Caccia al cane… da caccia

Riflessioni di mezza stagione… di caccia. Nel Medievo si
cacciavano le streghe, in questo momento storico tanti, troppi, cacciatori,
danno la caccia al loro cane, sia in senso letterale (si insegue il cane da
caccia che scappa), sia in senso figurato, trasformando il cane nel capro
espiatorio preferito.

Se il cane scappa è colpa del cane; se il cane non riporta è
colpa del cane; se il cane… qualsiasi cosa accada è colpa del cane, senza se e
senza ma, senza un minimo di senso critico, né di introspezione.

Quando un cane sbaglia, ammesso che sbagli, chi si chiede
mai se la creatura stata messa in condizione di agire correttamente? Prendiamo
il cane che “non riporta”: gli è stato mai insegnato a riportare? E i cane che “scappa”:
questo cane ha davvero una relazione col proprietario tale da fargli ritenere di
dover essere “collegato”?

Vogliamo poi parlare della paura dello sparo? Come è stato
cresciuto il cane? È stato socializzato? Come è stato introdotto lo sparo? Se
gli avete sparato sei fucilate di fila sulla testa, senza la minima
introduzione ai rumori e alla finalità di tanto rumore, forse il cane tutti i
torti non li ha!

Potrei continuare ad elencare altri presunti errori e reinterpretarli dal punto di vista del cane, ma questo allungherebbe l’articolo, senza arricchirlo, e portandomi lontano dal punto chiave, che è un altro.

Se andiamo a caccia, parlo di quelle cacce che si praticano con il cane, ci andiamo con il cane, ma ci andiamo soprattutto GRAZIE al cane. Per carità, ho conosciuto cacciatori talmente abili da poter quasi fare a meno del cane, ma li vorrei proprio vedere buttarsi nelle acque gelide del Grande Fiume per recuperare un’anatra, per esempio. Ma, comunque che senso ha fare le cose che vanno fatte con il cane… senza cane? Una per tutte? La beccaccia alla posta! Come scrivo spesso la caccia, dal punto di vista dell’approvvigionamento alimentare non ha più ragion d’essere, quindi… Perché si va a caccia?

Per qualcuno è uno stile di vita, per altri una forma d’arte, per altri ancora una sorta di hobby. Non intendo qui mettermi a disquisire sulla liceità etica della caccia, ma mi preme invece portare l’attenzione sul fatto che, oggi, la caccia con il cane debba intendersi come una collaborazione tra uomo e cane, nonché, se possibile, come una raffinata espressione di un gesto atletico.

Sono un tipo preciso e vorrei vedere, anche a caccia, richiami efficienti, fermi al frullo, riporti impeccabili e, magari, come i tanti esteti che popolano la cinofilia italiana, anche un bel galoppo ma… senza arrivare a pretendere la perfezione, sarebbe sufficiente vedere cane e padrone lavorare insieme, con un cane messo in condizione, ovvero preparato ed addestrato, a eseguire le richieste del padrone.

Invece cosa vedo? Vedo per lo più padroni che si “arrabbiano” con cani che non sanno nemmeno di aver sbagliato, né hanno la minima idea di come si dovrebbero comportare per fare felici il padrone. Si dà contro al cane senza provare a pensare “da cane” e senza cercare di vedere il cane per quello che è.

Il cane è A) un semplice strumento di caccia o, nel caso della caccia cinofila, è B) esso stesso la caccia? Ciascuno provi a rispondere come meglio crede. Essendo arrivata alla caccia attraverso il cane, rispondo B, il che mi porta inevitabilmente a vedere il cane, e le cose attorno al cane, in un certo modo.

Questa mia personalissima visione mi spinge a chiedermi, come mai una buona fetta di cacciatori continui a trattare, consciamente, ma anche inconsciamente, il cane come uno strumento di caccia e non come quella risorsa fondamentale che permette alla caccia (con il cane) di esistere. Vedo cani alimentati con mangimi di scarsa qualità, perché costano poco; cani che, nel 2019, vivono ancora in “serragli”, fatti con avanzi di materiali edili arrugginiti; cani che hanno il mantello talmente infeltrito, da ferirsi con le semenze annodate nel pelo; cani derisi e buttati via senza motivo, se non la sfortuna di essere capitati nel serraglio sbagliato.

E boh… di certo il cane non va idolatrato, bambinizzato e dementizzato, come sbagliano fare tanti proprietari di cani da compagnia, ma la categoria “cacciatori”, che ha ancora l’incommensurabile fortuna di poter far svolgere ai propri cani i lavori per cui sono nati, un po’ di gratitudine e devozione, nei confronti di cani che si mettono al loro totale servizio, dovrebbe imparare a mostrarla.




Incontrare o gestire la selvaggina? IT vs UK

Le persone continuano a chiedermi le differenze tra le prove italiane e quelle britanniche. E’ complicato, ne ho già parlato in un altro articolo, ma i punti da toccare sono tanti e, più partecipo alle prove italiane, più differenze riscontro. Ho scritto partecipare perché le prove ho iniziato a “guardarle” nel 2004, ma da poco gareggio e, in ogni caso, in questi 13 anni alcune cose sono cambiate. Il mio ruolo, inizialmente, era quello del giornalista/fotografo, a cui a volte i giudici davano il compito di trascrivere le loro note. Ero un osservatore neutrale e ho avuto la grande opportunità di poter seguire le cose da vicino, pur restando ad esse esterne. Il fatto che io sia scesa in campo ha stupito chi era abituato a vedermi nel mio altro ruolo ma, questa nuova pratica mi consente di comprendere le cose ancor più in profondità. Le miei opinioni, impressioni, sensazioni e preoccupazioni non sono cambiate ma posso dire di poter vedere alcune cose con maggior chiarezza, e questo è un processo ancora tutto in divenire.

Ho spesso affermato che obbedienza e controllo del cane sono fondamentali in una prova di lavoro britannica ma meno importanti alle nostre prove. Dietro a questo approccio ci sono molte ragioni, alcune probabilmente più socio-economiche che non cinofile. La presenza della selvaggina è sicuramente uno dei punti chiave. Sono arrivata alla conclusione, non che ci volesse un genio, che ad essere “colpevoli” siano la presenza, o l’assenza, di selvaggina. Chi ha familiarità con le prove italiane, sa quanta fortuna occorra per trovare un selvatico, In media, direi che circa il 25-30% dei cani, nel corso di una prova, ha la possibilità di fermare e lavorare il selvatico come si deve. Circa il 30-35% dei cani ha invece la possibilità di “vedere” un selvatico ma poi succede qualcosa (compagno di coppia, capriolo, meteorite…) che gli impedisce di completare l’azione. A volte le cose vanno anche peggio: durante una prova corsa lo scorso ottobre non si è visto un selvatico. La mia batteria, se non ricordo male, era formata da 11 coppie, quindi 22 cani e alcuni cani, tra cui la mia, sono stati portati al richiamo per offrire loro una seconda possibilità. In totale si è visto solo UN piccione, come potete immaginare nessun cane è andato in classifica. In Gran Bretagna è tutto diverso, i cani hanno quasi sempre la possibilità di incontrare, poi qualcosa può andare storto ma, di sicuro, il mancato incontro non è in cima alle preoccupazioni dei conduttori.

Per trovare un selvatico in italia devi avere un cane sveglio che si porti addosso uno zainetto pieno di fortuna: purtroppo è tutto vero,  parlerò del perché in altri articoli. Tutto ciò è reale e tristissimo: io amo i cani da ferma e chiunque abbia la stessa passione sa quanto questa situazione possa essere frustrante. Immaginate la giornata tipo alle prove: ci si alza alle 3 del mattino (perché le prove iniziano prestissimo), si guida per 200 chilometri, il cane fa un bel turno ma non incontra. Al giudice è piaciuto e lo porta al richiamo, per dargli una seconda possibilità ma, di nuovo, non incontra e la prova si chiude così. Immaginate questo accadere regolarmente e avrete il quadro completo.

Anni fa, chiacchierando con un giudice, gli ho chiesto perché alcuni allevatori fossero ossessionati dai galoppi: esistono ancora cani senza cervello, né senso del selvatico ma che però hanno galoppi favolosi, tipicissimi per la razza. Volete leggere la risposta? Breve e incisiva: gli allevatori danno molta importanza al movimento perché per il 99% del tempo i giudici lo vedranno galoppare, data la rarità delle ferme. Quindi si ricorderanno soprattutto come cerca e come muove. La risposta ha senso, ma mi rattrista. Le prove erano nate per valutare i cani da ferma e accertarsi che fossero buoni cani da caccia? Quindi per ora abbiamo dei bei galoppi, e poi?

Credo che al cuore delle nostre prove ci sia il trovare il selvatico, meglio se fatto con bello stile e dei bei lacets ampi e profondi. È così difficile incontrare qualcosa, che quello che viene dopo è meno importante. Non sto insinuando che una bella presa di punto e una bella ferma non siano importanti, gli italiani ci tengono eccome, sto dicendo che una volta fermato il selvatico le cose non possono che andare migliorando! Forse è per questo che una volta visto il cane in ferma i conduttori lo raggiungono in corsa trasudando entusiasmo. Cosa succede se è un po’ esitante nella guidata? Se non è immobile al frullo e allo sparo? Probabilmente si chiuderà un occhio, tenendo conto di quanto sia già stato difficile incontrare.

Gerry Devine at a Scottish trial. Such actions are a common sight

In Gran Bretagna è tutto l’opposto: i cani corrono in luoghi in cui i selvatici sono presenti, a volte troppo presenti, il che rende vitale il controllo sul cane. Non è difficile trovare una grouse, la trovi anche senza cane, diciamo che la selvaggina è data per scontata. Ad una prova di lavoro britannica non sarà difficile vedere un cane in ferma, le ferme sono una cosa normale. Dopo tutto le prove sono nate per valutare i cani da ferma e senza ferma come si fa? Quando un cane va in ferma, da loro, il conduttore lo raggiunge tranquillamente camminando. Colpa di un eventuale regolamento? Dell’indole meno focosa? Può darsi, ma credo che il nocciolo della questione sia la consapevolezza, sanno che la parte più difficile della prova inizia adesso. Dopo la ferma, il cane deve guidare e fare alzare correttamente il selvatico, dimostrare immobilità perfetta al frullo e allo sparo e eseguire il “clear the ground” (ispezionare il terreno per accertarsi che non ci siano altri selvatici), il tutto condito da una buona dose di obbedienza. Le prove britanniche non sono facili!

Quindi… durante una prova italiana l’incontro è al centro della scena (meglio se il cane ci arriva con stile), mentre in Gran Bretagna il cane è controllato a puntino su come gestisce il selvatico dopo l’incontro. Agli italiani importa, eccome, di come il cane fermi e porti il selvatico ad involarsi ma, sfortunatamente, le occasioni per verificarlo sono limitate. A fare la differenza sono l’ambiente la gestione della selvaggina. Se scavo nella mia memoria, le cose che ricordo di più di cani specifici alle prove inglesi, sono il loro lavoro dopo la ferma (soprattutto le guidate) e l’obbedienza. Certo, mi ricordo anche di alcune cerche straordinarie ma queste occupano uno spazio più piccolo della mia memoria. Se cerco di ricordare le prove italiane, le cose sono rovesciate.

Che cosa è meglio? Non ci sono vincitori. Per essere vincente ad una prova italiana il cane deve essere molto determinato, avere molto senso del selvatico (e/o una dose gigante di fortuna), muoversi con stile e essere intraprendente, a volte anche troppo indipendente. Quando si ha il tutto nelle giuste dosi, si ottiene un gran cane, ma se si sbagliano i conti si producono cani che corrono per il solo piacere di correre e che sono inaddestrabili dalla persona media. Il sistema britannico, invece, controlla con pignoleria come il cane tratta il selvatico e obbliga i conduttori a tenere d’occhio l’addestrabilità. Di converso, a volte da loro trovare un selvatico è troppo facile. Se un cane potesse essere verificato attraverso entrambi i sistemi si andrebbe vicino alla perfezione.




Perché e come puoi trarre beneficio dal Gundog Research Project

Il Gundog Research Project è stato pianificato con cura tenendo in mente cani, cacciatori e cinofili garisti. Capire come i loro cani siano gestiti è un passaggio preliminare ma fondamentale per scoprire quali pratiche sono ottimali e quali, invece, possono essere migliorate. La caccia, i cacciatori e tutto ciò che ruota accanto a loro (e quindi anche la cinofilia venatoria), non hanno una buona immagine pubblica e vengono spesso fraintesi. È necessario che avvenga un cambiamento, ed esso può avvenire solo attraverso i protagonisti: cacciatori, addestratori e conduttori possono dare un contributo incisivo. I cani da caccia hanno bisogno di te e le tue risposte sono importanti! Sorteggeremo dei premi tra tutti i partecipanti al questionario.

Il benessere animale, inoltre, è sempre più al centro di inchieste e polemiche pertanto crediamo che i cacciatori, i cinofili e le organizzazioni ad essi correlate, possano trarre beneficio da un atteggiamento “proattivo” (cercando di dare un’immagine positive di se stessi), anziché “reattivo” (cercando di difendersi dalle accuse). La tua partecipazione a questo progetto può aiutare a far capire a chi non conosce il nostro mondo come stanno realmente le cose, che ci tieni al benessere del tuo cane (ne sono sicura!).Inoltre, puoi aiutare a far comprendere quali siano la vera natura e le reali necessità dei cani da caccia. Contemporaneamente, le tue risposte ci faranno comprendere eventuali punti deboli nella gestione del cane da caccia e, se possibile, suggerire come migliorarli. Precedenti studi effettuati su cani ospiti dei canili e su altre tipologie di cani da lavoro, infatti, hanno provato che piccole correzioni delle metodiche gestionali, hanno ridotto il livello di stress nei cani, migliorato la loro salute e.. persino le loro prestazioni!

Chi c’è dietro al progetto (clicca per leggere)

Come compilare il questionario (clicca per leggere)

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