Quattro passi dentro casa: L’angolo del calendario

Oggi è venerdì, la scuola di specialità si è mangiata tutta la mattina e parte del pomeriggio. La mattinata si è aperta con “la diarrea del suinetto”, la scarsa cena della sera precedente si era chiusa con la foto di un vomito e una di una diarrea emorragica. Ai proprietari piace terribilmente documentare le anomalie corporali dei loro cari pets, il picco lo si raggiunge all’orario dei pasti, incluso quello della prima colazione.

Comunque, prima che mi arrivassero quelle foto, riflettevo
sul fatto che ho scelto proprio un lavoro di merda, nel vero senso del termine.
Una cosa che mi sarebbe piaciuta fare, tra le tante, è l’arredatrice di
interni. Grazie ai miei corsi sul feng shui e sulla medicina cinese,
potrei persino inventarmi un lavoro. Fino a qualche mese fa, ritenevo
appetibili le professioni gioiose come quelle legate alla moda, al fitness,
o al turismo. Ma adesso? Che faranno costoro? Si trasformeranno in installatori
di plexiglass?  Ci scherzo su, ma
rischiano di accadere cambiamenti epocali. E chi avrà ancora il coraggio di
iscriversi a medicina? L’ho schivata per un pelo, passando da Medicina (sì, ero
entrata) a Medicina Veterinaria. 
Conclusi gli studi in Medicina Veterinaria, ho pensato di aver commesso
un grave errore, ma adesso? Mi ci vorrà del tempo a capirlo, e quel tempo
passerà con un cellulare cronicamente infestato da vomiti e diarree.

Non avete idea di quanti cani stiano cagando, e vomitando. È disgustoso, ma le segnalazioni si moltiplicano, lo scrivo, sia mai dovesse capitare anche a voi… Stress? Virus? Ipoclorito gettato sull’asfalto? Anche qui, servirà del tempo per capire. Nel frattempo, torniamo ai calendari. Accanto alla rossa lampada “shire”, c’è un muro in tinta grigetto-lavanda, che fa angolo con la libreria di design anni ’80. Direi che posso definirla in discreta forma, fatta eccezione per i pomelli e la paretina a est mezza ustionata. I pomelli, quelli delle ante, sarebbero in numero totale di cinque, ma due sono scomparsi: uno si era rotto e, un aspirante tuttofare con meno senso pratico del mio, se ne è portato via due per comprare dei pomelli nuovi. È successo quasi un anno fa. Nel frattempo, pur cercando, non ho mai trovato dei pomelli che mi piacessero abbastanza: sono fatta così. Gli attuali sono bianchi, né magri, né grassi, né tondi né quadrati, sostanzialmente insignificanti. In più fatico a capire quanto debba essere lunga la vite dei nuovi: sembra facile, ma così non è. Cerca di qui e cerca di là, ho guardato su Amazon, ho guardato da Ikea e poi mi sono scordata di comprarli, ho guardato in qualche ferramenta e poi ho aspirato a Leroy Merlin. Contemporaneamente, l’occhio scappava tra le cinesate di Aliexpress, senza mai decidersi a rischiare.  Il trauma della cinesata suprema l’ho superato, non è questo il punto, anche qui era un problema di misure, nonché di tempi di spedizione. La quarantena rende pazienti e offre quella manciata di minuti liberi che ti permette di cercare bene, online, tra mille proposte.  Ordine fatto a inizio lock down, adesso è in dogana, vedremo se ho azzeccato le misure, vedremo se mi piacerà la forma: li ho presi simili a quelli della scrivania.

La paretina a est della libreria, ha un angolo ingiallito e
raggrinzito, ricordo del mezzo incendio scampato. Poco più in basso, rispetto
alla cicatrice, c’è un gancio, uno di quelli adesivi che di solito si mettono
in cucina, per appenderci gli strofinacci. Il mio, invece, lavora nello studio,
è giallo arancio triangolare e mi ricorda una fetta di formaggio.  Lavora tutti i giorni, come Atlante, e porta
il peso dei calendari. Ogni anno compro un calendario nuovo, che affermazione
scontata! Intendo dire che al calendario dello studio ci tengo particolarmente.
È una mia personalissima tradizione, che dura da tantissimi anni. Deve essere
un calendario bello,  deve piacermi
davvero e lasciarsi un po’ usare come agenda, un giorno capirete il perché.

Questo posto è stato occupato, per tanti anni, da calendari
fotografici tedeschi che compravo alla Fiera Cavalli, a Verona. Poi ancora
cani, cavalli, paesaggi, calendari fatti da me con i cani, c’è stata una certa
variabilità genetica, fino a che, i calendari fotografici hanno drammaticamente
perso qualità: non trovo più niente che mi piaccia. A partire dall’autunno
inizio a cercare un nuovo calendario, destinato ad accompagnarmi per un po’.
Parto con entusiasmo, ma va a finire come con i pomelli. Negli ultimi anni ho
risolto con dei calendari pseudo-artistici a tema Disney e con quelli in della
Légami in cartoncino, il minore dei mali. Il 2020 è l’anno di Peter Pan, che è
insieme ripiego e aggancio a Tinkerbell e Tigerlily: siamo ad aprile e l’anno
sembra rispecchiare la mediocrità dei fogli che ne scandiscono il tempo.

Ai piedi del calendario c’è il cestino della spazzatura che è adesso si chiama differenziata e che lì dentro, è fatta solo da carta. È rosso, ha le rotelline, è quadrato e ha dei buchetti. Ha quasi 40 anni, come la lampada “shire” e la libreria di design. È nato per farti pensare: ricorda un porta riviste, o forse un porta vaso, è troppo bello per il pattume reale. Nato come cestino, è stato poi promosso al ruolo di porta riviste, compito che gli è quasi costata la vita. Un giorno, ben rimpinzato di libri e di giornali, l’ho messo sul confine della scala a chiocciola, per arginare il Roomba. Orbene, il Roomba l’ha speronato e lui è rotolato giù per tre rampe di scale, tonfando come un elefante che rotola giù dalle Alpi e seminando pubblicazioni lungo il percorso. Ripescandolo incolume dalla taverna, ho imparato che: non bisogna mai cercare di arginare il Roomba e che, rivelazione superflua, non sono tagliata per i lavori domestici.

Un paio d’anni dopo, a causa di un letto troppo grande per una stanza troppo piccola, il rosso cestino è tornato a fare il cestino, ma con classe: accetta solo carta pulita destinata al riciclaggio. Così, dal basso guarda in alto, sorridendo a un calendario, quasi certo che prima o poi lo accoglierà.

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