Ritorno alle origini (Sentieri di Caccia Novembre 2015)

Interrompo la serie su Hutchinson (momentaneamente) per promuovere un mio articolo attualmente in edicola.  So che può suonare poco modesto auto-promuoversi in maniera sfacciata ma è un pezzo molto sentito e, pertanto, un buon pezzo. Se siete curiosi di saperne di più sui cani da ferma britannici (setter inglese, irlandese, gordon e pointer) nel Regno Unito e sulle prove di lavoro (sul Champion Stake in particolare) laggiù investite… 5 euro per acquistare Sentieri di Caccia di Novembre 2015 e…. buona lettura!

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Il percorso

“Inoltre, credo che sia chiaro che il cane rischia di lasciare indietro dei selvatici se non esamina ogni parte del terreno e che, d’altra parte, spreca tempo ed energia se passa due volte sullo stesso terreno o su terreno che le sue capacità olfattive hanno già raggiunto. Naturalmente mi riferisco ad un cane che sta lavorando senza un compagno di coppia con cui condividere le sue fatiche”.  Hutchinson, Dog Breaking 1865

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Briony lavora naturalmente così ma oggi abbiamo fatto un po’ di addestramento per definire meglio i lacets e gli invii a destra e a sinistra seguendo le mie indicazioni. Ha eseguito tutto abbastanza bene ma… nel frattempo devo riferirvi che da più parti (online-offline) in tanti mi hanno detto che “esagero” a voler addestrare il cane a puntino e di limitarmi a portarla a caccia! Anzi qualcuno ha insinuato persino che io la stia addestrando perché è difettosa a caccia. Pazienza io proseguo verso la luce, vista una volta non la dimentichi più!




Il cane da caccia

Questo è l’articolo a cui i precedenti due sono preparatori. Se non li avete letti, lo capirete lo stesso ma lo comprenderete meglio andando a dare un’occhiata a quanto scritto nei giorni scorsi. Questo è l’articolo che non vedevo l’ora di scrivere: mi sono dovuta frenare intrattenendovi con cose più noiose ma… necessarie, proprio come l’addestramento di base.  Spesso elaboro gli articoli camminando, e camminando ho riflettuto sul titolo: volevo chiamarlo il “cane perfetto”, il “cane ideale”,  il “cane utile”, ho deciso di chiamarlo semplicemente il cane da caccia, nessun avverbio e nessun aggettivo, perché quello che leggerete altro non è che un ritratto iperrealista di come deve,o dovrebbe essere, un cane da caccia.

“Queste osservazioni (degli articoli 1 e 2 n.d.a) portano inevitabilmente a pensare che nessun cane può essere considerato perfettamente addestrato a meno che non vada in ferma non appena percepisca la presenza di selvaggina e resti lì in mobile fino a che non gli ordinate di avvicinarsi; che non si metta a terra nel momento stesso in cui sparate, senza che proferiate alcun comando verbale e che, successivamente, si impegni a cercare il capo abbattuto nella direzione da voi indicata. Tutto ciò senza che voi dobbiate mai dire nulla fuorché “Trova” a bassa voce mentre si avvicina al selvatico morto, come spiegherò in seguito”. Hutchinson – Dog Breaking 1865

E’ probabile che riterrete quanto preteso da Hutchinson un’esagerazione, ma questa – errata – percezione è il solo il frutto di una prassi (è inopportuno parlare di cultura!) venatoria che ritiene l’addestramento superfluo, se non addirittura nocivo. Per non offendere nessuno, intanto, parlo per me. Ho lavorato sul Briony, fin da piccina, per darle un minimo di educazione di base. Oggi è un cane piacevole, sa stare in casa, sa stare in mezzo alla gente (bar, negozi, ristoranti, alberghi eccetera) e sa viaggiare in automobile. Insomma, sa comportarsi, ha imparato persino come ci si muove nei ring delle esposizioni, ed è anche grazie al suo lasciarsi condurre piacevolmente se abbiamo conseguito il Campionato Italiano di Bellezza. Però, da piccina, non era un cucciolo molto sicuro di sé e proprio per questo ho rimandato ad età adulta addestramenti più impegnativi.

Come cane da caccia non manca affatto di qualità naturali, cerca (sfruttando naturalmente bene il terreno), ferma, consente, recupera (bene) e riporticchia, oltre ad essere ben collegata. Fino a qualche mese fa mi consideravo soddisfattissima del risultato ottenuto. Del resto mi capita di vedere e di cacciare con cani di tutti i tipi, mediamente ben più ineducati e inaffidabili della mia. Gli unici cani che ho visto sempre lavorare a puntino appartengono a un gruppo di drahthaaristi integralisti che, con grande affetto e stima, ho sempre reputato un po’ “nazisti”.  Data la loro impostazione mentale e vista la razza, mi sembravano risultati normalmente raggiungibili con i loro cani, non con un setter inglese. Altri sporadici cani “illuminati” erano sempre continentali, cito per esempio Junus von der Himmelsleier kurzhaar di Elena Villa.

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Così, felice  come la vispa Teresa mi aggiravo beata con  la mia setterina imprecisa. Io e il cane siamo stati sereni fino a quando a me non è venuta la malsana idea di andare a vedere come lavorassero i suoi “parenti” in Britannia. Ecco, per stare in tema anglosassone, lì ho avuto quella che James Joyce chiama “epifania” ovvero la rivelazione improvvisa di una verità nascosta. Cioè, il mio inconscio probabilmente sapeva cosa andava fatto con il cane ma la mia mente razionale cercava di tenermelo nascosto. Vedere quei setter e quei pointer perfettamente “in mano”, fermi al frullo, pronti a consentire al minimo cenno, pronti a rientrare dopo mezzo fischio – e senza per questo perdere iniziativa, mi ha completamente rapito.

Ho visto la luce ma, subito dopo, la lampadina si è spenta e io e il mio cane siamo tornati al buio. Non ho dimenticato quella luce però e ho deciso che dovevo fare qualcosa: era mio dovere provare ad arrivare a quel livello. Non dico riuscirci ma almeno provare. Questa mia decisione ha stupito un po’ tutti, cane incluso. Prima di tutto ha stupito gli italiani che ritenevano il mio cane già abbastanza a posto e che ritengono inutile, superfluo e persino dannoso il mio piano d’azione. Contemporaneamente ha stupito anche gli inglesi che non capiscono come abbia fatto a tenermi un cane così selvatico fino ad ora. Secondo loro è inconcepibile andare a caccia con un cane che non sia come quello descritto da Hutchinson (nel 1865!!!) e non riescono a credere che i cani da caccia italiani siano anni luce da quel livello educativo. Non sto scherzando, non credono che io portassi abitualmente a caccia un cane non perfettamente fermo e al frullo e allo sparo e non credono che cani lanciati dal bagagliaio e lasciati liberi e selvaggi siano la normalità.

Briony è insomma l’equivalente di una signora che in ciabatte e vestaglia si  reca a un’importante evento mondano: starebbe meglio con i tacchi e con un abito da sera, paragone non venatorio ma efficace. Però atto di ciò ci stiamo lavorando ovvero stiamo investendo tempo e impegno, nonché sacrificando giornate di caccia affinché torni sul terreno nella sua nuova versione migliorata e corretta. Nonostante le difficoltà sono felice di questa scelta e, vivendola sulla mia pelle, mi viene da ripensare all’articolo di qualche tempo fa e mi chiedo se ritenere normale la condotta dei cani indisciplinati altro non sia che una giustificazione alla pigrizia.




Il silenzio è d’oro

Anche il pezzo di oggi è propedeutico e “poco commentabile” ma con il vantaggio di interessare tutti i cacciatori, non solo quelli che cacciano con il cane da ferma.hutchinson 6

Hutchinson parla, anzi scrive, della reazione dei selvatici al suono della voce umana: “[…] la tua personale esperienza ti dirà che niente fa muovere i selvatici più in fretta e li rende pronti a spiccare il volo di quanto non faccia la voce umana […]  . Questo lo sanno benissimo i cacciatori di selezione, specie se cacciano con il metodo della “cerca”. Gli altri… dipende.  Ogni tanto seguo una squadra che caccia il cinghiale in girata e, ogni volta,  c’è qualcuno con le radio a volumi altissimi o con i viva voce non settati correttamente. Premesso che un cinghiale intanato in un cespuglio non è uno dei selvatici più leggeri e tende a starsene dove si trova, se il postaiolo chiacchierone è lì di fronte, lui non abbandonerà mai il cespuglio. Se invece è in transito dalle sue parti, sentendo le voci cambierà strada. Qualche settimana fa è successo qualcosa di molto simile. Mentre la squadra cacciava regolarmente, si è presentata un’animalista urlate che ha iniziato a insultare tutti. Nel mentre, un branchetto di cinghiali stava andando proprio nella sua direzione, ovvero uscendo dai confini del territorio di caccia. Le urla della donna li hanno rimandati indietro in battuta e uno di loro è finito in padella. La donna ha così confermato di non sapere nulla sull’etologia dei selvatici che avrebbe voluto proteggere!

“[…] nemmeno il rumore del fucile li allarma quanto i comandi stop o fermo spesso, a peggiorare ulteriormente le cose, urlate a pieni polmoni. Ci sono pescatori che raccomandano il silenzio come chiave per il successo e nessun cacciatore esperto manca di ritenerlo di grande valore anche nella caccia.  […] Forse dovrei dire qualcosa su beeper e campano ma ho appena scritto che il silenzio è d’oro, pertanto mi limito ad aderire a questo precetto…

“[…]Penn, nelle sue interessanti Massime sulla Pesca & sugli Scacchi osserva questo fatto “se vuoi vedere il pesce non farti vedere da lui. Sulla caccia possiamo ugualmente dire “se vuoi che gli uccelli sentano il tuo fucile, non far udire loro la tua voce.” Anche un fischietto rumoroso li disturba”.  Hutchinson Dog Breaking  -1865

 




Selvatici esperti

Ho esitato un po’ se riportare o meno questo paragrafo per un motivo semplice: c’è poco o nulla da commentare. Dopo alcune riflessioni, però, l’ho ritenuto in qualche maniera propedeutico ai passaggi successivi. Non so quanti di voi stiano leggendo gli articoli di commento a Hutchinson volta per volta ma se avessi saltato questo pezzo, ai lettori ordinati sarebbe mancato qualcosa. Il contenuto dell’articolo è abbastanza ovvio: un conto avere a che fare con selvaggina “facile”, un conto trovarsi al cospetto di selvatici che sono già stati minacciati dall’uomo (e dal cane!). Hutchinson non parla di animali da “riserva” contrapponendoli a “selvatici veri”, contrapposizione spesso udita nei chiacchieratori da bar. La sua classificazione tra animali ingenui ed animali diventati scaltri avendo avuto a che fare con il cacciatore,  è più completa e più corretta: chiunque abbia frequentato una buona azienda faunistica, per esempio, sa che possono esserci selvatici validi anche in riserva. Anzi, questi selvatici che riescono a sopravvivere in una faunistica (non sto parlando di capi seminati la mattina stessa), spesso incalzati dai cani e dai fucili in più riprese… diventano leggeri come piume. Lo stesso può dirsi della selvaggina di ATC a fine stagione o  di quelle beccacce superstiti che sono le ultime a ripartire verso sud. Dopo tanti beeper, tanti campani, tanti rametti spezzati dagli scarponi… spiccano il volo non appena sentono battere le narici dei cani.

Quello da tenere a mente è il rifermento al cane, cauto e ben addestrato. A breve ne risentirete parlare!hutchinson 5

“La trota, in acque non battute, può essere catturata anche con l’attrezzatura più grossolana e con le mosche peggiori ma occorrono più esperienza e il filo migliore per uccidere un pesce perseguitato.  Con la caccia è lo stesso.  All’inizio della stagione, quando gli uccelli se ne stanno immobili come sassi e il cane può arrivare a pochi metri da loro,  si può uccidere la selvaggina con  qualsiasi cane. Le cose cambiano però quando gli animali si inselvatichiscono:  a quel punto, per fare carniere è indispensabile un cane perfettamente addestrato. In quel caso qualsiasi approccio incauto da parte del cane o qualsiasi rumore fanno alzare la selvaggina […] “ W.N. Hutchinson – Dog Breaking – 1865




L’addestratore – I requisiti

In questo paragrafo, Hutchinson spiega quali sono i requisiti essenziali in un buon addestratore. Cita per primo l’autocontrollo: serve a non punire il cane quando ciò non è necessario. Ciò è talmente elementare da passare inosservato. Ho visto conduttori punire il cane semplicemente per scaricare il proprio nervosismo. Questo non veniva quasi mai fatto in  maniera intenzionale ma veniva comunque fatto e non ha senso. Il cane, che non ha fatto nulla di male, incassa la punizione ma non la comprende. Un altro esempio riguarda l’utilizzo del collare elettrico su cani lunghi, poco collegati e poco ubbidienti. Il cane non rientra, è lontano, spesso nascosto dalla vegetazione, non si sta cosa stia facendo e trac, danno una scollarata? Perchè? Solo due esempi, tra centinaia disponibili. Pur avendo accennato alle punizioni Hutchinson ricorda subito che i risultati migliori si ottengono lavorando con allegria e quindi, come diremmo oggi, avvalendosi del rinforzo positivo.

La seconda dote necessaria all’addestratore è la coerenza, nulla di nuovo anche se è pregevole il sottolineare di non dimenticarsi di “correggere” il cane quando si è euforici o impegnati ad assicurarci un selvatico. Questo è un tipo di errore che io commetto: tutta entusiasta del risultato positivo di qualcosa, ho un intervallo temporale personale il cui non vedo i successivi errori! Ovviamente vale anche il discorso opposto, una situazione negativa non deve portarci a correggere il cane oltre il dovuto.

La riflessione (o capacità di riflettere) chiude la lista delle doti essenziali: ci serve per capire come rapportarsi al cane.

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“I requisiti principali necessari ad un addestratore sono:  primo, l’autocontrollo, in modo che non si cada mai nel tranello di dare una punizione non necessaria dal momento che, e questo vale sia per i cani che per i cavalli, non vi è addestramento migliore di quello condotto in allegria; secondo, la coerenza affinché in preda all’euforia, o se impegnati ad assicurarci un selvatico, non ci si dimentichi di biasimare un errore (non ho detto di non punire) che sarebbe stato notato in un momento più tranquillo e, d’altra parte, che non si corregga il cane più duramente del dovuto perché si è sbagliata una fucilata o si è perso il selvatico; e, infine, la capacità di riflettere,  in  modo a poter capire quale significato un animale non raziocinante può probabilmente attribuire ad ogni parola, segnale o sguardo.”  W.N. Hutchinson Dog Breaking -1865




Buonsenso e sensibilità

Visto che i lettori sembrano seguirmi in buon numero… proseguo! Il paragrafo di oggi riguarda qualcosa che condivido  e su cui da anni penso (e rimando) di scrivere un lungo articolo ben strutturato. Nel frattempo, accontentatevi di un mio commento a Hutchinson. Dunque… Spesso sentiamo affermare “io ho cani da tot anni…” oppure “io allevo da tot anni”,  “io caccio da tot anni…” eccetera. Premesso che ciascuno di noi è libero di affermare ciò che crede, spesso queste frasi vengono pronunciate come garanzia di grandi capacità nei rispettivi campi d’azione. Guardandosi attorno, però, ci si accorge di persone che fanno una tale cosa da decine di anni ma non hanno ancora compreso come farla bene, in taluni casi non ne hanno nemmeno compreso le basi! Se io faccio una cosa da 40 anni ma sono 40 anni che la faccio male, sono bravo a farla?  Essere impegnati in un’attività da decenni è sicuramente un metodo per accumulare buone occasioni di apprendimento ma… solo se usiamo il cervello. Esempi? Potrei portarne a centinaia, dall’allevatore che dopo 30 anni di cucciolate non ha ancora capito che i cuccioli vanno socializzati, fino al cacciatore che risolve tutto con il collare elettrico, lascia il cane in box 9 mesi all’anno o cambia cane ad ogni stagione perché i suoi cani “non funzionano mai o hanno tutti paura dello sparo”… però costui ha la licenza di caccia dagli anni ’60! Sono due esempi tra tanti per far capire che, fare una cosa da tanto tempo non è necessariamente sinonimo di saperla fare bene!  Dipende terribilmente da quanta intelligenza e da quanta sensibilità sono state Hutchinson 3messe in gioco.

Hutchinson lo dice, ok l’esperienza ma nell’addestramento conta tantissimo capire il temperamento del cane che si ha davanti. Anche io credo questo sia fondamentale: senza il giusto approccio non otteniamo niente. Il giusto approccio deriva, a mio avviso, da una sensibilità innata nel comprendere i cani. Questo è per me una specie di  “istinto” o, se preferite, di “sesto senso”. L’esperienza, la frequentazione di persone abili nell’addestramento canino, le letture, il confrontarsi con altri addestratori e proprietari con umiltà ci permettono senza altro di affinarla e potenziarla ma… è questa sensibilità a stare alla base di tutto.

“A differenza della maggioranza delle altre arti, l’addestramento dei cani non richiede tanta esperienza bensì quella conoscenza dei cani che ti permette di discriminare tra i differenti temperamenti e inclinazioni (direi quasi caratteri) che variano tantissimo, questa dote è molto vantaggiosa.  Alcuni cani richiedono un incoraggiamento costante, altri non devono mai essere puniti, mentre con altri  è necessario usare occasionalmente la frusta al fine di ottenere il necessario controllo.” W.N. Hutchinson Dog Breaking -1865




Sui cani indisciplinati

La lettura del testo di Hutchinson lentamente prosegue.  Il paragrafo di oggi può sembrare un po’ datato e poco italiano dal momento che fa riferimento alla figura del gamekeeper (guardiacaccia), figura che è tipicamente inglese e poco italiana. Da noi, gli sparuti guardiacaccia al servizio delle aziende venatorie svolgono svolgono essenzialmente attività di vigilanza. Il guardiacaccia inglese, invece, oltre ad occuparsi della vigilanza, cura l’azienda sotto tutti gli aspetti: si parte dalla gestione della selvaggina all’organizzazione della caccia. Pensiamo alla differenza tra le due parole “guardiacaccia” significa “guardiano della caccia, “gamekeeper” significa colui che si prende cura della selvaggina. Gestire la caccia significa anche gestire i cani da caccia per conto del proprietario e il paragrafo di Hutchinson riguarda i cani dei guardiacaccia che sono carenti di addestramento. hutchinson 2

Il cacciatore italiano solitamente non ha disposizione un guardiacaccia personale e caccia con il proprio cane, le’osservazione di Hutchinson sui cani indisciplinati impiegati durante la caccia però è adattissima anche ai cani di proprietà del cacciatore italiano.  L’autore si meraviglia di come i signori inglesi possano tollerare l’indisciplina dei cani dei loro gamekeepers, io mi meraviglio di come noi italiani – e metto anche me nel calderone – si possa tranquillamente tollerare l’indisciplina dei propri soggetti.  Dal 1865 ci arriva di nuovo qualcosa su cui riflettere!

Segue la traduzione del testo: “Non riesco a capire come possa un proprietario, che stipendia regolarmente un guardiacaccia, essere soddisfatto di cacciare regolarmente con una truppa di cani disobbediente e disordinata. Se al guardiacaccia è permesso di accompagnare il proprietario a caccia, conducendo da sé i cani, la loro indisciplina non può avere scusanti.  Questa carenza deve avere origine dall’incapacità o dalla pigrizia del guardiacaccia”. 




C’era una volta… l’addestramento

Pochi giorni fa ho ricevuto in dono da un’amica il libro “Dog Breaking. The Most Espeditious, Certain and Easy Method” scritto da William Nelson Hutchinson nel 1865. L’edizione donatami è la sesta (1876) e, provando molta gratitudine per questo regalo inaspettato ho promesso di leggerlo. La mia intenzione originale era “salvare” i punti salienti e e riferirli a chi mi aveva regalato il libro e a ad altri amici. Successivamente ho pensato che potevo condividere le mie scoperte anche con i lettori di Dogs & Country dal momento che, come vi accorgerete, il testo è sorprendentemente moderno per l’epoca.

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La traduzione è la seguente: L’addestramento dei cani, non è ben lontano da essere un mistero. Si tratta di un’arte facile da apprendere una volta che la si inizia e la si prosegue basandosi su principi razionali”. Era il 1865, qualcuno non l’ha ancora capito nel 2015!

ps.  Se non volete aspettare i miei riassunti, il libro è in vendita in edizione moderna o scaricabile online qui Dog Breaking