Giacomo Griziotti: Vent’anni con l’Avvocato

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Quasi tutte le vicende fin qui riportate ripetono un nome: Giacomo Griziotti (1894-1986).  Non fu allevatore in senso stretto, non fu professionista ma un protagonista (quasi suo malgrado); dotato di grande intelligenza e di profonda cultura, fu uno dei più apprezzati conoscitori del cane da caccia ed esercitò sempre un grande “carisma” per la profondità tecnica delle sue osservazioni.

La sua presenza nella cinofilia italiana ha lasciato tracce indelebili, tali da far affermare, senza alcun dubbio, che l’Avvocato fu uno dei più significativi “ambasciatori della pavesità”. La nebbia, intensissima e gocciolante, era di quelle classiche della nostra pianura quando, al mese di novembre, si alternano giornate di splendido sole ed altre di scarsissima visibilità. Nella piazza, che sembrava inghiottita nel nulla, lì, di fronte a me pochi metri, un possente bracco italiano stava frugando in mezzo a delle immondizie. Mi fermai ad osservarlo mentre una voce maschile invitava il cane ad essere più ubbidiente. Chiesi che età avesse il bracco italiano. Quel signore, che io non conoscevo, sorpreso dal fatto che conoscessi la razza, incominciò con le solite domande che si rivolgono ai ragazzini mentre, insieme, percorrevamo un tratto di piazza. Ci lasciammo con l’impegno di rivederci il giorno seguente per andare fuori coi cani.

Così cominciarono i miei venti anni con l’Avvocato. Nel dressaggio era autodidatta sebbene seguisse la filosofia di Ernest Bellecroix del quale possedeva un libro, in lingua originale, che ebbi anche in lettura, naturalmente. Data l’intelligenza seppe utilizzare il metodo senza trasposizioni acritiche, tanto è vero che ogni soggetto in preparazione veniva osservato pazientemente studiato attentamente, in quanto l’obiettivo era sempre il capire come poter esprimere, al massimo, le caratteristiche individuali sollecitandone la psiche. Non utilizzava mai metodi di dura coercizione ed era proverbiale il suo modo di lavorare…  armato di nodosi randelli, (che chiamava “teneri virgulti”) e che mai tuttavia si incontrarono con groppa di cane; l’Avvocato li utilizzava infatti solo a scopo di minaccia. Da tutti considerato braccofilo, in realtà amava qualsiasi razza ed ebbe sempre in grande considerazione i cani inglesi. I bracchi erano per lui una sorta di legame con la nostra terra e, come tali, dovevano quindi essere curati e seguiti con particolare impegno soprattutto in periodi di crisi profonda, quale fu quello in cui imperversò, da noi, il furore anglofilo.

Sui campi portò tutte le razze, dagli irlandesi (ultimo Deli dell’Architetto Balbis), al drahthaar (Zara del dott. Marchetti per esempio). Correva per imporre i suoi cani, ma quando ciò non avveniva soleva dirmi: “quando gli affari vanno male, il fisico non deve subirne le conseguenze” e così cercavamo oblio in tavole ben imbandite. Cacciavamo molto con i cani ma, quasi esclusivamente, i beccaccini che non sparavamo se non dopo lavori perfetti. Grande cacciatore cinofilo ma anche grande appassionato di caccia sul fiume con barchino e spingarda, caccia che abbandonò quando le normative vietarono l’uso di quest’ultima. Aveva il dono di impegnarsi anche nelle cose in cui non credeva, come ad esempio nell’attività militare, che pur non riuscendo a capire né, tantomeno, a condividere sia nel primo sia nel secondo conflitto mondiale, affrontò con spirito determinato raggiungendo il grado di generale. Modestissimo, era solito chiedere parere in tutto, anche a me che pur ero, nei primi anni della nostra conoscenza, un ragazzino con i pantaloni corti.

La sua cinofilia era il dressaggio,  altre cose come gli aspetti associativi ecc. non lo interessavano in modo particolare, in questo dimostrando, ancora, modestia.  Era giudice, e alle doti, innate, di equilibrio e di obiettività, univa grande capacità di capire i cani ed una grande esperienza, tuttavia svolse questa attività solo raramente, quando il rifiuto sarebbe stato… sconveniente.

Incominciai col seguirlo anche in giro per l’Italia, sui campi di prove, e finimmo con l’invertire i ruoli: lui a raccontarmi aneddoti e fatti di cinofilia, di vita e di guerra, ed io che, alla guida del suo automezzo lo accompagnavo.  Il tempo passava veloce e sempre più spesso notavo il distacco dal mondo della cinofilia, così come è concepito attualmente… non aggiungo altro perché, credo, i motivi siano facilmente comprensibili per chi ha letto il suo libro sull’addestramento. Griziotti è stato un grande, anche più di quanto si possa immaginare e solo chi, come me lo ha seguito, può capire come la sua grandezza andava al di là dei risultati nella passione comune.

Ancora oggi, quando penso a Griziotti, penso a un modello, magari fuori tempo ma da imitare.

Un articolo di Giacomo Griziotti è presente qui.

Leggi il prossimo articolo di Ivan Torchio qui.




La paura dello sparo: ulteriori considerazioni

L’articolo sulla paura dello sparo, come prevedibile, ha suscitato forti reazioni. Diciamo che l’avevo previsto ma… avrei sperato in un filo in più di apertura mentale e, invece,  molti lettori hanno ritenute insensate le conclusioni a cui è giunta l’etologia moderna. Inconsciamente, questa è una scelta di comodo perché è molto più semplice incolpare i geni (la fattrice, lo stallone, l’allevatore…) che prendersi le proprie responsabilità.  Riconoscere il ruolo dei fattori ambientali nella genesi della paura del fucile, infatti, implica assumersi delle colpe, se il cane è un fifone, o darsi da fare se stiamo crescendo un nuovo cucciolo.

Le obiezioni? “Io non ho mai fatto nulla per presentare al cane i rumori, l’ho portato fuori all’apertura, si è alzato un volo di starne, gli ho fatto una scarica di fucilate sulla testa e non è successo nulla! Sono tutte ….. la socializzazione e tutto il resto!” Nell’articolo originario, se l’avessero letto bene, queste persone avrebbero trovato la parte in cui dico che si può essere molto fortunati e ritrovarsi con un cane che non accusa il colpo di fucile, nonostante non si sia fatto nulla di particolare per prepararlo a tanta confusione.  Come mai? Può essere pura fortuna o, può anche essere, il che è molto più plausibile,  che il cane sia stato esposto a stimoli rumorosi senza che ciò sia stato pianificato. Magari avete spaccato la legna in sua presenza, azionato la motosega, il trattore, il toserba, magari è nato in estate e c’erano spesso temporali,eccetera. Cani che vivono in prossimità dell’uomo spesso vengono esposti ai rumori senza che lo si debba fare “apposta”.

Qui si inserisce la seconda critica all’articolo un tempo i cani non venivano esposti ai rumori, né socializzati eppure erano normali”… Questo è un falso mito.  Un tempo, parliamo di quasi un secoletto fa, i cani da caccia erano quasi tutti di proprietà di “signori” che li facevano accudire da personale apposito: è assai improbabile che questi soggetti avessero scarse interazioni con l’uomo. Parallelamente, e più tardivamente, anche persone di medio e basso reddito hanno iniziato ad andare a caccia con il cane, ma si trattava quasi sempre di contadini con il classico segugetto da pagliaio che, comunque, partecipava alla vita della fattoria vivendo a stretto contatto con l’uomo e quindi come rumore.

I  cacciatori appartenenti alla classe media e bassa hanno iniziato, almeno in Italia, ad avere cani di razza a partire dal secondo dopo guerra, direi più spiccatamente dagli anni ’60 e, a quell’epoca, non esisteva nemmeno ancora l’idea dell’allevamento a fini commerciali. I primi grossi allevamenti, alcuni tuttora attivi, stavano gettando le fondamenta ma, in generale, le cucciolate erano ancora cose per ricchi (provvisti di staff specializzato),  o faccende di famiglia, con tanto di pargoli saltellanti attorno ai cani. Cuccioli e uomini, insomma, vivevano a stretto contatto.

Le cose sono cambiate, dopo, con i cani che iniziavano ad essere intesi come fonte di reddito, il che ha portato ad allevarli in maniera più “intensiva”  e la qualità delle cure è scesa:  a volte ci si trova con più cucciolate da accudire contemporaneamente, a volte le strutture in cui crescono sono lontane dai rumori, eccetera eccetera. Anche il cacciatore è cambiato:  c’è chi vive in appartamento e non può tenere il cane in città e lo lascia crescere in qualche recinto isolato in periferia. C’è chi ha la villetta, ma siccome il cucciolo rovina il giardino lo si mette in un box in fondo all’orto. Poi si rientra tardi alla sera, stanchi da lavoro e non si trascorre del tempo con lui, anche se si tratta del figlio di campioni di altissima genealogia, pagato fior di soldi,  e non di un cane da pagliaio qualunque.

Se il cucciolo fosse un meticcetto di paese, forse, le cose sarebbero più semplici per lui: gli appartenenti ad alcune razze canine moderne  sono l’equivalente di un purosangue con la relativa ipersensibilità, se selezioniamo cani reattivi, loro saranno reattivi anche quando ciò diventa scomodo!  I cani, i tempi e i contesti sono cambiati, perché gli uomini si ostinano a non cambiare? Non dovrebbe forse esserci una maggior sensibilità nei confronti del cane? Non dovrebbe, il cane, essere un amico prima di essere un ausiliare? Non dovremmo noi, suoi proprietari, fare qualche piccolissimo sacrificio per crescerlo al riparo da paure, anziché insistere con l’allevatore per avere “un cambio di prodotto”, se il cucciolo sviluppa la paura del fucile? Credo sia nostro dovere morale, viste le moderne conoscenze etologiche, offrire al cucciolo tutte le risorse per aiutarlo a crescere bene e limitare il rischio che si manifestino problemi come la paura del fucile.

Allego, per i curiosi, un articolo de “I Nostri Cani” del 1968 in cui si riportano i consigli del noto  addestratore Gino Puttini. Si parla di paura dello sparo e di come recuperare (e sottolineo recuperare, non scartare!) i cani. Il pezzo ha quasi 50 anni q quindi ci sta che si pensasse ancora alla genetica, sebbene siano ben menzionate anche le cause ambientali, lo ripropongo più che altro come curiosità storica. Si tratta di una foto “stropicciata” perché la rivista è molto debole e non sopravvivrebbe. PS. Non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




Esiste il gene della paura del fucile?

Ne ho già parlato in diverse occasioni (come per esempio nello speciale Il Mio Cucciolo) e, di solito mi innervosisco a ripetere sempre le stesse cose ma, poco fa, ho aperto un thread su un forum di cinofilia venatoria e mi sono accorta che, nonostante gli anni passino, nulla è cambiato. Stavo rispondendo rapidamente a quel thread quando la finestra del browser si è chiusa, ripartiamo da qui.

Tutti corrono a comprare, accoppiare e accumulare cani ma nessuno fa il minimo sforzo per informarsi, in questo caso poi, se non si vuole leggere, a volte basterebbe ragionare. Cito infatti il francese Patrick Pageat (L’homme et le chien – L’uomo e il cane, nell’edizione in italiano), veterinario nonché noto studioso di comportamento canino: “Come può esistere la paura del colpo di fucile quando, nel periodo in cui ebbe origine il cane, il fucile non esisteva? Può, Madre Natura essere stata così previdente?”

Direi di no, eppure alcuni cani hanno paura dello sparo, perché? Non sono “tarati”, detesto questo termine e darei del tarato a chi lo utilizza, la spiegazione è più raffinata, nonché meno semplice. Sappiamo che esistono individui (anche all’interno della specie umana), più sensibili di altri. Questo ci porta a pensare che esistano cani più sensibili a determinati stimoli, ad esempio il rumore, rispetto ad altri. Questa maggiore sensibilità può avere basi genetiche? Possibile, anzi probabile, oserei dire. Di fatto, ho riscontrato un maggior numero di soggetti con “paura dello sparo” in alcune razze rispetto ad altre e, sempre in queste razze, i cani erano più difficili da recuperare rispetto ad altri, il tutto sempre da intendersi come generica generalizzazione. In linea di massima, i “sensibili” erano soggetti molto reattivi, definibili, con un termine, forse inappropriato, “nevrili”. Un certo tipo di selezione porta a privilegiare velocità, reattività, nervi a fiori di pelle e quindi anche “sensibilità”: se paragoniamo il comportamento di un mastino napoletano a quello di un setter… non sono proprio la stessa cosa!

Prima di parlare di paura, tuttavia, dovremmo parlare di sensibilità: ci sono soggetti più sensibili a stimoli sonori? Sì, ma essere sensibili a qualcosa non significa averne il terrore, quello si sviluppa sulla sensibilità, a seguito di fattori esterni. Oltre ad essere sensibili, cos’altro avevano in comune i cani che avevano sviluppato paura dello sparo? Altri elementi avevano giocato a loro sfavore? Sì: in primis una socializzazione sommaria. Non è questa la sede per definire ed illustrare il concetto di socializzazione, lo farò forse in futuro e nel frattempo vi invito a googlare, il punto è che i cuccioli vanno socializzati e, tanto, ma il cacciatore/allevatore lo fa un po’ a macchia di leopardo. Il cane da caccia “medio”, nasce e cresce in canile, in campagna, lontano da particolari problemi e da particolari stimoli. L’ambiente che lo circonda, in genere, è piuttosto silenzioso e ciò non lo prepara a sufficienza alla futura attività venatoria.

Errore numero due, il cucciolo, oltre a non essere socializzato a sufficienza nei primissimi mesi di vita, viene lasciato maturare in box nella convinzione che, lavorandolo prima, si “rovini”. Moltissime persone non fanno fare niente al cane fino a 7-8 mesi, o più. Raggiunta quella età caricano il cane in macchina (magari non ci è mai andato prima, se non per recarsi una volta dal veterinario) e lo “testano” con qualche quaglia sullo sparo o, peggio, lo portano direttamente a caccia, magari il giorno dell’apertura, o durante un’allegra zingarata in riserva.

E qui possono succedere due cose: a) il cane ha nervi d’acciaio (e il proprietario è molto fortunato) e tutto fila liscio, nonostante esistano tutte le premesse per il disastro o b) il cane si spaventa, succede il disastro e ci si trova per le mani un soggetto con “la paura dello sparo”. I modi e i metodi di custodia del cane che ho descritto sopra, non sono inventati, purtroppo, anzi e ho conoscenti che sono recidivi e che ad ogni nuovo cucciolo, si ritrovano con un cane timoroso dello sparo: è davvero solo sfortuna? Possibile che ad alcuni non capitino mai cani con paura dello sparo e altri cacciatori solo cani “tarati”? (Le eccezioni in eventuale loro possesso sono, in questo caso, cani acquistati già adulti).

Vi riporto un altro esempio tratto da una storia vera. Il signor Rossi acquista cucciola di alta genealogia eccetera eccetera e la fa crescere in canile/giardino. Dopodiché, le presenta il solito selvatico e la solita fucilata: disastro. Negli anni successivi la canina viene più o meno recuperata (con metodi piuttosto empirici…) ma, visto il problema, l’allevatore offre una seconda cucciola, sorella della prima. La cagnolina, questa volta, viene socializzata molto bene e stimolata correttamente durante la crescita: non presenta alcun timore dello sparo e a caccia è ben più spavalda della sorella con cui condivide gli stessi geni.

Chi avesse obiezioni può continuare a leggere qui.

PS. Non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




Vinci un servizio fotografico – Win a free photo session

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Per tenere vivo interesse e partecipazione al Gundog Research Project, abbiamo aggiunto un nuovo premio: un servizio fotografico gratuito.

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76esimo Derby DKV Mainfranken di Mattia Felicetta

76esimo Derby DKV (Deutsch Kurzhaar Verein) Mainfranken 22-04-2017

di Mattia Felicetta

Di articoli di prove ne esistono migliaia, alcuni ci lasciano un’impronta, una lezione, un’idea di cos’è stato vissuto in quell’occasione, ma l’atmosfera può essere solo vissuta. L’ultima frase è un palese invito di vivere almeno una giornata come spettatore di queste prove (Derby, Solms, IKP o Kleemann per i DK), ed è indirizzato ad ogni persona interessata alla cinofilia delle razze tedesche. Se siete giunti su questo articolo è perché abbiamo un interesse comune, la passione che ogni giorno coltiviamo, con tanti sacrifici di tempo, migliorare non tanto per noi stessi, quanto per i nostri ausiliari e compagni di tutti i giorni. Mi sono presentato a delle prove di lavoro in Italia, da totale inesperto e con il massimo rispetto di quelli che sono stati i giudizi, ammetto di non avere una base di preparazione/esperienza per questi test. Un tasto toccato in più occasioni da altri concorrenti è un loro parere sulle prove tedesche, espresso a volte senza conoscere le specialità affrontate da un cane polivalente. Tra questi esistono due linee di pensiero diametralmente opposte: chi non le accetta minimamente e chi ne è incuriosito.Ora starete pensando “ma non dovevamo parlare del Derby?” Giustamente, siete qui per questo. Seguendo l’ordine cronologico si parte da giovedì mattina, partenza fissata alle 9:30 con mio padre Massimo ed il protagonista, Kurt (DK) fino ad ora completamente in secondo piano. Alle 18 circa siamo giunti a Gollhofen, più precisamente al Gasthaus Stern, tra Norimberga e Würzburg. Circa in contemporanea arriva Ingeborg Voelker-engler, cara amica e costante riferimento per gli italiani che si avvicinano al mondo delle prove tedesche. E’ lei il mio referente, ed è lei che spenderà il giorno seguente a farmi un corso intensivo sulla preparazione del cane.

Due giorni dopo, sabato 22 aprile 2017, inizia la prova: consegna del pedigree, controllo dei vaccini, rilascio del numero ad ogni concorrente, spiegazione delle varie fasi.
All’ingresso dell’albergo un veterinario incaricato aspetta ogni concorrente per la lettura del microchip ed un controllo sanitario, dovuto soprattutto per il monitoraggio di difetti quali displasie o assenza di denti. Tutto scritto sull’apposito modulo della prova. In totale 18 cani, divisi in quattro batterie, due da quattro cani e due da cinque cani, con tre giudici per ciascuna batteria di concorrenti. Il tutto organizzato in modo che Ingeborg, l’unica che conosceva l’italiano, potesse essere a giudizio della batteria, per aiutare con le traduzioni e le indicazioni sia a me sia a Marco. Ci dava anche tranquillità.

Cercherò di essere il più neutro possibile, limitandomi solo alla spiegazione delle varie fasi della prova, specificando il comportamento di Kurt nella giornata. In fondo era su di lui che era focalizzata la maggior parte della mia attenzione, se non tutta. Premetto che non sono un giudice di prove tedesche, non mi dichiaro addestratore di alcun tipo. Tutto ciò che leggerete da questo punto in poi sarà semplicemente l’interpretazione e la prima esperienza in queste prove di un ventenne che si affaccia a questo mondo. Alcune cose vi strapperanno una risata magari, ma in tutta la mia umiltà vi riporto quello che, forse in modo sbagliato, penso di aver capito.

Il primo passaggio consisteva nel piacere al lavoro, l’indifferenza al colpo e la cerca. Lo stile di razza di ogni ausiliare (DD, DK, Weimaraner eccetera) è recepito in modo completamente differente dalla mentalità italiana. Il portamento di  testa alto accomuna le due filosofie, ma  il metodo di lavoro lo reputo completamente opposto. Un cane deve segnalare i vari odori interessati all’attività venatoria, non pistando in modo continuo come un segugio, ma nemmeno cercare freneticamente ed in modo nervoso a distanze troppo ampie. La lepre, non a caso, non viene ignorata in Germani: se un cane, durante il suo turno, fa un incontro su questo selvatico viene valutato con un giudizio in più, se non incontra, nessun problema, non è richiesto. La  prima valutazione consiste quindi nel vedere come si comporta il cane nei confronti delle varie emanazioni recepite, controllando il cambio della battuta della coda, le pause per segnalare l’odore, il cambio di movimento. Ovviamente deve sempre rispettare le condizioni di cerca e, se capita l’opportunità anche di ferma.
L’indifferenza al colpo non è tanto banale come sembra, ad una distanza di 30 metri, con cane in fase di apertura (non rientro) viene sparato un colpo, in modo da valutare la reazione a questa fase, poi uno successivo. Non sono molto a conoscenza sul giudizio dato, non vorrei quindi andare in errore, sicuramente ad ogni reazione del cane viene riportato un giudizio sull’opportuna tabella.

Io sono il secondo della batteria, il campo di fronte a me era già stato battuto sul lato destro, quindi io ho lo sgancio dalla parte sinistra, distante circa 50 metri da me un boschetto sulla sinistra, largo forse una decina di metri e 200 in lunghezza. Il vento da sinistra.  Mi indicano di mettere il cane a terra. Comando il “Platz” a Kurt. Mi allontano quei pochi passi verso destra in modo che l’apertura sia verso destra, con gli occhi rivolti verso il cane perché non si muova. Arriva il cenno di far partire il cane. “Via”. Tutta l’agitazione passa in quel comando, ormai vada come vada, mi devo solo divertire. Fatti due lacets, mentre io continuo a muovermi e fischiare per farlo girare, parte il primo colpo, ancora un lacet ed ormai a sinistra verso il bosco, si butta dentro. “Ecco, chissà cos’ha sentito” le prime parole che ho pensato. Poco prima di parcheggiare erano partiti dei caprioli. Avrei dovuto aspettare di tornare alla macchina perché mio padre mi avvisasse che era partita  anche una lepre. Dopo essere andato avanti un centinaio di metri dentro al bosco richiamo il cane, lo sgancio di nuovo. Stesso inizio, tre lacets, ma stavolta epilogo diverso: gli parte una lepre a circa dieci metri. La vede,  parte senza dare voce, e inizia ad andare in seguita per diverse centinaia di metri, arrivando a cima del colle, sulla strada sterrata va a sinistra, esattamente dove era passata la lepre. Con l’anima in pace aspetto che il cane rientri. Mi volto verso i giudici cercando lo sguardo di Ingeborg per chiederle cosa fare e come fosse andato il cane, ottenendo come risposta che è solo una cosa in più, che avremmo discusso dopo, di richiamare il cane e continuare. Tempo un minuto ed il cane rientra, gli metto il guinzaglio, torno indietro qualche passo e stesso rito precedente per lo sgancio. Ripassa ancora sulla spur (traccia) della lepre che ha appena fatto, alla stessa folle velocità di prima ed ancora sulla stessa strada, pensavo ci fosse un viottolo ormai. A questo punto lo sgancio a destra, cercando di evitare che ripassi ancora su quella pista. Si muove abbastanza bene, anche se dopo quelle corse un po’ di fatica la sente. Parte quindi il secondo colpo per il giudizio di reazione. Ancora qualche lacets, adesso non troppo ordinati, e mi viene detto di fermare il cane.
Tirando le somme ha fatto secondo me un’ottima spur, ero davvero felice di come si era comportato.Senza entrare nello specifico, ho visto dei cani veramente ordinati in questa fase, con aperture ampie, messi molto bene sul percorso ed a una velocità moderata, ma soprattutto in mano ai conduttori.

Il secondo passaggio consiste nella valutazione della ferma. Ad ogni cane iscritto alla prova viene data la possibilità di dimostrare le proprie capacità su quello che è lo stile di ferma e l’utilizzo dell’olfatto. La risalita verso un’emanazione è la cosa più importante, qualsiasi sia il terreno sul quale si svolge questa fase. La ferma deve essere accertata dal cane, non deve fermare in bianco, per questo, da quel che ho inteso, un cane che stringe la cerca prima della ferma, anziché fermare di colpo, viene valutato con un buon punteggio. Bisogna quindi aspettare che arrivi il conduttore per servire il cane, in questo caso era consigliato di portare via il cane legato in modo che i concorrenti dopo potessero fermare. Nel nostro caso di trattava di un boschetto di tre filari con alcuni punti di erba alta.  Al mio turno, solito rito per l’inizio della prova, parte il cane tra le piante, a volte andando fuori, in fondo, saranno stati 30 metri in larghezza, avevo già immaginato una situazione simile, per cui, con tutta la calma chiamo il cane a rientrare. Ad un certo punto smette di cercare in modo ordinato, dopo la seconda volta che è uscito a sinistra del bosco. Parte in diagonale, da sinistra a qualche decina di metri in avanti a me, rallenta. Mi fermo per vedere cosa sta facendo. E’in ferma, una statua, davanti ad un mucchio di erba alta, dove sicuramente dentro ha  sentito la starna. Il giudice più in avanti alza la mano, per dare conferma che il cane è nel punto esatto. Mi avvicino e lego.

Dopo circa un’ora mi avvisano di prendere il cane, andiamo al campo a sinistra del boschetto, lievemente in salita verso sinistra. Mi indicano di salire circa 40 metri dalla strada  e sganciare il cane verso sinistra. Parte subito, forse un po’ troppo in avanti. Non passano neanche un paio di minuti che parte una lepre in mezzo al campo. Il cane non l’ha vista, trillo ed il cane si siede. Mi giro verso i giudici per chiedere come devo comportarmi, per tutta risposta mi hanno detto di lasciare il cane e vedere come di sarebbe comportato. Fatto ripartire fa un paio di lacets e finisce qualche decina di metri dall’inizio della spur, comunque sulla traccia. Inizia a pistare, facendo un centinaio di metri veramente bene, perdendo poi l’odore al passaggio sull’arato. Scendo verso la strada, mi indicano che adesso torniamo a filo bosco. Chiamo quindi il cane che scende dopo qualche attimo, ancora non è convinto  di rientrare.Arrivato quindi sulla stradina lascio andare il cane avanti a me, inizia a cercare facendo il suo lavoro. Ad un certo punto si lancia nel fossetto di scolo dell’acqua, io, sapendo di questo suo vizio di rinfrescarsi, lo richiamo di uscire. Ingeborg mi dice di lasciare fare il cane che non sta sbagliando, metto quindi via il fischietto. Continua per qualche minuto a cercare lì dentro, fino a quando parte una starna, utilizzata il turno prima. Il turno è finito ormai, lego quindi il cane.

Subito dopo il richiamo, mi danno indicazione che sarebbe iniziata l’ultima fase della prova:  l’attesa del conduttore. Questa parte consiste nel mettere i cani a terra, ad una distanza di qualche metro l’uno dall’altro, e fare allontanare i conduttori. I giudici in questo caso valutano l’equilibrio del cane ad aspettare dopo aver ricevuto un comando, per un tempo a discrezione dei giudici. L’erba è  abbastanza umida, l’unica accortezza che ho avuto è stata quella di mettere un telo di loden in modo che Kurt non si bagnasse per sedersi. Dato il “platz e fermo” al cane e mi sposto.  La mia prova è finita.

Mentre aspettiamo il rientro delle altre persone, pranziamo leggendo i risultati che uno alla volta vengono trascritti sul computer, collegate ad un proiettore.  Sui risultati va fatta una precisazione: le prove tedesche non sono agonistiche, pertanto tutti i cani possono ricevere un 1° Premio, dettato dai punteggi ottenuti nella prova. I cani della VJP ricevono invece un punteggio effettivo. Durante la trascrizione ero il 2° della lista su cui si compilava, “Kurt : I Preis 4h Vorstehen mit Andreasstern” ossia 1° premio, eccellente in ferma ed eccellente per la traccia su lepre. Finita la compilazione Ingeborg mi dice che con quel punteggio potrei anche aver vinto la prova, sempre che qualche concorrente delle batterie rimanenti non avesse fatto due 4h. Fritzi, una volta ottenuti tutti i risultati della prova, fa  un discorso, dicendo che di 18 cani era un ottimo risultato avere tredici primi premi, un secondo ed un terzo premio, oltre che in VJP tre punteggi con 72, 68 e 64. Chiama poi uno per uno e ormai aveva chiamato la penultima ho capito che mancavo solo io, avevo appena vinto il Derby. O meglio, Kurt aveva appena vinto il Derby! Emozionato e con gli occhi lucidi sono andato a ritirare il premio!

Non resta quindi che concludere, ringraziare gli organizzatori impeccabili, Ingeborg che ogni volta ci accoglie con infinita pazienza e gioia di vederci, Marco e Michela che ci hanno tenuto compagnia e fornito le fotografie che vedete nell’articolo, io sono quello qui al centro!.Un grandissimo ringraziamento va nei confronti di Ivan e Rebo, in fondo mi hanno aiutato loro in tutta la preparazione, e molte, se non tutte, le cose che ho imparato in questi ultimi 4 anni le devo a loro. Ovviamente non posso non ringraziare mia madre e mio padre, che mi aiutano sempre.




Una gemma dal 1956: un italiano ai trials inglesi

Come alcuni di voi già sanno, ho ereditato l’archivio del Dr. Ridella, veterinario e allevatore di setter con l’affisso Ticinensis. Mi sento onorata di essere stata scelta come custode di questi materiali, ma mi rincresce ammettere che ne ho ripulito e ordinato solo metà delle riviste. Tuttavia, circa 50 anni di editoria cino-venatoria, sono oggi ben archiviati e leggibili. Sapendo ciò, un amico mi ha chiesto di trovargli due articoli di Solaro del 1938 e del 1954 che, ovviamente, non sono riuscita ad individuare. Non dandomi per vinta, ho controllato anche gli anni limitrofi, niente da fare, ma ho trovato qualcosa di estremamente affascinante ed inatteso. Nel numero del secondo trimestre di Rassegna Cinofila (è l’antenato dei Nostri Cani) del 1956, c’è un bell’articolo di Giulio Colombo (1886-1966). Per chi non lo conoscesse, Colombo era allevatore con affisso della Baita, nonché un noto giudice. Aveva sempre cercato di tenere vivi i legami tra Italia e Gran Bretagna e l’Italia importando, tra gli altri i setter: Lingfield Mystic (vincitore del Derby inglese); Lingfield IlaLingfield Puma e Bratton Vanity. Grazie all’articolo, ho scoperto che nel 1956, Colombo è andato a giudicare a Sutton Scotney (Hampshire – UK) e ha raccontato laesperienza. L’articolo è leggibile per intero nel PDF che potete scaricare qui o nella photogallery qui linkata. Ne riporterò però qui alcuni pezzi salienti.

Colombo comincia pensando a Laverack, Llewellin e Lady Auckland (che giudicava con lui) e con un excursus storico che spiega come mai setter e pointer siano stati selezionati in questa maniera. “Credo aver, inteso i due Grandi sussurrare a un dipresso così: Competizioni di giganti le nostre, quando ancora si credeva alla necessità del cane da ferma sul terreno della caccia, quando pointers e setters rispondevano al gusti venatori del cacciatore, quando non si codificava un bel niente a priori, teoricamente, per estetismi o postulati da tavolino senza aver vissuta o sofferta mai la, passione incontenibile dello sport codaiolo, fra le più strenue ed inebrianti passioni, quando pointers e setters, cani da Grande Cerca, si imposero selezionati perfezionati, secondo suggeriva la pratica diuturna di lunghe stagioni venatorie con l’esperienza del terreno e dei selvatico, a servizio del fucile vagante, e si stabilì la macchina animale perfetta, collaudata con formula aderente alla realtà per quel terreno e quel selvatico, e conquistò il mondo intero quella macchina intelligente, tanto che nati Inghilterra pointers e setters furon poi cittadini di ogni Paese.”

Non credo ci sia molto da aggiungere, poi continua con la descrizione dettagliata del lavoro che essi sono chiamati a fare: “II cacciatore ragionò così: di fronte a me la pianura sconfinata, ondeggiante di mammelloni di grani, di stoppie, di prati, di eriche, faticosa, lenta da per correre tutta scarpinando da coltivo a coltivo, da piaggia a piaggia in traccia delle compagnie di starne e grouses discoste le une dalle altre in famiglia ciascuna col proprio pascolo, e le lunghe pause senza incontri e senza sparare scoraggiano anche il cacciatore più caparbio: a me occorre un ausiliare speciale anzi una pariglia di tali, dall’olfatto possente, cerca indefessa. dalla ferma statica, dalla guidata corta, che a galoppo spinto per accorciare le distanze, nel tempo breve per la nostra passione da crepuscolo a crepuscolo, risparmiando a me ciechi e fortunosi passi, concludano spicci su grouses e su starne e magari su lepre sorniona; e perché io possa sparare a visuale libera senza tema, giù, a terra proni a frullo e schizzo. Drake e Dash, ed é il più bel momento della vita di cacciatore; e perché quel selvatico che non possono raggiungere né se vola né se galoppa, non induca in tentazione, proni testa fra gli arti ari in segno di rinuncia, voi cavalieri dei moors e praterie, per riporto e recupero i ho apparecchiato io stesso un valletto che non falla. il retriever, vi risparmi di strusciare il tartufo pistando, voi Signori », Torto o ragione, ragionavano cosi e così fu sempre categoricamente a quei tempi. Proscritti falsi allarmi di ferme senza presenza di selvatico, non si tolleravano inganni ed indugi oziosi, se Drake e Dash fermano ci sta il selvatico e non lo mollano più, e si raziocinava così: « Perchè noi si possa usufruire del lavoro di due cani, ed uno non costituisca il doppione dell’altro galoppandogli al fianco appaiato, li sguinzaglio nel bel mezzo dell’area da esplorare e partano essi uno verso destra e l’altro verso sinistra in senso opposto, e giunti a un centinaio di metri, anche di più a seconda del terreno vasto e sgombro, virino essi e ritornìno in direzione l’uno dell’altro, sempre nella scia dei vento, ma più oltre verso la meta lontana, in maniera da esplorare il terreno anche nel senso della direttiva di marcia, e si incontrino a metà cammino scambiandosi il lato come nella quadriglia dama e cavaliere, a ritmo cadenzato, con astuta sincronia e… nacque la cerca incrociata, non eleganza, ma accorgimento pratico.

E affinché l’intesa fra i due ausiliari fosse concorde, con rispetto della fatica e della autorità di ciascuno e l’uno approfittasse dei risultati concreti dell’altro, ecco che mentre l’uno dei cani bloccava col rito della ferma l’altro non persisteva ad esplorare, ma sostava immobile simulando a sua volta la ferma per mimetismo conscio e istintivo, per collaborazione atavica fra gli animali ida preda, e il segugio accorre scagnando all’indicazione sonora e Drake rispetta la ferma non sua ed ecco codificata la pratica del consenso, indispensabile con ausiliari che trescano veloci e lontani.

E siccome il selvatico tiene udito sensibilissimo, abolito ogni richiamo a voce o col fischio, cenni della mano al cane che di tanto in tanto sbircia al padrone per interpretarne le intenzioni, quindi tacita intesa fra cacciatore ed ausiliare, l’uno per l’altro. E quando s’ha da interrompere l’azione, un sibilo e i cani al terra, docili al guinzaglio e si inaugurò il drop e il down, non accademia da recinto, ma freno in terreno libero. Col tempo per emulazione fra scuderie, per sane rivalità sportive fra amatori di razze affini a chi tiene i l miglior cane con olfatto più potente a corsa più veloce e reazioni più pronte, nacque in un paese di scommesse, il cane da gara, il Trialler, via col vento, cane da Sport, ma riproduttore che rifornisca i ranghi per cacciare starne e grouses e non lepri e conigli, in terreno vasto e non negli scampoli di grano.”

Qui viene espresso in dettaglio il lavoro “ideale” dei cani inglesi e le motivazioni pratiche che stanno dietro a queste pretese. Leggendo questi paragrafi sento ancora più la mancanza delle mie esperienze britanniche, perché da loro le cose sono rimaste all’incirca come descritte qui. Se non avessi prima visto, e poi partecipato ai loro trials, sarei un cinofilo diverso, avrei un cane diverso ma… devo ammettere che sono contenta di quello che sono! Segue qualche notizia sulle regole del gioco, con riflessioni sui pro e sui contro delle diverse regole:“In Inghilterra non si redige relazione alcuna, non si concede qualifica, si comunica l’ordine di classifica dal primo ai quarto con una riserva, e stop, i concorrenti tanto intelligenti da valutare da sé gli errori dei propri allievi senza sentirseli ricordare per iscritto postumo dal Giudice e talmente sportivi da comprendere che se il Giudice ha creduto di disporre i cani in un dato ordine progressivo è ozioso recriminare e voler sostituire tante altre classifiche quanti concorrenti e spettatori, ognuna diversa dall’altra, ma tutte quante più oculate, più cognite, più probanti, più sapute, più pettegole di quella ufficiale!”

Non ci sta minuto di tolleranza, assurda nostrana indulgenza che consente al cane di dimostrare le proprie attitudini a far frullare, a rifiutare il consenso, a rincorrere, a beffare il conduttore, senza che il Giudice possa prenderne atto, coll’eventualità magari di non aver mai più durante il turno il cane occasione di ripetere quanto é suo costume perpetrare dì norma, e frodare magari un premio con relativa qualifica bugiarda.

Nemmeno si tiene conto di un lasso di tempo prestabilito per la prova: allorché il Giudice opina di essersi fatto un concetto probante del lavoro dei cani taglia corto, e su questo si potrebbe discutere, perché un minimo di percorso è più equo a garanzia delle probabilità comuni, eccetto per gli errori da squalifica. Vige il sistema dei richiami protratti con confronti ripetuti, con pericolo di dover sul finire della gara modificare da capo una classifica già plausibile”

Se volete saperne di più sulle differenze tra le prove italiane e quelle britanniche, potete andare a leggerle qui. Faccio una breve riflessione sull’abitudine inglese di non avere relazioni a fine prova: Colombo dice che il pubblico spesso tende a saperne di più del giudice. Persone che, pur stando a centinaia di metri dal cane, vedono e prevedono errori che sfuggono (secondo loro) ai giudici! Credevo che negli anni ’50 il pubblico fosse più , come dire, sobrio ma apparentemente l’arte di attribuire errori inesistenti ai cani degli altri ha radici antiche. Colombo poi racconta del Derby (non so se fosse identico all’attuale Puppy Derby, per soggetti sotto ai 2 anni) e non ho capito se i cani correvano a singolo o in coppia, siccome menziona poi le Brace Stakes (in coppia). “Nel complesso del lavoro nel Derby constatai qualche fase di dettaglio, insistenze su orme, qualche consenso stentato a comando, senza partecipazione né formale né conscia all’azione; Nota del Concorso presente in alcuni esemplari, ma frenata da frequenti incontri di fagiano, lepri e conigli, scarse le starne, e deplorevole il coniglio soprattutto, che conta é la starna, per fagiani basta il cocker. Punte in profondità. ritorni all’interno come in Coppa Europa, qualche intemperanza di richiami come da noi. Soggetti a corto di preparazione per il maltempo, alcuni veramente di classe, ma non superiore nel complesso alla nostra attuale. Primo Lenwade Wizard, pointer di Mr. Arthur Rank, di 15 mesi, stilista, corretto, galoppo sciolto, risolutivo sull’incontro. Secondo Lenwade Whisper, pointer di Messrs P. P. Wayre’s e G. F. Jolly’s, di 15 mesi, con buon percorso, benché lacets troppo compatti e qualche incertezza nell’indicazione.”

Seguono accenni alla Brace Stake: “Le Brace Stakes videro presenti due Setters, irlandesi, Sulhamstead Bey d’Or e F. T. Sulhamstead Basil d’Or. Basil soggetto rimarchevole, con reazioni pronte e buon olfatto, impegno e buon galoppo, qualche incertezza e ritorni all’interno, ferma e guida con espressione, consente, bene in mano, ben condotto, surclassa il compagno Bey e si aggiudica per proprio esclusivo merito il secondo premio, trattenuto il primo, della pariglia.”

Alla All Aged Stake era stato iscritto anche un weimaraner che poi non si è presentato. Colombo disquisisce sul far correre un continentale insieme a degli inglesi: “non avendo visto il Weimaraner sul lavoro non posso affermare se fosse o no nera Nota del Concorso dl Setters e Pointers, superflua qualsiasi meraviglia dal momento che corrono da noi diversi Kurzhaar ed Epagneuls perfettamente nella Nota della Grande Cerca assai più di qualche esponente di razza inglese; gli inglesi, con meno ipocrisia e più raziocinio, dal momento che alcuni continentali filano all’inglese, li fanno correre con gli inglesi; la Grande Cerca non è questione di coda lunga o corta, ma di garretti, olfatto reagendo, e non è escluso che un giorno i Continentali, italiani compresi, corrano a Grande Cerca, e pointers e setters a Cerca ristretta.”

Dopodiché tira le somme su quanto visto nel corso delle prove: “in Inghilterra la Grande Cerca non è più professata e sentita come un tempo, in un ambiente dove il cane da ferma è in crisi gravissima di impiego eccetto che alcuni pochi attivissimi Sportsmen fedeli alla formula antica; che è la prassi impiegata per correre la Grande Cerca che si allontana oggi in Inghilterra, o quantomeno a Sutton Scotney, non dal modello continentale ma da quello stesso descritto e commentato dagli Autori inglesi, praticato per il passato e introdotto poi sul continente: turni a singhiozzo, interruzioni di percorso per battere porzioni limitate, della pur vasta area, sfruttamento di appezzamenti, di scampoli di terreno percorribili in qualche minuto, assolutamente inidonei allo sviluppo della cerca in grande e anzi in contrasto con la cerca dinamica e veloce pertanto che nota personalità inglese ebbe a definire alcuni: turni da Springers; si tollerano dai conduttori troppe fasi di dettaglio e si ammettono lunghe guidate inespressive con schizzo finale di lepre e coniglio considerate valide, e niente sta ad attestare la possibilità di pistaggio che il Trialler naso al vento deve trascurare non essendo suo compito preoccuparsene; si dimentica spesso che il consenso è attivo, partecipante, solidale con il cane in ferma e non rinunciatario e passivo per obbedienza; non si reprimono sempre i ritorni all’interno e si tarpa talora l’azione del cane di lato costringendolo a percorso inadeguato allo scopo stesso della velocità.”

Il cane da ferma era in decadenza in Gran Bretagna nel 1956? Non lo so, non c’ero, quello che posso intuire da letture passate ed esperienze presenti è che la realtà venatoria britannica era (ed è) completamente diversa dalla nostra come potete leggere cliccando qui. La loro gestione faunistica-venatoria ha indubbiamente favorito spaniels e retrievers, a scapito dei cani da ferma. Probabilmente, nel 1956, i cani da ferma erano comunque cani di nicchia e in stagnazione, mentre da noi si assisteva ad una sorta di ascesa della caccia con il cane da ferma, gli inglesi in particolare. Innanzitutto la Grande Cerca intesa da Colombo nel 1956 era molto diversa dalla Grande Cerca attuale ma… gli inglesi hanno mai avuto una vera e propria Grande Cerca? Non ricordo nulla di specifico ad opera di autori inglesi. Non dico che non sia mai stata descritta, dico che non ne ho mai letto e mi piacerebbe leggerne su uno dei testi a cui fa riferimento Colombo, senza però indicarne i nomi. Mi piacerebbe poter conversare con lui e capire, capire cosa intendessero gli inglesi – secondo lui- per Grande Cerca e capire la sua visione. La sua visione, in fondo la conosciamo, non possiamo certo dimenticare che il cane ideale per Colombo era velocissimo, dalla cerca estrema, dal naso superlativo. Lo chiamava “il puro”, il “folle” e in “Trialer! Saggio di Cinofilia Venatoria” (1950) lo definiva: “Il Riproduttore, Il Capolavoro, il quadro d’Autore, il brillante di cinquanta grani, l’oro zecchino. E’ il Capodanno, non gli altri 364 giorni.” La cinofilia italiana è stata profondamente influenzata dalla visione di Colombo, ma non quella britannica e, come dicevo sopra, non sono nemmeno certa che inizialmente fosse indirizzata in quella direzione. [In ogni caso mi sono rimessa a leggere Arkwright a piccoli passi].

Turni da spaniel. Interruzioni di percorsi, terreni questionabili, lunghe fasi di dettaglio, lunghe guidate eccetera, le ho viste?Ni. Ho seguito e partecipato ad almeno 20 trials, forse di più, e ho visto alcune delle cose di cui racconta Colombo ma andava sempre così. Molto andava a discrezione dei giudici e dei guardiacaccia (è il guardiacaccia che ti dice dove puoi fare il turno!) e il livello dei cani era variegato. Non so come fosse la situazione a Sutton Stockney ma, in certi trials a grouse si corrono in mezzo a densità di selvatici impressionanti. Non è che si possano fare chissà quali percorsi. I consensi a comando? Li chiedono ancora anche se un consenso naturale è molto apprezzato e si sta lavorando in questo senso. Tirando le somme, comunque, credo che Giulio Colombo si aspettasse di assistere a qualcosa di diverso e sia rimasto un po’ spiazzato. Ciò nonostante, Colombo non era uno stupido e ammette egli stesso che anche un giudice britannico potrebbe non essere colpito sempre in positivo dai trials italiani: “Benchè una sola prova controllata da me non possa fornirmi indice probante del complesso di un materiale setter e pointer, esiguo come numero nei confronti dell’italiano e francese, da quella sola gara di Sutton Scotney (dovrei dedurne una netta decadenza rispetto alla nostra; mi guardo dal farlo: probabilmente un Giudice inglese avrebbe la stessa impressione da alcuni turni nostrani alla Cattanea, a Borgo d’Ale ed Alice Castello.”

Il nostro inviato ammette altresì di aver visto, oltre a cani meno buoni, anche cani buoni: “Se alcuni concorrenti si palesarono tassativamente negativi al compito del Trialler, altri al limite quattro pointers almeno, due setters inglesi e un irlandese furono in tal classe da doverli rammaricare dal non poterli rivedere mai più. Fra i premiati Seguntium Niblick, pointer di Mr. J. Alun Roberts, di due anni, primo, velocissimo, sicuro sull’incontro, senso del selvatico. Scotney Gary, pointer di Mr. Arthur Rank, due anni, velocissimo, stilista, senso del selvatico, olfatto, secondo; Scotney Solitaire, pointer di Mr. Arthur Rank, di non ancora due anni, tutto nella Nota, testa alta, corretto, olfatto, reazioni, terzo; Sulhamstead Basil d’Or, irlandese, impegno, testa alta, corretto, quarto; Ch. Downsmans Bracken, setter inglese, dalle reazioni rapide, le ferme schiacciate slittando, lunghe e significative, infortunato su starne durante un rispetto di lepre, quinto. E lo indiavolato Sulhamstead Nina d’Or, setter irlandese di Mrs. Nagle’s e Miss M. Clarcks’s, di non ancora l’anno, partito su lepre, e quello inglesino blu belton dalla cerca ampia, avida, Flashaway Eve, del Col. A. S. Dalding’s, di non ancora due anni, che tende al fuori mano sul fianco, ma possiede tanta avidità e stile setter e galoppo radente da presagirne un Campione, se ben condotto.” Condivido appieno, la mia esperienza è identica alla sua: accanto a cani poco stilisti e lenti, ci sono soggetti che non sfigurerebbero anche alle nostre prove: in 60 anni è cambiato poco.

L’articolo di Colombo si chiude così: “Ma da Oltre Manica si importarono pointers e setters eccelsi, ma oltre Manica vige ancora sangue di Dero 4° del Trasimeno di Vignoli, sangue ricordato, vantato, e scorre nelle vene del secondo classificato, Scotney Gary, sangue che emigrò anche in America per ritornare in Inghilterra; e Blakfield Gide di Waldemar Marr, sorellastra di Fast, e Galf di S. Patrick di Nasturzio, sono citati in Inghilterra, paese per niente sciovinista, fra i migliori e più validi riproduttori, ed esponenti dei Pointer in quegli allevamenti: ricordiamolo anche noi.

Da “Rassegna “ ringrazio Mr. e Mrs Bank, Lady Auckland, il Segretario Generale del Kennel Club Inglese Mr. Buckley, Mr. Binney, Mr. e Mrs. Mac Donald Daly, Mr. e Mrs. William Wiley, Mr. Lovel Clifford mio valido interprete, che mi furon prodighi di ospitalità ed attenzioni durante il breve, ma denso soggiorno in- Inghilterra. Formulo il voto che la passione del Trialler non venga mai meno nella Patria Augusta del Signore l’Aria!” [Chi volesse leggerlo per intero può scaricarlo qui].

Ho deciso di parlare di questo articolo perché ritengo contenga dei punti chiave utili anche al lettore contemporaneo. Quali sono? Mi piace innanzitutto che apra con un excursus storico che spiega come si siano evolute le razze da ferma inglesi. Sono il frutto di particolari selvatici e di particolari terreni. Sono il frutto della caccia in quelle circostanze, circostanze che ne hanno plasmato il temperamento e codificato il metodo di lavoro. Prima che esistessero le prove, esisteva la caccia, esisteva il cacciatore che, a fronte di situazioni di caccia complesse, volevano tornare a casa con qualcosa nella cacciatora. Le circostanze hanno subito reso chiari quali fossero i tratti da selezionare e i comportamenti graditi, nonché tutto ciò che doveva essere considerato difetto. I cani andavano a caccia e poi, se bravi, venivano presentati anche alle prove. Un tempo era così anche in Italia e… vorrei fosse rimasto tale. Oggi abbiamo Campioni di Lavoro che non sono mai stati a caccia, che sono di proprietà (o persino condotti ed addestrati) da gente che non pratica attivamente la caccia con il cane da ferma, o che la pratica in contesti e su selvatici che si discostano da condizioni ideali e probanti. Questo porta anche a non comprendere alcuni regolamenti nati tanti anni fa, e a fare confusione su quali siano i comportamenti corretti da parte del cane, eppure costoro spesso si ritengono “esperti”. Se rileggete le parole di Colombo vedrete quanto stima il fermo al frullo, il down e il drop, definendoli “non accademia da recinto, ma freno in terreno libero”, beh nella nostra penisola sono ancora abbastanza fraintesi. Non so se Colombo sia stato anche a trials su grouse ma la sottoscritta ha impiegato pochi minuti sul moor a capire che lì, questi insegnamenti sono indispensabili. Colombo ricorda anche l’importanza del percorso, del saper stare sul vento e del lavoro in coppia. Lavoro in coppia che deve essere armonico, di squadra facendo capo a caratteristiche che devono essere nella genetica del cane. I cani devono anche essere facili da condurre, collegati e disponibili a collaborare con la minima necessità di ordini sonori, o i selvatici sarebbero disturbati troppo. Questi appunti mancano in tanti libri di cinofilia venatoria moderna, hanno forse questi tratti perso importanza?

Credo ora abbiate capito perché io ritenga il resoconto di Colombo su Sutton Scotney affascinante ed intrigante. Poi si aggiunge qualcosa di personale: proprio come lui, ho avuto modo di assistere (e prendere parte) ai British Trial e essi significano molto per me. Mi hanno trasformato in un cinofilo “diverso” e mi hanno consentito di avere un cane “diverso”.

Per saperne di più sulla cinofilia britannica cliccate qui.




Al calduccio: Harkila Kana

E’ giunto il momento della recensione finale. Il completo Kana è arrivato appena prima di Natale e pensavo di mandarlo a riposo appena prima di Pasqua ma una bizzarra primavera ci ha tenuto insieme fino all’inizio di maggio. Le mie impressioni? i dati tecnici e la descrizione accurata li potete trovare qui, nella prima parte della recensione. Oggi voglio parlarvi di cosa penso di loro dopo averli testati sul campo per mesi.

In primavera

Prima di tutto sottolineo che lo scorso inverno qui è stato freddo e nebbioso, ma molto secco. Poca pioggia e ancora meno neve hanno  limitato le possibilità di testarne la resistenza all’acqua. Ci ho provato, ma il massimo periodo trascorso sotto l’acqua, senza ombrello, è stato di circa un’ora, un’ora e mezza.  Ero asciutta? Sì, e una volta a casa la giacca è asciugata abbastanza rapidamente, il che è un punto a favore ma…  penso che gli indumenti Kana siano quanto di meglio si possa indossare sotto la pioggia? Probabilmente no, ma hanno molto altro da offrire.

Testando…

Iniziamo dal basso, i pantaloni.  I pantaloni Kana sono caldissimi,  troppo caldi da indossare insieme alla giacca se le temperature sono  sopra lo zero, o se pensate di camminare a molto. Però, diventano eccezionali se dovete stare fermi a lungo nel freddo o se le temperature scendono sotto lo zero. Potrei dire lo stesso della giacca, ma la ritengo più versatile: a seconda di cosa indossate sotto, i suoi effetti cambiano, vada quindi per il maglione in inverno e per la camicia in primavera. La giacca Kana mi ha tenuto al calduccio per tutto l’inverno : la nebbia fitta falsa la percezione della temperature, 0°C nella nebbia sono molto peggio di -5°C in una giornata asciutta e soleggiata.  Mi ricordo di essere rimasta per ore nella nebbia in attesa che iniziasse una prova di lavoro. Non è mai iniziata dal  momento che la nebbia non si è mai alzata ma, mentre gli altri congelavano, io ero felicemente a mio agio nel freddo.  Sottolineo la parola “felice” perché non tollero granché le temperature estreme e, pertanto, stare bene in quelle condizioni era apprezzatissimo. Credo lo si potesse leggere nella mia faccia e  questo ha fatto scattare una serie di domande. “Bel completo tecnico!” “ E’ della …. (marca italiana)?” “ No, è di Harkila!” E quando hanno scoperto che Harkila è  scandinava sono arrivate alter domande ancora!

Dopo il freddo inverno, è arrivata una primavera insolita e ventosa: sulla carta la giacca Kana era troppo calda, ma non avevo nulla da perdere nel testarla anche in queste condizioni, test superato!  Il trucco? Indossarla con sotto solo una camicia, con questo metodo era perfetta. Sulla carta non faceva freddo ma soffiavano freddi venti da nord, da oltre le Alpi, che facevano sembrare tutto più gelido. L’ho provata anche durante due giornate molto ventose.  La prima volta stavo scattando delle fotografie al tramonto: il vento aveva appena pulito il cielo ma continuava a soffiare, una bufera e io perfetta, tranne le mani avendo scordato i guanti. Nel secondo caso tempesta di vento e acqua, test passato e Kana certificata come resistente al vento.

Nello slideshow a fondo pagina potete vedere come sta una volta indossata (link diretto alla gallery qui). Questa è una taglia 36 EU, io porto una 40/42 italiane e sono piuttosto “bassa” per questo la giacca può sembrare anche più lunga di quanto non sia in realtà. La lunghezza, tuttavia, è stata studiata per tenere più caldi e fa il suo  lavoro. Qualcosa da dire sui pantaloni? Sono imbottiti, ma non ti fanno sembrare l’Omino Michelin, il che è eccellente. Disclaimer: in una foto mi vedete con una tizia che indossa solo un pile mentre io sono tutta imbacuccata nella Kana. Beh c’erano  -5°C, un laghetto ghiacciato e la tizia, che indossava vari strati termici lì sotto, è affettuosamente nota come “la russa” perché, tra le alter cose, non sente il freddo. [Il cardigan Lilja verrà recensito separatamente, ora sto indossando di nuovo i capi Jerva].

Si potrebbe migliorare la Kana? Sì. Un paio di modifiche potrebbero renderla più versatile. La giacca non ha le tasche scaldamani che, quando fa freddo, sono molto comode. Ci sono due tasconi  laterali ottimi per le cartucce o per contenere tutto quello che volete, ma non imbottite. E’ rilevante l’imbottitura? Diciamo che terrebbe al caldo le mani e il cellulare. Per il cellulare c’è una taschina sul petto, ma non è praticissima se lo volete controllare spesso: le  tasche scaldamani risolverebbero tutti i problemi.  Il secondo punto debole è il cappuccio: è molto caldo e quindi di grande aiuto nel gelo ma non sempre ottimale quando piove. Lasciatemi spiegare: il cappuccio è foderato di pelo simil-orso  Mi piace, tiene caldo, ma se piove  il pelo mi obbliga ad indossare il cappuccio, in caso contrario si inzuppa e impiega una vita ad asciugare. Non sempre però si vuole indossare il cappuccio sotto la pioggia: non è comodo se si deve imbracciare un fucile, se serve un campo visivo più ampio o se ci si muove in mezzo al bosco. Un cappuccio rimovibile avvicinerebbe la Kana alla perfezione.

In breve: il completo Kana è perfetto per le giornate fredde o ventose, ed è ottimo per la caccia da selezione, da appostamento  visto e per qualsiasi attività non troppo intensa  da svolgersi al freddo ma la giacca,  da sola, è più versatile e la potete usare anche durante la caccia in movimento con il cane e con temperature un po’ più elevate.




Displasia dell’anca (biomeccanica)

Sulla displasia dell’anca è stato scritto di tutto ma, studiando patologia chirurgica veterinaria, ogni tanto mi imbatto in cose che, probabilmente, non sono ancora note ad appassionati ed allevatori. Qualche giorno fa ho pubblicato un post su Facebook che riguardava la biomeccanica di questa articolazione e il post ha suscitato parecchio interesse, pertanto, ne parlerò anche qui in maniera più approfondita.

Un’articolazione, qualsiasi articolazione, per lavorare bene deve essere correttamente costruita: le superfici articolari devono essere congruenti, in caso di incongruenza, infatti, alcune parti dell’articolazione, dovranno sopportare più peso di altre.

Ci sono studi scientifici che hanno dimostrato che il massimo peso sopportabile dalla cartilagine è di 1kg/mm2. Prieur, un veterinario, nel 1980 ha pubblicato una ricerca  molto interessante e tutt’ora valida: Coxarthrosis in the Dog Part I: Normal and Abnormal Biomechanics of the Hip Joint W. D. PRIEUR, D.V.M. 1980).

Se prendiamo come esempio un cane di 30kg, la superficie articolare dell’anca sarà di 220  millimetri quadrati. In  tabella vedete cosa succede se la superficie articolare viene ridotta: abbiamo maggior peso per mm quadrato.

Nella prima colonna, vedete il peso che l’articolazione deve sopportare in stazione; su un solo arto, al passo e durante il salto. Qualsiasi peso che superi 1 kg per millimetro quadrato è da considerarsi patologico e provoca un danno alla cartilagine. La cartilagine viene schiacciata, si “stressa” e su modifica: perde elasticità, si ammorbidisce, si rompe e muore. L’articolazione si infiamma. si gonfia e inizia a degenerare (artrosi). Il processo non può essere fermato e termina con l’erburneazione: una reazione che indurisce l’osso rendendolo simile al marmo, questo accade nei punti in cui la cartilagine è stata erosa. Possono formarsi anche osteofiti.

L’incongruenza articolare può anche generare attrito e far innalzare la temperatura all’interno di un’articolazione. E’ stato stimato che la temperatura può raggiungere anche i 70 gradi Celsius mentre il cane (artrosico) corre.

Ps. La salute è fondamentale per il benessere del cane, se possiedi un cane da caccia con cui partecipi a prove di lavoro (o con cui vai semplicemente a caccia), dai un’occhiata al Gundog Project (Progetto di ricerca sul cane da caccia e da prove) e compila il questionario!




Tok Mostert su Sentieri di Caccia

Ogni tanto sono un po’ svampita (nonché indaffarata con il questionario del Gundog Research Project) e ho dimenticato di avvertire i lettori che alcuni consigli sull’addestramento, a cura di Tok Mostert, sono disponibili su Sentieri di Caccia di questo mese.

Ovviamente, questa volta, sono scritti in italiano, per chi si lamentava della difficoltà del leggerli in inglese. Ci sarà anche una seconda parte sul numero di maggio.

 

 




Premi

Ci stiamo adoperando per raccogliere alcuni premi da sorteggiare tra chi ha partecipato al sondaggio.

Per ora Craig Koshyk,  dal Canada, della Dog Willing Publications ci ha donato uno dei suoi libri books  (Pointing Dogs, Volume 1, The Continentals). Valore di mercato 99 dollari.

Josh Wiggins, dal Texas ci ha donato un guinzaglio con collare incorporato Texas Leash and Collar

Luca Zaninoni, di Sanguemiele Design, offre un buono per una maglietta a scelta tra quelle presenti sul suo sito.

Io offro un portafischietto intrecciato a mano, colori a vostra scelta (massimo due), del valore di circa 15 euro e un servizio fotografico gratuito.

Vogliamo aggiungere altri regali per ringraziare quelli che hanno contribuito alla“scienza”, quindi se volete offrirci qualcosa (beni o servizi) non esitate a contattarci!