo. Ma i cani non si possono dimenticare… nessuno. Bisognerebbe fare il monumento a certi grandi cani, non farlo a Napoleone o a quegli altri balordi che ammazzano la gente: chiamare lo scultore e far fare il monumento ai cani.”

– Ha conosciuto Pollacci? “Altroché, aveva i setters gordon, bravissimi. Ricordo North, era un bellissimo stallone, il migliore che c’era, ho – avuto un figlio di North, ma l’ho regalato.”

— Come mai, non andava bene? “Andava benissimo, era ancora un cucciolone ma un ragazzo che conoscevo, Gianni Bianchi, un giorno è venuto da me per dirmi che la sua cagna (era una cagnina che era stata anche qui da me) era rimasta uccisa. Mentre lui mi raccontava io pensavo: ma guarda un po, adesso è senza cane mentre io ne ho 5 o 6 buoni… la sera sono andato alla stazione dei treni (c’era il tram che andava a Pavia e lui doveva tornare con quello) col cucciolone al guinzaglio e gli ho detto: prendilo è tuo, ha pochi mesi ma lavora bene.”

Vai all’articolo precedente di Ivan Torchio qui.




Giacomo Griziotti: Vent’anni con l’Avvocato

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Quasi tutte le vicende fin qui riportate ripetono un nome: Giacomo Griziotti (1894-1986).  Non fu allevatore in senso stretto, non fu professionista ma un protagonista (quasi suo malgrado); dotato di grande intelligenza e di profonda cultura, fu uno dei più apprezzati conoscitori del cane da caccia ed esercitò sempre un grande “carisma” per la profondità tecnica delle sue osservazioni.

La sua presenza nella cinofilia italiana ha lasciato tracce indelebili, tali da far affermare, senza alcun dubbio, che l’Avvocato fu uno dei più significativi “ambasciatori della pavesità”. La nebbia, intensissima e gocciolante, era di quelle classiche della nostra pianura quando, al mese di novembre, si alternano giornate di splendido sole ed altre di scarsissima visibilità. Nella piazza, che sembrava inghiottita nel nulla, lì, di fronte a me pochi metri, un possente bracco italiano stava frugando in mezzo a delle immondizie. Mi fermai ad osservarlo mentre una voce maschile invitava il cane ad essere più ubbidiente. Chiesi che età avesse il bracco italiano. Quel signore, che io non conoscevo, sorpreso dal fatto che conoscessi la razza, incominciò con le solite domande che si rivolgono ai ragazzini mentre, insieme, percorrevamo un tratto di piazza. Ci lasciammo con l’impegno di rivederci il giorno seguente per andare fuori coi cani.

Così cominciarono i miei venti anni con l’Avvocato. Nel dressaggio era autodidatta sebbene seguisse la filosofia di Ernest Bellecroix del quale possedeva un libro, in lingua originale, che ebbi anche in lettura, naturalmente. Data l’intelligenza seppe utilizzare il metodo senza trasposizioni acritiche, tanto è vero che ogni soggetto in preparazione veniva osservato pazientemente studiato attentamente, in quanto l’obiettivo era sempre il capire come poter esprimere, al massimo, le caratteristiche individuali sollecitandone la psiche. Non utilizzava mai metodi di dura coercizione ed era proverbiale il suo modo di lavorare…  armato di nodosi randelli, (che chiamava “teneri virgulti”) e che mai tuttavia si incontrarono con groppa di cane; l’Avvocato li utilizzava infatti solo a scopo di minaccia. Da tutti considerato braccofilo, in realtà amava qualsiasi razza ed ebbe sempre in grande considerazione i cani inglesi. I bracchi erano per lui una sorta di legame con la nostra terra e, come tali, dovevano quindi essere curati e seguiti con particolare impegno soprattutto in periodi di crisi profonda, quale fu quello in cui imperversò, da noi, il furore anglofilo.

Sui campi portò tutte le razze, dagli irlandesi (ultimo Deli dell’Architetto Balbis), al drahthaar (Zara del dott. Marchetti per esempio). Correva per imporre i suoi cani, ma quando ciò non avveniva soleva dirmi: “quando gli affari vanno male, il fisico non deve subirne le conseguenze” e così cercavamo oblio in tavole ben imbandite. Cacciavamo molto con i cani ma, quasi esclusivamente, i beccaccini che non sparavamo se non dopo lavori perfetti. Grande cacciatore cinofilo ma anche grande appassionato di caccia sul fiume con barchino e spingarda, caccia che abbandonò quando le normative vietarono l’uso di quest’ultima. Aveva il dono di impegnarsi anche nelle cose in cui non credeva, come ad esempio nell’attività militare, che pur non riuscendo a capire né, tantomeno, a condividere sia nel primo sia nel secondo conflitto mondiale, affrontò con spirito determinato raggiungendo il grado di generale. Modestissimo, era solito chiedere parere in tutto, anche a me che pur ero, nei primi anni della nostra conoscenza, un ragazzino con i pantaloni corti.

La sua cinofilia era il dressaggio,  altre cose come gli aspetti associativi ecc. non lo interessavano in modo particolare, in questo dimostrando, ancora, modestia.  Era giudice, e alle doti, innate, di equilibrio e di obiettività, univa grande capacità di capire i cani ed una grande esperienza, tuttavia svolse questa attività solo raramente, quando il rifiuto sarebbe stato… sconveniente.

Incominciai col seguirlo anche in giro per l’Italia, sui campi di prove, e finimmo con l’invertire i ruoli: lui a raccontarmi aneddoti e fatti di cinofilia, di vita e di guerra, ed io che, alla guida del suo automezzo lo accompagnavo.  Il tempo passava veloce e sempre più spesso notavo il distacco dal mondo della cinofilia, così come è concepito attualmente… non aggiungo altro perché, credo, i motivi siano facilmente comprensibili per chi ha letto il suo libro sull’addestramento. Griziotti è stato un grande, anche più di quanto si possa immaginare e solo chi, come me lo ha seguito, può capire come la sua grandezza andava al di là dei risultati nella passione comune.

Ancora oggi, quando penso a Griziotti, penso a un modello, magari fuori tempo ma da imitare.

Un articolo di Giacomo Griziotti è presente qui.

Leggi il prossimo articolo di Ivan Torchio qui.




La paura dello sparo: ulteriori considerazioni

L’articolo sulla paura dello sparo, come prevedibile, ha suscitato forti reazioni. Diciamo che l’avevo previsto ma… avrei sperato in un filo in più di apertura mentale e, invece,  molti lettori hanno ritenute insensate le conclusioni a cui è giunta l’etologia moderna. Inconsciamente, questa è una scelta di comodo perché è molto più semplice incolpare i geni (la fattrice, lo stallone, l’allevatore…) che prendersi le proprie responsabilità.  Riconoscere il ruolo dei fattori ambientali nella genesi della paura del fucile, infatti, implica assumersi delle colpe, se il cane è un fifone, o darsi da fare se stiamo crescendo un nuovo cucciolo.

Le obiezioni? “Io non ho mai fatto nulla per presentare al cane i rumori, l’ho portato fuori all’apertura, si è alzato un volo di starne, gli ho fatto una scarica di fucilate sulla testa e non è successo nulla! Sono tutte ….. la socializzazione e tutto il resto!” Nell’articolo originario, se l’avessero letto bene, queste persone avrebbero trovato la parte in cui dico che si può essere molto fortunati e ritrovarsi con un cane che non accusa il colpo di fucile, nonostante non si sia fatto nulla di particolare per prepararlo a tanta confusione.  Come mai? Può essere pura fortuna o, può anche essere, il che è molto più plausibile,  che il cane sia stato esposto a stimoli rumorosi senza che ciò sia stato pianificato. Magari avete spaccato la legna in sua presenza, azionato la motosega, il trattore, il toserba, magari è nato in estate e c’erano spesso temporali,eccetera. Cani che vivono in prossimità dell’uomo spesso vengono esposti ai rumori senza che lo si debba fare “apposta”.

Qui si inserisce la seconda critica all’articolo un tempo i cani non venivano esposti ai rumori, né socializzati eppure erano normali”… Questo è un falso mito.  Un tempo, parliamo di quasi un secoletto fa, i cani da caccia erano quasi tutti di proprietà di “signori” che li facevano accudire da personale apposito: è assai improbabile che questi soggetti avessero scarse interazioni con l’uomo. Parallelamente, e più tardivamente, anche persone di medio e basso reddito hanno iniziato ad andare a caccia con il cane, ma si trattava quasi sempre di contadini con il classico segugetto da pagliaio che, comunque, partecipava alla vita della fattoria vivendo a stretto contatto con l’uomo e quindi come rumore.

I  cacciatori appartenenti alla classe media e bassa hanno iniziato, almeno in Italia, ad avere cani di razza a partire dal secondo dopo guerra, direi più spiccatamente dagli anni ’60 e, a quell’epoca, non esisteva nemmeno ancora l’idea dell’allevamento a fini commerciali. I primi grossi allevamenti, alcuni tuttora attivi, stavano gettando le fondamenta ma, in generale, le cucciolate erano ancora cose per ricchi (provvisti di staff specializzato),  o faccende di famiglia, con tanto di pargoli saltellanti attorno ai cani. Cuccioli e uomini, insomma, vivevano a stretto contatto.

Le cose sono cambiate, dopo, con i cani che iniziavano ad essere intesi come fonte di reddito, il che ha portato ad allevarli in maniera più “intensiva”  e la qualità delle cure è scesa:  a volte ci si trova con più cucciolate da accudire contemporaneamente, a volte le strutture in cui crescono sono lontane dai rumori, eccetera eccetera. Anche il cacciatore è cambiato:  c’è chi vive in appartamento e non può tenere il cane in città e lo lascia crescere in qualche recinto isolato in periferia. C’è chi ha la villetta, ma siccome il cucciolo rovina il giardino lo si mette in un box in fondo all’orto. Poi si rientra tardi alla sera, stanchi da lavoro e non si trascorre del tempo con lui, anche se si tratta del figlio di campioni di altissima genealogia, pagato fior di soldi,  e non di un cane da pagliaio qualunque.

Se il cucciolo fosse un meticcetto di paese, forse, le cose sarebbero più semplici per lui: gli appartenenti ad alcune razze canine moderne  sono l’equivalente di un purosangue con la relativa ipersensibilità, se selezioniamo cani reattivi, loro saranno reattivi anche quando ciò diventa scomodo!  I cani, i tempi e i contesti sono cambiati, perché gli uomini si ostinano a non cambiare? Non dovrebbe forse esserci una maggior sensibilità nei confronti del cane? Non dovrebbe, il cane, essere un amico prima di essere un ausiliare? Non dovremmo noi, suoi proprietari, fare qualche piccolissimo sacrificio per crescerlo al riparo da paure, anziché insistere con l’allevatore per avere “un cambio di prodotto”, se il cucciolo sviluppa la paura del fucile? Credo sia nostro dovere morale, viste le moderne conoscenze etologiche, offrire al cucciolo tutte le risorse per aiutarlo a crescere bene e limitare il rischio che si manifestino problemi come la paura del fucile.

Allego, per i curiosi, un articolo de “I Nostri Cani” del 1968 in cui si riportano i consigli del noto  addestratore Gino Puttini. Si parla di paura dello sparo e di come recuperare (e sottolineo recuperare, non scartare!) i cani. Il pezzo ha quasi 50 anni q quindi ci sta che si pensasse ancora alla genetica, sebbene siano ben menzionate anche le cause ambientali, lo ripropongo più che altro come curiosità storica. Si tratta di una foto “stropicciata” perché la rivista è molto debole e non sopravvivrebbe. PS. Non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




Una gemma dal 1956: un italiano ai trials inglesi

Come alcuni di voi già sanno, ho ereditato l’archivio del Dr. Ridella, veterinario e allevatore di setter con l’affisso Ticinensis. Mi sento onorata di essere stata scelta come custode di questi materiali, ma mi rincresce ammettere che ne ho ripulito e ordinato solo metà delle riviste. Tuttavia, circa 50 anni di editoria cino-venatoria, sono oggi ben archiviati e leggibili. Sapendo ciò, un amico mi ha chiesto di trovargli due articoli di Solaro del 1938 e del 1954 che, ovviamente, non sono riuscita ad individuare. Non dandomi per vinta, ho controllato anche gli anni limitrofi, niente da fare, ma ho trovato qualcosa di estremamente affascinante ed inatteso. Nel numero del secondo trimestre di Rassegna Cinofila (è l’antenato dei Nostri Cani) del 1956, c’è un bell’articolo di Giulio Colombo (1886-1966). Per chi non lo conoscesse, Colombo era allevatore con affisso della Baita, nonché un noto giudice. Aveva sempre cercato di tenere vivi i legami tra Italia e Gran Bretagna e l’Italia importando, tra gli altri i setter: Lingfield Mystic (vincitore del Derby inglese); Lingfield IlaLingfield Puma e Bratton Vanity. Grazie all’articolo, ho scoperto che nel 1956, Colombo è andato a giudicare a Sutton Scotney (Hampshire – UK) e ha raccontato laesperienza. L’articolo è leggibile per intero nel PDF che potete scaricare qui o nella photogallery qui linkata. Ne riporterò però qui alcuni pezzi salienti.

Colombo comincia pensando a Laverack, Llewellin e Lady Auckland (che giudicava con lui) e con un excursus storico che spiega come mai setter e pointer siano stati selezionati in questa maniera. “Credo aver, inteso i due Grandi sussurrare a un dipresso così: Competizioni di giganti le nostre, quando ancora si credeva alla necessità del cane da ferma sul terreno della caccia, quando pointers e setters rispondevano al gusti venatori del cacciatore, quando non si codificava un bel niente a priori, teoricamente, per estetismi o postulati da tavolino senza aver vissuta o sofferta mai la, passione incontenibile dello sport codaiolo, fra le più strenue ed inebrianti passioni, quando pointers e setters, cani da Grande Cerca, si imposero selezionati perfezionati, secondo suggeriva la pratica diuturna di lunghe stagioni venatorie con l’esperienza del terreno e dei selvatico, a servizio del fucile vagante, e si stabilì la macchina animale perfetta, collaudata con formula aderente alla realtà per quel terreno e quel selvatico, e conquistò il mondo intero quella macchina intelligente, tanto che nati Inghilterra pointers e setters furon poi cittadini di ogni Paese.”

Non credo ci sia molto da aggiungere, poi continua con la descrizione dettagliata del lavoro che essi sono chiamati a fare: “II cacciatore ragionò così: di fronte a me la pianura sconfinata, ondeggiante di mammelloni di grani, di stoppie, di prati, di eriche, faticosa, lenta da per correre tutta scarpinando da coltivo a coltivo, da piaggia a piaggia in traccia delle compagnie di starne e grouses discoste le une dalle altre in famiglia ciascuna col proprio pascolo, e le lunghe pause senza incontri e senza sparare scoraggiano anche il cacciatore più caparbio: a me occorre un ausiliare speciale anzi una pariglia di tali, dall’olfatto possente, cerca indefessa. dalla ferma statica, dalla guidata corta, che a galoppo spinto per accorciare le distanze, nel tempo breve per la nostra passione da crepuscolo a crepuscolo, risparmiando a me ciechi e fortunosi passi, concludano spicci su grouses e su starne e magari su lepre sorniona; e perché io possa sparare a visuale libera senza tema, giù, a terra proni a frullo e schizzo. Drake e Dash, ed é il più bel momento della vita di cacciatore; e perché quel selvatico che non possono raggiungere né se vola né se galoppa, non induca in tentazione, proni testa fra gli arti ari in segno di rinuncia, voi cavalieri dei moors e praterie, per riporto e recupero i ho apparecchiato io stesso un valletto che non falla. il retriever, vi risparmi di strusciare il tartufo pistando, voi Signori », Torto o ragione, ragionavano cosi e così fu sempre categoricamente a quei tempi. Proscritti falsi allarmi di ferme senza presenza di selvatico, non si tolleravano inganni ed indugi oziosi, se Drake e Dash fermano ci sta il selvatico e non lo mollano più, e si raziocinava così: « Perchè noi si possa usufruire del lavoro di due cani, ed uno non costituisca il doppione dell’altro galoppandogli al fianco appaiato, li sguinzaglio nel bel mezzo dell’area da esplorare e partano essi uno verso destra e l’altro verso sinistra in senso opposto, e giunti a un centinaio di metri, anche di più a seconda del terreno vasto e sgombro, virino essi e ritornìno in direzione l’uno dell’altro, sempre nella scia dei vento, ma più oltre verso la meta lontana, in maniera da esplorare il terreno anche nel senso della direttiva di marcia, e si incontrino a metà cammino scambiandosi il lato come nella quadriglia dama e cavaliere, a ritmo cadenzato, con astuta sincronia e… nacque la cerca incrociata, non eleganza, ma accorgimento pratico.

E affinché l’intesa fra i due ausiliari fosse concorde, con rispetto della fatica e della autorità di ciascuno e l’uno approfittasse dei risultati concreti dell’altro, ecco che mentre l’uno dei cani bloccava col rito della ferma l’altro non persisteva ad esplorare, ma sostava immobile simulando a sua volta la ferma per mimetismo conscio e istintivo, per collaborazione atavica fra gli animali ida preda, e il segugio accorre scagnando all’indicazione sonora e Drake rispetta la ferma non sua ed ecco codificata la pratica del consenso, indispensabile con ausiliari che trescano veloci e lontani.

E siccome il selvatico tiene udito sensibilissimo, abolito ogni richiamo a voce o col fischio, cenni della mano al cane che di tanto in tanto sbircia al padrone per interpretarne le intenzioni, quindi tacita intesa fra cacciatore ed ausiliare, l’uno per l’altro. E quando s’ha da interrompere l’azione, un sibilo e i cani al terra, docili al guinzaglio e si inaugurò il drop e il down, non accademia da recinto, ma freno in terreno libero. Col tempo per emulazione fra scuderie, per sane rivalità sportive fra amatori di razze affini a chi tiene i l miglior cane con olfatto più potente a corsa più veloce e reazioni più pronte, nacque in un paese di scommesse, il cane da gara, il Trialler, via col vento, cane da Sport, ma riproduttore che rifornisca i ranghi per cacciare starne e grouses e non lepri e conigli, in terreno vasto e non negli scampoli di grano.”

Qui viene espresso in dettaglio il lavoro “ideale” dei cani inglesi e le motivazioni pratiche che stanno dietro a queste pretese. Leggendo questi paragrafi sento ancora più la mancanza delle mie esperienze britanniche, perché da loro le cose sono rimaste all’incirca come descritte qui. Se non avessi prima visto, e poi partecipato ai loro trials, sarei un cinofilo diverso, avrei un cane diverso ma… devo ammettere che sono contenta di quello che sono! Segue qualche notizia sulle regole del gioco, con riflessioni sui pro e sui contro delle diverse regole:“In Inghilterra non si redige relazione alcuna, non si concede qualifica, si comunica l’ordine di classifica dal primo ai quarto con una riserva, e stop, i concorrenti tanto intelligenti da valutare da sé gli errori dei propri allievi senza sentirseli ricordare per iscritto postumo dal Giudice e talmente sportivi da comprendere che se il Giudice ha creduto di disporre i cani in un dato ordine progressivo è ozioso recriminare e voler sostituire tante altre classifiche quanti concorrenti e spettatori, ognuna diversa dall’altra, ma tutte quante più oculate, più cognite, più probanti, più sapute, più pettegole di quella ufficiale!”

Non ci sta minuto di tolleranza, assurda nostrana indulgenza che consente al cane di dimostrare le proprie attitudini a far frullare, a rifiutare il consenso, a rincorrere, a beffare il conduttore, senza che il Giudice possa prenderne atto, coll’eventualità magari di non aver mai più durante il turno il cane occasione di ripetere quanto é suo costume perpetrare dì norma, e frodare magari un premio con relativa qualifica bugiarda.

Nemmeno si tiene conto di un lasso di tempo prestabilito per la prova: allorché il Giudice opina di essersi fatto un concetto probante del lavoro dei cani taglia corto, e su questo si potrebbe discutere, perché un minimo di percorso è più equo a garanzia delle probabilità comuni, eccetto per gli errori da squalifica. Vige il sistema dei richiami protratti con confronti ripetuti, con pericolo di dover sul finire della gara modificare da capo una classifica già plausibile”

Se volete saperne di più sulle differenze tra le prove italiane e quelle britanniche, potete andare a leggerle qui. Faccio una breve riflessione sull’abitudine inglese di non avere relazioni a fine prova: Colombo dice che il pubblico spesso tende a saperne di più del giudice. Persone che, pur stando a centinaia di metri dal cane, vedono e prevedono errori che sfuggono (secondo loro) ai giudici! Credevo che negli anni ’50 il pubblico fosse più , come dire, sobrio ma apparentemente l’arte di attribuire errori inesistenti ai cani degli altri ha radici antiche. Colombo poi racconta del Derby (non so se fosse identico all’attuale Puppy Derby, per soggetti sotto ai 2 anni) e non ho capito se i cani correvano a singolo o in coppia, siccome menziona poi le Brace Stakes (in coppia). “Nel complesso del lavoro nel Derby constatai qualche fase di dettaglio, insistenze su orme, qualche consenso stentato a comando, senza partecipazione né formale né conscia all’azione; Nota del Concorso presente in alcuni esemplari, ma frenata da frequenti incontri di fagiano, lepri e conigli, scarse le starne, e deplorevole il coniglio soprattutto, che conta é la starna, per fagiani basta il cocker. Punte in profondità. ritorni all’interno come in Coppa Europa, qualche intemperanza di richiami come da noi. Soggetti a corto di preparazione per il maltempo, alcuni veramente di classe, ma non superiore nel complesso alla nostra attuale. Primo Lenwade Wizard, pointer di Mr. Arthur Rank, di 15 mesi, stilista, corretto, galoppo sciolto, risolutivo sull’incontro. Secondo Lenwade Whisper, pointer di Messrs P. P. Wayre’s e G. F. Jolly’s, di 15 mesi, con buon percorso, benché lacets troppo compatti e qualche incertezza nell’indicazione.”

Seguono accenni alla Brace Stake: “Le Brace Stakes videro presenti due Setters, irlandesi, Sulhamstead Bey d’Or e F. T. Sulhamstead Basil d’Or. Basil soggetto rimarchevole, con reazioni pronte e buon olfatto, impegno e buon galoppo, qualche incertezza e ritorni all’interno, ferma e guida con espressione, consente, bene in mano, ben condotto, surclassa il compagno Bey e si aggiudica per proprio esclusivo merito il secondo premio, trattenuto il primo, della pariglia.”

Alla All Aged Stake era stato iscritto anche un weimaraner che poi non si è presentato. Colombo disquisisce sul far correre un continentale insieme a degli inglesi: “non avendo visto il Weimaraner sul lavoro non posso affermare se fosse o no nera Nota del Concorso dl Setters e Pointers, superflua qualsiasi meraviglia dal momento che corrono da noi diversi Kurzhaar ed Epagneuls perfettamente nella Nota della Grande Cerca assai più di qualche esponente di razza inglese; gli inglesi, con meno ipocrisia e più raziocinio, dal momento che alcuni continentali filano all’inglese, li fanno correre con gli inglesi; la Grande Cerca non è questione di coda lunga o corta, ma di garretti, olfatto reagendo, e non è escluso che un giorno i Continentali, italiani compresi, corrano a Grande Cerca, e pointers e setters a Cerca ristretta.”

Dopodiché tira le somme su quanto visto nel corso delle prove: “in Inghilterra la Grande Cerca non è più professata e sentita come un tempo, in un ambiente dove il cane da ferma è in crisi gravissima di impiego eccetto che alcuni pochi attivissimi Sportsmen fedeli alla formula antica; che è la prassi impiegata per correre la Grande Cerca che si allontana oggi in Inghilterra, o quantomeno a Sutton Scotney, non dal modello continentale ma da quello stesso descritto e commentato dagli Autori inglesi, praticato per il passato e introdotto poi sul continente: turni a singhiozzo, interruzioni di percorso per battere porzioni limitate, della pur vasta area, sfruttamento di appezzamenti, di scampoli di terreno percorribili in qualche minuto, assolutamente inidonei allo sviluppo della cerca in grande e anzi in contrasto con la cerca dinamica e veloce pertanto che nota personalità inglese ebbe a definire alcuni: turni da Springers; si tollerano dai conduttori troppe fasi di dettaglio e si ammettono lunghe guidate inespressive con schizzo finale di lepre e coniglio considerate valide, e niente sta ad attestare la possibilità di pistaggio che il Trialler naso al vento deve trascurare non essendo suo compito preoccuparsene; si dimentica spesso che il consenso è attivo, partecipante, solidale con il cane in ferma e non rinunciatario e passivo per obbedienza; non si reprimono sempre i ritorni all’interno e si tarpa talora l’azione del cane di lato costringendolo a percorso inadeguato allo scopo stesso della velocità.”

Il cane da ferma era in decadenza in Gran Bretagna nel 1956? Non lo so, non c’ero, quello che posso intuire da letture passate ed esperienze presenti è che la realtà venatoria britannica era (ed è) completamente diversa dalla nostra come potete leggere cliccando qui. La loro gestione faunistica-venatoria ha indubbiamente favorito spaniels e retrievers, a scapito dei cani da ferma. Probabilmente, nel 1956, i cani da ferma erano comunque cani di nicchia e in stagnazione, mentre da noi si assisteva ad una sorta di ascesa della caccia con il cane da ferma, gli inglesi in particolare. Innanzitutto la Grande Cerca intesa da Colombo nel 1956 era molto diversa dalla Grande Cerca attuale ma… gli inglesi hanno mai avuto una vera e propria Grande Cerca? Non ricordo nulla di specifico ad opera di autori inglesi. Non dico che non sia mai stata descritta, dico che non ne ho mai letto e mi piacerebbe leggerne su uno dei testi a cui fa riferimento Colombo, senza però indicarne i nomi. Mi piacerebbe poter conversare con lui e capire, capire cosa intendessero gli inglesi – secondo lui- per Grande Cerca e capire la sua visione. La sua visione, in fondo la conosciamo, non possiamo certo dimenticare che il cane ideale per Colombo era velocissimo, dalla cerca estrema, dal naso superlativo. Lo chiamava “il puro”, il “folle” e in “Trialer! Saggio di Cinofilia Venatoria” (1950) lo definiva: “Il Riproduttore, Il Capolavoro, il quadro d’Autore, il brillante di cinquanta grani, l’oro zecchino. E’ il Capodanno, non gli altri 364 giorni.” La cinofilia italiana è stata profondamente influenzata dalla visione di Colombo, ma non quella britannica e, come dicevo sopra, non sono nemmeno certa che inizialmente fosse indirizzata in quella direzione. [In ogni caso mi sono rimessa a leggere Arkwright a piccoli passi].

Turni da spaniel. Interruzioni di percorsi, terreni questionabili, lunghe fasi di dettaglio, lunghe guidate eccetera, le ho viste?Ni. Ho seguito e partecipato ad almeno 20 trials, forse di più, e ho visto alcune delle cose di cui racconta Colombo ma andava sempre così. Molto andava a discrezione dei giudici e dei guardiacaccia (è il guardiacaccia che ti dice dove puoi fare il turno!) e il livello dei cani era variegato. Non so come fosse la situazione a Sutton Stockney ma, in certi trials a grouse si corrono in mezzo a densità di selvatici impressionanti. Non è che si possano fare chissà quali percorsi. I consensi a comando? Li chiedono ancora anche se un consenso naturale è molto apprezzato e si sta lavorando in questo senso. Tirando le somme, comunque, credo che Giulio Colombo si aspettasse di assistere a qualcosa di diverso e sia rimasto un po’ spiazzato. Ciò nonostante, Colombo non era uno stupido e ammette egli stesso che anche un giudice britannico potrebbe non essere colpito sempre in positivo dai trials italiani: “Benchè una sola prova controllata da me non possa fornirmi indice probante del complesso di un materiale setter e pointer, esiguo come numero nei confronti dell’italiano e francese, da quella sola gara di Sutton Scotney (dovrei dedurne una netta decadenza rispetto alla nostra; mi guardo dal farlo: probabilmente un Giudice inglese avrebbe la stessa impressione da alcuni turni nostrani alla Cattanea, a Borgo d’Ale ed Alice Castello.”

Il nostro inviato ammette altresì di aver visto, oltre a cani meno buoni, anche cani buoni: “Se alcuni concorrenti si palesarono tassativamente negativi al compito del Trialler, altri al limite quattro pointers almeno, due setters inglesi e un irlandese furono in tal classe da doverli rammaricare dal non poterli rivedere mai più. Fra i premiati Seguntium Niblick, pointer di Mr. J. Alun Roberts, di due anni, primo, velocissimo, sicuro sull’incontro, senso del selvatico. Scotney Gary, pointer di Mr. Arthur Rank, due anni, velocissimo, stilista, senso del selvatico, olfatto, secondo; Scotney Solitaire, pointer di Mr. Arthur Rank, di non ancora due anni, tutto nella Nota, testa alta, corretto, olfatto, reazioni, terzo; Sulhamstead Basil d’Or, irlandese, impegno, testa alta, corretto, quarto; Ch. Downsmans Bracken, setter inglese, dalle reazioni rapide, le ferme schiacciate slittando, lunghe e significative, infortunato su starne durante un rispetto di lepre, quinto. E lo indiavolato Sulhamstead Nina d’Or, setter irlandese di Mrs. Nagle’s e Miss M. Clarcks’s, di non ancora l’anno, partito su lepre, e quello inglesino blu belton dalla cerca ampia, avida, Flashaway Eve, del Col. A. S. Dalding’s, di non ancora due anni, che tende al fuori mano sul fianco, ma possiede tanta avidità e stile setter e galoppo radente da presagirne un Campione, se ben condotto.” Condivido appieno, la mia esperienza è identica alla sua: accanto a cani poco stilisti e lenti, ci sono soggetti che non sfigurerebbero anche alle nostre prove: in 60 anni è cambiato poco.

L’articolo di Colombo si chiude così: “Ma da Oltre Manica si importarono pointers e setters eccelsi, ma oltre Manica vige ancora sangue di Dero 4° del Trasimeno di Vignoli, sangue ricordato, vantato, e scorre nelle vene del secondo classificato, Scotney Gary, sangue che emigrò anche in America per ritornare in Inghilterra; e Blakfield Gide di Waldemar Marr, sorellastra di Fast, e Galf di S. Patrick di Nasturzio, sono citati in Inghilterra, paese per niente sciovinista, fra i migliori e più validi riproduttori, ed esponenti dei Pointer in quegli allevamenti: ricordiamolo anche noi.

Da “Rassegna “ ringrazio Mr. e Mrs Bank, Lady Auckland, il Segretario Generale del Kennel Club Inglese Mr. Buckley, Mr. Binney, Mr. e Mrs. Mac Donald Daly, Mr. e Mrs. William Wiley, Mr. Lovel Clifford mio valido interprete, che mi furon prodighi di ospitalità ed attenzioni durante il breve, ma denso soggiorno in- Inghilterra. Formulo il voto che la passione del Trialler non venga mai meno nella Patria Augusta del Signore l’Aria!” [Chi volesse leggerlo per intero può scaricarlo qui].

Ho deciso di parlare di questo articolo perché ritengo contenga dei punti chiave utili anche al lettore contemporaneo. Quali sono? Mi piace innanzitutto che apra con un excursus storico che spiega come si siano evolute le razze da ferma inglesi. Sono il frutto di particolari selvatici e di particolari terreni. Sono il frutto della caccia in quelle circostanze, circostanze che ne hanno plasmato il temperamento e codificato il metodo di lavoro. Prima che esistessero le prove, esisteva la caccia, esisteva il cacciatore che, a fronte di situazioni di caccia complesse, volevano tornare a casa con qualcosa nella cacciatora. Le circostanze hanno subito reso chiari quali fossero i tratti da selezionare e i comportamenti graditi, nonché tutto ciò che doveva essere considerato difetto. I cani andavano a caccia e poi, se bravi, venivano presentati anche alle prove. Un tempo era così anche in Italia e… vorrei fosse rimasto tale. Oggi abbiamo Campioni di Lavoro che non sono mai stati a caccia, che sono di proprietà (o persino condotti ed addestrati) da gente che non pratica attivamente la caccia con il cane da ferma, o che la pratica in contesti e su selvatici che si discostano da condizioni ideali e probanti. Questo porta anche a non comprendere alcuni regolamenti nati tanti anni fa, e a fare confusione su quali siano i comportamenti corretti da parte del cane, eppure costoro spesso si ritengono “esperti”. Se rileggete le parole di Colombo vedrete quanto stima il fermo al frullo, il down e il drop, definendoli “non accademia da recinto, ma freno in terreno libero”, beh nella nostra penisola sono ancora abbastanza fraintesi. Non so se Colombo sia stato anche a trials su grouse ma la sottoscritta ha impiegato pochi minuti sul moor a capire che lì, questi insegnamenti sono indispensabili. Colombo ricorda anche l’importanza del percorso, del saper stare sul vento e del lavoro in coppia. Lavoro in coppia che deve essere armonico, di squadra facendo capo a caratteristiche che devono essere nella genetica del cane. I cani devono anche essere facili da condurre, collegati e disponibili a collaborare con la minima necessità di ordini sonori, o i selvatici sarebbero disturbati troppo. Questi appunti mancano in tanti libri di cinofilia venatoria moderna, hanno forse questi tratti perso importanza?

Credo ora abbiate capito perché io ritenga il resoconto di Colombo su Sutton Scotney affascinante ed intrigante. Poi si aggiunge qualcosa di personale: proprio come lui, ho avuto modo di assistere (e prendere parte) ai British Trial e essi significano molto per me. Mi hanno trasformato in un cinofilo “diverso” e mi hanno consentito di avere un cane “diverso”.

Per saperne di più sulla cinofilia britannica cliccate qui.




Hai un cane dal mantello scuro? Leggi qui!

A volte i cani neri diventano rossicci. Di solito si pensa che lo schiarimento sia causato dal sole ma… ci sono cani neri che non diventano mai marroni e cani neri che sono  marroni tutto l’anno, anche in inverno. Ho posseduto solo un cane nero e solo per qualche mese, era un greyhound recuperato dai cinodromi e era marrone anziché nero ma questo era causato da una grave anemia e dalla leishmaniosi. Sappiamo tutti che le malattie possono alterare il colore dei mantelli, ma anche l’alimentazione!

Ieri, la mia amica Lucia Casini, che è professore di Nutrizione Veterinaria pressol’Università di Pisa, a condiviso questo studio con me “Tyrosine supplementation and hair coat pigmentation in puppies with black coats – A pilot study.” Lo studio, come potete leggere nell’astratto (in inglese), suggerisce che i cani dai mantelli scuri abbiano un fabbisogno di tirosina doppio rispetto agli altri cani e rispetto a quanto indicato nelle linee guida del NRC.  Lucia ha anche spiegato che il ruolo della tirosina è stato studiato in maniera più approfondita nei gatti ma che molti cibi industriali, specialmente quelli poveri di proteine di origine animale, non contengono abbastanza tirosina per i cani neri. La fenilalanina sembra anch’essa avere un ruolo ed entrambi sono amminoacidi essenziali, ovvero vanno introdotti attraverso la dieta.

Some biochemistry…

La carne, specialmente il maiale e gli avicoli sono una buona fonte di tirosina. Il National Research Council (USA) raccomanda: 2g  di tirosina ogni 1000 kcal per i cani adulti e  3,5 g per i cuccioli ma i cani dal mantello scuro parrebbero necessitare di dosi doppie.




Mario Canton, il levriero afgano e altro

Qualche giorno fa, mi sono accorta di non essere riuscita ad incontrare il Prof. Raymond Coppinger, per un pelo. Quando ho frequentato alcune classi ad Hampshire College (Massachusetts) lui era in un anno sabbatico e io non sono potuta tornare il semestre successivo. Però, ritornando in Italia, ho avuto modo di incontrare e diventare amica di un altro studioso dello stesso calibro. Si chiama  Mario Canton e non ricerca sul comportamento canino, si occupa di morfologia, che analizza secondo un approccio scientifico. Mario è una persona molto umile e, quando gli si fanno i complimenti, si limita a dire che lui non ha “scoperto nulla”, si è limitato a mettere insieme le cose. Può darsi che sia così ma, mettendo insieme alle cose, ha reso disponibile ai cinofili un’incredibile quantità di conoscienze che ha altresì rispiegato nella maniera più semplice possibile. Se vi pare poco!

Mario ha pubblicato il suo primo libro nel 2004(Cani e razze canine 1a Edizione) dopo 35 anni di ricerche. Ricordo me stessa che su portava il  libro in bagno per controllare i refusi mentre insistevo sul punto 1) inserire fotografie e disegni e 2) farlo tradurre in inglese. Oggi questo libro è arrivato alla sua terza edizione ed è disponibile in 3 volumi in cofanetto o in tre ebook che  vi linko qui sotto:

Cani & Razze Canine – Vol. I

Cani & Razze Canine – Vol. II

Cani & Razze Canine – Vol. III

purtroppo il libro è ancora senza disegni e senza traduzione in inglese. Mario si giustifica affermando che 1) inserirei disegni farebbe lievitare i costi e che 2) esiste una letteratura vastissima su questo argomento scritta in inglese. Le sue affermazioni sono veritiere ma lui stesso dimentica il suo merito più grande: l’aver condensato tantissima letteratura in un unico libro, ok è un librone ma i contenuti sono esposti in maniera comprensibile.

Continuo a pensare che Mario debba trovare un traduttore e un editore all’estero. Il mondo intero potrebbe trarre beneficio dai suoi scritti. L’unico testo disponibile in inglese, per questo ve ne parlo, al momento riguarda il levriero afgano. E’ un libricino che raccoglie le slides del congresso mondiale sulla razza tenutosi nel 2014. Trovo i levrieri afghani molto belli ma non sono “la mia razza”, ne credo interessino molto ai lettori del mio blog, quindi perché parlo del libro

Levriero Afgano – Afghan Hound (Edizione Kindle)?

(E’ disponibile anche l’edizione cartacea a cura di Crepaldi Editore).

Semplice, essendo l’unico testo in inglese è il libro che può fare da apripista a tutti gli altri. Ho scritto la stessa recensione che leggete voi in inglese, potete trovarla qui e linkarla ad amici che non conoscono la lingua italiana. In secondo luogo, mi piace molto come analizza la razza dal punto di vista della morfologia funzionale: ne risultano spiegazioni chiare e stimolanti. Credo che libretti simili andrebbero fatti per ogni razza, cominciando ovviamente dal setter inglese! Questo libro è sull’afghano ma qualsiasi appassionato di razze da lavoro può trarne alcuni spunti. Inserisco sotto una piccola galleria del libro da Google Books, se non riuscite a vederla cliccate  cliccate qui.

Se vi piace quello che state leggendo, acquistate il libro o incoraggiate Mario a scriverne altri!




Displasia dell’anca (biomeccanica)

Sulla displasia dell’anca è stato scritto di tutto ma, studiando patologia chirurgica veterinaria, ogni tanto mi imbatto in cose che, probabilmente, non sono ancora note ad appassionati ed allevatori. Qualche giorno fa ho pubblicato un post su Facebook che riguardava la biomeccanica di questa articolazione e il post ha suscitato parecchio interesse, pertanto, ne parlerò anche qui in maniera più approfondita.

Un’articolazione, qualsiasi articolazione, per lavorare bene deve essere correttamente costruita: le superfici articolari devono essere congruenti, in caso di incongruenza, infatti, alcune parti dell’articolazione, dovranno sopportare più peso di altre.

Ci sono studi scientifici che hanno dimostrato che il massimo peso sopportabile dalla cartilagine è di 1kg/mm2. Prieur, un veterinario, nel 1980 ha pubblicato una ricerca  molto interessante e tutt’ora valida: Coxarthrosis in the Dog Part I: Normal and Abnormal Biomechanics of the Hip Joint W. D. PRIEUR, D.V.M. 1980).

Se prendiamo come esempio un cane di 30kg, la superficie articolare dell’anca sarà di 220  millimetri quadrati. In  tabella vedete cosa succede se la superficie articolare viene ridotta: abbiamo maggior peso per mm quadrato.

Nella prima colonna, vedete il peso che l’articolazione deve sopportare in stazione; su un solo arto, al passo e durante il salto. Qualsiasi peso che superi 1 kg per millimetro quadrato è da considerarsi patologico e provoca un danno alla cartilagine. La cartilagine viene schiacciata, si “stressa” e su modifica: perde elasticità, si ammorbidisce, si rompe e muore. L’articolazione si infiamma. si gonfia e inizia a degenerare (artrosi). Il processo non può essere fermato e termina con l’erburneazione: una reazione che indurisce l’osso rendendolo simile al marmo, questo accade nei punti in cui la cartilagine è stata erosa. Possono formarsi anche osteofiti.

L’incongruenza articolare può anche generare attrito e far innalzare la temperatura all’interno di un’articolazione. E’ stato stimato che la temperatura può raggiungere anche i 70 gradi Celsius mentre il cane (artrosico) corre.

Ps. La salute è fondamentale per il benessere del cane, se possiedi un cane da caccia con cui partecipi a prove di lavoro (o con cui vai semplicemente a caccia), dai un’occhiata al Gundog Project (Progetto di ricerca sul cane da caccia e da prove) e compila il questionario!




Premi

Ci stiamo adoperando per raccogliere alcuni premi da sorteggiare tra chi ha partecipato al sondaggio.

Per ora Craig Koshyk,  dal Canada, della Dog Willing Publications ci ha donato uno dei suoi libri books  (Pointing Dogs, Volume 1, The Continentals). Valore di mercato 99 dollari.

Josh Wiggins, dal Texas ci ha donato un guinzaglio con collare incorporato Texas Leash and Collar

Luca Zaninoni, di Sanguemiele Design, offre un buono per una maglietta a scelta tra quelle presenti sul suo sito.

Io offro un portafischietto intrecciato a mano, colori a vostra scelta (massimo due), del valore di circa 15 euro e un servizio fotografico gratuito.

Vogliamo aggiungere altri regali per ringraziare quelli che hanno contribuito alla“scienza”, quindi se volete offrirci qualcosa (beni o servizi) non esitate a contattarci!




Incontrare o gestire la selvaggina? IT vs UK

Le persone continuano a chiedermi le differenze tra le prove italiane e quelle britanniche. E’ complicato, ne ho già parlato in un altro articolo, ma i punti da toccare sono tanti e, più partecipo alle prove italiane, più differenze riscontro. Ho scritto partecipare perché le prove ho iniziato a “guardarle” nel 2004, ma da poco gareggio e, in ogni caso, in questi 13 anni alcune cose sono cambiate. Il mio ruolo, inizialmente, era quello del giornalista/fotografo, a cui a volte i giudici davano il compito di trascrivere le loro note. Ero un osservatore neutrale e ho avuto la grande opportunità di poter seguire le cose da vicino, pur restando ad esse esterne. Il fatto che io sia scesa in campo ha stupito chi era abituato a vedermi nel mio altro ruolo ma, questa nuova pratica mi consente di comprendere le cose ancor più in profondità. Le miei opinioni, impressioni, sensazioni e preoccupazioni non sono cambiate ma posso dire di poter vedere alcune cose con maggior chiarezza, e questo è un processo ancora tutto in divenire.

Ho spesso affermato che obbedienza e controllo del cane sono fondamentali in una prova di lavoro britannica ma meno importanti alle nostre prove. Dietro a questo approccio ci sono molte ragioni, alcune probabilmente più socio-economiche che non cinofile. La presenza della selvaggina è sicuramente uno dei punti chiave. Sono arrivata alla conclusione, non che ci volesse un genio, che ad essere “colpevoli” siano la presenza, o l’assenza, di selvaggina. Chi ha familiarità con le prove italiane, sa quanta fortuna occorra per trovare un selvatico, In media, direi che circa il 25-30% dei cani, nel corso di una prova, ha la possibilità di fermare e lavorare il selvatico come si deve. Circa il 30-35% dei cani ha invece la possibilità di “vedere” un selvatico ma poi succede qualcosa (compagno di coppia, capriolo, meteorite…) che gli impedisce di completare l’azione. A volte le cose vanno anche peggio: durante una prova corsa lo scorso ottobre non si è visto un selvatico. La mia batteria, se non ricordo male, era formata da 11 coppie, quindi 22 cani e alcuni cani, tra cui la mia, sono stati portati al richiamo per offrire loro una seconda possibilità. In totale si è visto solo UN piccione, come potete immaginare nessun cane è andato in classifica. In Gran Bretagna è tutto diverso, i cani hanno quasi sempre la possibilità di incontrare, poi qualcosa può andare storto ma, di sicuro, il mancato incontro non è in cima alle preoccupazioni dei conduttori.

Per trovare un selvatico in italia devi avere un cane sveglio che si porti addosso uno zainetto pieno di fortuna: purtroppo è tutto vero,  parlerò del perché in altri articoli. Tutto ciò è reale e tristissimo: io amo i cani da ferma e chiunque abbia la stessa passione sa quanto questa situazione possa essere frustrante. Immaginate la giornata tipo alle prove: ci si alza alle 3 del mattino (perché le prove iniziano prestissimo), si guida per 200 chilometri, il cane fa un bel turno ma non incontra. Al giudice è piaciuto e lo porta al richiamo, per dargli una seconda possibilità ma, di nuovo, non incontra e la prova si chiude così. Immaginate questo accadere regolarmente e avrete il quadro completo.

Anni fa, chiacchierando con un giudice, gli ho chiesto perché alcuni allevatori fossero ossessionati dai galoppi: esistono ancora cani senza cervello, né senso del selvatico ma che però hanno galoppi favolosi, tipicissimi per la razza. Volete leggere la risposta? Breve e incisiva: gli allevatori danno molta importanza al movimento perché per il 99% del tempo i giudici lo vedranno galoppare, data la rarità delle ferme. Quindi si ricorderanno soprattutto come cerca e come muove. La risposta ha senso, ma mi rattrista. Le prove erano nate per valutare i cani da ferma e accertarsi che fossero buoni cani da caccia? Quindi per ora abbiamo dei bei galoppi, e poi?

Credo che al cuore delle nostre prove ci sia il trovare il selvatico, meglio se fatto con bello stile e dei bei lacets ampi e profondi. È così difficile incontrare qualcosa, che quello che viene dopo è meno importante. Non sto insinuando che una bella presa di punto e una bella ferma non siano importanti, gli italiani ci tengono eccome, sto dicendo che una volta fermato il selvatico le cose non possono che andare migliorando! Forse è per questo che una volta visto il cane in ferma i conduttori lo raggiungono in corsa trasudando entusiasmo. Cosa succede se è un po’ esitante nella guidata? Se non è immobile al frullo e allo sparo? Probabilmente si chiuderà un occhio, tenendo conto di quanto sia già stato difficile incontrare.

Gerry Devine at a Scottish trial. Such actions are a common sight

In Gran Bretagna è tutto l’opposto: i cani corrono in luoghi in cui i selvatici sono presenti, a volte troppo presenti, il che rende vitale il controllo sul cane. Non è difficile trovare una grouse, la trovi anche senza cane, diciamo che la selvaggina è data per scontata. Ad una prova di lavoro britannica non sarà difficile vedere un cane in ferma, le ferme sono una cosa normale. Dopo tutto le prove sono nate per valutare i cani da ferma e senza ferma come si fa? Quando un cane va in ferma, da loro, il conduttore lo raggiunge tranquillamente camminando. Colpa di un eventuale regolamento? Dell’indole meno focosa? Può darsi, ma credo che il nocciolo della questione sia la consapevolezza, sanno che la parte più difficile della prova inizia adesso. Dopo la ferma, il cane deve guidare e fare alzare correttamente il selvatico, dimostrare immobilità perfetta al frullo e allo sparo e eseguire il “clear the ground” (ispezionare il terreno per accertarsi che non ci siano altri selvatici), il tutto condito da una buona dose di obbedienza. Le prove britanniche non sono facili!

Quindi… durante una prova italiana l’incontro è al centro della scena (meglio se il cane ci arriva con stile), mentre in Gran Bretagna il cane è controllato a puntino su come gestisce il selvatico dopo l’incontro. Agli italiani importa, eccome, di come il cane fermi e porti il selvatico ad involarsi ma, sfortunatamente, le occasioni per verificarlo sono limitate. A fare la differenza sono l’ambiente la gestione della selvaggina. Se scavo nella mia memoria, le cose che ricordo di più di cani specifici alle prove inglesi, sono il loro lavoro dopo la ferma (soprattutto le guidate) e l’obbedienza. Certo, mi ricordo anche di alcune cerche straordinarie ma queste occupano uno spazio più piccolo della mia memoria. Se cerco di ricordare le prove italiane, le cose sono rovesciate.

Che cosa è meglio? Non ci sono vincitori. Per essere vincente ad una prova italiana il cane deve essere molto determinato, avere molto senso del selvatico (e/o una dose gigante di fortuna), muoversi con stile e essere intraprendente, a volte anche troppo indipendente. Quando si ha il tutto nelle giuste dosi, si ottiene un gran cane, ma se si sbagliano i conti si producono cani che corrono per il solo piacere di correre e che sono inaddestrabili dalla persona media. Il sistema britannico, invece, controlla con pignoleria come il cane tratta il selvatico e obbliga i conduttori a tenere d’occhio l’addestrabilità. Di converso, a volte da loro trovare un selvatico è troppo facile. Se un cane potesse essere verificato attraverso entrambi i sistemi si andrebbe vicino alla perfezione.