La caccia, gli allevamenti intensivi e la tolleranza

di Giulia Del Buono

Stamani durante l’ora d’aria in campagna, io e Olena abbiamo avuto l’immensa sfiga di imbatterci in un’altro caso umano tipo quello che qualche giorno fa avevo incontrato con Porzia e me ne aveva dette di tutti i colori perché, a domanda, avevo risposto che quella cucciola di bracco italiano, un giorno sarebbe andata a caccia.

Un’ora fa, altra pseudo-animalista, con cani liberi in zona di ripopolamento, stessa pantomima, stessa faccia schifata a diapositiva della sentenza “la caccia, che brutta cosa”.

Allora ci tenevo a dire una cosa: avete rotto.

Che uno non sia libero di accompagnarsi ad un cane da caccia, di praticare un’attività regolamentata con l’ausilio di un esemplare di una razza creata e selezionata all’uopo senza doversene vergognare pur di non scatenare polemiche e discussioni alle 8 del mattino, è una roba che nel 2020 non si può tollerare.

Soprattutto nella realtà come quella in cui mi ritrovo. Perché io sono cresciuta in centro storico a Pisa, so un cazzo della vita di campagna, ma qui siamo a Reggio Emilia – e nemmeno in città, ai confini con l’arato e l’erba medica – dove ogni 100 metri c’è una stalla in cui da sempre, nonostante i km di nulla cosmico, si allevano animali dentro a dei capannoni dal giorno in cui nascono a quello in cui muoiono, perché producano latte, diventino salami o finiscano a tocchi sugli scaffali dei supermercati.

Dopo una vita vissuta come?

Ma c’è davvero qualcuno che preferirebbe vivere la vita in una gabbia a ingrassare con una data di scadenza, piuttosto che avere la chance di compiere il suo ciclo vitale nel proprio habitat e giocarsi la sua partita con la vita avendo goduto fino all’ultimo di libertà e dignità?

La caccia si può non praticare e non condividere, ma bisogna smettere di giudicarla dimenticando la realtà che ci circonda e dando per scontato che chiunque la pratichi senza etica, senza morale, senza rispetto per la natura e per gli animali.

Perché altrimenti dobbiamo parlare anche di quelli che tutti i giorni portano i cani a correre in campagna e pur non avendoli minimamente educati al richiamo, li sguinzagliano strafregandosene dei danni che possono arrecare all’ambiente e alla selvaggina e di cui noi, col cane da caccia, invece siamo ben consapevoli.

Ma la caccia, è una brutta cosa.

L’alternativa invece è una figata.

L’ottusità, ancora meglio.




Sii portavoce delle tue passioni

Gentaglia, o brava gente? Stando a dati di qualche giorno fa, le donazioni da parte dei cacciatori per l’emergenza COVID_19,  hanno superato il 1.500.000 euro. A queste donazioni “identitarie”, ovvero fatte attraverso le associazioni di categoria, andrebbero sommate anche quelle fatte singolarmente. So per certo di cacciatori che hanno fatto, di loro iniziativa, offerte a enti e ospedali. Andrebbero anche calcolate le offerte che sono state fatte, e che verranno fatte, in “memoria di”, perché purtroppo il coronavirus si è portato via anche molti di noi. Non sapremo mai, con esattezza, quanti soldi sono stati donati dai cacciatori, ma in fondo… che ci importa? Ricordo le donazioni dei cacciatori per il terremoto dell’Emilia e per i successivi, ma chi se le ricorda? Forse quelli che le hanno fatte, forse quelli che le hanno ricevute, ma l’opinione pubblica? Se il mondo se ne è scordato, che ci importa? Vuole la categoria guadagnare visibilità attraverso le offerte? Credo proprio di no, anzi, al contrario, molti tra coloro che hanno donato, lo abbiano fatto per il piacere di farlo, perché sentivano di dover donare, non per essere notati, o ringraziati.

Sia chiaro, avete e abbiamo fatto tutti bene a donare, è
sicuramente una bella dimostrazione di solidarietà da parte della categoria, ma
da sola non basta. Infatti, come avrete sicuramente letto, gli animalisti hanno
inventato dei pretesti per attaccarci, inventandosi che le donazioni non erano
vere, eccetera eccetera. Attaccano persino perché, ad oggi, la stagione
venatoria 2020/2021, non è stata sospesa. Come se non ci fosse un indotto
dietro alla caccia, come se non ci siano (di già) degli allevamenti di selvaggina
che scoppiano, come se la Beretta non avesse riconvertito parte della sua
produzione alla creazione di valvole per i respiratori.

Queste cose però le sappiamo solo “noi”, sono notizie che
non fanno rumore. Questo nostro “noi”, invece, deve aprirsi, smettere di essere
un cerchio chiuso, deve espandersi. Lì fuori devono capire che siamo “brava
gente”, devono capirlo attraverso i nostri gesti di tutti i giorni, gesti di
vita e gesti di caccia. Sulla vita di tutti i giorni, cosa volete che vi dica:
non fregate i parcheggi, aiutate le vecchiette ad attraversare la strada,
magari fermatevi se per terra vedete delle strisce pedonali, queste cose le sapete
già, non mi dilungo.

Quanto alla caccia, diventate ambasciatori della vostra passione. Fermi, alt, dove andate, tornate indieeeeetro! Non vi sto incitando ad aprire improbabili profili Instagram per esibirvi tipo influencer dei poveri, NO-NO-NO! Di questi, e soprattutto di “queste”, ne abbiamo già abbastanza: non deve importarci della nostra di visibilità, deve importarci della nostra passione. Occorre spiegare, con saggezza, quello che facciamo. Il 28 di marzo avevo in programma una giornata per raccontare i cani da caccia in un centro cinofilo; il 16 di aprile sarei dovuta andare in una scuola elementare a parlare di cani, inclusi quelli da caccia.  Questi sarebbero stati esempi di divulgazione positiva e propositiva, ovviamente sono saltati, ma qui non ci si perde d’animo.

Io per esempio faccio colazione sfogliando quelle vecchie
riviste cinofile e venatorie che non ho mai avuto il tempo di leggere. Sono
certa, o per lo meno mi auguro, che ne esistano a pacchi anche nelle vostre
case, così come spero che qualcuno di voi abbia ancora vecchie pubblicazioni
degli anni ’30, ’40, ’50, eccetera. Ve li ricordate i disegni di Lemmi? Vi
ricordate con che garbo e con che classe erano discusse la caccia e la
cinofilia? Bene, riprendiamo in mano quelli scritti e lasciamoci ispirare,
scriviamo anche noi (su questo blog c’è sempre spazio per i contenuti di
qualità) e cerchiamo, attraverso i social, che oggi sono l’unico contatto con
il mondo esterno, di presentare le nostre passioni nel migliore dei modi.

Ho qui accanto una copia di The Shooting Gazette, è mezza
mangiata dal cane, ma leggo che è stata pubblicata nell’aprile del 2018: ci
sono andati DUE anni per trovare il tempo di leggerla. Ma ho fatto bene a non
gettarla, contiene un articolo che si chiama “Be the Best You Can Be” in
cui David Edgan ci invita a essere le migliori persone possibili durante la
pratica venatoria, e a essere i migliori portavoce possibili della caccia. Cosa
possiamo fare? Innanzitutto, comportarci bene in campo. Vale di più un fagiano,
o il rispetto delle norme di sicurezza? Altre cose? Raccogliere le cartucce
sparate, rispettare le distanze da case e strade, trattare e preparare bene i
nostri cani, ma poi? Dobbiamo anche allargare il nostro punto di vista,
comprendere l’importanza della gestione faunistica e del nostro ruolo
all’interno della stessa. Dobbiamo essere cacciatori formati ed informati,
pronti a rispondere, con dati e fatti, alle domande che ci vengono poste.
Dobbiamo conoscere le normative, le specie, l’ambiente, dobbiamo essere
preparati: in questo modo si fa divulgazione, solo così si tolgono le munizioni
dalle dei nemici. E poi?

Scusate se salto di palo in frasca, ma non voglio che mi
scappino le idee. Per esempio, se vi fermate in un ristorante dopo una
mattinata di caccia, siate rispettosi e sobri. Al tavolo accanto potreste avere
qualcuno che non a pensa come voi, o qualcuno che non sa nulla della caccia:
essere grezzi e volgari non è il miglior modo per presentargliela. Sui social,
comportatevi nello stesso modo. Io difficilmente posto foto di cadaveri, in
genere sono in bocca al cane o, ben più raramente, già serviti a tavola.
Fotografare piatti a base di selvaggina è un regalo che possiamo fare alla
caccia: chi li vede capisce che la selvaggina in tavola è molto buona, e che
non ci sono sprechi. Si scopre che quello che è stato abbattuto viene mangiato:
indirettamente si salva un animale d’allevamento.

Se volete pubblicare altri tipi di foto con animali morti
chiedetevi: “è etico il mio atteggiamento?” (se state ridendo con una nutria in
mano, non è etico – ve lo dico io); “fa impressione?”; “è di buon gusto?”.
Insomma, pensateci un attimo, pensate a quanti lo possono vedere, e poi postate,
o non postate.

Ricordate sempre che la promozione, sana, delle nostre
passioni è la miglior difesa e iniziate dal basso, magari invitando i
miscredenti a venire con voi al tiro al piattello, o ad accompagnarvi a addestrare
il cane.




In Val d’Aosta in cerca di galli

Cosa non si fa per i cani. Chi mi conosce sa che non sono
esattamente una persona mattiniera. O meglio, non è che mi alzi particolarmente
tardi (ma nemmeno particolarmente presto), più che altro alla mattina ho la
reattività di una tartaruga assonnata: difficilmente riesco a materializzarmi da
qualche parte in orari antelucane.

Come tutte le regole, tuttavia, anche questa ha la sua eccezione: basta usare la giusta esca cinovenatoria e potrei anche arrivare alla meta quando il sole non è ancora alto. Lo scorso agosto è successo proprio così e in ben DUE occasioni sono stata avvistata dalle parti della Val d’Ayas in primissima mattinata.

Cosa mi ha spinto velocemente fin lassù? La possibilità di “muovere”
i can in montagna, rendendomi utile attraverso la partecipazione ai censimenti
della tipica alpina. Apprezzo da sempre la selezione cinofila fatta attraverso
la caccia e le prove di lavoro in montagna. Quando non sono più riuscita a
trovare un setter della “mia” genealogia, ho cercato il mio cane tra quelli da
montagna e sono andata a prendere la mia cucciola nei Grigioni, dove viveva in
una fattoria molto simile a quella del nonno di Heidi. Quando ho deciso di fare
una cucciolata, ho scelto un maschio che si era distinto per prestazioni in
montagna. Perché? Visto che vivo in pianura?

Perché ho sempre pensato che il cane selezionato per la montagna dovesse possedere doti come il fondo, il collegamento naturale e una sufficiente dose di intelligenza per non distruggersi, tra burroni e sassaie. Andando con cautela, tuttavia, ho ritenuto provare la mia cagna (di selezione da montagna) sui galli forcelli (che gli inglesi chiamano black grouse), anziché iniziare subito da “cose” tipo le bianche o le coturnici. Briony è un cane versatile, nonché resa estremamente gestibile ed affidabile tramite il ferreo addestramento necessario per partecipare alle prove di lavoro in Gran Bretagna. Così, quando mi è stato proposto di andare a censire ho accettato con entusiasmo e serenità, sebbene non sapessi di preciso cosa aspettarmi.

Ci sarebbe stata molta gente? Ci sarebbero stati molti cani?
Sarei stata capace di vagare tra le cime? Intendiamoci, mi sono fatta le gambe in
Appennino e ho anche un discreto senso dell’equilibrio che mi permette di non
cadere al primo intoppo ma… i dubbi restavano.

Come sapete, in Inghilterra partecipo ai censimenti alle grouse ma, fino allo scorso agosto, i miei unici censimenti italiani erano stati quelli ad ungulati. Censimenti a dire il vero piuttosto formali con ritrovo, assegnazione punto di osservazione, post ritrovo, consegna schede, a volte cena collettiva… quindi all’ incirca mi aspettavo la stessa rigidità.

Invece no… a censire eravamo soltanto in tre, accompagnati
da un agente del corpo forestale. Chi erano i tre? Io, un cacciatore locale
(non so se voglia pubblicità ma si chiama Albino Viquery) e un amico, più
marino che montano. E la squadra dei cani? Dunque, i censitori ufficiali erano
Briony (Ch.It. Briony del Cavaldrossa) e le setterine valdostane, non a caso
anche loro pezzate rosse, di Albino. Come censitore ufficioso c’era anche
Breandan (Redbriony Breandan da Ch.It. Briony del Cavaldrossa x It.Int.Eu.Ft
Ch. Gregor di Val di Chiana) di soli 8 mesi, ma da sempre “precoce”. Poi,
siccome non potevo lasciarla a casa, mi sono portata anche la sorella di
Breandan (Blue Tigerlily…. Detta anche Foky, o la “foca”, soprannome
guadagnatasi a causa di un’infanzia un po’ impacciata). Il piano era di tenere
la fochina al guinzaglio, di lasciar fare Briony e di valutare se Breandan era
in grado di muoversi in sicurezza e senza disturbare.

La zona era difficile, una pineta ripida sul cui terreno crescevano fitti i rododendri, talmente fitti da nascondere massi e crepe nel terreno: un versante noto per le valanghe, immaginatevi cosa viene trascinato giù e quanto possa essere sconnesso il terreno. Eppure, il “piccolo” ci ha fregato tutti e dal basso dei suoi otto mesi di età ha fermato lui il primo gallo! Con la fochina, al guinzaglio in consenso…. A parte il rimanere dispiaciuti per la mamma che si è fatta soffiare il gallo dal figlio, cosa chiedere di più?

E fu così che lasciammo libera di andare anche Tigerlily, del resto era impossibile gestirla legata tra rocce, pini e rododendri. Il risultato? Tanto, piacevole stupore, madre e cuccioloni che cercavano in maniera attiva e indipendente, rimanendo collegati a noi e…. senza strafare. Cercavano e correvano sì, ma stando attenti a dove mettevano le zampe. Questa cosa mi è piaciuta più di tutte. A d un certo punto siamo dovuti scendere lungo un canalone intasato di rocce di mille dimensioni, con salti e crepe tra una roccia e l’altra. Tutto nuovo per me, ma soprattutto per loro. Eppure se la sono cavata egregiamente scegliendo sempre bene come saltare da un masso all’altro fino ad arrivare a fondovalle perfettamente integri. Le mie convinzioni sugli antenati montanari dei miei cani sono tutte state confermate. La felicità, per un cinofilo/micro allevatore è anche questo!

Soddisfazione è aver dato anche un modestissimo contributo alla gestione della fauna autoctona: certo, non ho visto la quantità di selvatici che conto normalmente a grouse, ma ho avuto modo di verificare i miei cani in condizioni che ritengo decisamente probanti e ho avuto il privilegio di poterli sganciare su terreni e selvatici ai quali normalmente solo i cacciatori di tipica alpina hanno accesso, non posso che essere grata di tutto ciò.

Siccome ogni sessione di addestramento (ma anche di lavoro cinofilo), va chiusa sempre in positivo, la giornata è continuata con un pranzo a base di salumi e formaggi tipici e con un salto al caseificio della zona per fare scorta dei suddetti.

E…. una decina di giorni dopo, di primissima mattina, ero di nuovo su, a 7° C quando in pianura il termometro ne segnava già 25° C, pronta a veder confermate, o smentite, le prime impressioni su cani, selvatici e persone che si sono prese la briga di “sopportarmi”. A proposito, non voglio che sopportiate un secondo resoconto, quindi lascerò che sia la photogallery qui sotto a parlare.

PS. Per chi fosse interessato a saperne di più sui censimenti alla tipica alpina, uscirà un articolo su Sentieri di Caccia di Novembre.




Chi sono

Chi sono

Mi sono laureata in Medicina Veterinaria e discutendo una tesi sperimentale sul benessere del cane da caccia. Come è intuibile, mi interesso di medicina comportamentale e di tutto ciò che può essere definito “medicina preventiva”, ovvero nutrizione, medicina complementare e alternativa (ho studiato agopuntura presso la Società Italiana di Agopuntura Veterinaria). Mi interessano anche le patologie di comune riscontro nel cane sportivo.

Il mio primo setter inglese è arrivato nel 1999: grazie a lui ho preso la licenza di caccia nel 2004 e ho iniziato a seguire cani da ferma in caccia e in prova. Collaboro regolarmente con riviste venatorie (Sentieri di Caccia, Beccacce che Passione e Cinghiale che Passione), ma ho all’attivo anche collaborazioni con La Gazzetta della Cinofilia e con riviste venatorie estere come Fieldsports e South African Wingshooter.  Nel 2004 mi è stato chiesto dall’Editoriale Olimpia di scrivere un libro sui setter (Il libro dei setter).

Addestro e conduco personalmente il mio cane, a caccia in prova e in esposizione).

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I Cuccioli…. Briony x Gregor

I cuccioli

La scelta di questi due riproduttori è stata effettuata alla luce della venaticità, della tipicità morfologica, dell’equilibrio caratteriale e delle verifiche sanitarie. Lo scopo di questa cucciolata è prima di tutto ottenere soggetti che siano buoni cacciatori, morfologicamente tipici, sani ed equilibrati (una cucciola resterà con me). Ho sempre pensato che il setter inglese debba essere una grande cacciatore, ma che debba anche possedere una buona tipicità morfologica. Alla luce di ciò la cucciolata è stata pianificata con estrema cura. I cuccioli verrano cresciuti in casa (e non in canile) affinché possano avere uno sviluppo cognitivo ottimale (e imparino a sporcare fuori). Verranno inoltre alimentati con prodotti di fascia alta, al termine di un accurato studio delle componenti nutrizionali.

Il futuro proprietario ideale è quindi una persona che riesce a comprendere e ad apprezzare questa impostazione,  e che sceglie uno di questi cuccioli come compagno di vita, e non soltanto come strumento di caccia.

Per contatti: englishsetterCHIOCCIOLAgmailPUNTOcom

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Perché Gregor di Val di Chiana?

Perché Gregor?

Clicca qui per vedere un video di Gregor in montagna.

Questo cane è stato scelto per tanti motivi. Per prima cosa, Gregor è utilizzato regolarmente a caccia in ambienti difficili: questo è fondamentale per verificare le attitudini e le qualità del cane da ferma. Ci sono caratteristiche quali il collegamento naturale e il fondo che non possono essere verificati mediante le prove di lavoro. Inoltre, un buon cane da caccia (in terreno libero) deve essere in grado di continuare a cercare e mantenere alta la motivazione anche quando dopo ore di lavoro non riesce ad incontrare selvatici. I risultati che Gregor ha ottenuto in prove corse in alta montagna sono un importante, ulteriore, conferma delle sue qualità. Altro particolare da rilevare, Gregor è stato preparato per le prove dal proprietario stesso che, tuttora lo conduce, ha pertanto ottenuto tutti i suoi risultati senza che fosse mai presentato da un professionista.

Di Gregor mi è piaciuta anche la tipicità morfologica (ottima la linea dorsale) e l’equilibrio caratteriale.

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Cuccioli in arrivo

Ch.It. B./R.S. Briony del Cavaldrossa x Ch.It.L/Ch.Int.L./Ch.Eu./ R.S. Gregor di Val di Chiana

Cuccioli da riproduzione selezionata (Pedigree Rosa) ***Click here for English***

Ch.It.B/ R.S. Briony del Cavaldrossa (CAE-1)  Altezza 58 cm

(C.R./R.S. Gion di Crocedomini* x Ansa del Simano) Clicca qui per vedere il pedigree

Verifiche sanitarie HD A ED 0      Esente PRA (rcd4) Esente NCL                   Dosaggio Taurina nella norma

Briony è figlia del Campione Riproduttore e Riproduttore Selezionato Gion di Croocedomini (HD/A HD0) e di Ansa del Simano (HD/B), una femmina di proprietà di un cacciatore svizzero che pratica la caccia alla tipica alpina sui Grigioni.

Briony è stata acquistata come cane da caccia ad uso personale. Successivamente, pur provenendo da linee di sangue esclusivamente da lavoro, è diventata Campionessa Italiana di Bellezza. È alta 58 cm e ha una dentatura corretta e completa (certificata). È Riproduttore Selezionato ENCI. Morfologicamente è un soggetto tipico che ha conseguito anche 2 BOB (Migliore di Razza) e 3 BOS (Best of Opposite Sex).

Dopo aver avuto la conferma che fosse un buon cane da caccia, ho iniziato ad addestrarla e condurla personalmente in prove di lavoro ENCI e, mia principale passione, in prove organizzate dal Kennel Club inglese (su grouse e su starne). Nel 2017, ha vinto la Novice Stake su starne organizzata dal Pointer Club a Sandrigham (Inghilterra). Con questo risultato, ha avuto accesso allo Stud Book del Kennel Club e diritto perpetuo di accedere al Crufts in classe Field Trials. Briony è il primo cane italiano (e continentale) a vincere una prova di lavoro su starne nel Regno Unito.

È un cane da caccia versatile, usato in ATC di media collina e in pianura, anche beccaccini. Ha partecipato a censimenti di grouse nel nord dell’Inghilterra ed è stata utilizzata per “spingere” i fagiani all’interno di una riserva in Kent.

Clicca qui per vedere Briony in video (minuto 4 circa).

È intelligente e collegata, apprende facilmente ed ha molta grinta, pur rimanendo un cane sensibile. Ha un grandissimo fondo e può cacciare per ore. È un cane equilibrato e molto piacevole come compagno di vita.

A caccia chiusa pratica anche addestramento di base e avanzato all’obbedienza (seduto, terra, resta, condotta…) divertendosi. Briony vive in casa ed è abituata a venire ovunque: ristoranti, negozi, mezzi di trasporto, università…

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Su questo sito puoi vedere molte altre foto di Briony e Gregor.

Ch.It.L./Ch.Int.L./ Ch.Eu. / R.S. Gregor di Val Di Chiana

(Multi Ch. Picasso x Hemmj di Val di Chiana) Clicca qui per vedere il pedigree

HD A, altezza 58 cm (Video Gregor)

Gregor è un soggetto allevato da Ademaro Scipioni e di proprietà di Domenico Pensa che lo usa a caccia in zona Alpi. Gregor, sempre addestrato e condotto dal proprietario, partecipa a prove di lavoro su tipica alpina. Grazie a queste prove, corse in alta montagna, Gregor è diventato Ch. Italiano di Lavoro e Ch. Internazionale di Lavoro. Nel 2014 ha vinto il Campionato Europeo su Selvaggina di Montagna.  Oltre a ciò, Gregor è un cane morfologicamente molto tipico e, infatti, ha ottenuto 2 CAC e 2 Ris CAC in esposizione e in raduni di razza. Gregor è Riproduttore Selezionato. Clicca qui per sapere perché è stato scelto Gregor.

 

 




I meccanismi della venaticità di Angelo Cammi

Allevatore di setter inglesi e giudice ENCI/FCI

I macroelementi sono facilmente identificabili anche da chi ha poco esperienza o competenza, si manifestano nelle situazioni contingenti, risultano ben evidenti e per questo “misurabili”. La ferma è in effetti l’espressione di una caratteristica di base che rimarca ed evidenzia la fase conclusiva del lavoro; sono rilevanti la tensione e l’espressione, diverse a seconda della razza. Ciò che  conta però ai fini della valutazione complessiva, è la parte a monte che contiene evidenze concrete e/o di natura potenziale, di solito appena percettibili, alla portata di persone che hanno la passione di approfondire.

Comunque, se nello sviluppo della caccia e delle note regolamentari, non sono presenti e operativi  i “meccanismi” significa che le stesse (note), sono disattese nella parte concettuale e centrale e si è dato spazio invece a manifestazioni estetiche che nel tempo annulleranno ciò che non si è sviluppato continuamente con la funzione. Perché ai tempi venivano considerati eccezionali i soggetti grandi cacciatori che nelle prove riuscivano a collocarsi sempre ai posti alti delle classifiche per rendimento e tipicità ? Perché rappresentavano veramente la razza sotto tutti gli aspetti, anche quelli morfologici pur se non prevalenti. Ricordo setter magnifici con affisso del Tidone e del Volo. Le stesse note, di cui sopra, prevedono peraltro che le tipicità di razza siano interagenti con la concretezza della fase realizzativa. Ogni particolarità deve essere strettamente collegata alle altre di simile fondamento determinando un unicum che rappresenterà, nel contesto, un blocco di energia psico-fisica, fasciato dalla tipicità della razza.

Pointer inglese riporta

ISTINTO: facoltà di conoscere un oggetto o una situazione senza la mediazione del ragionamento; perspicacia, acume, assoggettato alle identità di razza.
INTUITO: tendenza innata che spinge gli esseri viventi ad adottare comportamenti fondamentali.
POTENZIALITA’: carattere e contenuto di ciò che è ancora in potenza e non in atto; visibile da un occhio esperto che sa leggerne i sintomi.
PREDISPOSIZIONE: disposizioni innate, inclinazioni, tendenze, vocazioni.

L ‘intuito è equiparabile al “senso del selvatico”? Se si manifesta in un certo ceppo e con frequenza, è certamente un’abitudine assecondata da elevati elementi funzionali; utile coltivarlo quindi per la probabile fissazione.
I geni sempre e sicuramente trasmessi a tutti gli individui sono i vitali, i funzionali – che mantengono efficienti i comportamenti preposti alla vita -, i riproduttivi per la conservazione della specie.
Esistono alcuni caratteri aggiuntivi che si formano in condizioni particolari, definiti di origine ambientale. Collaborano alla loro fissazione situazioni simili per contenuto, ripetitività ed intensità: le abitudini.

Un cane da ferma assume in linea di massima come apparato genetico standard, la passione per il lavoro, la conformazione,l’equilibrio,l’intelligenza e un marcato grado di affettuosità (i cuccioli appena nati, cercano la mamma,cercano le sue attenzioni, in sostanza quel grado di affettuosità che genererà un rapporto vitale madre-figlio); tutto ciò contiene un potenziale affidamento per la costituzione di un vero rapporto di fiducia uomo-cane e viceversa. Il cucciolone ancor prima di dimostrarsi cacciatore, cerca fortemente “l’amicizia” dell’uomo, concretizzata dall’espressione mimico-gestuale di un potenziale istinto che è alla base della sua formazione come cane da caccia gestito dall’uomo. L’autonomia (altro micro-meccanismo), associata alla cerca, al collegamento, ecc., va gestita, fatta comprendere ma non soffocata da interventi drastici, inidonei ad insegnare; l’insegnamento aiuta il cane a capire ed eseguire secondo indicazioni serene e razionali. Durante l’insegnamento tenere nella massima considerazione,l’espressione dell’occhio. L’espressione dell’occhio (sguardo) quindi,coadiuvata dal colore dell’iride, è un ulteriore indicatore delle sensazioni, esprime gioia, timore, addirittura forti stati emotivi supportati dalla paura, e se si può dire di un cane,dagli stati d’animo. Il colore è rappresentato da geni specifici, come quello del mantello e/o delle mucose e delle unghie. L’intelligenza può essere considerata come coadiuvante delle sensazioni; un surplus, che genera una miscela che potrebbe essere la stessa predisposizione. La riproposizione di queste analisi serve a mantenere viva la base della struttura psichica presente nel cane ed espressa con il temperamento, autentico operatore di scelte ed iniziative nell’attività venatoria. Ha valore concreto quel cane che corre spinto dall’avidità, non ha valore alcuno il cane appartenente alle razze da caccia che corre per il gusto di farlo. Se quest’ultimo genera qualche figlio con il suo “difetto grave”, potrebbe significare che i geni anomali  della corsa si è fissato. E’ meglio allora che i suoi cromosomi rimangano in lui.

Come già ribadito, si manifestano cromosomi portatori di geni “costruiti dalle abitudini” (positive) (A), ed altri formati da altrettante abitudini decisamente negative consistenti, ad esempio, in “sistemi di addestramento” duri e coercitivi (B)  agli antipodi della corretta preparazione. Nel momento dell’accoppiamento i cromosomi trasportano i propri geni sia maschili che femminili ed ognuno vuol piazzare la propria dotazione, in questo contesto, vince il più forte, o il più veloce. Sarebbe interessante capire se si abbinano prima i geni “classici”, o quelli “aggiuntivi”. Per correre meno rischi, gli esperti suggeriscono di stare alla larga dagli iper che primeggiano, ma dei quali non si conosce la storia, quella vera che può darci indicazioni, non i certificati che sino a prova contraria, ci fanno leggere solo nomi. E’ saggio invece concentrarsi sui soggetti che da generazioni, mantengono tipicità e positività. Anche alcune caratteristiche desiderate, difficilmente si riproducono perché hanno una fisionomia di duplice formazione (es. la meccanica del movimento dipende dall’apparato scheletrico e muscolare, ma il comando arriva dal temperamento e questo (altra dote morale ) può intervenire iniettando tipicità oppure mediocrità. Un gene è portatore di un solo carattere.

Confrontando per esempio, una potenzialità positiva (A), con un gene “imposto” (B), prevarrà la prima, dato che rimane nel solco della “regolarità” rappresentata da procedure che assecondano il carattere e l’indole. Il tipo (B) è frutto di una anomalia non prevedibile nel percorso educativo. Una sorta di gesto contro natura.  I “macro” come la ferma, il riporto ed il consenso, si manifestano almeno nel 95% dei casi. Il cinque per cento restante, fa parte dei risultati “selettivi” di chi considera per esempio la ferma un opzional, il consenso qualcosa che è meglio non sia naturale, il riporto un passaggio totalmente inutile, la filata una perdita di tempo ed il collegamento addirittura un’assurdità! Eppure l’identità è rappresentata dai “macro”, ai quali si possono abbinare i meccanismi potenziali e/o occulti, che rimangono tali nel periodo iniziale dello sviluppo. Un mondo inesplorato. La preoccupazione consiste nell’ipotizzare una diminuzione del 95%.

Le potenzialità abbinate a predisposizioni, possono concorrere alla specializzazione. Ho avuto modo di verificare che nascono cani che ancora cuccioloni passano sempre o quasi, in tutte le uscite, dal prato al cespuglio, al boschetto. L’ipotesi è di portatori di un gene di natura ambientale fissato da avi che hanno sempre cacciato prevalentemente e/o esclusivamente nel bosco, ma se anche altri loro fratelli di cucciolata, tutti o anche solo una parte, hanno la medesima predisposizione, l’ipotesi è molto vicino alla realtà di un consolidamento di quei geni. L’istinto e l’intuito credo che non siano adeguatamente considerati e sono convinto che entrambi si esprimano differentemente a seconda della razza. Non è detto che siano sempre entrambi presenti e non è detto nemmeno che abbiano affinità. E’ certo comunque il loro apporto positivo.

Se siete appassionati di cani da caccia non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




Antonio Tonali: un uomo di un altro mondo

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Antonio Tonali, classe 1895, cinofilo, cacciatore, soprattutto uomo di grande cultura, intelligenza, umanità e dotato di una modestia poco comune.

“Quando ero in collegio, era un po’ come essere prigioniero: chiudevano il portone ed a me veniva una grande tristezza, mi scoppiava il cuore. Pensavo al mio amico Pinu che aveva, anche lui, in mente i cani. Quelli erano tempi duri! Un ragazzo di dieci anni doveva già lavorare come un uomo e, tra di loro, quelli appassionati risparmiavano la mancia che, alla Festa, veniva loro consegnata per comperare le castagne o qualche altra piccola cosa (allora, non c’erano i Caffè e cercavano di mettere da parte soldi per comperare un cane. Non Io dicevamo nemmeno al toro papà (i tempi erano troppo duri per questi “lussi”) ma io, loro coetaneo, venivo messo al corrente questi segreti e li ammiravo. Me ne guardavo bene però dal dire queste cose, altrimenti mi, avrebbero portato… al manicomio. Vivevamo di sogni: ci bastava avere un “bastardino”, magari col pelo un po’ lungo, e fantasticavamo che avesse la discendenza dal setter… così avevamo sempre la testa per aria. Però mi sarebbe spiaciuto se mi avessero bocciato, per mia mamma, lei ci teneva che io studiassi.  Ricordo che un professore aveva capito che qualcosa in me non andava ed, un giorno, mi fece parlare, alla fine mi disse “tu sei uno di un altro mondo”. Allora avevo nove anni ed ho capito che le cose stavano davvero così… credo che questa affermazione sia tuttora valida.”

Seduti davanti al camino acceso, con una canina pointer bianco arancio ed un setter che ci osservano incuriositi, ascoltiamo Antonio Tonali che vestito, come sempre, da cacciatore, con vivacità giovanile, ci racconta di cani, di beccaccini e di persone. Il richiamo a… quell’altro mondo, palpabile e ciò che ne determina la percezione sono la serenità e la semplicità che il nostro personaggio e l’ambiente che lo circonda ci trasmettono. La grande passione per i cani, elevata a “ragione di vita” in contrapposizione alla violenza della Prima Guerra Mondiale vissuta drammaticamente in prima persona. Una vita semplice, forse un po’ primitiva, ma solo in apparenza, in realtà essenziale ma arricchita dalla semplicità e dalla genuinità nel rapporto con gli animali e con gli uomini, cui è sottesa una grande cultura ed una grande carica di umanità. Affascinati dall’uomo, ci ricordiamo dell’importanza di Tonali come testimone dei primi passi della nostra cinofilia e gli domandiamo di descriverci i cani di allora (la fine del secolo scorso – Fine 1800 n.d.r.).

“Anche allora, in ogni paese, non c’erano più di alcuni cacciatori bravi e questi avevano cani bravissimi. I cacciatori avevano fucili a bacchetta con la canna che sembrava un tubo di stufa sparavano polvere nera e, dopo il colpo, dovevano spostarsi sul lato per vedere cosa era successo al di là della cortina di fumo. lo ero ragazzo e diventavo matto a vedere il lavoro dì quel cani: bracchi e pointers.”

— Lei parla di pointers, ma c’erano già in Italia? “Che sappia io i primi pointer venivano da Monza, erano cuccioli che qualche guardiacaccia della tenuta reale vendeva e costavano 50 lire. Pensate che, qui a Villanterio, il migliore terreno agricolo costava 40 lire alla pertica. Io ammiravo molto questi cacciatori che spendevano un patrimonio per avere uno di questi cani ed ammiravo soprattutto quelli che facevano grandi sacrifici per mettere da parte i soldi.”

– Come facevano ad esserci i pointers a Monza? “Era una riserva di caccia di Umberto I e lui, sicuramente, li avrà avuti in regalo dall’Inghilterra.”

– E Lei quando ha avuto il primo cane? “Finché mio papà è stato in grado di andare a caccia i cani li aveva lui, io sono subentrato gradualmente; un giorno lui ha detto che non dovevamo contarlo più, come cacciatore; aveva 80 anni e disse che, in campagna poteva ancora andarci, col bastone, ma, a caccia, aveva finito. Allora, sapete, i vecchi non avevano egoismo, quando arrivavano a 80 anni (non erano molti però ad arrivarci), molto ragionevolmente, dicevano: la vita finisce, dovete continuare voi. Così comperai una cagnina “già fatta”, da un fittavolo vicino a Pavia, mio papà l’aveva vista e mi diede le 40 lire d’argento con cui la pagai. Andai a prenderla in bicicletta e lasciai al fittavolo il mucchietto dei 40 “cavourini” d’argento… in fondo un po’ mi piangeva il cuore nel vedere quel mucchietto lasciato sul tavolo. Era una cagnina tutta marrone che poi ho fatto coprire e mi ha dato un cucciolo col quale ho iniziato con le “sgnepe”; di beccaccini se ne trovavano dappertutto e così uno, due, tre, io cercavo di sparare bene e li facevo riportare (per farle capire) così ha cominciato a fermare.”

– Con le prove a beccaccini, quando ha cominciato? “Io leggevo sul “Cacciatore Italiano” delle prove a beccaccini, leggevo le polemiche tra Colombo, Griziotti ed altri… mi piaceva perché capivo che erano appassionati che s’intendevano di cani e , di beccaccini, che erano grandi cinofili. Ho cominciato per caso: un giorno cacciavo col mio cane ed signore, dopo avermi osservato a lungo (non riuscivo a capire cosa volesse) mi disse di andare nei “Paludi” dove provavano i cani e dove facevano anche le prove a beccaccini. Sono andato ed ho visto dei cani proprio belli, dei pointers molto tipici, però anch’io, con la mia cagnina, non ho fatto brutta figura ed allora, ho preso un po’ di coraggio. Ho cominciato con una cagnina che il mio amico Preti, il veterinario, aveva comperato a Copiano e poi affidata a me. Io non volevo andare alla prova perché… come potevo competere con tutti quei grandi cinofili che avevano dei pointers che mi facevano restare incantato? Però hanno insistito e sono andato. Il mio amico Preti non è venuto (forse aveva paura che facessi fiasco) ma ci ha dato la sua macchina ed ha detto al meccanico del paese che venisse a guidarla lasciandoci auto ed autista, tutto il giorno, a disposizione. Con me c’erano un mio amico, che era segugista, ed il papà di Antonio Ridella (Antonio era ancora un bambino). Lei (la cagna n.d.r.) è andata proprio bene, io invece mi ero impantanato e non riuscivo ad andare a servire la cagnina. I beccaccini erano avanti 10 – 15 metri e son volati e la cagnina… niente ed io che non riuscivo a muovermi e non capivo più nulla… era la mia prima prova quindi si può capire; se il fischietto non fosse stato legato con lo spago, forse l’avrei mandato giù… Giudicava Colombo e mi diceva di chiamare la cagnina ma io, pur nella mia confusione non la chiamavo, e poi mi sono anche spazientito e gli ho detto che non la chiamavo perché, altrimenti, avrei disturbato l’altro cane che era in coppia con la mia. Non era giusto disturbare quell’altro cane dal momento che la mia aveva fermato ed era stata corretta al frullo delle “sgnepe”. E così ho vinto e così è iniziata la malattia delle prove al beccaccino”

– Com’era organizzata la cinofilia a Pavia? “C’erano delle grandi personalità, Coppaloni e il mio amico Giannino Radice, Griziotti, Bovina ed altri, io sono sempre rimasto un po’ fuori, cosa dovevano farsene di uno come me che potevo solo… far ridere i polli. Poi mi hanno un po’ convinto, dicevano che bisognava darsi da fare per il bene della cinofilia perché la maggior parte dei cacciatori sosteneva i cani bastardi e, invece, si doveva dimostrare il contrario. Mi ricordo di tanti altri oltre a quelli che ho già detto: Nasturzio, l’armatore di Genova che importò i setters e li portò poi a Rocca de Giorgi e poi, di lì, cominciò l’era delle prove ed allora c’erano: Necchi che aveva rilevato l’allevamento di bracchi di Colombo, Rettani, il dott. Bionda, Biondet e poi Rino Colli che era il segretario della “Scuderia Lomellina.”

– Lei era molto amico di Antonio Ridella? “Antonio era di qui e l’avevo conosciuto da bambino, era lui che mi portava anche in giro e che mi ha fatto conoscere tanti cinofili. Ma io… andare in città… andare via dalla mia campagna, finiva che andavo in confusione e allora mi dicevo: hai visto, dovevi stare a casa, cosa vai a fare insieme a tutta questa gente importante?”

-Qual è il cane che ricorda di più? “Tutti. Però i cani sono come i cristiani: ci sono quelli fortunati e quelli che nascono sfortunati. Posso ricordare Cirano. Ha avuto dei grandi risultati sì, però, non è stato capito, solo Griziotti aveva capito che grande cane era. Io dicevo tante volte a Cirano: sei arrivato tardi, dovevi arrivare quando c’era ancora Colombo. Ma i cani non si possono dimenticare… nessuno. Bisognerebbe fare il monumento a certi grandi cani, non farlo a Napoleone o a quegli altri balordi che ammazzano la gente: chiamare lo scultore e far fare il monumento ai cani.”

– Ha conosciuto Pollacci? “Altroché, aveva i setters gordon, bravissimi. Ricordo North, era un bellissimo stallone, il migliore che c’era, ho – avuto un figlio di North, ma l’ho regalato.”

— Come mai, non andava bene? “Andava benissimo, era ancora un cucciolone ma un ragazzo che conoscevo, Gianni Bianchi, un giorno è venuto da me per dirmi che la sua cagna (era una cagnina che era stata anche qui da me) era rimasta uccisa. Mentre lui mi raccontava io pensavo: ma guarda un po, adesso è senza cane mentre io ne ho 5 o 6 buoni… la sera sono andato alla stazione dei treni (c’era il tram che andava a Pavia e lui doveva tornare con quello) col cucciolone al guinzaglio e gli ho detto: prendilo è tuo, ha pochi mesi ma lavora bene.”

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Gino Pollacci Duca di Gordon

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Un viso arguto incorniciato da capelli bianchi e interrotto nei morbidi lineamenti da un paio di baffetti che ricordavano un duplice fiocco di neve. Nella penombra dell’armeria Albertini, luogo tradizionale di ritrovo, mi allungò la mano accennando ad alzarsi dalla poltrona, ed alle parole di presentazione rispose congratulandosi con chi mi presentava perché era stato capace di trovare un “giovine” più preoccupato di imparare la preparazione dei cani piuttosto che solo ad uccidere selvaggina indipendentemente dal cane e dalla etica. A quella presentazione seguirono metodici incontri, sempre nello stesso luogo, e lunghe conversazioni, alle quali il prof. teneva in modo particolare, direi con attaccamento, al punto di rilevare, “cipolla” in mano, i miei non sempre puntuali arrivi.

Seguiva con interesse i miei racconti sui cani in preparazione e interrompeva per raccontare aneddoti dai quali traeva spunto per parlarmi dei suoi gordon. Dei gordon fu certamente un vero cultore, ma non tanto in rapporto alle prove di lavoro, quanto al loro impiego sul terreno di caccia. I suoi cani di “Loano” (affisso riconosciuto nel 1929 n.d.r.), in pratica, erano stati forgiati in terreni di alte montagne e su un selvatico che egli riteneva essere, comunque, al di sopra di ogni altro, il forcello. Del gallo di monte sapeva praticamente tutto, lo amò e lo studiò anche con tentativi di riproduzione semi artificiale e, su questo argomento, scrisse anche una serie di articoli tecnici che poi raccolse in un volumetto.

Identica cosa fece per i cani del castello di Gordon. Data l’età ormai avanzata, non teneva più cani né tantomeno poteva seguire il lavoro quotidiano di Griziotti, del quale era un estimatore incondizionato. Non particolarmente interessato alle altre razze, ne faceva rari riferimenti e,  con quel modo caratteristico delle persone avanti di età, periodicamente ritornava a raccontarmi di come una invitò Griziotti alle Navette per potergli mostrare una cagnina di grandi mezzi. L’avvocato arrivò ad Ormea accompagnato da bracca che fece meraviglie su galli e cotorne tanto che egli lo pregò di portare a Pavia, in dressaggio, la gordonina, ma di lasciargli, nel frattempo, in affidamento la bracca, con la quale passò giornate indimenticabili.

In occasione di questo racconto, non mancava di farmi rilevare come il cane di Gordon non fosse altro che il bracco degli inglesi… Di Pollacci posso dire che non ebbe mai, lui professore universitario, atteggiamenti cattedratici, anzi era in sostanza persona disposta ad ascoltare e discutere dei più svariati argomenti. Logicamente poi si finiva sempre nel cadere sulla caccia e sui cani che accomunava, quasi sempre, non solo alle sue amate Navette ma anche a Mazza Emilio, suo “mitico” guardiacaccia che lo aveva introdotto ai segreti della caccia ai selvatici di alta montagna, tanti anni prima.

Malgrado abbia allevato a Pavia, dei suoi cani non è rimasta traccia, ed in verità, anche all’epoca a cui mi riferisco, non erano presenti in numero cospicuo i cani del castello di Gordon. Era figura dell’Ottocento, nel suo stile (che era comune ad altri di quell’ambiente), un Ottocento di tipo classico, romantico, che li portava anche a certi aspetti del comportamento che lasciano allibiti coloro che, come me, sono cresciuti in una dimensione diversa. Nei tempi che furono, i gentlemen di Pavia avevano quale loro luogo di ritrovo il bar ristorante Bixio. In una serata di accesa discussione suoi cani, un partecipante si lasciò scappare alcuni pesanti pensieri sia sui Gordon sia sui cani di Pollacci, il quale, dopo averlo schiaffeggiato, lo sfidò a duello. Fortunatamente, una lunga mediazione di gentiluomini presenti al fatto, salvò il malcapitato dalla lama di Gino Pollacci che era anche un campione di spada.

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Altri materiali storici sul setter gordon sono disponibili a questi links:

I Tre Stili – di Giacomo Griziotti

Brevi appunti sul setter nero fuocato di Rino Radice