Gino Pollacci Duca di Gordon

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Un viso arguto incorniciato da capelli bianchi e interrotto nei morbidi lineamenti da un paio di baffetti che ricordavano un duplice fiocco di neve. Nella penombra dell’armeria Albertini, luogo tradizionale di ritrovo, mi allungò la mano accennando ad alzarsi dalla poltrona, ed alle parole di presentazione rispose congratulandosi con chi mi presentava perché era stato capace di trovare un “giovine” più preoccupato di imparare la preparazione dei cani piuttosto che solo ad uccidere selvaggina indipendentemente dal cane e dalla etica. A quella presentazione seguirono metodici incontri, sempre nello stesso luogo, e lunghe conversazioni, alle quali il prof. teneva in modo particolare, direi con attaccamento, al punto di rilevare, “cipolla” in mano, i miei non sempre puntuali arrivi.

Seguiva con interesse i miei racconti sui cani in preparazione e interrompeva per raccontare aneddoti dai quali traeva spunto per parlarmi dei suoi gordon. Dei gordon fu certamente un vero cultore, ma non tanto in rapporto alle prove di lavoro, quanto al loro impiego sul terreno di caccia. I suoi cani di “Loano” (affisso riconosciuto nel 1929 n.d.r.), in pratica, erano stati forgiati in terreni di alte montagne e su un selvatico che egli riteneva essere, comunque, al di sopra di ogni altro, il forcello. Del gallo di monte sapeva praticamente tutto, lo amò e lo studiò anche con tentativi di riproduzione semi artificiale e, su questo argomento, scrisse anche una serie di articoli tecnici che poi raccolse in un volumetto.

Identica cosa fece per i cani del castello di Gordon. Data l’età ormai avanzata, non teneva più cani né tantomeno poteva seguire il lavoro quotidiano di Griziotti, del quale era un estimatore incondizionato. Non particolarmente interessato alle altre razze, ne faceva rari riferimenti e,  con quel modo caratteristico delle persone avanti di età, periodicamente ritornava a raccontarmi di come una invitò Griziotti alle Navette per potergli mostrare una cagnina di grandi mezzi. L’avvocato arrivò ad Ormea accompagnato da bracca che fece meraviglie su galli e cotorne tanto che egli lo pregò di portare a Pavia, in dressaggio, la gordonina, ma di lasciargli, nel frattempo, in affidamento la bracca, con la quale passò giornate indimenticabili.

In occasione di questo racconto, non mancava di farmi rilevare come il cane di Gordon non fosse altro che il bracco degli inglesi… Di Pollacci posso dire che non ebbe mai, lui professore universitario, atteggiamenti cattedratici, anzi era in sostanza persona disposta ad ascoltare e discutere dei più svariati argomenti. Logicamente poi si finiva sempre nel cadere sulla caccia e sui cani che accomunava, quasi sempre, non solo alle sue amate Navette ma anche a Mazza Emilio, suo “mitico” guardiacaccia che lo aveva introdotto ai segreti della caccia ai selvatici di alta montagna, tanti anni prima.

Malgrado abbia allevato a Pavia, dei suoi cani non è rimasta traccia, ed in verità, anche all’epoca a cui mi riferisco, non erano presenti in numero cospicuo i cani del castello di Gordon. Era figura dell’Ottocento, nel suo stile (che era comune ad altri di quell’ambiente), un Ottocento di tipo classico, romantico, che li portava anche a certi aspetti del comportamento che lasciano allibiti coloro che, come me, sono cresciuti in una dimensione diversa. Nei tempi che furono, i gentlemen di Pavia avevano quale loro luogo di ritrovo il bar ristorante Bixio. In una serata di accesa discussione suoi cani, un partecipante si lasciò scappare alcuni pesanti pensieri sia sui Gordon sia sui cani di Pollacci, il quale, dopo averlo schiaffeggiato, lo sfidò a duello. Fortunatamente, una lunga mediazione di gentiluomini presenti al fatto, salvò il malcapitato dalla lama di Gino Pollacci che era anche un campione di spada.

Vai all’articolo precedente di Ivan Torchio qui.

Altri materiali storici sul setter gordon sono disponibili a questi links:

I Tre Stili – di Giacomo Griziotti

Brevi appunti sul setter nero fuocato di Rino Radice




A few more words on gun shyness

The previous article on gun shyness triggered many reactions. This had pretty much been forecasted, but I hoped to find a larger number of open minded people. In the end, however, I must admit hearing that you, owner, can be deemed responsible for your own dog gun shyness is not pleasant. Modern ethology is not being kind here, and it is much easier to blame the genes, the bitch, the stud or the breeder. Acknowledging the role of environment, upbringing and training is tough, it can make us feel guilty.

What did the readers say? I was told stuff like “I never introduced the pup to noises, but when the first day of the shooting season came, I brought him with me and shot a whole covey of partridge on his head and nothing happened! The dog is fine! Socialization and all that stuff, bullshit.” If these people had carefully read the first article, they would have realized I wrote that sometimes people are very lucky, and a dog can survive such intense experience, without any prior training. Is luck often that blind? Not really, what most likely happens is that the dog has been exposed to noise and other stimuli, the owner is simply not aware of this. Maybe the pups grew up by the house, or on a farm, where he learnt to recognize the tractor, the lawn mower and other sounds, maybe they were born during a stormy summer and learnt not to fear thunders. Dogs living near humans are generally exposed to noise and this could prevent gun shyness.

It is now time to discuss the second objection “In the past dogs were not socialized, nor exposed to noise, yet, they were normal”. This is a false myth. Let’s thing about the past: about one century ago, almost all the hunting dogs used to belong to rich people. These people had professional staff taking care of the dogs, it is highly unlikely that these dogs were poorly socialized. What about ordinary people? At a certain moment in history, people with lower incomes started to become interested in hunting dogs. These people were mainly farmers and, usually, had some mixed breed dogs who could work like a hound, a spaniel or a terrier (their contemporary equivalent would be the lurcher). These dogs used to live on the farm, close to their owner, to other humans and to human made noises.

In Italy, lower and middle class hunters began being involved with purebred hunting dogs after WWII, more vigorously from the sixties. At the time, the idea of breeding dogs as a business had not yet been developed and most of the litters were homemade and raised by amateurs. It could be the rich man with his staff or the plain hunter, sharing the burden of raising a litter with his wife and children: dogs and humans, whatever the wealth, used to live close to each other.

Things changed later, as soon as people realized that breeding and selling dogs could become a profitable business. Dogs began to be seen as “livestock” and raised as you would raise a farm animal. Separate living quarters with kennels were built and sometimes multiple litters were raised simultaneously. Pups are nowadays sometimes raised at a distance from human made noises and sometimes experience less interactions with humans. Commercial kennels, however, are not the only ones to blame, hunters have changed as well. Some hunters now live in the city, they do not want to share their apartment with muddy dogs and send them to live “in the countryside” (locked in kennels) paying someone local human being to go feed and clean them. Some hunters have a detached house in the suburbs, but pups destroy gardens so they end up in a kennel far from the house. Hunters return home late from work, they are tired and they do not feel like interacting with their new pup, even if he has a great pedigree and was paid a lot of money.

If the pup would not be such a thoroughbred but just a farm mutt, things could maybe be easier for him. Some modern purebreds are not that different from thoroughbred horses and are equally nervous and sensitive. We selected these dogs taking speed and reactivity in great account, well… they can now be highly reactive even when we would prefer them not to be. Times and contexts have changed, why people refuse to acknowledge this? I think we should pay more attention to the dogs’ needs and remember that the dog is “man best friend”. We should put the pup first and do our best to make him grow into a happy and fearless adult. We should no longer bring a gun shy pup back to the breeder asking for a replacement or a refund, we should, in a few words, be responsible of our actions.

PS. Don’t forget to take a look at the Gundog Research Project!




Giacomo Griziotti: Vent’anni con l’Avvocato

di Ivan Torchio (1988), per gentile concessione dell’autore.

Quasi tutte le vicende fin qui riportate ripetono un nome: Giacomo Griziotti (1894-1986).  Non fu allevatore in senso stretto, non fu professionista ma un protagonista (quasi suo malgrado); dotato di grande intelligenza e di profonda cultura, fu uno dei più apprezzati conoscitori del cane da caccia ed esercitò sempre un grande “carisma” per la profondità tecnica delle sue osservazioni.

La sua presenza nella cinofilia italiana ha lasciato tracce indelebili, tali da far affermare, senza alcun dubbio, che l’Avvocato fu uno dei più significativi “ambasciatori della pavesità”. La nebbia, intensissima e gocciolante, era di quelle classiche della nostra pianura quando, al mese di novembre, si alternano giornate di splendido sole ed altre di scarsissima visibilità. Nella piazza, che sembrava inghiottita nel nulla, lì, di fronte a me pochi metri, un possente bracco italiano stava frugando in mezzo a delle immondizie. Mi fermai ad osservarlo mentre una voce maschile invitava il cane ad essere più ubbidiente. Chiesi che età avesse il bracco italiano. Quel signore, che io non conoscevo, sorpreso dal fatto che conoscessi la razza, incominciò con le solite domande che si rivolgono ai ragazzini mentre, insieme, percorrevamo un tratto di piazza. Ci lasciammo con l’impegno di rivederci il giorno seguente per andare fuori coi cani.

Così cominciarono i miei venti anni con l’Avvocato. Nel dressaggio era autodidatta sebbene seguisse la filosofia di Ernest Bellecroix del quale possedeva un libro, in lingua originale, che ebbi anche in lettura, naturalmente. Data l’intelligenza seppe utilizzare il metodo senza trasposizioni acritiche, tanto è vero che ogni soggetto in preparazione veniva osservato pazientemente studiato attentamente, in quanto l’obiettivo era sempre il capire come poter esprimere, al massimo, le caratteristiche individuali sollecitandone la psiche. Non utilizzava mai metodi di dura coercizione ed era proverbiale il suo modo di lavorare…  armato di nodosi randelli, (che chiamava “teneri virgulti”) e che mai tuttavia si incontrarono con groppa di cane; l’Avvocato li utilizzava infatti solo a scopo di minaccia. Da tutti considerato braccofilo, in realtà amava qualsiasi razza ed ebbe sempre in grande considerazione i cani inglesi. I bracchi erano per lui una sorta di legame con la nostra terra e, come tali, dovevano quindi essere curati e seguiti con particolare impegno soprattutto in periodi di crisi profonda, quale fu quello in cui imperversò, da noi, il furore anglofilo.

Sui campi portò tutte le razze, dagli irlandesi (ultimo Deli dell’Architetto Balbis), al drahthaar (Zara del dott. Marchetti per esempio). Correva per imporre i suoi cani, ma quando ciò non avveniva soleva dirmi: “quando gli affari vanno male, il fisico non deve subirne le conseguenze” e così cercavamo oblio in tavole ben imbandite. Cacciavamo molto con i cani ma, quasi esclusivamente, i beccaccini che non sparavamo se non dopo lavori perfetti. Grande cacciatore cinofilo ma anche grande appassionato di caccia sul fiume con barchino e spingarda, caccia che abbandonò quando le normative vietarono l’uso di quest’ultima. Aveva il dono di impegnarsi anche nelle cose in cui non credeva, come ad esempio nell’attività militare, che pur non riuscendo a capire né, tantomeno, a condividere sia nel primo sia nel secondo conflitto mondiale, affrontò con spirito determinato raggiungendo il grado di generale. Modestissimo, era solito chiedere parere in tutto, anche a me che pur ero, nei primi anni della nostra conoscenza, un ragazzino con i pantaloni corti.

La sua cinofilia era il dressaggio,  altre cose come gli aspetti associativi ecc. non lo interessavano in modo particolare, in questo dimostrando, ancora, modestia.  Era giudice, e alle doti, innate, di equilibrio e di obiettività, univa grande capacità di capire i cani ed una grande esperienza, tuttavia svolse questa attività solo raramente, quando il rifiuto sarebbe stato… sconveniente.

Incominciai col seguirlo anche in giro per l’Italia, sui campi di prove, e finimmo con l’invertire i ruoli: lui a raccontarmi aneddoti e fatti di cinofilia, di vita e di guerra, ed io che, alla guida del suo automezzo lo accompagnavo.  Il tempo passava veloce e sempre più spesso notavo il distacco dal mondo della cinofilia, così come è concepito attualmente… non aggiungo altro perché, credo, i motivi siano facilmente comprensibili per chi ha letto il suo libro sull’addestramento. Griziotti è stato un grande, anche più di quanto si possa immaginare e solo chi, come me lo ha seguito, può capire come la sua grandezza andava al di là dei risultati nella passione comune.

Ancora oggi, quando penso a Griziotti, penso a un modello, magari fuori tempo ma da imitare.

Un articolo di Giacomo Griziotti è presente qui.

Leggi il prossimo articolo di Ivan Torchio qui.




Cheesecake cocco e nutella – I dolci di Flavia

Ingredienti:

per la base:

200g biscotti tipo Oro Saiwa oppure, per i più golosi, tipo Pan di Stelle

per la crema:

500g ricotta

170g zucchero

250g mascarpone

2 vasetti di yogurt al cocco

4 fogli di colla di pesce

50g farina di cocco (2-3 cucchiai circa)

per la decorazione:

300g di nutella, o  altra crema spalmabile alla nocciola

Farina di cocco q.b.

Lavorazione:

Tritate i biscotti con un mixer e sciogliete il burro. Mescolate i biscotti al burro fuso e foderate il fondo di una tortiera da 22 cm. t bene col dorso di n cucchiaio e riponete in freezer per mezz’ora.

Intanto preparate la crema. Mescolate la ricotta con lo zucchero e il mascarpone. Aggiungete lo yogurt al cocco e la farina di cocco.

Mettete in acqua fredda i fogli di colla di pesce, e una volta morbidi, strizzateli e scioglieteli in un pentolino con un po’ di acqua. Quindi incorporateli alla crema.

Riprendete la tortiera. Ponete la crema sopra la base di biscotti e rimettete in freezer per 3 ore.

Decorate con uno strato di Nutella (eventualmente ammorbidita un po’ a bagnomaria prima di stenderla) e farina di cocco.

Vai alla prossima ricetta.

Puoi iniziare a leggere le ricette di Flavia da qui o trovarle raccolte qui




La paura dello sparo: ulteriori considerazioni

L’articolo sulla paura dello sparo, come prevedibile, ha suscitato forti reazioni. Diciamo che l’avevo previsto ma… avrei sperato in un filo in più di apertura mentale e, invece,  molti lettori hanno ritenute insensate le conclusioni a cui è giunta l’etologia moderna. Inconsciamente, questa è una scelta di comodo perché è molto più semplice incolpare i geni (la fattrice, lo stallone, l’allevatore…) che prendersi le proprie responsabilità.  Riconoscere il ruolo dei fattori ambientali nella genesi della paura del fucile, infatti, implica assumersi delle colpe, se il cane è un fifone, o darsi da fare se stiamo crescendo un nuovo cucciolo.

Le obiezioni? “Io non ho mai fatto nulla per presentare al cane i rumori, l’ho portato fuori all’apertura, si è alzato un volo di starne, gli ho fatto una scarica di fucilate sulla testa e non è successo nulla! Sono tutte ….. la socializzazione e tutto il resto!” Nell’articolo originario, se l’avessero letto bene, queste persone avrebbero trovato la parte in cui dico che si può essere molto fortunati e ritrovarsi con un cane che non accusa il colpo di fucile, nonostante non si sia fatto nulla di particolare per prepararlo a tanta confusione.  Come mai? Può essere pura fortuna o, può anche essere, il che è molto più plausibile,  che il cane sia stato esposto a stimoli rumorosi senza che ciò sia stato pianificato. Magari avete spaccato la legna in sua presenza, azionato la motosega, il trattore, il toserba, magari è nato in estate e c’erano spesso temporali,eccetera. Cani che vivono in prossimità dell’uomo spesso vengono esposti ai rumori senza che lo si debba fare “apposta”.

Qui si inserisce la seconda critica all’articolo un tempo i cani non venivano esposti ai rumori, né socializzati eppure erano normali”… Questo è un falso mito.  Un tempo, parliamo di quasi un secoletto fa, i cani da caccia erano quasi tutti di proprietà di “signori” che li facevano accudire da personale apposito: è assai improbabile che questi soggetti avessero scarse interazioni con l’uomo. Parallelamente, e più tardivamente, anche persone di medio e basso reddito hanno iniziato ad andare a caccia con il cane, ma si trattava quasi sempre di contadini con il classico segugetto da pagliaio che, comunque, partecipava alla vita della fattoria vivendo a stretto contatto con l’uomo e quindi come rumore.

I  cacciatori appartenenti alla classe media e bassa hanno iniziato, almeno in Italia, ad avere cani di razza a partire dal secondo dopo guerra, direi più spiccatamente dagli anni ’60 e, a quell’epoca, non esisteva nemmeno ancora l’idea dell’allevamento a fini commerciali. I primi grossi allevamenti, alcuni tuttora attivi, stavano gettando le fondamenta ma, in generale, le cucciolate erano ancora cose per ricchi (provvisti di staff specializzato),  o faccende di famiglia, con tanto di pargoli saltellanti attorno ai cani. Cuccioli e uomini, insomma, vivevano a stretto contatto.

Le cose sono cambiate, dopo, con i cani che iniziavano ad essere intesi come fonte di reddito, il che ha portato ad allevarli in maniera più “intensiva”  e la qualità delle cure è scesa:  a volte ci si trova con più cucciolate da accudire contemporaneamente, a volte le strutture in cui crescono sono lontane dai rumori, eccetera eccetera. Anche il cacciatore è cambiato:  c’è chi vive in appartamento e non può tenere il cane in città e lo lascia crescere in qualche recinto isolato in periferia. C’è chi ha la villetta, ma siccome il cucciolo rovina il giardino lo si mette in un box in fondo all’orto. Poi si rientra tardi alla sera, stanchi da lavoro e non si trascorre del tempo con lui, anche se si tratta del figlio di campioni di altissima genealogia, pagato fior di soldi,  e non di un cane da pagliaio qualunque.

Se il cucciolo fosse un meticcetto di paese, forse, le cose sarebbero più semplici per lui: gli appartenenti ad alcune razze canine moderne  sono l’equivalente di un purosangue con la relativa ipersensibilità, se selezioniamo cani reattivi, loro saranno reattivi anche quando ciò diventa scomodo!  I cani, i tempi e i contesti sono cambiati, perché gli uomini si ostinano a non cambiare? Non dovrebbe forse esserci una maggior sensibilità nei confronti del cane? Non dovrebbe, il cane, essere un amico prima di essere un ausiliare? Non dovremmo noi, suoi proprietari, fare qualche piccolissimo sacrificio per crescerlo al riparo da paure, anziché insistere con l’allevatore per avere “un cambio di prodotto”, se il cucciolo sviluppa la paura del fucile? Credo sia nostro dovere morale, viste le moderne conoscenze etologiche, offrire al cucciolo tutte le risorse per aiutarlo a crescere bene e limitare il rischio che si manifestino problemi come la paura del fucile.

Allego, per i curiosi, un articolo de “I Nostri Cani” del 1968 in cui si riportano i consigli del noto  addestratore Gino Puttini. Si parla di paura dello sparo e di come recuperare (e sottolineo recuperare, non scartare!) i cani. Il pezzo ha quasi 50 anni q quindi ci sta che si pensasse ancora alla genetica, sebbene siano ben menzionate anche le cause ambientali, lo ripropongo più che altro come curiosità storica. Si tratta di una foto “stropicciata” perché la rivista è molto debole e non sopravvivrebbe. PS. Non dimenticatevi di dare un’occhiata al Gundog Research Project!




Does a gun-shyness gene exist?

I wrote about this on several occasions and, usually, I do not like re-writing about things I already wrote about but, last week, reading an online forum, I realized that gun-shyness is still a mystery.

People buy dogs, mate dogs, collect dogs but never “waste” time trying to educate themselves about dogs or, more simply, trying to switch their brains on. I am not sure whether you are familiar with Patrick Pageat, he is a Frech veterinarian and animal behaviourist who wrote the book “L’homme et le Chien” (The Man and the Dog), he writes: “How can a gun-shyness gene exists? How could nature have foreseen gun powder and shotguns?“

Obviously, nature could not have predicted shotguns, but some dogs are indeed gun-shy, why? Are they faulty? I hate seeing dogs labelled as “faulty”, their behaviour can be explained through a more refined explanation. These dogs are not “faulty”: did you know, for instance, that some dogs are more sensitive than others? This has been demonstrated in humans as well, some people are more sensitive to noise, light and so on and this has been proved scientifically. So, yes, some dogs might be more sensitive than others. Is this genetic? I think so and, in my experience, I found gun-shy dogs in some breeds more than in others. These dogs, and more generalizing these breeds, were also more difficult to rehabilitate. Generally speaking, again, these dogs were quite reactive, fast and somehow nervous and… sensitive! It is selection, it is how we want dogs to be: let’s try to compare and English Setter (or a Border Collie) and a Neapolitan Mastiff: they are not exactly the same thing.

We should not, however, talk about fear, analyzing sensitivity would be much more appropriate. Are there dogs who are more sensitive to noise? Yes, but being sensitive to something, does not mean being fearful of something. Yet, some dogs are afraid of gunshots, but fear came after sensitivity and was triggered but something external to them. What do, most of the fearful dogs have in common? Could environmental factors play a role? Most of the gun -shy dogs I met (in about 20 years spent around gundogs), had indeed something in common: they all had been poorly socialized.

I am not going to write about puppy socialization in this article, but I am going to point that, sometimes, hunters, as well as dog breeders, do not pay enough attention to this fundamental process. The “average” hunting dog is born in the countryside and grows up in a kennel, an environment which tends to be rather silent and lacks of natural stimuli. These quiet, rural settings do not fully prepare the pup for his future life.

Furthermore, once adopted by the new owner, the pup continues living in a similar environment and tends to be left there until he turns 7 or 8 months old. Only a few hunters start training pups earlie, as they fear they would get “ruined”. Once deemed old enough, the pups are put in the car (so far they had generally been in the car only to go to a veterinarian) and are taken somewhere to be tested on a bird (that is going to be shot), generally on a quail, or, even worse, to a shooting party.

Having had no exposure to gunshots, two things might happen: 1) the dog has a very strong temperament (and his owner is very lucky!) and he does not mind the noise or 2) we witness a disaster and the dog becomes gun-shy. Unfortunately, these things happen and… frequently! I did not invent anything and, sadly, I have seen this happen more than once and I can tell you about people who keep repeating these same mistakes. There are people who end up owning only gun-shy dogs: each pup they purchase will turn in a gun-shy adult. Some of them realized this and now only purchase adult dogs. Some other people, on the other hand, had never owned a gun-shy dog despite having purchased all their dogs as puppies, from different sources..

Let me tell a short story: M. Smith purchased a high quality puppy and raised her in the kennel. Once she turned 7 months old, he introduced her to birds and gunshots with the fore mentioned techniques and she became gun-shy. During the following YEARS she overcame, more or less, her gun-shyness but her breeder donated a second pup, a sister to the previous one, to Mr. Smith, as a replacement. Mr. Smith, after committing the same mistakes for many years, had the chance to meet some properly socialized puppies and decides raise her differently. The new pup grows up experiencing noises and living different experiences: she is not gun-shy and she is much much bolder than her older sister.

PS. Don’t forget to take a look at the Gundog Research Project!




Torta semifreddo ricotta cioccolato bianco e more – I dolci di Flavia

Ingredienti:

Per una tortiera da 22 cm

4 uova

120g zucchero

500g ricotta

200g cioccolato bianco

1 cucchiaio di maizena

vanillina

more q.b.

Per la coulis di more:

150g more

1 bicchierino da liquore di acqua

succo di 1 limone

2 cucchiai pieni di zucchero

1 cucchiaino di maizena

Lavorazione:

Sciogliere il cioccolato al microonde. Separare i tuorli dagli albumi, che andranno montati a neve. Ai tuorli unire lo zucchero, la ricotta, la vanillina, il cioccolato fuso e il cucchiaio di maizena. Infine incorporare gli albumi.

Infornare a 170 gradi per circa 40-45 min

Una volta freddo riporre in frigo.

La consistenza che otterrete sarà di un dolce budinoso/cremoso

Per la coulis di more:

Unire tutti gli ingredienti in un pentolino a fondo spesso e anti aderente e mettere sul fuoco facendo cuocere a fuoco medio per circa dieci minuti. Otterrete una purea che volendo potete lasciare al naturale oppure rendere più liquida e omogenea con frullatore ad immersione e setacciando i semini (io ho lasciato al naturale). Una volta fredda ricoprire la superficie della torta.

Decorare con le more rimanenti.

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